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La Deledda e la critica.

Nel 1916 Federigo Tozzi42 scriveva che la critica italiana non aveva fatto il proprio

dovere nei confronti di Grazia Deledda. Dopo la morte della scrittrice Pietro Pancrazi affermò che i critici erano in debito con la Deledda43.

Pancrazi ricercò le cause che avevano trattenuto gli studiosi dall'esame complessivo dei suoi scritti e le ritrovava nell'essere, Grazia, fuori di tradizione e nell'essersi formata e cresciuta senza apparenti rapporti con la cultura. Per tutti questi motivi ella non era stata valorizzata bene nella sua scrittura.

E così ne parla : “Gli artisti che mettono il suggello loro su di un paese, una

regione, sì che voi andando non ve li levate di mente ed è come se faceste un viaggio comparato (…) alla fine sono dei prepotenti. Anzi prepotentissima è la Deledda. Non perché ella esageri il qualche modo il “caratteristico” della sua regione e ne sforzi il folklore, tutt'altro (…) ma più l'arte è scaltrita e più la suggestione è sottile (…). Quanto poi al sentimento , siamo parecchi in tutto il mondo che abbiamo desiderato di venirci, proprio per la lettura di lei”.

Le opinioni che i critici le hanno riservato sono molto contrastanti fra di loro.

Abbiamo a disposizione un numero consistente di riviste, saggi e libri dedicati agli scritti deleddiani, che hanno dato vita a una storia della critica riguardante la sua cospicua produzione letteraria.

In passato era consuetudine inglobare l'opera della scrittrice sarda in uno dei tanti

“ismi” della letteratura, volti a cercare di classificarla senza approfondire la sua

originalità di autrice.

42 Cfr. Tozzi, F., Realtà di ieri, p.275.

43 Cfr. Pancrazi, P., “Grazia Deledda e la critica”, in Scrittori italiani dal Carducci al D' Annunzio, Bari Laterza, 1943, pp. 176-183.

Luigi Capuana nel suo saggio, Gli ismi contemporanei44 era intento a ricercare nel

romanzo La via del male la tendenza al naturalismo: “Ha tentato di mettere fuori

delle creature vive, e c'è riuscita. Non si è smarrita dietro un lavoro di analisi psicologica, artificiale;ma ha fatto sentire, pensare, agire, tutte quelle creature nel loro ambiente, proprio come fa la natura con le sue”.

Eurialo di Michelis la considerava“a cavallo tra il naturalismo dei fatti ed il

musicale decadentismo dei simboli”45, non accettando le posizioni di coloro che

avvicinavano la Deledda ad una nuova forma di naturalismo sulla scia di Verga e Capuana. E' merito suo essersi soffermato, con minuziosa cura, sui primi passi di Grazia Deledda per verificare attraverso quali canali si vengono attuando i primi tentativi di arte che sono caratterizzati dalla duplicità di ispirazione: da una parte il pittoresco, dall'altra il dramma. Ella non supererà mai il problema ma troverà un fragile e dubitoso equilibrio che abbandonerà per altri orientamenti. Verismo e simbolismo non si incontrano mai nelle sue pagine, spesso rimangono i termini di uno iato irrisolvibile.

Federigo Tozzi desiderava “sregionalizzare”46 l'arte deleddiana, sostenendo che la

maggior parte dei personaggi dei suoi romanzi non hanno confini geografici o limitazioni, ma spettano all'ordine umano che è universale.

Secondo Emilio Cecchi “mai ella si chiuse nel particolarismo di un ambiente”47

escludendo qualsiasi paragone con il naturalismo di stampo verghiano. Rispetto ai veristi nella Deledda non avvertiva il medesimo metodo costruttivo e spesso non si faceva a meno dell'elemento lirico e sognante. In lei non riscontrava né il narcisismo né il mero tecnicismo letterario, anche l'influenza del dialetto gli

44 Cfr. Capuana. L, Gli ismi contemporanei, Milano, Fabbri, 1973, p.101.

45 Cfr. De Michelis, E., “Riassunto sulla Deledda”, in Novecento e dintorni, Milano, Mursia, 1976, p.108. 46 Cfr Tozzi, F, Realtà di ieri, p.274.

47 Cfr. Cecchi, E, “Il Novecento”, in Storia della letteratura italiana, vol. IX, Milano, Garzanti, 1969, pp.539-546.

appariva limitata, gli elementi della provincia sarda li percepiva avvolti da un alone lirico e fiabesco. I personaggi sembravano discendenti di una stirpe pastorale decaduta, la loro psicologia era alonare e tentacolare.

Benedetto Croce fu severo nei confronti della scrittrice, muovendole l'accusa di “immobilità”48 da cui nasceva la monotonia e la ripetitività di temi delle sue storie.

Croce era convinto che la Deledda non avesse avvertito il dramma del poeta e dell'artista né avesse sentito mai energicamente e originalmente la vita e il mondo. Francesco Flora, nei suoi Saggi di poetica moderna49, definiva i personaggi

deleddiani delle “figure-paesaggio”.

Bonaventura Tecchi, durante un convegno, descrisse alcuni dei protagonisti deleddiani come “creature schive, avare di parole, dei cui segreti pensieri i

testimoni, più che gli uomini, sono il paesaggio stesso, gli alberi e i monti”50.

Attilio Momigliano ha da sempre considerato il capolavoro Elias Portolu uno dei libri di più solida moralità scritto in Italia dopo i Promessi Sposi. Egli aveva distaccato Grazia Deledda dal regionalismo51, perché riteneva che in lei questo

aspetto avesse una portata etica anche maggiore che nel Verga, inoltre non l'accostava nemmeno al decadentismo dannunziano riservandole un posto a parte nella letteratura italiana. Le pagine migliori della Deledda lo facevano pensare ai russi come Gogol, Dostoevskij e Tolstoj, poiché anche lei ignorava la tradizione letteraria, ritraeva un ambiente primitivo e un popolo completamente diverso dall'umanità internazionale del romanzo europeo. Il Momigliano riscopriva in lei un'arte spontanea che derivava dai grandi conflitti spirituali, dalla solida moralità, dalla coscienza spirituale che essa aveva della vita.

48 Cfr. Croce, B, “Grazia Deledda”, in La lettera della Nuova Italia, Bari , Laterza, 1950, pp. 312-321. 49 Cfr. Flora, F, “Grazia Deledda”, in Saggi di poetica moderna, Messina- Firenze, D'Anna, 1949, pp. 177- 184.

50 Cfr. Tecchi, B, “Quel che è vivo nell'arte di Grazia Deledda”, in Il Convegno, 7/8, 1963, p.16. 51 Cfr. Momigliano, A, “La Deledda nella letteratura italiana”, in Il Convegno, 7/8, 1963, p.23.

Egli scrive al riguardo: “Scrittrice morale, dunque, la Deledda, ma non nel senso

oratorio della parola, ma in un senso tutto psicologico e intimistico. La sua moralità è sofferenza più che messaggio educativo: è dramma interiore, piuttosto che risoluzione morale, affonda le sue radici più profonde nella coscienza piuttosto che nella dottrina morale...”

Natalino Sapegno non considerava la scrittrice affine al positivismo di natura verista, ma non la vedeva neppure vicina al decadentismo dannunziano: individuava un “atmosfera comune”52 a tutte le opere da lui prese in esame. Per Sapegno la

Deledda non è né Manzoni né Dostoevskij ma nelle sue opere è una sostanza genuina di affetti e di valori poetici. Proprio per il suo lirismo romantico non poteva essere accostata a una delle correnti letterarie già ricordate.

Giuseppe Petronio ammetteva che la Deledda, nelle sue opere migliori, affiancava una scrittura “leggera e sfumata, intesa ad avvolgere luoghi e persone di una luce

di fiaba e qualche volta, quasi, si direbbe di simbolo”53. L'opera deleddiana,

secondo l'opinione di Petronio, appartiene all'area del decadentismo italiano costituendone “l'estrema ala destra”. Ella usa schemi e modi narrativi di stampo prevalentemente ottocentesco. Petronio afferma che la Deledda filtrava la cultura e l'aura spirituale del suo tempo “attraverso schemi culturali e morali ormai superati,

sicché la sua arte è un impasto, del tutto personale e particolare, di moduli ottocenteschi e di temperati spiriti novecenteschi”.

Per Francesco Di Pilla era importante instaurare un parallelismo tra scrittura e biografia54.

Il saggio di Mario Massaiu ha come scopo quello di ricostruire il più fedelmente possibile la temperie storico-culturale della Sardegna, nel cui ambito nasce e prende

52 Cfr. Sapegno, N, “Introduzione a G. Deledda. Romanzi e Novelle”, Milano, Mondadori,1972. 53Cfr. Petronio, G, “Grazia Deledda” in “I contemporanei”, Milano, Marzorati, 1963, pp.137-138. 54 Cfr, Di Pilla, F, “Grazia Deledda...” op. cit. pp. 17-235.

consistenza la testimonianza umana e letteraria.55

Secondo Giacinto Spagnoletti una lettura più analitica dei romanzi deleddiani fa emergere: “da una parte al realismo post-verghiano, che non venne meno neppure

con l'affermarsi di chiare tendenze spiritualistiche; dall'altra, si vedano i tre capolavori anteriori alla Guerra Mondiale( Elias Portolu, Canne al vento e Marianna Sirca), a una costante preoccupazione morale, che poteva anche fare a meno dell'afflato religioso”56.

Antonio Piromalli metteva in luce diversi aspetti dell'opera della Deledda e riteneva che “ l'intuizione fondamentale dell'artista deriva da una vita arcaica sentita quasi

biblicamente , con le sue leggi della necessità della pena, dell'espiazione dopo il compimento del male”57.

Vittorio Spinazzola notò che il largo consenso riscosso dalla scrittrice nuorese tra il pubblico si doveva al fatto che ella era abile a raccontare“il travaglio della nazione,

sospeso tra l'arcaicismo di una civiltà contadina non del tutto indegna di sopravvivere e la modernità di un mondo borghese inetto ad assolvere una funzione davvero liberatrice nei confronti dell'individuo, immettendolo in una collettività solidamente rinnovata”58.

Anna Dolfi ha proposto di accostare l'opera dell'ultima Deledda alla “riflessione,

alla sensibilità e all'inquieta coscienza del Novecento europeo”59. Nel suo saggio

tiene conto della componente psicoanalitica presente in gran parte dei romanzi. Paola Pittalis individua nella scrittura della Deledda una sorta di realismo che tende a cristallizzare situazioni e persone. Le pagine deleddiane sono veri e propri

55 Cfr. Massaiu, M, “Sardegnamara. Una donna, un canto.”, Milano , Istituto propaganda libraria, 1983. 56 Cfr. Spagnoletti, G. “ Introduzione a I grandi romanzi”, Roma, Newton Compton, 1993, pp. 7-15. 57 Cfr. Piromalli, A, “Grazia Deledda”, Firenze, La Nuova Italia, 1968.

58 Cfr. Spinazzola, V, “Grazia Deledda e il pubblico”, in AA .VV. Convegno Nazionale di Studi Deleddiani, Cagliari, Fossataro, 1972.

59 Cfr. Dolfi, A, “Introduzione a Dieci Romanzi” , Roma, Newton Compton e “Grazia Deledda”, Milano, Mursia, 1979.

documenti umani60.

Nicola Tanda, uno dei principali studiosi di letteratura sarda, ci offre un importante contributo, dimostrando come la narrativa di Grazia parta da un codice culturale specifico: quello sardo che però “non è più un riferimento realistico e naturalistico,

è intanto metafora, è già luogo dell'immaginario, uno spazio in cui collocare e rappresentare l'eterno dramma dell'esistere in senso mitico e non storico”61.

Il Russo sosteneva ne I narratori61 bis che le qualità artistiche della scrittrice erano

generalmente riconosciute ed ammirate per la loro semplicità rettilinea, una semplicità che aveva anche favorito un giudizio impaziente della critica, intollerante a mondi d'arte troppo castamente conchiusi e limitati. Luigi Russo difendeva ad oltranza la Deledda dall'accusa di essere monotona nei suoi romanzi e sottolineava che la semplicità è il frutto di una paziente e lunga disciplina in virtù della quale la scrittrice ha trasformato le sue qualità di narratrice improvvisa in quelle di arte e riflessione. Dall'epopea popolare inedita e orale la scrittrice ha maturato in sé, a poco a poco, un'ambizione di indipendenza e originalità, “una forza lirica sempre

più raccolta e intensa”, “una vibrazione poetica sempre più rapida ed efficace e un avvicendamento di stati d'animo sempre più incalzante e una più piena fusione spirituale del dramma umano con la mistica austerità e solitudine del paesaggio”.

Russo allargava il significato dell'arte deleddiana e faceva osservare che il mondo barbaro dei primi romanzi, e anche psicologicamente remoto dalle nostre esperienze intellettuali, era passato attraverso il movimento “del realismo nostrano e del

romanticismo religioso dei russi”:in tal modo la sua arte provinciale era divenuta,

“pur nella modestia delle sue forze femminili”,“arte europea”.

Per Serra, nel suo libro Le lettere (1914), le novelle risultavano mediocri mentre

60 Cfr Pittalis, P, “Mille anni di solitudine. Società e letteratura nei romanzi di Grazia Deledda”,in Ichnusa, III, Cagliari, EDES, dic.1982-febbr.1983, pp 93-100.

61 Cfr. Tanda, N, “Dal mito dell'isola all'isola del mito. Grazia Deledda e ditorni.” Roma, Bulzoni, 1992. 61 bis Luigi Russo, I narratori, Sellerio editore, Palermo 1987.

nei romanzi emergeva qualcosa di umano e sincero che la rendeva meno noiosa e la faceva rispettare. Secondo la sua opinione non c'era paragone tra la fattura superficiale della Deledda e la ricchezza di impressioni vivaci di un bozzetto di

Teresah.

La critica più recente ha riconosciuto la componente veristica dell'arte della Deledda (ma si tratta di un verismo privo della poetica dell'impersonalità e dell'impegno sociale) e insieme ha constatato la presenza di una problematica spirituale e di un lirismo che rientrano nella sensibilità decadente. La produzione letteraria di Grazia Deledda può essere suddivisa indicativamente in tre fasi ; la prima quella in cui l'autrice muove i primi passi nel mondo della scrittura, con risultati piuttosto incerti nei quali si percepisce l' eco di influenze diverse e in cui, è evidente che manca una consapevolezza dei mezzi a disposizione e della strada da percorrere.

La seconda fase è quella che ha inizio nel 1900. Nei romanzi di questo periodo Grazia Deledda raggiunge una maggiore maturità in ambito letterario, tanto che sono proprio questi lavori a recarle il successo europeo.

Nella terza e ultima fase, siamo intorno al 1920, la Deledda dedica una maggiore attenzione all'ambito psicologico, le vicende risultano non essere più ambientate nella sua amata patria e il linguaggio oltre a raffinarsi è completamente depurato a favore di un italiano privo di interferenze dialettali62.

62 Chiara Dissegna, “Grazia Deledda e i romanzi del primo Novecento: tentazione, colpa e espiazione nel

Capitolo 4: