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Nella fenomenologia statica, l’altro animale si presenta nell’esperienza del soggetto umano come analoga esistenza egologica dotata di uno stesso carattere trascendentale. Husserl stesso precisa che ogni esistenza egologica è indice di un Io come soggetto di atti e, più precisamente, come soggetto unitario della totalità degli atti intenzionali4. Tra esistenza egologica ed esistenza attiva sussiste, pertanto, un nesso indissolubile che il fenomenologo esprime già nel primo libro di Idee con le seguenti parole:

[p]roprio queste ultime [le pure attualità] [N.d.A] determinano […] il significato pregnante delle espressioni “cogito”, “io ho coscienza di qualcosa”, “io compio un atto di coscienza”. Per mantenere nettamente distinto nella sua stabilità questo concetto di atto, riserveremo esclusivamente a esso i termini cartesiani cogito e cogitationes […].5

Da questo punto di vista, Husserl adotta l’apparato concettuale cartesiano e, più in particolare, il concetto cartesiano di cogito per identificare l’esistenza egologica come esistenza di un soggetto di atti: sia, dunque, l’esistenza dell’io umano sia quella dell’altro ego animale.

Tuttavia, è lo stesso Husserl a manifestare agli inizi degli anni ’20 qualche perplessità sul riferimento metodologico e concettuale a Cartesio. Riguardo all’approccio cartesiano attraverso il quale egli, nel primo libro di Idee, era giunto a cogliere apoditticamente la soggettività pura trascendentale nelle lezioni sulla filosofia prima del 1923-1924 Husserl sostiene: «Se, però, rifletto sul metodo come ho appena fatto, mi viene il dubbio e mi domando se essa [la via cartesiana] [N.d.A.] sia adeguata – e se potrà mai esserlo – per portare alla luce la soggettività trascendentale e la sua vita»6. Il dubbio sull’efficacia dell’approccio cartesiano, come viene precisato qualche lezione oltre, riguarda il fatto che l’ego cogito raggiunto attraverso il recupero fenomenologico della tradizione

vulnerabilità […] [come] [N.d.A.] soggetto frantumato [sujet brisé]» (Pelluchon, Eléments pour une éthique de la

vulnérabilité, op. cit., p. 220).

4 «Vom Ich sagen wir, dass es auf etwas gerichtet und darauf gerichtet ist, dass es „Subjekt“ von Akten ist. […] im Aktus,

Tendenz vom Ich auf das Etwas […]. Viele Tendenzen in der Einheit einer Tendenz. […] All-Einheit von Tendenzen in „einem Ich“ – alle Tendenzen haben eine gewisse synthetische Einheit der Tendenz. Ein Ich, eine Einheit des Gesamtstrahles, der Gesamtintention-auf (d.i. Bewusstsein-von)» (Husserl, Husserliana: Materialen, vol. VIII, op. cit., p. 37).

5 Husserl, Idee…, I, op. cit., p. 83. 6 Husserl, Filosofia prima, op. cit., p. 113.

85 cartesiana sembra rimanere, riprendendo l’espressione dello stesso Husserl, «una parola vuota»7: vale

a dire, un concetto privo di una qualsiasi determinazione circa la natura e la struttura degli atti di cui si compone. Le riflessioni degli anni successivi trasformano il dubbio in una critica aperta, la quale trova la sua formulazione più esemplare nella Crisi delle scienze europee. Qui, infatti, Husserl nota che

la strada, molto più breve, verso l’epoché trascendentale che nelle mie Idee per una

fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica ho chiamato la “via cartesiana”

(concepita come un mero approfondimento riflessivo dell’epoché cartesiana delle

Meditationes, criticamente depurata dai pregiudizi e dalle confusioni di Descartes) presenta

un grande svantaggio, costituito dal fatto che essa, con un salto, porta sì all’ego trascendentale, ma insieme, in quanto non è oggetto di un’esplicazione progressiva, rileva l’ego trascendentale in un’apparente mancanza di contenuto, talché sulle prime non si riesce affatto a capire che cosa si sia guadagnato e come possa essere attinta una scienza del fondamento, una scienza completamente nuova e decisiva per qualsiasi nuova filosofia.8

L’autore non sembra, dunque, aver più dubbi sui limiti di un approccio che recuperi la tradizione metodologica e concettuale delle Meditazioni di Cartesio: quel tipo di strada non è in grado di cogliere l’esistenza soggettiva in tutta la ricchezza delle sue articolazioni.

Una fenomenologia che rivolge l’attenzione alla soggettività trascendentale, invece, deve tenere in considerazione che, come riconosce Husserl stesso: «Io sono in una necessità apodittica non come un mero Io-polo, bensì <come> un io nella mia vita concreta con tutto ciò che è in unità indissolubile con essa»9. In altre parole, l’io, come unità degli atti intenzionali, non è un’unità astratta e puramente formale – un polo vuoto o un’unitaria tabula rasa, per riprendere un’espressione che ricorre in uno dei manoscritti10 – ma ha un senso d’essere apodittico che è indissolubilmente legato alle intenzioni particolari che costituiscono la vita concreta del soggetto. Poiché, dunque, la riproposizione, pur rivista, della cosiddetta “via cartesiana” non riesce a cogliere il patrimonio di vissuti coscienti che costituisce la soggettività trascendentale, a partire dalle lezioni sulla Filosofia prima, come fa notare

7 Ivi, p. 162. A riguardo è interessante anche il seguente passaggio del Ms E III 2: «In den Ideen habe ich das reine Ich

sozusagen als identischen Pol für alle Akte, für jederlei cogito in der Einstellung der phänomenologischen Reduktion bezeichnet. Diese reine Ich als Pol ist aber nichts ohne seine Akte, ohne seinen Erlebnisstrom, ohne das lebendige Leben, das ihm selbst gleichsam entströmt» (Ms B III 10, Bl. 5a).

8 Idem, La crisi delle scienze europee, op. cit., p. 182.

9 Idem, Husserliana, vol. XLII, op.cit., p. 122. In maniera analoga poco oltre si legge: «Mein konkretes Was schließt in

der Weise intentionaler Implikation abermals Washeiten in sich, in einer Mannigfaltigkeit von Stufen, und alle diese Washeiten sind von meinem apodiktischen Seinssinn untrennbar» (Ivi, p. 123).

86 Vincenzo Costa, Husserl avverte il bisogno di ulteriori elaborazioni metodiche11 che, anziché cogliere, per citare Husserl, «un “ego cogito” vuotamente postulato o evocato con una frase, in una maniera vuota e lontana dall’oggetto in questione»12, permettano di far luce sulla struttura intenzionale del soggetto psichico concreto (umano e animale).

L’accesso a questo nuovo metodo è rappresentato da quella che Husserl nelle stesse lezioni del 1923- 1924 chiama “epoché fenomenologica”. Quest’ultima, nella prospettiva dell’autore,

determina una nuova e universale modalità di osservazione, un nuovo modo in cui l’io riflette su se stesso e su tutti i suoi mondi, in quanto mondi della coscienza attiva. Solo attraverso questo metodo l’io puro e la sua vita pura, l’intero regno della soggettività pura, divengono per la prima volta, visibili e descrivibili.13

La riduzione fenomenologica, in altre parole, consente di mettere fuori circuito ogni altro interesse – incluso, come fa notare Montavont, l’interesse tipico della fenomenologia statica per il rapporto tra l’ego e il telos della conoscenza14 – che non sia rivolto al vissuto egologico puro e alle sue componenti

strutturali. Il risultato di questa messa tra parentesi fenomenomologica, per ammissione dello stesso Husserl, è l’io puro «in un senso primo e ancora imperfetto, non ancora trascendentale»15: è l’io colto

nella purezza della propria vita interiore [seelische Innerlichkeit] e dei principali tipi di atti che la

11 V. Costa, Il cerchio e l’ellisse. Husserl e il darsi delle cose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, p. 131. 12 Husserl, Filosofia prima, op. cit., p. 213.

13 Ivi, pp. 155- 156.

14 Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, op. cit., p. 36.

15 Husserl, Filosofia prima, op. cit., p. 165. È evidente che la riduzione fenomenologica di cui Husserl parla dall’inizio

degli anni ’20, rappresenta una riformulazione dell’epoché proposta nel primo libro di Idee come base della “via cartesiana”. Questa riformulazione del metodo della riduzione corrisponde anche, in maniera altrettanto evidente, a una revisione dei rapporti tra atteggiamento psicologico e fenomenologico. Mentre, infatti, nelle pagine di Idee I l’atteggiamento psicologico e l’atteggiamento fenomenologico risultano essere puntualmente distinti e contrapposti (Cfr. Idem, Idee…, I, op. cit., p. 137), a partire dalle lezioni del 1923/24 è lo stesso metodo della riduzione a esigere di passare attraverso la psicologia fenomenologica per sviluppare una conoscenza non astratta nè formale della soggettività trascendentale. Su questo legame indissolubile tra revisione metodologica e riferimento alla psicologia intenzionale si veda: Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., pp. 65, 74; J. Brudzińska, «Depth Phenomenology of the Emotive Dynamic and the Psychoanalytic Experience», in D. Lohmar and J. Brudzińska (eds.), Founding

Psychoanalysis Phenomenologically. Phenomenological Theory of Subjectivity and the Psychoanalytic Experience,

Springer, Dordrecht 2012, pp. 23-52, pp. 23- 29; G. Giorello, C. Sinigallia, «L’istinto dell’intenzionalità. Brevi note per una psicologia fenomenologica», Psiche. Rivista di cultura psicoanalitica, vol. 2 (2002), pp. 43- 52, pp. 43-44. Non sembra condivisibile, invece, la critica che James Hart muove all’interpretazione di Lee. Secondo Hart, infatti, ponendo un’eccessiva enfasi sul distacco dal cartesianesimo, Lee renderebbe la prospettiva fenomenologica dipendente della psicologia e la livellerebbe al paradigma scientifico di quest’ultima, con un conseguente abbandono della priorità della prospettiva in prima persona che contraddistingue lo statuto della stessa fenomenologia (J. Hart, «Genesis, Instinct and Reconstruction: Nam-In Lee's. Edmund Husserl's Phänomenologie der Instincte», Husserl Studies, vol. 15, n. 2 (1998), pp. 101-123, pp. 107- 109). Dove, tuttavia, Hart afferma che l’avvicinamento tra fenomenologia e psicologia da Lee implicherebbe l’accettazione di una ricostruzione su basi obiettive della fenomenologia trascendentale (Ivi, p. 109), egli mostra di non cogliere la differenza che Husserl stesso rimarca tra la psicologia obiettiva tradizionale e la psicologia intenzionale fondata – non fondante – sull’epoché fenomenologica (su questo punto si veda, ad esempio, Husserl, La

crisi delle scienze europee, op. cit., pp. 268 ss.). Per una trattazione più sistematica del rapporto tra psicologia

fenomenologica e fenomenologia trascendentale in Husserl, si rimanda anche al primo paragrafo del successivo capitolo del presente lavoro.

87 costituiscono concretamente – l’io colto da quella che Husserl stesso chiama “percezione interna”16. Il campo di indagine che così si apre è, di certo, vasto a tal punto da giustificare quello che Husserl stesso chiama il carattere graduale della psicologia intenzionale17 . Non soltanto, infatti, come nota Lee, «il campo universale della vita della soggettività trascendentale offre una molteplicità di tipi di forme di coscienza»18: detto altrimenti, la vita interiore del soggetto si mostra essere un insieme in cui si intrecciano vissuti di coscienza di natura diversa (vissuti percettivi, vissuti volitivi, vissuti della coscienza assopita, etc.). A ciò si aggiunge l’evidenza per cui, per citare Montavont, il soggetto egoico non è sempre identico a se stesso19 e, anzi, conosce, dall’infanzia alla vecchiaia20, un mutamento costante dei propri vissuti interiori.

Di fronte all’ampiezza e alla complessità dei compiti della psicologia intenzionale, sembra opportuno partire dalla definizione che Husserl stesso fornisce del soggetto psichico reale [das reale seelische Subjekt]21 e della vita interiore di quest’ultimo come risultato delle operazioni di epoché

fenomenologica. A riguardo, infatti, nel secondo libro di Idee Husserl scrive:

il soggetto psichico [seelische] reale, la vita interiore, l’essere psichico [psychische] identico che, connesso realmente con il singolo corpo vivo dell’uomo e dell’animale [Tierleib], costituisce il duplice essere, sostanziale- reale, uomo o animale [Mensch oder

Tier], animalità [animal].22

16 Husserl, La crisi delle scienze europee, op. cit., p. 267.

17 Ibid.. E analogamente poco oltre: «la stessa riduzione fenomenologica può rivelare il suo senso, le sue esigenze interne

e necessarie e la sua portata soltanto per gradi» (Ibid.). Sul carattere graduale della psicologia intenzionale valgono, dunque, ancora le parole di Hermann Drüe: «Je mehr die Psychologie sich also stufenweise zur Allgemeinheit durchdringt, um so allgemeiner werden auch die Umfänge der thematisierten Intentionalität» (H. Drüe, Edmund Husserls

System der phänomenologischen Psychologie, W. De Gruyter, Berlino 1963, p. 235). 18 Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 71.

19 Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, op. cit., p. 36.

20 Per la diversa struttura psichica del bambino si rimanda all’ultima sezione del terzo paragrafo del capitolo precedente.

Mi pare, invece, interessante notare che non sono solo i bambini a presentare forme di coscienza diverse dall’uomo adulto, ma anche gli anziani, in quanto, scrive Husserl, «non consigliano e non producono più» (Ibid.): in quanto, cioè, non presentano più le strutture di coscienza che si collegano ai vissuti generativi interpersonali, di cui vedremo meglio nel prossimo capitolo.

21 In questo capitolo si segue la traduzione comune dell’aggettivo tedesco “seelisch” con “psichico”. Se, infatti, è possibile

rendere il sostantivo tedesco “Seele” con l’italiano “vita interiore”, evitando così il ricorso al concetto di “psiche” e i rischi a esso connessi che sono stati illustrati nel dettaglio nel capitolo precedente (a cui si rimanda) non è possibile fare altrettanto per la corrispondente forma aggettivale. Non esiste, infatti, nella lingua italiana un aggettivo che corrisponda all’espressione “vita interiore”, analogamente a quanto accade per il nome tedesco “Seele” e per l’aggettivo corrispondente “seelisch”. Il ricorso all’aggettivo “animato” viene scartato avrebbe richiesto di ricorrere per la traduzione di “Seele” al concetto di anima, il quale, però, è storicamente connotato di una valenza metafisica e religiosa che sono estranee al discorso husserliano.

22 Husserl, Idee…, II, op. cit., p. 125 [traduzione con modifiche]. Dove in tedesco Husserl utilizza l’espressione di

derivazione latina “Animal” si è scelto di rendere in italiano con il termine “animalità”, seguendo in questo l’indicazione terminologica suggerita da Natalie Depraz proprio per evitare confusioni tra i due concetti di animale che ricorrono in Husserl: il concetto di Tier (analizzato nel capitolo precedente) e il concetto di Animal, appunto [cfr. Depraz, «Y a-t-il une animalité transcendentale ?», op. cit.].

88 La vita interiore del soggetto concreto che viene indagata dalla psicologia intenzionale viene, dunque, qui esplicitamente ricondotta da Husserl alla vita di quell’essere particolare che ne La crisi delle scienze europee egli stesso chiama essere animale [animalische Wesen]23. In questo modo, il concetto di animalità [Animal] acquista una posizione centrale all’interno del discorso della psicologia intenzionale in quanto discorso sull’interiorità psichica [seelische Innerlichkeit]. Questo significa che sia Depraz sia San Martin avanzano entrambi posizioni condivisibili in merito al ruolo che il concetto dell’animalità svolge nel panorama complessivo della riflessione husserliana: la prima nel sottolineare la valenza genetica di questo concetto24 – ovvero nel collocare il discorso sull’Animal all’interno del contesto della fenomenologia genetica – il secondo nel mettere in luce la funzione terapeutica della riflessione sull’animalità25, in quanto riflessione che, inserita in quella psicologia

fenomenologica volta a chiarire le strutture dell’esistenza concreta della soggettività trascendentale, può offrire l’opportunità di “depurare” quest’ultimo concetto dalle stratificazioni semantiche dell’età moderna.

Un primo senso in cui ciò accade emerge considerando un aspetto messo in rilievo da Husserl nel passaggio testuale riportato: vale a dire, la non esatta coincidenza tra l’animaltà [Animal] e la vita interiore [Seele]. La prima, infatti, anziché identificarsi in maniera esclusiva con quest’ultima, rappresenta, piuttosto, come si legge poco più avanti nel testo, «l’unità concreta di un corpo vivo e di una vita interiore»26. Per questo motivo, come ha di recente puntualizzato Bernet, l’animalità, lungi dall’essere il risultato dell’unificazione di due sostanze eterogenee, indica per Husserl l’unità di una realtà decisamente sui generis: un’unità, cioè, composta di due facce che non sono solo inseparabili ma, quantomeno dalla prospettiva dell’esperienza in prima persona in cui si muove la psicologia intenzionale, sono ugualmente indiscernibili27. Da una parte, infatti, come abbiamo visto all’inizio del capitolo precedente, il corpo vivo è considerabile tale solo in quanto indissolubilmente intrecciato con una vita interiore, senza il riferimento alla quale esisterebbe alla stregua di un mero corpo materiale [Körper]. Dall’altra parte, benché la possibilità a priori di considerare un soggetto psichico

23 Idem, La crisi delle scienze europee, op. cit., p. 248. Questi esseri animali, umani e bestiali, Husserl li indica anche con

il nome “Animalien” (Idem, Idee…, II, op. cit., p. 165).

24 Depraz, «Y a-t-il une animalité transcendentale ?», op. cit., p. 85.

25 San Martin, «La subjectividad trascendantal animal», op. cit., p. 387. Anche al di fuori dell’ambito della fenomenologia

husserliana, c’è chi nota il contributo “terapeutico” della riflessione sull’animalità per il superamento di una lettura problematica del soggetto legata alla modernità (cfr. Nussbaum, Frontiers of justice, op. cit., pp. 159-160; N. Maillard,

La vulnerabilite: une nouvelle categorie morale?, Labor et Fides, Ginevra 2011, pp. 129, 153). 26 Husserl, Idee…, II, op. cit., p. 142.

89 [seelisches Subjekt] come privo di un corpo vivo materiale sia ammessa da Husserl28, egli stesso precisa che:

se l’essere psichico [seelisches Wesen] deve essere, se deve poter avere un’esistenza obiettiva, devono essere soddisfatte le condizioni di possibilità di una datità intersoggettiva […] la quale, a sua volta, presuppone un corpo vivo intersoggettivamente esperibile29.

Il legame essenziale tra soggetto psichico concreto (umano e animale) e animalità, pertanto, consente di mostrare, come afferma Pugliese, che «la persona non può esistere indipendentemente dalla sua corporeità»30: che, in altre parole, la possibilità di una pura vita interiore senza riferimento alla natura

materiale del corpo vivo è ammissibile soltanto per quelli che Husserl chiama non a caso “spettri”31

ma non per il soggetto psichico reale di cui si occupa la psicologia intenzionale. Considerato, inoltre, che quest’ultima rappresenta la base per ogni comprensione non meramente formale della soggettività trascendentale, è evidente che, rispetto alla prospettiva statica, quest’ultima dovrà essere ripensata in maniera tale da tener conto di quell’unità indiscernibile di Leib e Seele che è cifra distintiva dell’animalità (umana e animale).

Prima ancora di questo contributo per la riflessione fenomenologica sulla dimensione del trascendentale – contributo di cui si darà conto più analiticamente nel terzo e ultimo capitolo – sarà opportuno analizzare quali aspetti della soggettività egoica concreta (umana e animale) sia possibile cogliere per mezzo di un’analisi della nozione di animalità [Animal]. Di quest’ultima, come d’altronde dell’altro soggetto animale, in realtà, come nota Depraz, Husserl «ne parla raramente e in maniera scandalosamente generale»32. È, allora, la stessa definizione che Husserl fornisce dell’Animal a suggerire la prospettiva sulla base della quale è possibile chiarire che cosa possa

28 Scrive Husserl in Idee II: «questa necessità [di un corpo vivo unito alla vita interiore] [N.d.A.] è soltanto di ordine

empirico. In sé sarebbe pensabile il caso […] di un essere psichico reale, per quanto privo di corpo vivo materiale» (Husserl, Idee…, II, op. cit., p. 99).

29 Ibid.

30 Pugliese, Il movente dell’esperienza, op. cit., p. 84.

31 Husserl, Idee…, II, op. cit., p. 98. Più precisamente riguardo allo spettro Husserl scrive in maniera significativa: «il

corpo vivo non può venir meno. Persino lo spettro ha necessariamente un corpo vivo spettrale. Certamente, quest’ultimo non è una cosa reale e materiale, la materialità che si manifesta è un inganno, ma proprio per questo è un inganno anche la sua vita interiore e lo spettro nel suo insieme» (Ibid.). Qui, oltre a una più precisa determinazione della natura dello spettro, notiamo anche una non perfetta sovrapponibilità tra il corpo vivo materiale del soggetto psichico concreto e il corpo vivo tout court. Lo spettro ha, infatti, un corpo vivo che, però, ha proprio la caratteristica di essere privo di qualsiasi proprietà materiale – in questo senso è un puro “fantasma spaziale” (Ivi, p. 99). Questo ci permette di evidenziare che non il Leib in sé, ma che è questo nella immanente e mobile relazione con quel corpo somatico [Körper] che Husserl stesso definisce come “cosa fisica, materia” (Ivi, p. 146) a dar luogo alla soggettività concreta: di evidenziare, cioè, che, almeno per quanto riguarda il soggetto psichico concreto, «[i]l corpo-vivo (Leib) porta in sé un nesso inscindibile con il corpo- cosa (Körper). […] Il senso e la funzione della corporeità non si comprendono senza considerare insieme la dialettica inesausta che essa intrattiene con la dimensione oggettivo-materiale. […] La coppia Leib e Körper non si esaurisce in una mera giustapposizione, ma si fonda su un inesauribile rimando reciproco» (Pugliese, Il movente dell’esperienza, op. cit., p. 85. All’opera di Pugliese si rimanda per un’analisi approfondita della dialettica Leib- Körper nella complessità dei vissuti soggettivi).

90 implicare una costituzione animale del soggetto psichico umano e animale. Nello specifico, tale definizione viene formulata dall’autore nella maniera seguente:

Nell’osservazione interiore, che non è quella fisica del ricercatore naturale né delle sue tendenze e interessi teoretico- induttivi, bensì l’osservazione dell’immedesimarsi nella soggettività psichica [psychische] […], là si ha il soggetto animale [das animalische

Subjekt] come [soggetto] [N.d.A.] del suo mondo circostante pre-dato e come soggetto

delle sue pulsioni, delle sue abitudini pulsionali, delle sue direzioni-a acquisite e delle loro correlative acquisizioni, nelle quali si trovano gli oggetti identici.33

L’animalità che costituisce il soggetto psichico reale, pertanto, è esplicitamente collegata da Husserl alla sfera pulsionale del soggetto. Questo accade perché, da un lato, come rileva Bernet nel suo studio