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2.3. Dipendenza dal mondo come questione di senso

2.3.1. Cecità essenziale delle pulsioni

Per cercare di capire quali siano le modalità specifiche con cui il soggetto si apre originariamente al mondo per mezzo dell’intenzionalità pulsionale, recuperiamo l’esempio della pulsione alimentare. L’attenzione fenomenologica all’esperienza induce Husserl a cogliere come non tutte le situazioni alimentari siano ugualmente espressione di uno stesso istinto al cibo. A proposito dell’esperienza del mangiare, Husserl rileva quanto segue:

il determinato sapore può essere giudicato in sé un valore, e può anche essere connesso con la sazietà o meno. Io posso essere affamato e nel cibarmi di un cibo di questo sapore io divento sazio. E mi manca questo sapore e viene investito in sé di valore. Io posso anche avere nostalgia [Sehnsucht] di questo sapore, benché io sia sazio; e mangio questo cibo, di modo tale che si appaghi questa nostalgia, ma senza sazietà o magari nella maniera di una

247 Tra le voci più autorevoli, oltre il sopra menzionato Neil Evernden, si ricordano qui Richard e Val Routley. Soprattutto

in riferimento alla prospettiva di Passmore, quest’ultimo sostiene che l’alternativa fra un’etica del dominio incontrollato e un’etica dell’uso razionale e differenziato delle risorse naturali non rappresenta un’autentica alternativa (cfr. V. Routley, «Critical Notice», Australasian Journal of Philosophy, vol. 53 (1975), pp. 171- 185). Si veda anche: R. Routley e V. Routley, «Against the inevitability of human chauvinism» in K. E. Goodpaster, K. M. Sayre, Ethics and problems of the

21st century, University of Notre Dame Press, Notre Dame – London 1979, pp. 36- 59. 248 Bartolommei, Etica e ambiente, op. cit., p. 173.

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spiacevole indigestione, che pertanto disturba. La nostalgia del cibo non corrisponde a un istinto, bensì è un desiderio [Begehren] determinato. La nostalgia della fame è un istinto.249

Se, dunque, l’esperienza che permette la soddisfazione della pulsione alimentare la sensazione del sapore del cibo comporta necessariamente una piacevole sensazione di sazietà, non tutte le esperienze alimentari si accompagnano a questo specifico complesso di sensazioni. Poniamo il caso che abbiamo appena pranzato e che, entrati nel bar dove siamo stati invitati a prenderci un caffè, siamo presi dalla nostalgia del sapore dolce e ci facciamo servire un pasticcino. È evidente che qui l’esperienza si accompagni a un diverso complesso di sensazioni. Il sapore dolce del pasticcino, infatti, non si accompagna a nessuna piacevole sensazione di sazietà ma può, al contrario, comportare una fastidiosa sensazione di eccessiva sazietà. L’atto del cibarsi è, in tal caso, distinto in maniera essenziale dall’atto intenzionale di natura pulsionale che aspira alla piacevolezza della sazietà: ciò che si soddisfa qui è il desiderio di un cibo determinato, anziché la pulsione che si distende nell’assimilazione del cibo stesso.

In questo contesto, la soluzione di Natalie Depraz, la quale propone di rendere la stratificazione semantica del concetto di Trieb ricorrendo alla nozione di desiderio [désir]250 non sembra essere affatto convincente. Tra intenzionalità desiderativa e intenzionalità pulsionale Husserl traccia, infatti, un confine netto che passa, in primo luogo, attraverso l’assenza (o la presenza) della sensazione di sazietà, intesa non tanto in senso fisico ma come sensazione che corrisponde al riempimento [Erfüllung] verso cui, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, tende la stessa pulsione. Non si tratta, tuttavia, dell’unica differeza. Sempre per quanto riguarda il processo di soddisfazione, infatti, Bernet ricorda come tanto per Freud quanto per Husserl l’aspirazione desiderativa possa essere soddisfatta anche per mezzo della mera illusione percettiva. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la distensione della pulsione richiede sempre, al contrario, il contatto in carne e ossa con ciò di cui il soggetto pulsionale avverte la mancanza. Queste differenze sostanziali inerenti al processo di soddisfazione del desiderio e della pulsione riflettono, in realtà, una più profonda differenza delle rispettive strutture intenzionali. Se, infatti, il desiderio può trovare appagamento nella riproduzione rappresentativa di un oggetto (o di uno stato di cose) è perché, come scrive Husserl stesso in un manoscritto del 1914, «il desiderio è un’aspirazione, un tendere verso ciò che è futuro e, più precisamente, l’augurio che io possa possedere qualche cosa, che possa accadermi qualche cosa di

249 Husserl, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 85 [traduzione mia].

250 Depraz, «Pulsion, instinct, désir. Que signifie Trieb chez Husserl?», op. cit., p. 115. Nonostante, infatti, come rileva

l’autrice, nella tradizione del pensiero francese quest’ultima abbia assunto un significato più radicale e inglobante, quasi ontologico, che, soprattutto per ciò che concerne l’aspetto temporale, mostra una certa eco con le analisi husserliane sull’intenzionalità pulsionale, la sovrapposizione tra Trieb e désir non sembra giustificabile all’interno dell’impianto fenomenologico di Husserl. Per una più puntuale caratterizzazione della nozione husserliana di desiderio come distinta dalla pulsione, si rimanda a: Bernet, Force- pulsion- desir, op. cit., pp. 315 ss.

134 gradevole o di buono»251: è perché, detto altrimenti, il desiderio si riferisce in maniera consapevole ed esplicita a un oggetto (o stato di cose) ben determinato, la cui realizzazione, conseguentemente, può anche essere riprodotta per mezzo di un’allucinazione. Da questo punto di vista, come Husserl precisa, «è l’idea di qualcosa che piace a motivare il desiderio»252. Non solo, infatti, chiunque non

ami il gusto deciso del caffè non prova alcun desiderio nei confronti di pietanze che ne racchiudano il sapore. È altrettanto vero che nessun desiderio che, proseguendo con l’esempio, abbia per oggetto il caffè potrà mai essere soddisfatto in riferimento a una bevanda che non ne richiami affatto il gusto e l’aroma. Il desiderio, pertanto, nella prospettiva husserliana si configura come aspirazione a una situazione di soddisfazione il cui contenuto è associato, prosegue Husserl stesso, «alla rappresentazione di qualcosa che io so piacermi e di cui io ora vorrei nuovamente godere, magari anche non esattamente la stessa, ma qualcosa del suo stesso genere»253: vale a dire, come un’aspirazione la cui soddisfazione è collegata al possesso di un oggetto e guidata, nello stesso tempo, dalla rappresentazione del qualcosa che ci piace, ma di cui avvertiamo la mancanza.

A fronte di un’intenzionalità desiderativa che è collegata in maniera essenziale alla rappresentazione intenzionale dell’oggetto a cui aspira, l’intenzionalità pulsionale presenta invece, come rileva anche Husserl, «una pluralità di modi dell’essere-diretto»254, vale a dire una mancanza di determinazione univoca dell’oggetto dell’oggetto verso cui essa tende. In questo senso, sempre in riferimento alla pulsione di alimentazione, Husserl osserva che «la pulsione precede la determinatezza del che cosa [des Worauf] e la rappresentazione di un che cosa determinato è un “conseguimento successivo” [ein „Nachkommendes“]»255. L’appetito, detto altrimenti, precede l’idea determinata di

che cosa mi potrei mangiare: la soddisfazione del particolare istinto di alimentazione risiede nel cibarsi e non nella pietanza di cui ci si ciba. Da questo punto di vista, come illustra più precisamente Pugliese, l’intenzionalità pulsionale non presenta lo schema generale di una tipologia di oggetti, quanto piuttosto la forma generale di una relazione256, quella tra l’aspirazione [Streben] e il suo appagamento [Befriedigung]. Mentre, dunque, la componente oggettuale svolge un ruolo determinante per l’intenzionalità desiderativa, motivandone l’insorgere e guidandone la soddisfazione, l’intenzionalità pulsionale, dalla pulsione universale fino alla molteplicità di pulsioni particolari, non si rapporta originariamente a un oggetto determinato. Essa è piuttosto una

251 Ms A VI 3, Bl. 31a [traduzione mia].

252 Husserl, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 86 [traduzione mia]. 253 Ibid.

254 Idem, Husserliana, vol. XXXIV, Zur phänomenologischen Reduktion, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 2002,

p. 470 [traduzione mia].

255 Idem, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 86 [traduzione mia]. In un altro dei manoscritti del gruppo E “Intersubjektive

Konstitution” analogamente si legge: «Der Trieb kann im Stadium des unbestimmten Hungers sein» (Idem, Husserliana, vol. XV, op. cit., op. 593).

135 “intenzionalità senza oggetto”, come la definisce Bernet257: un’intenzionalità che apre al mondo e

spinge per approssimarsi a esso senza, però, avere in sé un chiaro riferimento oggettuale.

A differenza del desiderio, dunque, la pulsione non si riferisce a un determinato oggetto o a uno stato di cose del mondo. Si tratta di una caratteristica che certamente presta il fianco all’interpretazione di Depraz, secondo la quale l’intenzionalità all’opera nello strato animale- pulsionale della vita di coscienza non sarebbe altro che un tendere [Streben] privato di ogni polarizzazione noematica258: vale a dire un’apertura originaria al mondo senza alcun tipo di riferimento oggettuale. La pulsione sarebbe così una tendenza vitale e indeterminata, quasi un mero agitarsi indeterminato di forze interne. Benché sia lo stesso Husserl ad associare la pulsione all’aspirazione, Pugliese ricorda come questo accostamento non debba indurre a concepire la pulsione nei termini di un’atmosfera interiore, un dilagante combattersi di forze soggettive privo di una qualsiasi direzione259. Su questo punto, infatti, Husserl si esprime in maniera esplicita: «ogni

aspirazione di un istinto particolare ha la propria specifica direzione»260. L’intreccio pulsionale – la

«concatenazione di impulsi parziali»261, come lo chiama Husserl – non palpita indiscriminatamente,

ma tende in maniera direzionata. Si tratta di un aspetto alquanto evidente nella nostra esperienza, dove nessuno riesce a soddisfare il proprio appetito alimentare – il proprio istinto di alimentazione – per mezzo, ad esempio, della respirazione. Benché non sia diretta a una pietanza in particolare, l’intenzionalità pulsionale dell’istinto di alimentazione ha comunque una propria specifica direzione intenzionale. Per quanto implicita, dunque, anche la dimensione istintivo- pulsionale della coscienza ha una propria direzionalità. È tale originaria direzionalità, precisa sempre Pugliese, a costituire il significato dell’espressione Hunger-Intentionalität262. Senza la presenza di una direzione oggettuale, il ricorso husserliano ai concetti di “intenzionalità della fame”, “fame intenzionale” e, più in generale, “intenzionalità pulsionale” [Triebintentionalität] resterebbero, infatti, privi di senso o, quanto meno,

257 Bernet, La vie du sujet, op. cit., p. 315. Anche Merleau- Ponty nel suo ultimo corso caratterizza lo strato istintivo della

vita animale come “objektlos” (cfr. M. Merleau-Ponty, La Nature Notes, Cours Du College de France, Éditions du Seuil, Paris 1995, p. 249). Proprio in quanto “intenzionalità senza oggetto”, secondo Depraz, la struttura intenzionale dello strato pulsionale- animale della vita di coscienza costituisce la struttura paradigmatica attraverso la quale Husserl apprende il senso della passività fenomenologica (cfr. Depraz, « Y a-t-il une animalité transcendentale ?», op. cit., p. 99). Nella prospettiva della connessione tra il Trieb e altri due temi centrali nella riflessione fenomenologica sulla passività, i temi dell’associazione e dell’affezione, è possibile fare riferimento al manoscritto A VII 13, in particolare alla sezione nota come St. Märgener Manuskripten, in cui Husserl affronta in prospettiva genetica il problema della costituzione della cosa che aveva già analizzato in prospettiva statica nelle Ding-Vorlesungen del 1907. Una pubblicazione parziale del manoscritto (fogli 7-10) è contenuta in Husserl, Husserliana, vol. XXXIX, op. cit., pp. 41-16.

258 Depraz, « Y a-t-il une animalité transcendentale ?», op. cit., p. 99.

259 Pugliese, Il movente dell’esperienza, op. cit., p. 93. Su questo punto concorda anche Lee, il quale scrive: «Die

Instinktaffektion im Uranfang der transzendentalen Genesis ist eine bestimmte Form des Gerichtetseins des Vor-Ichs auf die Welt, also die ursprünglichste Gestalt der Intentionalität» (Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 173).

260 Husserl, Husserliana: Materialen, vol. VIII, op. cit., p. 257 [traduzione mia]. 261 Idem, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 93 n. 2 [traduzione mia].

136 fortemente enigmatici. Se, invece, per Husserl il Trieb mantiene un decisivo carattere intenzionale è perché, lungi dall’essere un esplodere caotico e imprevedibile, l’intenzionalità pulsionale emerge come componente dell’esperienza che assume i tratti di quello che l’autore chiama un hintrieben263, vale a dire di uno spingere [trieben] verso [hin-]264 qualcosa: di un’aspirazione in vista di un qualcosa che, purtuttavia, come osserva Deodati, non viene portato a presenza265 e, in questo senso, rimane essenzialmente indeterminato.

Questa indeterminatezza della direzione oggettuale verso cui tende l’intenzionalità pulsionale corrisponde alla caratteristica cecità che Husserl attribuisce alle pulsioni. In uno dei primi manoscritti che affrontano l’argomento, in particolare, si legge: «“Cecità” [“Blindheit”] dell’istinto. L’oscuro orizzonte di una oggettualità che riempie [erfüllende Sachlichkeit], all’inizio indeterminata e vuota»266. Husserl sembra porci così di fronte a un paradosso: quello di un’intenzionalità pulsionale dotata di una direzione – dotata, appunto, di un orizzonte – la quale, però, rimane fondamentalmente vuota e, in questo senso, indeterminata. Il senso di questa vuotezza Husserl lo precisa in un manoscritto del 1924, laddove scrive:

La fame “procede verso la sazietà”, il “prurito” verso la “grattatura” […]. Ma si trovano qui alla base rappresentazioni vuote? Ci sono direzioni vuote […]. Mancano qui la riconoscibilità [Bekanntheit] e il suo contrario, la non riconoscibilità [Unbekanntheit], ma invece abbiamo la privazione della riconoscibilità. Fenomenologicamente, dunque, dobbiamo distinguere in maniera più netta tra orizzonti vuoti [Leerhorizonte] e orizzonti rappresentativi vuoti [Leervorstellungshorizonte]. La coscienza vuota [Leerbewusstsein], in quanto velata e istintiva, non è ancora un rappresentare vuoto.267

Accanto, dunque, alla vuotezza dell’orizzonte della rappresentazione vuota – vale a dire, di un’intenzionalità che ha una rappresentazione implicita o, per così dire, “velata” del proprio riferimento oggettuale – Husserl riconosce la presenza di un secondo senso di vuotezza che, anziché all’intenzione rappresentativa vuota, si collega a quella che egli stesso chiama coscienza vuota [Leerbewusstsein]. È precisamente questo secondo senso di vuotezza quello che Husserl riconoscere

263 Husserl, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 93 n. 2.

264 La particella “hin-”, come la preposizione “nach”, indica precisamente l’aspetto direzionale di un’azione, introducendo

ciò verso cui ci si dirige per mezzo della stessa azione. Rispetto a “nach”, tuttavia, “hin-” aggiunge l’aspetto dell’allontanamento dall’interlocutore. In questo contesto, dunque, “hin-” associato a “trieben” sembrerebbe rafforzare l’idea dell’intenzionalità pulsionale che spinge il soggetto fuori da se stesso, fino alla prossimità con l’oggetto (o stato di cose) esteriore da cui dipende l’appagamento della pulsione.

265 Deodati, La dynamis dell’intenzionalità, op. cit., p. 156.

266 Husserl, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 85 [traduzione mia]. Analogamente, in una sezione ancora inedita del

manoscritto E III 9 si legge: «das instinktive Streben und Sich-auswirken, das schon nach Enthüllung seiner ersten Erfüllungsziele blinde» (Ms E III 9, Bl. 19).

137 essere in gioco nell’intenzionalità pulsionale268. Ciò significa che la caratteristica cecità della pulsione indica il riferimento di quest’ultima non tanto a un orizzonte vuoto in quanto privo di una rappresentazione determinata del proprio “referente” oggettuale – vuoto, vale a dire, in quanto riferito a un oggetto solo implicitamente determinato. La vuotezza dell’orizzonte dell’intenzionalità pulsionale corrisponde, piuttosto, a quello che, con Deodati, potremmo definire un “vuoto nella forma dell’assenza” 269: un vuoto, cioè, inteso come mancanza della rappresentazione stessa. In questo

modo, si mostra essere corretta l’interpretazione di Lee, secondo la quale «nell’inizio originario [Uranfang] non c’è traccia di intenzioni rappresentative dossiche»270: secondo la quale, in altre parole, la vita cosciente del soggetto psichico concreto deve essere geneticamente ricondotta a una originaria sfera istintivo- pulsionale in cui è all’opera un’intenzionalità di genere essenzialmente diverso dall’intenzione dossico- rappresentativa.

La natura non rappresentativa dell’intenzionalità pulsionale ha ovviamente delle ricadute nel modo in cui avviene l’apertura originaria al mondo del soggetto psichico concreto, vale a dire nel modo in cui deve essere intesa la dipendenza essenziale dell’Animal dal mondo esterno. Nella misura in cui, infatti, l’intenzionalità istintiva originaria non veicola alcuna rappresentazione, neppure implicita o “velata”, allora «in ogni istinto non dischiuso – scrive Husserl – la direzione intenzionale è, dove esso sia già in actu, già presente, solo in un orizzonte vuoto, totalmente privo di forma, <diretto> a uno scopo [Ziel] che non ha alcuna struttura di riconoscibilità predelineata»271. Il mancato collegamento tra intenzionalità istintiva e intenzione rappresentativa, pertanto, non pregiudica quanto messo in luce in precedenza: vale a dire, l’evidenza per cui nella sfera istintivo- pulsionale il soggetto si apre al mondo in maniera direzionata e mai caotica o indiscriminata.

268 Non sembra, invece, cogliere questa differenza Brudzińska, la quale scrive: «Die Triebintentionalität wird dabei als

ein spezifischer Modus des intentionalen Leistens gedeutet – als Intentionalität der Leervorstellungen» (Brudzińska,

Assoziation, Imaginäres, Trieb, op. cit., p. 174). Su questo punto, in realtà, la riflessione di Husserl ha conosciuto una sua

evoluzione. Nelle Ricerche logiche, infatti, l’indeterminatezza dell’orizzonte intenzionale della pulsione mostra un carattere rappresentativo [einen Vorstellungscharakter] (Cfr. Husserl, Husserliana, vol. XIX/1, op. cit., p. 410) che viene indirettamente confermato ancora pochi anni prima del passaggio all’analisi genetica, laddove Husserl scrive: «Die Begierde (der Wunsch) ist explizit gerichtet, der instinktive Trieb ist implizit gerichtet. […] der Trieb durch eine implizite Vorstellung [ist gerichtet] [N.d.A.]. Man könnte also auch explizites und implizites Vorstellen unterscheiden.» (Husserl,

Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 87). Come spiega Lee, infatti, è necessario che Husserl riveda, a partire dagli anni 20,

la legge della fondazione degli atti non oggettivanti attraverso gli atti oggettivanti, perchè sia fenomenologicamente possibile parlare in maniera coerente di coscienza vuota e, correlativamente, di orizzonte vuoto della pulsione (cfr. Lee,

Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 44). 269 Deodati, La dynamis dell‘intenzionalità, op. cit., p. 156.

270 Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 174. Sulla non originarietà dell’intenzione

rappresentativa, Lee scrive anche: : «Die Intention des unenthüllten nicht-objektivierenden Instinktes bildet also den genetischen Fundierungsboden für die unselbständige Vorstellungsintention» (Lee, Edmund Husserls Phänomenologie

der Instinkte, op. cit., p. 130).

271 Husserl, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 246 [traduzione mia]. Diverso è, invece, il caso delle Lezioni sulla sintesi passiva, dove, pur aprendo le porte all’approfondimento genetico, Husserl, non avendo ancora effettuato un’analisi

sistematica dell’intenzionalità pulsionale, parla ancora solo di rappresentazioni vuote (cfr. Idem, Lezioni sulla sintesi

138 Nella sua apertura originaria al mondo, come si legge nella citazione, l’intenzionalità pulsionale ha uno scopo: essa si riferisce, in altre parole, a un oggetto (o uno stato di cose) del mondo esterno dalla cui approssimazione poter trarre soddisfazione. Tuttavia, così concepita, essa rappresenta «un modo dell’aspirare vuoto, che – precisa Husserl – è ancora sprovvisto della “rappresentazione dello scopo” [Zielvorstellung]»272. La Triebintentionalität, pertanto, si apre al mondo con propri scopi

[Ziele] – l’assimilazione di cibo per l’istinto di alimentazione, la manifestazione intuitiva di nuovi lati della cosa per l’istinto di oggettivazione, etc. – ma di essi non ha alcuna rappresentazione, né esplicita né nascosta o “velata”. In questo modo, la riflessione husserliana sull’intenzionalità pulsionale dell’Animal, sembra prospettare un’apertura originaria del soggetto al mondo esterno che non può mai assumere la forma di un calcolo, più o meno razionale, su come utilizzare le risorse della dimensione mondana in relazione ai propri scopi: sembra prospettare, cioè, un’apertura originaria al mondo esterno che non può essere immediatamente riconducibile a considerazioni di funzionalità. Ovviamente nulla esclude che, ad un altro livello della vita di coscienza soggettiva, l’io possa riferirsi al mondo con una chiara ed esplicita rappresentazione dei propri scopi273: vale a dire, che la relazione

funzionale con il mondo possa essere ammessa a un livello geneticamente secondario della vita di coscienza. Ciò che qui suggerisce la riflessione husserliana sull’intenzionalità pulsionale, però, è che, nell’esperienza originaria del mondo esterno, il soggetto non si apre ad esso mosso da una rappresentazione, anche solo implicita o oscura, del suo valore funzionale; ovvero, detto altrimenti: presa nella sua originarietà, la relazione tra soggetto e mondo esterno presenta esperienze irriducibili alla mera logica funzionale. In tal modo, la riflessione husserliana sull’animalità pulsionale, oltre a riconoscere la dipendenza originaria e inaggirabile del soggetto al mondo esterno, invita a ripensare questa stessa dipendenza al di là delle strettoie funzionalistiche in cui, spesso, ancora oggi incappa il discorso sull’etica ambientale.

Il carattere non rappresentativo dell’intenzionalità pulsionale, tuttavia, non indica solamente l’assenza dalla prassi istintiva di rappresentazioni di scopi più o meno ben determinati. Esso, infatti, costringe nello stesso tempo ad ammettere che «nella coscienza istintiva vuota – scrive Husserl – non c’è ancora alcuna tesi dossica, che inoltre in essa una tesi dossica attiva non è proprio possibile»274:

272 Idem, Husserliana: Materialen, vol. VIII, op. cit., p. 326 [traduzione mia].

273 Precisamente in questo senso sembrano andare le seguenti considerazioni che Husserl inserisce nel secondo libro di Idee: «La persona vede cose attorno a sé: tutte le apprensioni di cose, le posizioni di cose e le loro compagini di materiali

noetici e di forme sono un che di psichico (di psicofisico). Allo stesso modo, però, la persona valuta la cosa, in quanto bella o utile, in quanto un pezzo d’abbigliamento o come una tazza per bere, ecc. e tutto questo le è presente