• Non ci sono risultati.

Cenere: romanzo dell'espiazione e della tentazione.

Il romanzo deleddiano, come ci permette di notare Antonio Piromalli nel saggio

Grazia Deledda33 bis, nasce quasi sempre dall'intuizione della vita degli umili nei

paesi della Sardegna, delle difficoltà che essi sono costretti a superare per allontanarsi dai miti o dagli ostacoli che l'ambiente gli pone quando decidono di studiare e portarsi avanti. Spesso la storia dei borghi isolani è ricca di esempi di giovani che hanno lottato contro il loro stesso ambiente per poter proseguire gli studi o che sono stati in grado, mediante un benefattore, di istruirsi. Questo è il caso di Anania in Cenere. Il giovane è costretto a difendersi dalle insidie e dagli attentati che il paese sardo mette in atto. Questo romanzo può essere considerato un'atroce rappresentazione della vita dei più umili che il caso e la sfortuna hanno gettato ai margini dell'esistenza. Una donna sposa un uomo, questi diventa bandito, viene ucciso, la moglie trascorre la vecchiaia nella desolazione di una buia cucina e in una crudele solitudine. Anania, giovane mezzadro già sposato, seduce Rosalia, l'abbandona, questa a sua volta abbandona il figlio nato dalla breve relazione,

conduce una vita poco rispettabile e riappare in un secondo momento fetida e malandata. Per timore di rovinare la vita del piccolo Anania cerca di allontanarsi, come aveva già fatto in passato, ma questa volta il figlio non glielo permette per un rimorso che non gli lascia la libertà di vivere spensieratamente. Rosalia, detta Olì, decide di uccidersi per non essere di ostacolo ad Anania, ella dimostra, tramite questo gesto, un profondo senso di altruismo sacrificando se stessa per il prossimo. Il sentimento del tragico aleggia con grande potenza in questo romanzo non ancora segnato dall'esperienza della capacità di realizzare in arte la materia che la vita ci offre. Qui l'intuizione della vita è più grezza ma più verde e la sensibilità umana si presenta nelle ultime pagine come una forza scardinatrice, la morte di Olì è una morte tragica e improvvisa, le scene di vita sarda sono bandite per dare luogo ad un'azione rapida,veloce, che si svolge in un misero borgo della Barbagia. Insieme alla tematica colpa-espiazione, presente nel romanzo, si ha un'analisi dettagliata della condizione umana: nelle prime pagine Rosalia appare come una quindicenne:

“alta e bella, con due grandi occhi felini, glauchi e un po' obliqui, e la bocca voluttuosa il cui labbro inferiore, spaccato nel mezzo, pareva composta da due ciliegie”34.Quando riappare alla vista del figlio da lei abbandonato, ella è sudicia e

nella scena finale Anania è stravolto alla vista di una madre, ricoperta di sangue, che si è procurata un grosso taglio alla carotide: “ Una benda coperta di macchie già

secche di sangue nerastro fasciava il collo, passava sotto il mento e sulle orecchie e si annodava tra i folti capelli neri della morta:in questo cerchio tragico il viso di lei si disegnava grigiastro, con la bocca ancora contorta per lo spasimo: attraverso le grandi palpebre socchiuse si scorgeva la linea vitrea degli occhi”.35

Olì si innamora selvaggiamente del mezzadro Anania, la vita condotta fino a quell'incontro fatale è stata oppressa dalla solitudine e dalla miseria. Quando ella

34 Grazia Deledda, Cenere, p. 9. 35 Grazia Deledda, Cenere, p. 245.

comprende che Anania è già sposato continua a frequentarlo, anche perché egli è stato abile ad illuderla sull'esistenza di cose inverosimili. Anania è suggestionato dalle proprie fantasie: “Mia moglie morrà presto:ma anche non morisse io troverò

il tesoro e ce ne andremo in continente”36.La primavera sarda non è solo la cornice

degli amori, ma anche una primavera ricca di profumi, fiori e di veleni. Rosalia in autunno viene cacciata dalla casa del padre con in grembo un bambino e Anania la conduce presso una vedova di Fonni in una casa misera e fredda: “ la vedova

fonnese, pallida, e scarna, con un viso di spettro, circondata da una benda giallastra, filava seduta davanti a un focherello di fuscelli: tutto intorno era miseria, stracci, fuliggine. Dal tetto di schegge annerite dal fumo pendevano, tremolanti , grandi tele di ragno;pochi arnesi di legno formavano le masserizie della misera casa.”37 La Deledda esprime il senso di rassegnazione e di squallore

che emerge dalle poche parole della vedova intenta a filare la maglia, ella si rivolge in questi termini alla povera Olì: “Abbi pazienza, figlia, disse la vedova alla

fanciulla, senza sollevare gli occhi dal fuso.- Sono cose del mondo. Oh, ne vedrai delle peggiori, se vivrai. Siamo nati per soffrire:anch'io da ragazza ho riso, poi ho pianto ; ora tutto è finito”38. La vedova è il simbolo della povertà nuorese di quei

tempi. La scrittrice, lasciando parlare liberamente la donna, mette in evidenza la filosofia di coloro che vivono senza speranza, degli afflitti che non vedono mai luce. Leggendo il romanzo veniamo a conoscenza della dura sorte che ha colpito questa signora, così saggia e comprensiva nei confronti di Rosalia: ella aveva sposato un bandito e per questo motivo tende ora a giustificare il banditismo, come l'unico modo per dimostrare l' abilità e il valore con barnadas e grassazioni. La donna è convinta che l'uomo sia destinato a diventare un bandito, come ogni essere umano risulta essere spinto al male dalla fatalità e dal destino. Anania (figlio) vive i primi

36 Grazia Deledda, Cenere, p.13. 37 Grazia Deledda,Cenere, p.18. 38 Ibidem.

anni di vita con Zuanne, il figlio della vedova, in un ambiente miserevole e in un paesaggio incantevole, dominato dal monte Gennargentu. I due bambini si divertono a giocare nel cortile di una chiesa, accontentandosi di qualche pietruzza o fabbricando piccoli ceri di creta. Si nota la desolazione di questi luoghi e il tedio che assale questa gente così rassegnata alla povertà e alla mancanza di vita. Quando Rosalia conduce il bambino dal padre a Nuoro egli, cresciuto dall'amorevole zia Tatàna, nutre in sé il desiderio di rincontrare la madre lontana. Egli cresce in un ambiente di lavoro, ma anche a contatto con personaggi di “paese” ben caratterizzati. Efes Cau, un tempo ricco, ora colpito gravemente dal delirium tremens, è “ridotto ad un involto di cenci puzzolenti, buttato sulla sansa come un

mucchio di immondenze” e rappresenta la precarietà della condizione umana. Nel

cortile della casa di zia Tatàna Anania è solito trascorrere le giornate con artigiani, contadini, ubriachi che si riuniscono al mulino e nelle bugigattole nere e fuligginose. Il bambino apprende atti e parole volgari da questa gente meschina, abituandosi alla miserevole condizione che questo luogo offre. La Deledda esprime con efficacia la mediocrità morale e la miseria materiale di un popolo destinato all'arretratezza. Rebecca, la fanciulla che vive sola, piagata, abbandonata su una stuoia fra insetti e mosche, è l'emblema del dolore, del male, della miseria, il suo lamento è uno spasimo non ascoltato del luogo e delle persone. Gli umili sono ridotti a una condizione bestiale e accettano incoscientemente il destino.

Anania studia con l'aiuto del suo benefattore, il signor Carboni, e si innamora ben presto della figlia Margherita. A Cagliari egli prosegue gli studi e continua ad essere ossessionato dal pensiero di ritrovare la madre. Nonostante il conforto che l'amore di Margherita sa offrirgli, la sua vita si svolge tra immagini di tristezza e dolore per essere stato abbandonato. Anania teme che la madre sia una prostituta ed è consapevole che il ritrovamento potrebbe causare la fine della relazione con l'amata. Le lettere che i due giovani si scambiano sono un documento di amore profondo e i

loro incontri sono convegni romantici, ricchi di effusioni amorose.

Dopo essere rientrato da Roma Anania viene a conoscenza del ritorno di Olì che sta soggiornando in una località vicina. Ella ha contratto la malaria, è assai invecchiata e malandata in salute. Durante il loro incontro Olì si presenta piena di stracci e sconvolta dalle febbri e dalla povertà. Rosalia non ha condotto una vita “santa” e questo è il suo destino secondo la vedova di Fonni, quel destino che condanna certi disgraziati ad essere privati del proprio lavoro e della salute, della ragione e della bontà. La vecchia spiega ad Anania che non ha nessun significato ribellarsi al proprio fato. Il figlio vorrebbe redimerla, farle del bene, ma teme al contempo di perdere Margherita. Vedendo la madre in un contesto così commovente e pietoso, egli subito la rimprovera per averlo abbandonato ed è determinato nel volerla tenere con sé, per garantirle una vita più dignitosa. Il figlio, nonostante veda Rosalia come un mucchio di stracci, una lurida lumaca, un essere senz'anima, la ama disperatamente, non riesce a liberarsene. La donna lo prega di lasciarla andare, di non occuparsi di lei, non vuole ulteriormente gravare sulla vita del giovane, già sofferente per l'abbandono subito. Ella è consapevole di poter compromettere Anania nel mondo sociale “Il male è fatto e nulla più lo può rimediare:tu puoi

uccidermi, ma non ne ritrarrai alcun beneficio […]. Io non posso restare qui: me ne andrò e tu non udrai più mie notizie. Figurati di non avermi mai incontrata […]. Non essere feroce con me, mentre sei indulgente con tuo padre, , con quel miserabile che fu la mia rovina […]. Lasciami andare per la mia vita: come un giorno ti feci del male, lascia che ora possa farti del bene. Lasciami andare: io non voglio esserti d' impedimento […]. Tu non saprai più nulla di me: sparirò come la

foglia portata dal vento […]. Lasciami andare, fanciullo di Dio, lasciami.”39 La

madre desidera compiere un ultimo sacrificio per la felicità del proprio figlio, egli non immagina ciò che ella ha intenzione di fare: “Bisogna che ti abbandoni ancora

con inganno, per farti il bene per forza? Si, io ti lascerò, io me ne andrò. Tu non sei il mio padrone. Io non so chi tu sei...”40 La donna, indebolita dalla febbre alta,

trascorre l'intera notte presso la vecchia vedova e continua a delirare. Anania, sconvolto dai dubbi e impietosito dall'aspetto di Olì, si sente figlio della colpa e teme di avere compromesso la dignità di Margherita. Per questo motivo egli le scrive le sue intenzioni di redimere la madre, malata e invecchiata dalle privazioni, dalle sofferenze e dalle umiliazioni ricevute. Margherita si dimostra priva di sensibilità e, accecata dall'odio verso Rosalia, non è in grado di accettare una convivenza a tre. Anania scorge nelle parole di Margherita i caratteri dell'egoismo, della crudeltà, la mancanza di pietà e rompe il fidanzamento.

Mentre ritorna a Fonni per rivedere la madre è agitato da pensieri tristi: “Il Dio che

governa l'universo è il Male, un Dio mostruoso che vive entro di noi come il fulmine nell'aria”41. Egli comprende che il sogno di dedicarsi alla madre è l'ultimo

che gli rimane. Nelle ultime pagine del romanzo è presente l'intuizione della vita come distruzione e vanità, come semplice cenere. Quando il giovane si ritrova davanti al cadavere della madre avverte la meschinità delle passioni, dei dolori e degli odi provati, il gesto che Olì compie gli insegna il vero senso dell'esistenza. La Deledda ci permette di assaporare la vita degli umili animati da passioni, amori, desideri. La colpa e l'espiazione sono parti essenziali delle vicende narrate nel cupo pessimismo di un destino ostile all'uomo, che spesso tende ad accenti tragici.

40 Grazia Deledda, Cenere, p.223. 41 Grazia Deledda, Cenere, p. 241.