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Grazia Deledda e la candidatura in parlamento.

In un interessante articolo di Ilaria Muggianu Scano sulla rivista online “La donna

sarda” visibile anche sul sito: (http://www.ladonnasarda.it/storie/5431/quando-la-deledda-fu- la-prima-donna-candidata-al-parlamento.html), veniamo a conoscenza della vicenda legata alla candidatura in Parlamento di Grazia Deledda.

Correva l'anno 1909 e Grazia Deledda fu candidata nel Collegio di Nuoro alle elezioni generali. Era la prima donna italiana ad essere presentata in una competizione elettorale nazionale. L'iniziativa non risultava priva di ombre, controversie, dubbi e complotti di cui la scrittrice era solo strumento, sebbene fosse vincitrice morale della contesa politica nazionale.

La vicenda ebbe inizio a pochi giorni dalla sessione elettorale con la lapidaria notizia del Corriere di Nuoro del 6 marzo: "Il gruppetto nuorese di letterati propone

una candidatura femminista. Lancia alle sorti delle urne il nome di Grazia Deledda, con la significazione di protesta al voto dato dall'on. Are alla Camera contro l'elettorato delle donne. Vediamo la fortuna che avrà questa affermazione femminista sarda!". -

L'intento della singolare azione politica era sotto gli occhi di tutti, essa partiva dal presupposto che mai i concittadini della scrittrice la avrebbero sostenuta in sede elettorale. Lei stessa, in più occasioni, evidenziava l'odio della sua gente: "Dicono

che ho riempito di troppi banditi i miei romanzi, facendo apparire la mia terra brutale, irreale, immorale". E dal momento che il suo “verismo” avvolgeva

nient'altro che la Nuoro dall'Ortobene al monte Corrasi è evidente che coloro che finanziarono la sua candidatura nemmeno per un istante confidavano in un risultato reale.

La Deledda non sarebbe stata votata dal suo popolo anche per la sua componente anti-femminista. Lei stessa dichiarava, nelle sue Lettere inedite, all'intellettuale sassarese Remo Branca: “ Alle donne debbo solo ostilità, avversità e ogni genere di

biasimo. La sola gloria che la donna pare riconoscere è il dominio, ma il controllo del regno domestico, l'attesa dell'uomo sacrificato e lontano, strappato alle cure muliebri dal massacrante lavoro negli ovili o al servizio della patria in guerra"

.

L' isola non dette alcun peso all'episodio politico, la stampa nazionale temeva che l'elezione di una donna potesse calamitare una serie di voti cattolici.

Questo timore era infondato, poiché la Santa Sede con Pio X era contraria ad appoggiare il suffragio femminile. La Deledda confiderà in seguito di aver desiderato di partecipare al Parlamento, offrendo tutto l'impegno possibile. Probabilmente anche la sua maternità le creò qualche ostacolo nell'essere candidata. La scrittrice ottenne infatti solo 34 voti di cui 31 furono annullati. Qualcuno commentò sarcasticamente: «meglio una buona scrittrice che un mediocre

deputato».

Capitolo 3.

3.1 Introduzione a Cenere.

Quando Cenere fu pubblicato, nel 1904, Grazia Deledda si era stabilita ormai da qualche anno a Roma, dove frequentava importanti ambienti culturali, aveva già intrecciato una fitta rete di relazioni con intellettuali, editori e critici. In questo modo era riuscita ad incrementare la formazione culturale da autodidatta. L’esperienza nuorese, la formazione artistica, si svolsero contemporaneamente alle vicende drammatiche che colpirono la sua famiglia e insieme alla storia della società barbaricina negli ultimi decenni del secolo. Per certi aspetti ella subì l’influsso della cultura antropologica della sua comunità e delle dinamiche economiche, culturali e politiche di Nuoro e della Sardegna, dopo che il nuovo stato unitario aveva inglobato quasi tutte le regioni della penisola italiana. Nonostante il trasferimento a Roma con il marito Palmiro Madesani, Grazia porterà nel cuore il paese natio che continuerà ad essere il principale filo conduttore tra le opere, anche le più tarde.

Questo romanzo si svolge in parte nellꞌ ambiente sardo più tradizionalista, in parte in quello romano aperto alla novità. Anche il protagonista, Anania, come Grazia Deledda, si recherà nella capitale alla ricerca di nuovi stimoli. La Deledda desidererà farsi conoscere a un pubblico più ampio e colto, in grado di comprendere il suo talento di scrittrice, mentre Anania vorrà coronare il sogno di portare a termine i propri studi e di ritrovare una madre tanto amata.

Cenere si configura come un ordinato racconto cronologico della vita di Anania, tra

un antefatto che focalizza la figura di Olì e una conclusione che segue il suicidio della donna, quindi una struttura circolare che ha inizio con la figura di una giovane

spensierata e che si conclude con la morte tragica della povera ragazza, ormai donna e madre infelice . La Sardegna, che fa da sfondo a gran parte delle vicende, è un luogo primitivo in cui vigono le antiche leggi barbaricine, che non permettono al singolo individuo di evolversi, e aggravato dai contrasti tra i poveri contadini e i ricchi borghesi.

Cenere è il romanzo che riesce a fondere in un unico libro la sofferenza e la

speranza, il bene e il male in maniera straordinaria. Impossibile non definirlo un piccolo capolavoro.

É costituito da una trama corposa e ben sviluppata, da un'insieme di personaggi immortali, da una serie di scatti del territorio sardo. La speranza e la fede di una semplice giovane si scontrano contro il muro della durezza della vita, quanto amore e quanti sogni, quanti sacrifici, quanto bisogno di evadere dal grigiore di quell'ambiente, quanto tempo perso ad aspettare, confidando solo in un pizzico di fortuna.

I personaggi della Deledda sono il frutto di una società retta da leggi ferree, o nasci

ricco o nasci povero, o servo o padrone.

Il tempo scorre inesorabilmente tra le capanne dei pastori, tra le strade imbiancate di polvere. La vita narrata dalla scrittrice è ruvida come il territorio, è grigia come la cenere. La cenere è ciò che rimane del fuoco, cenere è ciò che resta delle passioni brucianti, a seguito di delusioni scottanti, dopo che la vita ha distrutto sentimenti e sogni.

In questo romanzo la poetica deleddiana esplode con forza e vigore, sia per le immagini che per i contenuti che offre.

Tra queste pagine si celebra il canto del territorio sardo, culla di una società ancorata a tradizioni ataviche e inespugnabili. Gli uomini e le donne hanno cuori

sensibili e passionali, possiedono un animo avvezzo alla sofferenza e al sacrificio. E' espressa con lucidità la sottile eppure marcata linea che divide il bene dal male, che tuttavia risultano imprescindibili l'uno dall'altro.

La terra sarda si rivela uno sfondo perfetto per lo svolgimento di una "tragedia classica". La cruda terra di Sardegna diventa teatro universale per la rappresentazione del dramma umano che si ripete ciclicamente.

Cenere fa parte dei romanzi della maturità artistica dell'autrice, in esso sono presenti

tutti gli elementi che l'hanno resa famosa. Primo fra tutti, il perfetto compenetrarsi fra i personaggi con i loro caratteri peculiari e la natura; quel paesaggio sardo che minuziosamente descrive; il superamento di ogni incertezza linguistica di cui fu più volte accusata.

Come sostiene Petronio, in un intervento durante il convegno deleddiano tenutosi a Nuoro nel 1972, la Deledda tende, nel progredire della sua arte, a "scavare sempre più nelle anime" e a "schematizzare la vita in un conflitto tra bene e male" anche se, nell'ebrezza del peccato , la coscienza non si abbandona totalmente al male. Questo perché del male essa non ha la minima cognizione.

Non a caso, nel discorso pronunciato durante la cerimonia di consegna del Nobel per la letteratura a Grazia Deledda, nel dicembre del 1926, Henrick Schuck dell'Accademia Svedese, per sottolineare la malinconica severità, senza tener conto del pessimismo deleddiano, cita proprio un passaggio tratto dal romanzo Cenere:

« Si, tutto era cenere:la vita, la morte, l'uomo; il destino stesso che la produceva. Eppure, in quell'ora suprema, davanti alla spoglia della più misera delle creature umane, che dopo aver fatto e sofferto il male in tutte le sue manifestazioni era morta per il bene altrui, egli ricordò che fra la cenere cova spesso una scintilla,

seme della fiamma luminosa e purificatrice, e sperò, e amò ancora la vita»9.

La gente sarda che Grazia delinea in queste pagine costruisce un quadro mirabile di passioni, stoltezze, ingenuità senza colpe. Ne consegue inevitabilmente un allontanamento dall'oscura legge superiore.

Come negli altri romanzi, il tema è quello consueto della scrittrice; l'incapacità di opporsi alla forza delle passioni, in special modo quelle amorose, da parte di noi creature pervase dall'amore e dal peccato. La forza drammatica della narrativa deleddiana nasce dagli episodi in cui la crisi delle coscienze esplode, portando alla luce l’unico principio etico positivo: il sacrificio di sé. La scrittrice, tuttavia, non analizza il turbamento dei personaggi ma si limita a riviverne le emozioni.

Probabilmente la scrittrice sarda, accanita lettrice di letteratura italiana e straniera, si ispirò anche ad altri scrittori russi come Maksim Gorkij o Anton Cechov per trarre una diversa concezione del racconto come forma di rappresentazione di personaggi che vivono ai margini della società e della vita periferica di provincia. Il romanzo fu reso celebre per la presenza di Eleonora Duse nella sua unica riduzione cinematografica. L'autrice avrebbe dovuto collaborare al lavoro di adattamento, fortemente desiderato da Eleonora, ma ben presto abbandonò il progetto per incomprensioni e incompatibilità. Così leggiamo, in uno scambio epistolare con l'attrice del novembre 1916, le motivazioni che spinsero la Deledda a ritirarsi dal progetto, durante lo scambio epistolare con Eleonora: “Lei ha fatto di Cenere una

cosa bella e viva;ma anche quando così non fosse mi basterebbe il conforto di aver veduto la mia opera passare attraverso la sua anima e riceverne il soffio vivificatore. Le ripeto il lavoro è suo, ormai, non più mio, come il fiore è del sole che gli dà caldo più che della terra che gli dà le radici”9 bis.

9 Grazia Deledda, Cenere, Arnoldo Mondadori editore, p. 249.

9 bis Neria De Giovanni, Grazia Deledda, Maria Pacini Fazzi editore, per la lettera di Grazia Deledda a Eleonora Duse visitare il sito:http://www.unionesarda.it/articolo/la_grazia/2009/04/01/lo_sguardo_di_grazia-

La grande attrice, Eleonora Duse, volle interpretare e coprodurre un film tratto dal romanzo di questa grande scrittrice, artista; Grazia Deledda. Attratta in quegli anni dalla figura della “madre”, Eleonora Duse, scorge nel romanzo della Deledda e nella sua ambientazione, la Sardegna rurale di fine Ottocento, lo scenario ideale per far emergere sentimenti primordiali ed eterni come l'amore che lega una madre ai suoi figli e che travalica ogni umano accadimento, fino alla morte. Nel film muto intitolato Cenere, girato nel 1916, diretto ed interpretato da Febo Mari, si registra l'unica interpretazione cinematografica dell'attrice teatrale Eleonora Duse.

Il film è ambientato in Sardegna però la casa di produzione torinese Ambrosio, per contenere i costi, fece girare gli esterni "sardi" tra Ala di Stura e Balme nelle vicine Valli di Lanzo.

3.2. La trama

Il romanzo si apre con la presentazione di una giovane ragazza appena uscita dalla casa cantoniera affidata al padre, che si aggira tra i campi della città di Mamoiada alla ricerca di erbe per ricavarne medicinali e creare nuovi amuleti.

La giovane, di nome Rosalia ma soprannominata Olì, durante l’inverno fa la conoscenza di Anania, un uomo sposato e molto più grande di lei. Ed è subito amore.

La relazione che nasce tra i due innamorati non si basa su un legame sincero, almeno da parte di Anania; l'uomo infatti non le confessa di essere sposato. Tra i due scoppia una forte passione, ostacolata dall'anziano padre della giovane, nel momento in cui viene a conoscenza del loro rapporto.

Il padre di Olì, recandosi a Nuoro, scopre la vera identità dell’uomo e

immediatamente si oppone al loro fidanzamento.

Nonostante la delusione iniziale, Rosalia decide di credere all’amato che le promette di sposarla dopo la morte della moglie. Suo padre, scoprendo dei loro incontri segreti, allontana la figlia da casa.

Olì rimasta incinta di Anania si reca a Fonnì, presso una vedova che si prenderà cura di lei e del suo bambino. Anania scomparirà definitivamente dalla sua vita. Il bambino, a cui viene dato il nome del padre, trascorre la sua infanzia nel paesino di montagna, con i figli della vedova finché la madre decide di portalo a Nuoro per fargli conoscere il padre.

Dopo averlo condotto al mulino dove Anania lavora, Olì decide di farli incontrare da soli e, approfittando dell’occasione, si allontana dal suo bambino sperando di assicurargli un futuro migliore di quello che avrebbe potuto offrirgli lei se lo avesse tenuto con sé.

Inizialmente il piccolo è costretto a ricevere il rifiuto del padre che non vuole riconoscerlo, quindi viene preso da zia Tatàna, la nuova moglie del padre, che lo ospita nella propria casa e lo alleva come se fosse suo figlio. A Nuoro Anania (figlio) conosce Margherita, figlia del suo benefattore, che paga gli studi al giovane desideroso di affrancarsi da un destino di miseria e ignoranza che sembra perseguitarlo fin dalla nascita.

Anania (figlio)parte per Cagliari, a diciassette anni, per intraprendere gli studi giuridici. Una sera, mentre rientra nel proprio appartamento, assiste ad una lite tra due donne di malaffare che con la loro presenza sensuale suscitano gelosie e rivalità tra gli uomini del paese. Inizialmente, crede di aver riconosciuto la madre in una delle due prostitute e questo suscita in lui inquietudine e sconforto, spingendolo a ritornare a Nuoro. In un secondo momento, aumentano il desiderio e la speranza di

ritrovare la madre, che lo ha abbandonato, e di poterla redimere dal tipo di vita che egli teme abbia condotto negli ultimi anni.

Dopo aver trascorso qualche settimana con la famiglia, il giovane Anania decide di proseguire gli studi a Roma. Nella capitale, egli si reca subito in Questura per ottenere maggiori informazioni sulla madre, che secondo le voci paesane si sarebbe trasferita nella città dopo averlo affidato al padre e abbandonato.

Anania si illude nuovamente di ritrovarla in Maria Obinu, una signora di origini sarde, che aveva lasciato l’isola tanti anni prima senza farvi più ritorno.

Anania approfitta di una lite con il suo coinquilino per cercare ospitalità presso la pensione nella quale Maria affitta le camere. Il giovane trascorre un periodo in casa dell’anziana signora, il cui passato è avvolto nel mistero, in uno stato d’ansia e prostrazione, ossessionato dal duplice sentimento di odio e amore che prova verso Olì, e cerca ininterrottamente di ottenere informazioni su quella signora, nella convinzione di aver finalmente ritrovato Rosalia. Infine, decide di ritornare a Nuoro senza aver avuto il coraggio di affrontare apertamente la donna, scegliendo ancora una volta di rimandare il confronto ad un altro momento. Dopo esser tornato a casa, riprende immediatamente la relazione d’amore mai interrotta con Margherita, scoprendo che durante la sua assenza la famiglia dell’amata si è impoverita.

Anania accoglie con gioia la notizia, perché spera in questo modo che il divario economico tra lui e la giovane donna si riduca e il suo padrino gli permetta finalmente di sposare la figlia. Il protagonista non ha il coraggio di chiedere ufficialmente la mano di Margherita e per questo prega la madre adottiva di intercedere per lui presso il signor Carboni.

Zia Tatàna acconsente e convince il padre della ragazza amata dal figlio ad approvare le future nozze, pretendendo, però, che i due giovani non abbiano altri

incontri prima del matrimonio. Per non cedere alla forte tentazione, Anania decide di trascorrere qualche giorno a Fonni. Questa gita diventa l’occasione giusta per il giovane di ripercorrere i luoghi della sua infanzia, che ancora custodisce tra i ricordi più felici della sua vita.

Tuttavia, la situazione precipita quando, chiedendo alla vedova notizie sulla madre, scopre che la donna soggiorna in un paesino poco lontano da lì, in condizioni precarie dopo aver condotto una vita disonesta accanto a uomini che l’hanno usata e maltrattata, riducendola perfino alla fame. Dopo aver trascorso una giornata in solitudine sul monte Gennargentu, finalmente Anania ha la possibilità di avere il desiderato e temuto incontro con Rosalia. Il confronto tra i due è particolarmente acceso, perché il protagonista non riesce a trattenere la rabbia , covata per tanti anni nei confronti della madre, e nonostante lei lo implori tra le lacrime di lasciarla tornare alla sua vita, il ragazzo si dimostra risoluto e convinto nella decisione di tenerla con sé. Anania, nonostante sia consapevole che quel ricongiungimento distruggerà il suo sogno di cambiare vita e di sposare Margherita, si sente in dovere di occuparsi di Olì, anche se lei in passato aveva preferito abbandonarlo. Tornando a Nuoro, incontra Margherita alla quale non riesce a rivelare ciò che è accaduto nei giorni precedenti, e quindi decide di confessarle la sua nuova scoperta durante un tragico scambio epistolare, dal quale emerge tutto l’egoismo della sua amata.

Margherita, infatti, gli impone una scelta perché non vuole che la madre del suo promesso sposo interferisca nella loro vita; dopo un ultimo incontro, i due decidono di interrompere la loro relazione e di annullare definitivamente il matrimonio.

Anania, dopo aver lasciato la donna di cui è ancora innamorato, decide di tornare dalla madre, ma non riesce a rincontrarla perché Rosalia, in un atto di amore estremo per il figlio, si toglie la vita per non impedirgli di realizzare i suoi sogni e di essere finalmente felice.