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1.4. Sul valore delle differenze

1.4.1. Verso un’identità ospitale

In base all’analisi fenomenologica sull’esperienza soggettiva dell’alterità animale, si può quindi affermare che soggetti umani e animali hanno due modi essenzialmente diversi di entrare in relazione con il mondo. Mentre l’uomo vive costituendo mondi culturali in costante evoluzione nel succedersi delle generazioni, l’animale vive nella ripetizione di relazioni di significato con il mondo esterno che sono tipiche della sua specie, di cui, tuttavia, non ha consapevolezza. Dietro queste differenze insistono, come abbiamo visto, differenti strutture eidetiche: da un lato l’essenza personale e spirituale dell’uomo; dall’altro lato la struttura psichica di un animale che non riflette289, non ha giudizi290, non

ha parola291, non ha il senso proprio della temporalità292. Si comprende, allora, perché, come non tace Heinämaa, tutto il discorso di Husserl sugli animali – ma, più in generale, tutto il discorso sui soggetti anomali – sia solitamente rigettato dalla critica come un approccio datato e fuorviato da pregiudizi e, in generale, dotato di una scarsa rilevanza filosofica293. Nonostante sia interessante notare come alcune ricerche in campo neurobiologico sembrino confermare la presenza negli animali di una forma solamente basilare di coscienza – la cosiddetta “coscienza nucleare”, priva di coscienza autobiografica e di un autentico legame con la temporalità294 – gran parte della ricerca etologica contemporanea, come illustra Lohmar, attribuisce all’animale una lunga lista di facoltà che la fenomenologia husserliana, riprendendo i topoi della tradizione antropocentrica295, riserva, invece,

288 Heinämaa, «The animal and the infant», op. cit., p. 141. 289 Ms K III 7 Bl 5a.

290 Ibid. 291 Ivi, Bl. 4b.

292 Ms K III 4 Bl. 48a; Ms A V 24, Bl 9a, 11a.

293 Heinämaa, «The animal and the infant», op. cit., p. 137. La letteratura secondaria critica, come precisa in una nota

Heinämaa, è largamente influenzata dai rilievi di Derrida che rigetta il concetto husserliano di anomalia, vedendo in esso un’infelice commistione di motivi empirici e trascendentali (J. Derrida, Edmund Husserl’s Origin of geometry: an

introduction, University of Nebraska Press, Lincoln and London 1989, pp. 76-79). Per contributi più recenti è possibile

far riferimento anche a L. Lawlor, Derrida and Husserl: the basic problems of phenomenology, Indiana University Press, Bloomigton 2002; A. J. Steinbock, Home and beyond. Generative phenomenology after Husserl, Northwestern University Press, Evanston 1995.

294 Le ricerche a cui si fa riferimento sono quelle svolte da Antonio Damasio sulla psiche dell’animale. Cfr. A. Damasio, Emozione e coscienza, trad. it. di S. Frediani, Adelphi, Milano 2007).

67 all’essere umano296: dalla capacità di operare consapevolmente e in vista di idee di fini297 alla capacità

di riferirsi a oggetti passati e futuri per mezzo di una forma peculiare di comunicazione linguistica, sebbene di natura non verbale298. Ciò suggerisce, come mette in luce Toadvine, che la tendenza all’eccezionalismo umano, rilevabile anche nell’eidetica husserliana, sia priva di fondatezza scientifica299: che, in altre parole, la ricerca scientifica non offra alcun margine per riservare caratteristiche eccezionali all’essere umano.

Gli avanzamenti delle scienze empiriche sembrano, al contrario, supportare gli assunti teorici di quanti si muovono nella prospettiva del cosiddetto “antispecismo”. Si tratta, nello specifico, di posizioni che contestano, come illustra Horta, il privilegio tradizionalmente riservato alla vita umana sulla base di una presunta esclusività della sua razionalità autocosciente300. Come scrive, infatti, Singer nel suo testo che è considerato il manifesto del movimento animalista:

quando parliamo di “diritto alla vita” e stabiliamo che, a parità di condizioni, un essere umano è da preferire a un non umano, in quanto razionale o autocosciente ecc., in realtà fingiamo di non vedere che uno scimpanzé, un cane o un maiale, per esempio, possiederanno un grado di auto-consapevolezza e una capacità di avere con gli altri relazioni significative maggiori rispetto a un bambino fortemente ritardato o a una persona in stato avanzato di senilità.301

Qui, dunque, il superamento degli assunti antropocentrici del pensiero umanista tradizionale si sostanzia nel riconoscimento delle caratteristiche dell’esistenza personale anche al di là dei confini

296 Lohmar, «How do primates think?», op. cit., pp. 63 ss.

297 «In chimpanzees, there is even a sense of justice, as was demonstrated by a recent experiment by Fransde Waaland

Sarah Brosnan. […] There can even be observed what may be referred to as “just fury” in primates, when members of the group do not submit to the practical rules. For example, when it was discovered that the duty to communicate found food was not upheld, the swindlers were beaten up» (Ivi, p. 66). L’esperimento cui Lohmar fa riferimento nel passo riportato prevede che a un gruppo di primati sia distribuito, da parte di un distributore automatico, del cibo in modo tale da andare a preferire sempre lo stesso ristretto gruppo di componenti. Si osserva, allora, che, con il passare del tempo i primati smettano di avvicinarsi al distributore, come se percepissero l’ingiustizia dei suoi criteri di distribuzione. Per un’illustrazione e spiegazione più dettagliate si veda F. de Waal, S. Brosnan, «Monkeys reject unequal pay», Nature, nr. 425 (2003), pp. 297–299. Un altro interessante caso studio può essere reperito in: Hauser M. D., «Costs of Deception: Cheaters are Punished in Rhesus Monkeys (Macaca mulatta)», Proceedings of the National Academy of Sciences, Vol. 89 (1992), pp. 12137–12139.

298 «while the training of primates to use spoken phonetic language is extremely time-consuming and often does not lead

to satisfactory results, in contrast, attempts to train chimpanzees in American Sign Language (ASL), as well as in the use of symbols in a tableau (e.g., Kanzi), has led to quite impressive results. With both methods, we arrive at the result that primates are able to build sentences of up to two to three words. Interestingly, this corresponds (approximately) to the language abilities of two-year old children» (Ivi, p. 64). Si veda anche: S. Savage-Rumbaugh, R. Lewin, Kanzi. The Ape

at the Brink of the Human Mind, Wiley, New York 1994. Per la rilevanza fenomenologica di questi riscontri scientifici si

veda E. Ruonakoski, «Phenomenology and the Study of Animal Behavior», in Painter, Lotz, Phenomenology and the

non-human animal, op. cit., pp. 75- 84.

299 Toadvine, «How not to be a jellyfish», op. cit., p. 40. È interessante la seguente citazione di Mary Midgley riportata

dall’autore: «We are not the only unique species. Elephants, as much as ourselves, are in many ways unique; so are albatrosses, so are giant pandas» (M. Midgley, The Myths We Live By, Routledge, Londra 2003, p. 152).

300 Horta, Una morale per tutti gli animali, op. cit., p. 16, n. 2. 301 Singer, Liberazione animale, op. cit., p. 19.

68 dell’umanità302 o, per meglio dire, in discontinuità con questa. Come, infatti, riscontra Alici, in questo

dibattito contemporaneo si espone l’idea di persona a una duplice metamorfosi: se, da un lato, essa viene estesa a individui non-umani – almeno i mammiferi superiori, in quanto dotati di autocoscienza – dall’altro lato, essa finisce per essere usata solo per indicare una serie di attributi funzionali che assicurano la capacità di fare esperienze e oltre i quali si profila una nebulosa residualità sub- personale in cui si rinvengono una serie di categorie di esseri umani – feti, bambini cerebrolesi, handicappati gravi e malati terminali – che vengono così confinate in una sorta di terra di nessuno303. In questo senso la riconsiderazione animalista del rapporto uomo-animale in prospettiva egualitaria304, come nota Iovino, mentre cerca di superare le ragioni che nella tradizione filosofica hanno portato la vita dell’animale a una condizione di marginalità teoretica e morale, finisce per marginalizzare l’umanità stessa305, in quanto priva dello statuto della personalità tutti quei soggetti

umani che presentano gravi deficit di funzionalità.

Se, da una parte, allora, questa formulazione funzionalista dell’egualitarismo apre a suggestioni inquietanti sotto il profilo etico306, d’altra parte essa non si libera del tutto dell’impianto teorico

umanistico che si prefigge di sovvertire. Come, infatti, sostiene in ottica critica Felice Cimatti,

[a]nche l’animalista, con tutto il suo zelo, continua a vedere l’animale dal punto di vista dell’uomo. […] Il problema è […] quanto la sua vita sia vicina alla nostra vita. […] E

302 S. Iovino, Filosofie dell’ambiente, op. cit., p. 50.

303 L. Alici, Il fragile e il prezioso. Bioetica in punta di piedi, Morcelliana, Brescia 2016, pp. 23-24.

304 Più precisamente Singer àncora la prospettiva animalista alla struttura teorica di un utilitarismo egualitario (Iovino, Filosofie dell’ambiente, op. cit., p. 52.). All’interno dell’animalismo, tuttavia, troviamo anche autori, tra i quali spicca

Tom Regan, che rifiutano o, addirittura, criticano l’impianto utilitarista (T. Regan, The case for animal rights, University of California Press, Berkeley- Los Angeles 1983) senza, però, negare la cornice meta-teorica dell’egualitarismo (T. Regan, «The radical egalitarian case for animal rights», in L. P. Pojman (eds.), Environmental Ethics. Readings in theory

and application, Wadsworth Publishing Company, Belmont 1998, pp. 46-52; L. Caffo, «Verrà il tempo per i rinnegati»,

in Horta, Una morale per tutti gli animali, op. cit., pp. 3- 12).

305 Iovino, Filosofie dell’ambiente, op. cit., p. 80.

306 Le ragioni per questa inquietudine sotto il profilo etico sono da connettere alla seguente presa di posizione di Singer:

«“essere umano” è un concetto che si trova a cavallo tra due differenti nozioni: essere un membro della specie Homo

Sapiens ed essere una persona. Dissezionato in questo modo, la debolezza del modello conservatore [del modello contrario

all’aborto] [N.d.A.] diviene evidente. Se “essere umano” è preso come equivalente di “persona” la seconda premessa dell’argomento [conservatore] [N.d.A.], in cui si sostiene che il feto è un essere umano, è chiaramente falsa, dal momento che non è possibile argomentare in maniera plausibile che il feto sia un essere razionale o autocosciente. Se, d’altra parte, “essere umano” non indica niente più che l’essere membro della specie Homo Sapiens, allora la difesa conservatrice della vita del feto è fondata su una caratteristica [l’appartenenza a una specie] che è priva di rilevanza morale. […] Riconoscere questo punto semplice trasfigura la questione dell’aborto. […] In un’equa comparazione di caratteristiche moralmente rilevanti, quali la razionalità, l’autocoscienza, la consapevolezza, l’autonomia, la capacità di provare piacere e dolore, etc. il vilello, il maiale e le tanto sbeffeggiate galline risultano occupare posizioni molto più elevate di un feto a qualsiasi stadio della gravidanza […]. Fino a che un feto non sviluppa una capacità di esperienza cosciente, un aborto provoca l’interruzione di una vita che – considerata nel suo essere e non nel suo poter essere – è più simile alla vita di una pianta che a quella di un animale senziente come un cane o una mucca» (P. Singer, Practical ethics, Cambridge University Press, New York 2011, p. 135 [traduzione mia]).

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quindi se un animale avrà un sistema nervoso simile al nostro allora gli verranno accordati dei diritti, altrimenti no. Per essere riconosciuti occorre essere come noi [corsivo mio].307

L’unilateralità dei bordi che, secondo Derrida, genera la frattura abissale tra uomo e animale308,

pertanto, non viene negata, ma più semplicemente spostata. La posta filosofica in gioco nell’animalismo non è, in altre parole, quella che Mallet definisce la “porosità delle frontiere del proprio”309 – una messa in discussione dei dispositivi concettuali con cui l’essere umano parla di se

stesso. Nella prospettiva animalista, l’essere umano come persona è ancora l’essere razionale, consapevole e indipendente di cui parla la tradizione umanista310, ma non è più il solo a essere considerato tale: «anche gli animali presentano – come scrive Horta – la stessa struttura fisica che consente agli uomini di decodificare le informazioni sensoriali per convertirle in esperienze»311 – essi hanno mente, ragionamento, linguaggio esattamente come noi. La prospettiva animalista, in altre parole, opera «come se – scrive Mazzeo – le nostre modalità di senso e d’azione costituissero il punto di riferimento per la vita di qualunque organismo»312. Per questo motivo John Rodman sostiene che l’operazione concettuale che si compie nell’animalismo possa essere vista, più che altro, come una forma di umanizzazione della natura313, nella misura in cui il riconoscimento della dignità filosofica dell’animale passa esclusivamente attraverso la possibilità di assegnare a quest’ultimo gli attributi alla base della considerazione morale della persona. Nonostante, dunque, nell’approccio animalista si dica a più riprese di voler suggerire «un’uguaglianza che non appiattisca le differenze»314, risulta difficile capire come un diverso modo di vivere, di percepire e di pensare possa trovare considerazione in un approccio teorico che, come ci ricorda Cimatti, si preoccupa quasi esclusivamente di stabilire se gli animali soffrono utilizzando la maggiore o minore vicinanza al nostro sistema neurologico e alle nostre funzioni d’esperienza315. Un approccio che, da questo punto di vista, giustamente Iovino

rimprovera di essere incapace di realizzare un’autentica emancipazione dall’antropocentrismo316,

poiché abbraccia quello stesso pregiudizio antropocentrico, già denunciato da von Uexküll317: ovvero, l’idea che le varie specie animali – le meduse, i gatti, i lombrichi, i ricci di mare – possano avere esperienze solo nella misura in cui vivono in uno spazio senso- motorio identico al nostro ed abbiano

307 F. Cimatti, Filosofia dell’animalità, Laterza, Roma- Bari 2013, p. 6. 308 Derrida, L’animale che dunque sono, op. cit., p. 70.

309 M. Mallet, «Prefazione», in Derrida, L’animale che dunque sono, op. cit., pp. 29- 33, p. 31. 310 Singer, Practical ethics, op. cit., p. 135.

311 Horta, Una morale per tutti gli animali, op. cit., p. 25. 312 Mazzeo, «Il biologo degli ambienti», op. cit., p. 9.

313 J. Rodman, «The liberation of nature? », Inquiry, vol. 3 (1978), pp. 83-145.

314 Caffo, Margini dell'umanità, op. cit., p. 55. Su questo punto prende posizione esplicita anche Singer. Si veda: Singer, Liberazione animale, op. cit., pp. 24, 255-256.

315 Cimatti, Filosofia dell’animalità, op. cit., p. 6. 316 Iovino, Filosofie dell’ambiente, op. cit., p. 55.

70 sistemi funzionali identici a quelli umani – un’idea che, come fa notare ironicamente Cimatti, nella prospettiva del pesce equivarrebbe a chiedersi se l’uomo possa fare esperienza nonostante sia privo di branchie318.

Di fronte a queste persistenti difficoltà, si è d’accordo con Alici nel sostenere che gli schemi di pensiero dell’antropocentrismo umanistico, anche laddove siano intesi in senso non dominativo, non rappresentano un’alternativa veramente percorribile alle posizioni antropocentriche319. Si pensi, ad

esempio, alle prospettive che sostengono la difesa della biodiversità sulla base dei servizi vitali svolti per noi dagli animali o delle informazioni genetiche che essi forniscono alla nostra ricerca scientifica320; oppure agli approcci che sostengono la difesa del paesaggio come «mondo umano»321, come «prodotto di un agire antropico volto a mutare la natura verso l’utile e il bello»322 e che, pertanto, «appartiene solo all’uomo, suo unico e vero artefice»323. Si tratta, in ogni caso, di approcci che, nota

Alici, continuano a essere centrati sul primato del potere soggettivo dell’essere umano324: che, detto

altrimenti, escludono gli animali dal mondo in cui vivono gli esseri umani o che, al limite, li ammettono nella misura in cui sono a esso funzionali. Ciò accade perché, come sottolinea Cimatti, questi approcci, anziché considerare la vita concreta dell’animale, rinviano a una (presunta) contrapposizione tra due categorie: da una parte l’essere umano e dall’altra l’animale – quest’ultima di volta in volta, esemplificata da un animale particolare, un gatto, un lombrico e così via – e, conseguentemente, da una parte il mondo umano, con i suoi valori estetico- culturali e dall’altra il mondo animale325. L’innegabile differenza tra gli uomini e gli animali si traduce, ancora una volta, in una divergenza oppositiva e in un confine che pone un abisso tra la vita umana e la vita animale.

318 Cimatti, Filosofia dell’animalità, op. cit., p. X. 319 Alici, Il fragile e il prezioso, op. cit., p. 24.

320 É possibile, in modo particolare, fare riferimento a: D. Meadows, «Biodiversity: The Key to Saving Life on Earth», in

Pojman, Environmental Ethics, op. cit., pp. 204-206; O. Wilson, Biophilia, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1986; M. P. Nelson, An amalgamation of wilderness preservation arguments, in J.B. Callicott, M. P. Nelson (eds.), The

great new wilderness debate, The University of Georgia Press, Atene- Londra 1998, pp. 156-160. 321 M. Venturi- Ferriolo, Etiche del paesaggio, Editori Riuniti, Roma 2002, p. 23.

322 Ivi, p. 10. 323 Ivi, p. 16.

324 Alici, Il fragile e il prezioso, op. cit., p. 24.

325 Cimatti, Filosofia dell’animalità, op. cit., p. 4. In questo scenario si distingue la posizione di Holmes Rolston III il

quale esclude che l’esperienza estetica dell’ambiente possa essere limitata in maniera legittima al mondo umano. L’autore nord-americano nella sua opera maggiore scrive: «L’esperienza della bellezza appare essere ben sviluppata tra gli esseri umani. Si potrebbe quasi pensare che l’esperienza estetica sia del tutto assente tra gli animali non umani. Questo, però, è un giudizio troppo affrettato. L’esperienza estetica, infatti, si realizza in forme diverse. La stimolazione attraverso la bellezza scenica e il sublime ne rappresentano forme elevate; altre forme (“inferiori”?) accompagnano la soddisfazione fisica, come mangiare un pasto appetitoso o godere dei caldi raggi solari, esperienze che possono essere condivise anche da alcuni animali. […] Quando il maschio dell’uccello giardiniere decora un pergolato con conchiglie e piume, alla femmina “piace […]. La femmina di pavone deve avere un qualche piacere dalla coda colorata del pavone che fa la ruota; altrimenti la coda è un ostacolo che la selezione naturale non avrebbe preservato. A meno che non si assuma che gli uccelli e le fiere non abbiano affatto esperienza, è difficile negare che essi siano precursori dell’esperienza estetica» (H. Rolston III, Environmental Ethics. Duties and values in the natural world, Temple University Press, Philadelphia 1988, p. 234 [traduzione mia]).

71 Letto in questi termini, il dibattito contemporaneo sugli animali mostra, allora, un evidente corto circuito. A un persistente antropocentrismo che, dismessi i panni del primato dominativo sugli animali, sclerotizza le differenze tra esseri umani e animali trasformandole in contrapposizioni si oppone un modello animalista326 che in entrambe le sue principali varianti – quella utilitarista di Singer e quella della teoria dei diritti di Regan – nel tentativo di eliminare ogni opposizione finisce per cancellare anche le differenze. La difficoltà risiede, pertanto, come afferma Cimatti, nel pensare fino in fondo una diversità radicale senza incappare nel rischio di trasformare queste differenze in opposizioni327.

Se consideriamo l’analisi eidetica ricostruita nei paragrafi precedenti, ci sembra che non si possa che concordare con Lotz nell’ammettere che Husserl non elabora una prospettiva in grado di offrire un contributo originale alle difficoltà del dibattito sugli animali328. Il padre della fenomenologia, infatti, definisce esplicitamente gli animali come “persone subumane” [untermenschliche Personen]329 le quali, «soltanto grazie agli uomini […] hanno un loro senso d’essere»330. Quella

eidetica è, pertanto, una prospettiva che non solo non si sgancia dai topoi della tradizione umanistica ma che pare proprio confermare il timore avanzato da Toulemont: che si tratti di una concezione della vita animale fenomenologicamente colta come una sorta di umanità a ribasso e che, pertanto, si esponga al rischio di una subordinazione della vita animale in chiave antropocentrica331. Prima di avvalorare questa posizione, tuttavia, vanno considerati la natura e le finalità del tutto peculiari che queste descrizioni eidetiche assumono nell’orizzonte complessivo della fenomenologia husserliana.

Uno dei fini delle analisi statiche delle strutture del mondo circostante e, correlativamente, della vita interiore degli animali, è, come ricorda Di Martino, quello di offrire una fondazione ultima a quelle scienze eidetico-materiali quali la zoologia e, soprattutto, l’antropologia332 le cui formazioni

326 Si tratta, in realtà, di una difficoltà che non investe soltanto le prospettive animaliste, ma anche le posizioni di quanti

si oppongono all’animalismo stesso criticandone il tentativo di assimilazione dell’animale alla soggettività umana e proponendo, al suo posto, una de-soggettivizzazione dell’umanità stessa: un’umanità post- soggettiva (Cimatti, Filosofia

dell’animalità, op. cit., p. 146). Sebben venga ribaltato, l’obiettivo ultimo resta, infatti, sempre lo stesso: «di annullare i

confini, di confondere l’umano con l’animale […] perché la differenza tra uomo e animale non ha alcun senso» (Cimatti,

Filosofia dell’animalità, op. cit., p. 138). 327 Cimatti, Filosofia dell’animalità, op. cit., p. 4.

328 C. Lotz, «Psyche or Person? Husserl's Phenomenology of Animals», in D. Lohmar, D. Fonfara (eds.), Interdisziplinäre perspektiven der phänomenologie, Springer, Dordrecht 2006, pp. 190-202, p. 190.

329 L’espressione ricorre più volte negli scritti husserliani. In particolare, è possibile trovarla in: Husserl, Husserliana,

vol. III/1, op. cit., p. 73; Idem, Husserliana, vol. XIV, op. cit., p. 128; Idem, Husserliana, vol. XV, op. cit., p. 611; Idem,

Husserliana, vol. XXXIX, op. cit., p. 485.

330 Idem, La crisi delle scienze europee, op. cit., p. 248. In linea con queste affermazioni anche altrove si legge: «Alle