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2.2. Dipendenza del soggetto psichico

2.2.2. Fame primordiale e primordiale apertura al mondo

Considerata dal punto di vista formale, la pulsione di fame presenta una struttura intenzionale analoga a quella che anima le pulsioni particolari ricomprese al suo interno. Ciò significa che anche l’intenzionalità pulsionale connessa alla “fame universale” si configura come un’aspirazione [Strebung] che spinge verso una meta in cui trova appagamento [Befriedigung]. In particolare, il processo di riempimento in cui si appaga l’istinto di nutrizione viene descritto da Husserl nella seguente maniera:

Ciò che riempie è l’“oggetto” a cui essa [la fame] [N.d.A.] è diretta, e questo a-cui si rivela esso stesso nel riempimento. Ma “oggetto” fenomenologicamente significa qui un mero qualcosa di riempiente. La pulsione (intesa come “fame”) si distende in un’azione [Tun] che riempie avvicinandosi [nähernden] […] e questo è il piacere, lo stesso riempimento della pulsione, e non un dato di accompagnamento, un sentimento di piacere. Questo qualcosa è, da parte sua, un’unità costituita, qualcosa che può essere, tuttavia, predeterminato anche diversamente.146

Due sono, dunque, le caratteristiche del processo in cui la pulsione di fame trova appagamento. Il primo aspetto riguarda il contenuto in grado di appagare l’aspirazione primordiale dell’istinto di nutrizione. Abbiamo già visto nel precedente paragrafo che, a differenza dell’istinto di alimentazione,

143 Aristotele, Metafisica, tr. it. G. Reale, Rusconi Libri, Milano 1994, Δ 12 1019a 15, Θ 1 1046a 11. 144 Depraz, «Y a-t-il une animalité transcendentale ?», op. cit., p. 97.

145 Deodati, La dynamis dell’intenzionalità, op. cit., p. 169. 146 Husserl, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 94 [traduzione mia].

113 la “fame universale” non si soddisfa (o, almeno, non solo) in relazione al cibo. Qui emerge che ciò accade in virtù della natura del tutto peculiare a cui mira la pulsione di fame. Emerge, infatti, che, mentre le pulsioni particolari (come, appunto, la pulsione alimentare) si appagano solo in riferimento a determinati contenuti di esperienza e si distinguono una dall’altra proprio in relazione a questi diversi contenuti appaganti, l’istinto di nutrizione, al contrario, non tende verso un contenuto particolare, ma verso quella che Husserl stesso chiama poco oltre “sazietà” [Sattheit]147, ovvero, verso

il riempimento in quanto tale dell’aspirazione dell’intenzionalità pulsionale. Ciò, ovviamente, non significa che il processo di appagamento dell’istinto di nutrizione si realizzi indipendentemente da ogni riferimento a un contenuto appagante. Si tratta, piuttosto, di riconoscere che il contenuto in cui si soddisfa l’istinto di nutrizione non ha una natura prefissata e può essere variamente determinato: di ribadire, in altre parole, il valore universale e non specifico della fame che muove l’istinto vitale. A tal proposito, infatti, Husserl altrove precisa che c’è «una trasformazione della “sazietà” nella “fame” per ogni pulsione particolare»148: che, in altre parole, è proprio in riferimento al diverso

contenuto in cui si può saziare la “fame universale” che l’istinto universale si determina nelle diverse pulsioni particolari. La mancanza di univocità del contenuto appagante costituisce, pertanto, un aspetto essenziale dell’istinto di nutrizione, nella misura in cui rappresenta la condizione grazie alla quale è possibile riconoscere a quest’ultimo un valore universale e geneticamente fondante: nella misura in cui, cioè, è ciò che consente alla “fame universale” di ricomprendere dentro di sé la molteplicità delle fami particolari in cui si articola l’insieme delle pulsioni.

In seconda battuta, emerge, però, che, a fronte di questa essenziale indeterminatezza del contenuto appagante la pulsione di fame, il processo che permette di arrivare alla sazietà di questa stessa fame presenta alcune caratteristiche ben determinate. Come, infatti, Husserl ribadisce alcuni anni dopo, il processo di appagamento dell’istinto di nutrizione «ha la forma di un’azione che si dirige in ogni fase all’avvenimento finale e che, terminando, ha il carattere dell’essere-presso che gode [des genießenden Dabeiseins]»149. Da questo punto di vista, ha senz’altro ragione Bernet nel sottolineare che, benché l’intenzionalità pulsionale non sia priva di influenze sulle prese di posizione teoretiche e assiologiche, essa si manifesta più originariamente in seno alla prassi150. Essa, come nota più precisamente Montavont, si trova implicata nel mondo e non si accontenta di starlo a guardare151. L’istinto più originario, l’istinto primordiale di nutrizione, infatti, per distendersi richiede una coordinazione dell’intenzionalità pulsionale con l’azione o, per meglio dire, con una classe particolare

147 Ibid.

148 Ivi, p. 222 [traduzione mia].

149 Ivi, p. 124. In maniera analoga, nel precedente manoscritto del 1930 si legge: «Das gehört zum Erfüllungsprozess,

dass ich, der ich hungrig bin […] schon bei der Nahrung bin; das leitet die eigentliche Sättigung ein» (Ivi, p. 94).

150 Bernet, Force – Pulsion – Desir, op. cit., p. 316.

114 di azioni che, nei passaggi testuali riportati, Husserl definisce genericamente come azioni dell’essere- presso. Una determinazione più precisa della classe di azioni in questione possiamo ottenerla facendo riferimento al modo in cui si sazia l’istinto di nutrizione nella serie di pulsioni particolari (originarie e acquisite) che scandiscono la routine mattutina di un essere umano adulto. A tal proposito Husserl osserva: «innanzitutto “ora io devo mangiare”, poi viene la lettura del giornale, poi l’andare in ufficio, etc.»152. Per quanto, dunque, anche a riprova di quanto rilevato sopra, l’istinto di nutrizione si sazi in un’eterogeneità di contenuti appaganti riferiti alle diverse pulsioni particolari in cui trova espressione, d’altra parte emerge altrettanto chiaramente la presenza di una costante nei diversi processi di riempimento in cui si articola il più generale processo di soddisfazione della pulsione di fame. Quest’ultimo, infatti, come nota più precisamente Lee, «richiede sempre una relazione con il mondo»153: richiede sempre, come emerge dall’esempio, un’azione che abbia un referente mondano, per quanto, poi, quest’ultimo possa variare a seconda delle diverse pulsioni particolari in cui si articola l’universale istinto di nutrizione. La pulsione di fame, da questo punto di vista, va ricondotta a «un’intenzionalità istintiva […] il cui riempimento – come scrive Husserl stesso – è diretto al mondo»154: il cui riempimento, in altre parole, richiede una coordinazione con quella classe di azioni

per mezzo delle quali il soggetto acquisisce un riferimento a stati o cose del mondo verso cui dirige la propria aspirazione.

Dal punto di vista del processo di appagamento, dunque, come rileva Montavont, l’istinto di nutrizione si presenta alla stregua dell’“istinto di mondanità” [Instinkt der Weltlichkeit]155. L’istinto

di nutrizione si configura, per riprendere le parole dello stesso Husserl, come «un istinto rivolto al mondo»156: come un istinto che si appaga solo nell’approssimazione alle cose, nel senso letterale di

152 Rispetto all’esempio in questione, più precisamente, Husserl scrive: «Das Ich ist jetzt das hungernde – oder auch jetzt

noch satt. […] Ich habe auch (als reifes Ich, als das ich reflektiere) andere Interessen, Interessen, die ihre Normalität der Bedürfnis- und Sattheitsordnung haben. Je nachdem ist eines das jetzt Dringende, jetzt vor allem Erfüllung Fordernde. Allem voran: „Jetzt muss ich essen“, und dann kommt die Morgenzeitung an die Reihe, dann das Büro etc.» (Husserl,

Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 135 [traduzione mia]).

153 Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 168.

154 Husserl, Husserliana: Materialen, vol. VIII, op. cit., p. 169 [traduzione mia]. Analogamente altrove si legge: «Waltend

leben, weltlich affiziert leben, Triebe haben als weltgerichtete Instinkte, „in der Welt“ zu befriedigende Bedürfnisse, Zwecke, dauernde Werte etc.» (Idem, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 221).

155 Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, op. cit., p. 255. Il concetto di istinto di mondanità lo

troviamo meglio qualificato in un manoscritto risalente ancora una volta agli anni Trenta, in cui si legge: «Die individuelle Genesis findet die Wege, die Instinkte der Weltlichkeit zu erfüllen und dafür müssen Bedingungen schon erfüllt sein und sind erfüllt» (Ms A VI 34, Bl. 34. Per questo passaggio testuale si rimanda anche a : Husserl, Husserliana, vol. XLIII/3, op. cit., p. 174 [in corso di stampa]).

156 Nel Ms E III 3 Husserl si riferisce agli istinti di mondanità in forma plurale come a dei «weltlich gerichteten Instinkte»

(Husserl, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 221) [traduzione mia]. Evidentemente qui è implicata un’accezione diversa del concetto di mondo rispetto a quella cui Husserl fa usualmente riferimento e che indica nel mondo l’esito ultimo del processo di costituzione intersoggettiva. Piuttosto, esso rappresenta, come scrive Lee, «der genetische Ursprung der Urhyle im Urstrom der lebendigen Gegenwart als der Urform der konstituierten Welt» (Lee, Edmund Husserls

Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 125): esso rappresenta, in altre parole, l’antecedente genetico di ogni formazione

115 un continuo avvicinamento [Annäherung] a esse. Le modalità in cui può avvenire quest’approssimazione sono tante quante sono le pulsioni particolari in cui si esprime l’istinto di nutrizione. Nella pulsione di curiosità, ad esempio, come mette in luce Deodati, l’approssimazione avviene nei termini di un credere dossico che ha raggiunto un riempimento effettivo dell’orizzonte intenzionale vuoto. Nelle pulsioni di autoconservazione, invece, questa stessa approssimazione si connota come un agire che manifesta confidenza e padronanza con gli oggetti posti all’interno del campo di azione e così via157. In ogni caso, comunque, ciò a cui l’intenzionalità pulsionale primordiale aspira è una prossimità [Dabeiseins] a un referente mondano che può essere, di volta in volta, diversamente configurato. Evidentemente, allora, come suggerisce Landgrebe, la direzione intenzionale della pulsione di fame designa la prima forma di apertura al mondo da parte del soggetto della coscienza158: designa, cioè, il riferimento geneticamente originario dell’io a ciò che gli è estraneo e, più in particolare, alla dimensione mondana. In questa prospettiva, lo scavo genetico che giunge fino all’istinto di nutrizione, non si limita a raggiungere le radici costitutive della soggettività, indicando nell’animalità lo strato geneticamente originario del soggetto egologico umano e animale. Per questa via, infatti, come non manca di far notare Deodati, Husserl riesce a risalire anche alle modalità più semplici e non ulteriormente fondate della correlazione io-mondo159, mostrando nella primordialità propria della pulsione di fame il tipo di relazione originaria che il soggetto cosciente intrattiene con il mondo.

L’istinto di nutrizione mostra, quindi, una caratteristica struttura relazionale, la quale, come precisa Pugliese, connette i bisogni dell’io agli stati di cose del mondo in maniera né puramente meccanica né puramente materiale160. Come ricordano, infatti, sia Giorello e Sinigallia161 sia Deodati162, la correlazione io-mondo cui mette capo la primordiale “fame universale” si inscrive all’interno di un’intenzionalità pulsionale che non travalica i confini della coscienza. Da questo punto di vista, allora, l’intenzionalità pulsionale che anima l’animalità sembra mantenere saldamente la costituzione dell’io originario all’interno della sfera dell’immanenza. A tal proposito, tuttavia, è interessante notare un passaggio di un manoscritto husserliano in cui l’autore rileva che ogni vissuto pulsionale si accompagna in quanto tale «con complessi di sensazioni [Empfindungskomplexen]

duplicità per il concetto husserliano di mondo, per approfondire il quale si rimanda a: Lee, Edmund Husserls

Phänomenologie der Instinkte, op. cit., pp. 203 ss.). 157 Deodati, La dynamis dell’intenzionalità, op. cit., p. 87.

158 L. Landgrebe, Faktizität und Individuation: Studien zu den Grundfragen der Phänomenologie, Meiner, Amburgo

1982, p. 83.

159 Deodati, La dynamis dell’intenzionalità, op. cit., p. 133. 160 Pugliese, Il movente dell’esperienza, op. cit., p. 82.

161 Giorello, Sinigallia, «L’istinto dell’intenzionalità», op. cit., p. 48. 162 Deodati, La dynamis dell’intenzionalità, op. cit., p. 37.

116 [corsivo mio] [N.d.A.] che appartengono alla stessa realizzazione del riempimento»163. Una precisazione su come debbano essere intesi questi complessi arriva dallo stesso autore laddove approfondisce la natura della sensazione di piacere (il sapore) che si accompagna al processo di soddisfazione di una delle pulsioni particolari in cui si manifesta l’istinto universale di nutrizione: la pulsione alimentare. A tal proposito Husserl scrive:

Qui un’associazione originaria [Urassoziation], che, in quanto originariamente istintiva, si svolge in maniera cinestetica, deve essere considerata duplice. Da una parte, per quanto riguarda il contatto [Berührung]. Tutte le sensazioni di contatto si trovano in aree particolari all’interno del campo universale delle sensazioni di contatto. Un “impulso dal di dentro”, una percezione che compara in maniera distaccata, risveglia una cinestesi assegnata in maniera originariamente associativa […]. Ora, noi per il sapore abbiamo posto in funzione le cinestesi, in parte le stesse cinestesi, come qualità hyletiche che si aggiungono alle sensazioni di contatto; e con ciò il risveglio dal lato del sapore in unità con il contatto è, fin dall’inizio, un [risveglio] [N.d.A.] complesso [eine komplexe].164

Husserl rileva, dunque, una natura ancipite della sensazione di sapore che si accompagna alla soddisfazione della pulsione di alimentazione. Il contenuto appagante particolare – il contenuto cinestetico – si unisce, infatti, originariamente alle qualità hyletiche di un altro genere di sensazioni: le sensazioni di contatto [Berührungsempfindungen]. Queste ultime, precisa sempre Husserl, «ineriscono a ogni luogo spaziale obiettivo che si manifesta della mano toccata, quando essa venga toccata appunto in quel punto»165. Si tratta, dunque, di sensazioni il cui contenuto hyletico rappresenta l’esperienza interiore del corpo vivo che viene toccato da (o esercita un tocco intenzionale verso) un’altra parte dello stesso corpo166 o un corpo estraneo: della sensazione di puntura o di dolore

quando, ad esempio, la mia mano viene pizzicata o schiacciata. Evidentemente, allora, le sensazioni di contatto si riferiscono all’azione di approssimazione agli oggetti o agli stati di cose del mondo in cui si distende l’istinto primordiale di nutrizione, qualificando al contempo la relazione con il mondo che corrisponde a questa stessa azione nei termini di una relazione di contatto [Berührung]. Ciò implica che, al livello primordiale dell’intenzionalità pulsionale connessa alla “fame universale”, «il soggetto si mostra immerso tra le cose del suo mondo circostante, a stretto contatto con esse», come

163 Idem, Husserliana: Materialen, vol. VIII, op. cit., p. 326 [traduzione mia]. 164 Husserl, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 105 [traduzione mia].

165 Idem, Idee…, vol. II, op. cit., p. 147.

166 È questa la situazione dell’esempio da cui siamo partiti della mano sinistra che viene toccata dalla mano destra. Husserl

nota come, in questo caso, il complesso di sensazioni tattili e di sensazioni di contatto riferite alla mano sinistra abbia un corrispettivo analogo della mano destra: come, cioè, esso venga sostanzialmente raddoppiato nella parte del corpo presa come “toccante” (Ivi, p. 148).

117 scrive Deodati167: che, detto altrimenti, il processo di appagamento della pulsione universale passa necessariamente attraverso un incontro con le cose del mondo che è diretto, tangibile, palpabile – per così dire, a pelle.

Nel secondo libro di Idee, Husserl offre alcune riflessioni interessanti per focalizzare più chiaramente come si strutturi una relazione di contatto. In particolare, rispetto all’esempio di una mano che afferra un fermacarte, egli rileva:

per percepire questa cosa tattile che è questo fermacarte, io lo palpo con le dita. Allora esperisco in modo tattile la superficie liscia del vetro, lo spigolo netto del vetro. Ma se considero la mano, il dito, mi accorgo che esso ha sensazioni di contatto, che continuano anche quando la mano viene allontanata; […] quelle stesse sensazioni che agiscono indicando o presentando la cosa fermacarte, fungono come effetti del contatto del fermacarte con la mano, come Empfindnisse prodotte in essa.168

Benchè il contesto di riferimento sia evidentemente diverso da quello dell’intenzionalità pulsionale, ciò che emerge è una connessione essenziale tra la relazione di contatto e le “Empfindnisse” come effetto di quest’ultima nella sfera della coscienza169. Husserl ricorre qui a un neologismo per

esprimere un fenomeno che fatica a essere catturato per mezzo del solo riferimento al linguaggio ordinario. Il termine risulta essere composto da due parole diverse: “Empfindung” (sensazione oggettuale) ed “Erlebnis”, ovvero esperienza vissuta. Si tratta, pertanto, di un concetto che non si limita a esprimere, come sostiene Bernet170, la sola localizzazione della sensazione che si genera in seguito all’esperienza del contatto. Esso, piuttosto, indica una natura ambivalente di questa stessa esperienza che, mentre comunica qualcosa dell’oggetto, è anche vissuta e sentita da quella parte del corpo del soggetto in cui si realizza il contatto: che ha, appunto, sensazioni di contatto. Da questo

167 M. Deodati, «Il mondo ci tocca da vicino: una riflessione sul concetto di affezione a partire da Husserl», in E. Baccarini,

M. Deodati (a cura di), Husserl domani, Aracne Editrice, Roma 2013, pp. 151-167, p. 157. Lotz, riconoscendo come anche il concetto husserliano di Affektion nasca nell’ambito di una concezione del fare esperienza fortemente improntata alla semantica del tocco [Berührung, berühen], mette in luce in maniera molto interessante il valore sia paradigmatico sia primordiale che viene riconosciuto da Husserl al campo tattile. In tal modo, commenta ancora Lotz, la fenomenologia husserliana riscopre e approfondisce ciò che già Aristotele aveva messo in evidenza, vale a dire la priorità della haphè: l’idea per cui «[d]elle sensazioni, quella che principalmente appartiene a tutti gli animali è il tatto» (Aristotele, Anima, trad. it. G. Movia, Rusconi, Milano 1996, B 2 413b 4-5). Per un ulteriore approfondimento sul tema: C. Lotz, «Husserls Genüss. Über der zusammenhang von Leib, Affektion, Fühlen und Werthaftigkeit», Husserl Studies, vol. 18, n. 1 (2002), pp. 19-39.Su questa rapporto privilegiato con il dominio tattile si veda anche Husserl, Idee…, II, op. cit., p. 150.

168 Husserl, Idee…, II, op. cit., p. 149 [traduzione con modifiche]. Seguiamo qui la lezione di Bernet, il quale suggerisce

di lasciare indicato anche in traduzione il termine “Empfindnisse” dal momento che sia la resa italiana con l’espressione “sensazioni localizzate” sia i suoi equivalenti “sensings” per l’inglese e “impressions sensibles” per il francese appaiono essere fuorvianti o troppo vaghi (cfr. Bernet, Force – Pulsion – Desir, op. cit., p. 301).

169 Nonostante Husserl non sviluppi mai una riflessione sistematica sulla relazione tra l’intenzionalità pulsionale e le

“Empfindnisse”, è evidente che queste non siano del tutto estranee alla sfera dell’intenzionalità pulsionale dell’Animal, nella misura in cui l’autore stesso scrive: «Affektion und Intention auf Empfindnisse des körperlichen Leibes als angenehme oder unangenehme gehören als Funktionen zur Selbsterhaltung, sie wirken sich instinktiv in der erfahrenen Welt aus und im menschlichen oder tierischen Tun in dieser Welt» (Husserl, Husserliana, vol. XLII, op. cit., p. 133).

118 punto di vista, allora, il ricorso al concetto di “Empfindnisse” suggerisce, come rileva Husserl qualche pagina dopo con maggiore precisione, che nella relazione di contatto «il corpo vivo […] ha in sé e su di sé i contenuti della sensazione»171. Nel caso specifico della relazione di contatto verso cui spinge la pulsione di fame, pertanto, il Leib è ciò che offre e vive su di sé il complesso di sensazioni in cui si appaga questa stessa pulsione.

L’Empfindnis restituisce, dunque, l’evidenza di un certo coinvolgimento dell’intenzionalità pulsionale con il corpo vivo del soggetto. È evidente, infatti, come si legge ancora nel secondo libro di Idee, che «anche due cose inanimate possono venire a contatto, ma solo il contatto col corpo vivo determina in esso e su di esso certe sensazioni»172. Le Empfindnisse, da questo punto di vista, non si presentano come proprietà del corpo proprio in quanto cosa fisica: esse – come rileva efficacemente Frauenfelder – non sono proprietà della mano intesa come porzione di mondo, piuttosto sono la mano stessa che avverte in se stessa in contatto con il mondo173. Di converso, ogni vissuto che assuma la

forma di una relazione di contatto in cui si realizzano delle Empfindnisse restituisce al soggetto l’evidenza del proprio corpo come corpo vivo. In esse, per riprendere le parole di Husserl stesso, «il corpo fisico non si arricchisce [di determinazioni] [N.d.A.], bensì diventa corpo vivo, ha sensazioni»174.

Accanto, dunque, alle sensazioni di piacere, nell’essere-presso le cose il soggetto acquista anche una prima consapevolezza di sé come corpo vivo. Ciò significa che nella soddisfazione della pulsione primordiale si realizza, per citare Bernet, «l’esperienza primordiale del sé carnale»175. Nella sensazione di piacere che si accompagna al Dabeisein, in altre parole, il soggetto corporeo appare a se stesso o, più precisamente, sente se stesso nel proprio essere incarnato. Conseguentemente, l’intenzionalità pulsionale si mostra come un momento primordiale dell’essere-cosciente-di-sé, in cui, come afferma Montavont, «ogni sentire si rivela all’interno di un sentire se stessi»176: in cui, cioè,

ogni Empfindnis che si genera nel processo di distensione della tensione della pulsione restituisce al soggetto una prima consapevolezza del proprio statuto incarnato. Ciò implica che la relazione di contatto tra il mondo e l’io che si istituisce nel processo di distensione della pulsione di fame non