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Il romanzo del Novecento Profilo Generale.

In questo paragrafo, servendomi di alcuni importanti saggi, metto in luce i caratteri peculiari del romanzo novecentesco per meglio comprendere le differenze che distinguono il romanzo del Novecento in generale da quello deleddiano.

Il romanzo del primo Novecento è un genere decisamente nuovo, caratterizzato dalla sperimentazione di vari moduli espressivi volti a far emergere le inquietudini e la sensibilità di un uomo travagliato da una crisi totale e privato dal poter conoscere oggettivamente la realtà. Questo romanzo in cui gli eroi sono soprattutto personaggi disorientati e scissi è il frutto di un lungo processo di trasformazione del modello ottocentesco, infatti la narrativa precedente aveva mirato alla rappresentazione di psicologie complesse e sfuggenti, privilegiando una prospettiva soggettivistica.

Nel Novecento, il punto di vista dell’autore risulta spostarsi dall'esterno all'interno. Al centro della narrazione non vi è più il rapporto complesso tra il personaggio e l'ambiente, ma l'analisi dell'interiorità che mette in evidenza tutti gli aspetti principali del sentimento. Inoltre, l'artista cerca di ricostruire il mistero oscuro attraverso il linguaggio, che diventa la miglior espressione delle irradiazioni degli oggetti, ed è vissuto come un dramma, come coscienza della disintegrazione di sé. La nascita del romanzo moderno è il risultato di una serie di importanti trasformazioni che all'inizio del Novecento hanno riguardato l'economia, la società, il pensiero scientifico e filosofico e, fra queste, un posto particolare deve essere riservato all'avvento del cinema, nel quale l'uomo moderno (e in particolare l'intellettuale, il poeta ecc..) trova un nuovo mezzo per meglio esprimere se stesso in maniera spontanea e per descrivere i suoi sogni e le sue aspirazioni. Il

cinematografo è anche il modo più efficace per sottolineare la nuova concezione del tempo, formulata da Henri Bergson, poiché gli istanti non si susseguono tutti uno uguale all'altro, ma si dilatano o si restringono a seconda della volontà del soggetto. Inoltre mediante la macchina da presa si concepisce le diversità dei punti di vista che, a mano a mano, si possono assumere comunicando così una visione del mondo che non è più lineare, ordinata e uguale per tutti.63

Effettivamente, contemporaneamente gli sviluppi della scienza mettono in crisi l'immagine tradizionale di un mondo in cui i fenomeni possano essere spiegati secondo un preciso rapporto di causa ed effetto. Gli studi della psicoanalisi conducono alla scoperta dell'inconscio, ovvero di quella parte dell'Io collocata al di di sotto del piano della coscienza che influenza in modo decisivo il suo comportamento. In Italia, quasi contemporaneamente all’esperienza dannunziana, si svolge quella di alcuni narratori che trattano vari aspetti della crisi sociale e spirituale della loro età, in particolar modo il senso di insoddisfazione per ogni forma tradizionale, unito ad un desiderio di novità. Il romanzo del Novecento viene percepito come una nuova forma narrativa capace di rendere dall’interno la vita interiore dei personaggi, la loro visione del mondo deformata e onirica, i loro incubi, le loro allucinazioni; introduce temi nuovi: quelli della nevrosi, della memoria, della malattia, dell’uomo senza qualità, dell’inettitudine. La nuova narrativa sorge su un terreno individualistico, è lo specchio di un' effettiva ribellione, di un senso di inadeguatezza, genera il romanzo psicologico, che mette in primo piano le emozioni, i sentimenti e le idee dei personaggi, subordinando ad essi la vicenda. L'autore inizia ad analizzare i processi dell’animo umano e per questo motivo la vicenda narrata diventa solo un pretesto per presentare dei personaggi il

63 Per questo paragrafo ho utilizzato in particolar modo i seguenti articoli: articolo sul “Romanzo

Novecentesco” a cura di Valentina Rossi, http://www.isikeynes.it/ipertesti/arte_cinema/romanzo900.html e articolo sul portale di Luciano Zappella , “Il Romanzo tra Ottocento e Novecento”,

http://www.luzappy.eu/romanzo_otto_novecento/schema.htm. Soprattutto alcune parti del testo di Giacomo Debenedetti, Il Romanzo del Novecento,Collana Saggi, Garzanti, Milano, 1971-2 .

cui animo è il vero protagonista del romanzo. Avviene un vero e proprio indebolimento dell’intreccio, ed un avvicinamento alla realtà quotidiana fatta di vicende monotone e grigie, ripetitive, una prevalenza di sequenze di tipo riflessivo. I personaggi del romanzo psicologico, spesso, non sono presentati in modo completo dal punto di vista fisico, ma sono descritti perfettamente nel loro modo di pensare, nelle loro emozioni, nei loro sentimenti ed emozioni. E per attuare quest’analisi gli scrittori iniziano ad usare le scienze psicologiche, in particolare della psicanalisi, istituendo rapporti tra i gesti compiuti e le motivazioni dell’agire. Il romanzo novecentesco si sviluppa soprattutto attorno ad alcuni nuovi motivi, come ad esempio, l'epopea della memoria in Marcel Proust, il sostrato primario dell'esperienza colto attraverso il linguaggio in James Joyce e l'indagine psicoanalitica in Italo Svevo.

I caratteri comuni dei vari tipi di romanzi del Novecento, che emergono dai manuali di letteratura italiana, sono:

-Un primo elemento distintivo del romanzo moderno è costituito dall'abolizione della narrazione intesa nella maniera tradizionale: vengono meno il racconto di avvenimenti concreti, la loro successione cronologica ed i nessi causali, quindi la coerenza della storia; la vita appare ormai illogica e casuale, quindi non raccontabile. La perdita della narrazione viene ricompensata tramite la capacità che ha il romanzo di penetrare spiritualmente la sua materia.

- Il totale cambiamento del rapporto fra interiorità ed esteriorità: nel romanzo tradizionale fra questi due mondi vi era precedentemente una stretta connessione che prendeva le mosse da un'iniziale frattura o contrasto fra il protagonista e la realtà esterna, per giungere, attraverso la maturazione o la lotta, ad uno stadio finale di miglioramento.

fino ad annullarsi: il personaggio cerca di registrare la realtà o prenderne coscienza, la sminuisce e, ormai convinto di non poter intervenire a modificarla, si ripiega esclusivamente sulla propria interiorità.

Il mondo interiore si svuota e si banalizza, e l'individuo si annulla. Si assiste quindi ad un procedimento opposto a quello dell'epopea che si basava su una comunità nella quale l'individuo si realizzava: nel romanzo moderno la collettività è invece considerata come una massa nella quale l'individuo scompare, cessa di avere una propria personalità.

L'interiorità inoltre viene ora analizzata nei suoi aspetti più semplici e quotidiani, con lo stesso metodo con cui i naturalisti osservavano e descrivevano il cosiddetto «milieu», l'ambiente esterno: in modo cioè analitico e particolareggiato, scomponendola nei suoi diversi elementi.

- I mezzi tecnici più adeguati per esprimere questa frantumazione della realtà interiore risultano essere il monologo interiore ed il suo derivato, il flusso di coscienza, entrambi privi di una successione logica di pensieri e di nessi sintattici. - Il narratore, pur rimanendo in posizione extradiegetica, non è più onnisciente: se si pone in primo piano, lo fa per far emergere i suoi dubbi, le sue problematiche, in una visione personale e parziale della realtà; se invece rimane in disparte, lascia che gli eventi avvengano limitandosi a registrarli senza commentarli.

-Come il narratore, anche il personaggio tende alla dissoluzione: non vengono più descritti caratteri coerenti ed individualizzati come nel romanzo tradizionale, ma spesso uomini comuni, «senza qualità», e dalla personalità indefinita e mutevole. - Altra caratteristica fondamentale è il tema della malattia: nel Novecento la malattia è concepita come nevrosi che conduce alla disgregazione interiore dell'intellettuale. Spingono a questa funzione metaforica della malattia vari motivi, come la scoperta

e la diffusione della psicanalisi ed il fatto che molti intellettuali sono essi stessi affetti da nevrosi. È questo un tema ricorrente nelle opere di Proust, Mann, Musil, Kafka, Svevo, Pirandello, ecc.

- Nel romanzo del Novecento il tempo è interiorizzato, non c'è evoluzione nell'azione, ma stasi; l'autore non è più interessato quindi al tempo meccanico degli orologi o dei calendari, ma a quello soggettivo, vissuto individualmente, messo in primo piano dalla filosofia di Henri Bergson. Il tempo quindi non è più misurato rispetto al suo scorrere oggettivo, ma rispetto alla «durata» che ha nella coscienza del singolo, al quale un'ora può anche sembrare un anno o viceversa. Così scompare la tradizionale proporzione fra il tempo narrativo (quello che si impiega per leggere il libro e che è dato dalla voluminosità del testo) ed il tempo narrato (l'ambito temporale cioè in cui si svolge la vicenda). Parlando del tempo è importante sottolineare la simultaneità, cioè la registrazione contemporanea di tutti i contenuti della coscienza, che sostituisce il susseguirsi degli avvenimenti all'interno del romanzo tradizionale.

- Anche lo spazio (il mondo esterno, il paesaggio e l'ambiente sociale) non possiede più una sua autonomia, ma esiste in funzione del personaggio che lo guarda, perciò assume sfumature diverse e contraddittorie a seconda delle angolazioni psicologiche da cui l'io narrante lo contempla.

- L'annullamento del tempo meccanico influenza anche la struttura sintattica della frase, che si frantuma nella esposizione “disordinata” dei momenti della coscienza, o si estende in misura esasperata per seguire il complesso svolgersi dei pensieri. La disgregazione della sintassi e dei modi di rappresentazione del romanzo moderno rispecchiano il rapporto conflittuale dell'intellettuale con la realtà e la visione caotica, disgregata e incomprensibile che egli ha del mondo esterno.