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3. La disciplina

3.6 Cenni sui centri di detenzione per stranieri negli altri ordinamenti europei

L’esistenza di strutture detentive atte a trattenere coattivamente cittadini stranieri al fine di as- sicurarne l’espulsione dal territorio dello Stato è ormai una realtà consolidata in tutti gli ordi- namenti degli stati dell’Europa. Come è stato notato50, ciò può essere ricondotto all’istituzione

dello stesso “sistema Schengen” (istitutivo, come è noto, di un’area di libera circolazione del- le persone e delle merci tra diversi stati europei), assorbito e ricondotto poi nell’ambito dei trattati fondamentali dell’Unione europea: la (graduale) eliminazione dei controlli alle frontie- re interne allo spazio Schengen comportò un contemporaneo rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne, onde regolare e controllare gli ingressi di persone provenienti da paesi terzi all’area in questione. Come misura complementare nell’ambito della più ampia politica di contrasto al fenomeno dell’immigrazione irregolare, al presidio dei confini esterni al fine di prevenire gli ingressi illegali si accompagnò, contemporaneamente, la definizione di sistemi per garantire l’espulsione degli stranieri che avessero eluso i controlli alla frontiera o che co- munque fossero rimasti sul territorio dello Stato anche oltre la scadenza del permesso di sog- giorno o del visto d’ingresso (i cosiddetti overstayers); in tale ambito, divenne ben presto evi- dente che il trattenimento coattivo degli stranieri irregolari era uno strumento indispensabile per garantire l’effettività delle procedure di espulsione, sotto il profilo tanto dell’attuazione pratica dell’espulsione stessa (prevenendo in particolare la possibilità di una fuga dell’interes- sato) quanto dello spingere lo straniero a collaborare alla procedura stessa rivelando la propria identità, senza tralasciare il più generale effetto dissuasivo su chi fosse intenzionato a immi- grare irregolarmente in Europa. Per quanto gli accordi di Schengen veri e propri chiedessero ai paesi firmatari solo di predisporre misure adeguate ed efficaci per l’attuazione della proce- dura di accompagnamento coattivo alla frontiera degli stranieri espulsi, questa impostazione generale si tradusse in tutti gli stati membri nella creazione di strutture detentive per migranti irregolari.

I centri presso cui sono trattenuti gli stranieri privi di permesso di soggiorno, di visto o co- munque irregolarmente presenti sul territorio nazionale possono essere ricondotti a tre catego- rie generali51: le strutture per il fermo all’arrivo, collocate generalmente nelle zone di transito

(stazioni ferroviarie, porti e aeroporti) e volte a trattenere gli stranieri irregolari sorpresi già

50 MAZZA, op. cit., pp. 26-28. 51 MAZZA, op. cit., pp. 30-33.

all’atto di varcare la frontiera e per il tempo strettamente necessario a definirne lo status (irre- golari da espellere o richiedenti la protezione internazionale); le strutture per i richiedenti asi- lo, atte a ospitare appunto gli stranieri che abbiano avanzato domanda d’asilo o di protezione internazionale per il tempo necessario perché questa domanda sia esaminata, strutture che ge- neralmente sono prive (almeno sotto il profilo formale) dei caratteri del centro di detenzione; e infine le strutture per il trattenimento che precede l’espulsione dello straniero irregolare. Nell’ambito dell’ordinamento italiano, alla prima categoria posso essere ricondotti i Centri di accoglienza (CDA) e i Centri di primo soccorso e assistenza (CPSA), alla seconda categoria i Centri d’accoglienza per i richiedenti asilo (CARA) e alla terza, come è ovvio, i Centri di identificazione ed espulsione. Le strutture destinate a ospitare lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione hanno generalmente i caratteri di un centro di detenzione: i trat- tenuti non possono uscire dal centro, e se lo fanno la misura deve essere ripristinata tramite l’uso della forza pubblica. Questa tipologia di strutture è stata compiutamente istituita nei pae- si dell’area Schengen quantomeno dalla fine degli anni 1990, a pochi anni dell’entrata in vigo- re degli accordi stessi.

In Germania le strutture per la detenzione degli stranieri in attesa di espulsione hanno fatto la loro comparsa nel 1965, con l’approvazione della “legge sugli stranieri” (Auslandergesetz): tale norma prescriveva di trattenere gli stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione in appositi centri per un periodo di sei mesi prolungabile fino a un anno. Vari interventi legi- slativi nel 1990 e nel 1993 hanno formalizzato l’istituzione di un sistema di centri di espulsio- ne diffuso su tutto il territorio nazionale tedesco, cui si accompagna la frequente pratica di trattenere gli stranieri irregolari all’interno degli istituiti penitenziari veri e propri; di contro, nell’ordinamento tedesco esistono anche strutture “aperte”, prive di un vero e proprio caratte- re detentivo, finalizzate ad agevolare la partenza volontaria dello straniero irregolare. Il regi- me attuale è quello dettato dalla “legge sul soggiorno” (Aufenthaltsgesetsz) del gennaio 2005: il trattenimento è disposto da un tribunale locale su richiesta del Dipartimento stranieri o, in alcuni casi, della polizia federale; la decisione sul trattenimento, sottoponibile a revisioni pe- riodiche, è appellabile presso la Corte d’appello regionale e ulteriormente ricorribile davanti all’Alta corte federale e quindi, in ultima istanza, alla Corte costituzionale federale. Il periodo iniziale di trattenimento è di sei settimane, termine rinnovabile più volte fino a un limite mas- simo di 18 mesi; tuttavia, è previsto che se il rimpatrio non avviene entro tre mesi per ragioni

indipendenti dalla volontà del soggetto questi deve essere rilasciato, e il prolungamento oltre i sei mesi può essere disposto unicamente nel caso in cui lo straniero si opponga al rimpatrio. Vi è poi la tendenza a evitare il trattenimento per le persone da lungo tempo residenti in Ger- mania, verso le quali è più frequente la disposizione di misure alternative alla detenzione. Le strutture di detenzione (Abschiebunghaftanstalten) dipendono dai governi degli Stati federati, a cui spetta la definizione delle normative interne dei centri e degli standard minimi da garan- tire ai trattenuti: alcuni Stati hanno emanato leggi ad hoc per disciplinare tali aspetti, mentre altri hanno aggiunto appositi emendamenti alla esistente normativa in materia penale o di cu- stodia di polizia. Il decentramento della gestione e una generale difficoltà di accesso alla do- cumentazione rendono difficile tracciare un’analisi unitaria del sistema: in generale si lamenta una notevole restrittività del regime di detenzione, una scarsità di attività di intrattenimento e socializzazione, e notevoli criticità nell’accesso a trattamenti sanitari di secondo livello o spe- cialistici; solo pochi Stati hanno adottato regolamenti specifici per la tutela dei soggetti vulne- rabili52.

In Francia, la detenzione degli stranieri in attesa della loro espulsione divenne una pratica co- mune a partire dagli anni 1960 ma in un quadro totalmente extralegale: senza alcuna legge che la regolasse, la detenzione era disposta dalla polizia in maniera del tutto arbitraria e occulta, spesso tramite l’uso di strutture fatiscenti e inadeguate. La scoperta nel 1975 di una di queste strutture (il centro di Arenc nel porto di Marsiglia) portò a un lungo dibattito politico a livello nazionale, sfociato in una legalizzazione di tutto il sistema tramite l’approvazione della legge “Bonnet” del gennaio 1980 (l. n. 80-9) e della legge “Questiaux” dell’ottobre 1981 (l. n. 81- 973). La disciplina è ora dettata dal Code de l’entrée et du sejour des étrngers et du droit

d’asile (CESEDA), entrato in vigore il 1° marzo 2005: lo straniero destinatario di un provve-

dimento di accompagnamento alla frontiera o di espulsione che non può essere immediata- mente attuato è soggetto a trattenimento in un Centre de Rétention Administrative (CRA), tra- mite atto scritto e motivato dell’autorità amministrativa emesso dopo un colloquio con l’inte- ressato o un eventuale periodo di detenzione in carcere per scontare una condanna penale, atto che deve essere convalidato entro 48 ore dal Tribunale delle libertà (competente anche per le richieste di proroga) con possibilità di impugnazione davanti alla Corte d’appello. La durata massima del trattenimento, così come fissata dalla legge “Besson” del giugno 2011 (l. n. 2011-672), è di 45 giorni. I CRA, qualificati come strutture non appartenenti all’amministra-

zione penitenziaria, sono attivati e gestiti dalle prefetture territoriali in accordo con i direttori generali della polizia nazionale o della gendarmeria. La regolamentazione dell’organizzazione interna e del trattamento dei soggetti detenuti si basa sulle prescrizioni dettate dal CESEDA e dalle linee guida governative contenute nel decreto n. 2005-617; nonostante queste prescrizio- ni di servizi fondamentali garantiti e di standard comuni, alla cui attuazione partecipano tanto un ente pubblico apposito (l’Office Francais de l’Immigration et de l’Intégration) quanto as- sociazioni umanitarie a carattere nazionale appositamente convenzionate, sono state riscontra- te numerose disomogeneità e differenze da un centro all’altro e forti criticità con riguardo alle condizioni igieniche e sanitarie, allo stato degli edifici e alla loro organizzazione interna, all’assenza di attività di intrattenimento e socializzazione e al clima di tensione dato dalla massiccia presenza di forze dell’ordine53.

Nel Regno Unito i primi centri di detenzione per stranieri da espellere sono stati istituiti con il cosiddetto Immigration Act del 1971, la prima legge organica in tema di immigrazione appro- vata nel paese: in tutti i casi in cui non è possibile eseguire immediatamente l’espulsione il

Secretary of the State o, in alcune circostanze, l’immigration officer possono ordinare il tratte-

nimento dello straniero in apposite strutture che, dal 2002, portano l’appellativo di Immigra-

tion Removal Centre (IRC). La legislazione britannica prevede il trattenimento non solo per

gli immigrati irregolari e richiedenti asilo che hanno visto respingere la loro domanda di pro- tezione, ma anche per i richiedenti asilo entrati regolarmente e in attesa che la loro domanda sia esaminata; come in Germania, anche nel Regno Unito è frequente che gli stranieri oggetto di una condanna penale siano trattenuti in attesa dell’espulsione direttamente in carcere. La legge britannica non fissa un termine preciso di durata della detenzione in un IRC, stabilendo solo che il periodo di trattenimento debba essere di ragionevole durata in relazione alle circo- stanze del singolo caso e comunque debba proseguire solo per il tempo strettamente necessa- rio a rendere effettivo il rimpatrio. Per quanto il tempo di attesa medio si aggiri sui sei mesi e solo una piccola percentuale abbia superato l’anno di durata, ciò può comportare periodi di detenzione di lunghezza indefinita, con singoli casi che hanno raggiunto anche i cinque anni di durata; è tuttavia prevista la possibilità per il trattenuto di chiedere la concessione della li- bertà provvisoria all’Asylum and Immigration Tribunal, che giudica se la detenzione è effetti- vamente giustificata e necessaria. Solo un piccolo numero di IRC sono gestiti direttamente dallo Stato per tramite del HM Prison Sevice (l’organismo pubblico incaricato della supervi-

sione della detenzione penale e amministrativa): in massima parte le strutture sono date in ge- stione a compagnie private attive nel campo della sicurezza, le quali ricevono dallo Stato una quota giornaliera in base al numero dei trattenuti e in cambio devono attenersi a determinati standard gestionali, esposti in un apposito Detention Services Operting Standard Manual for

IRC elaborato dal Ministero dell’Interno britannico. Tutti gli IRC sono poi sottoponibili a

ispezioni tanto da parte dell’ente pubblico preposto (HM Ispector of Prison) quanto di gruppi indipendenti di volontari e cittadini delle comunità dove i centri sorgono. Questo sistema ha generato numerosi problemi: le linee guida ministeriali risultano troppo generiche per garanti- re omogeneità della gestione tra le diverse strutture e tra i diversi enti gestori, situazione ag- gravata dal fatto che i gestori utilizzano il proprio status giuridico di soggetto privato per stemperare alcune delle responsabilità loro attribuite e che i contratti tra il Governo e gli enti gestori sovente presentano lacune e si rivelano non sufficientemente dettagliati e vincolanti. I gruppi di volontari hanno più volte denunciato numerose criticità in merito ai servizi sanitari e di assistenza legale, alla garanzia dei diritti fondamentali, all’uso della forza da parte del per- sonale di sicurezza privato e alla possibilità riconosciuta dalla legge di trattenere in detenzione anche soggetti vulnerabili (minori, donne incinte, disabili e persone con disturbi mentali)54.

In Spagna, i centri (Centros de Internamiento de Extranjeros o CIE) sono stati istituiti nel 1985 con la “legge organica sui diritti e le libertà degli stranieri” (legge 7/1985), la quale ap- punto legittimava la possibilità di trattenere in strutture, definite come “non penitenziarie”, gli stranieri in attesa dell’esecuzione del provvedimento di espulsione coattiva notificato; vari in- terventi normativi successivi (leggi 4/2000, 11/2003 e 14/2003) hanno poi accresciuto le moti- vazioni e le condizioni per le quali è disponibile un trattenimento in un CIE. Il trattenimento è disposto dalle autorità di polizia in via preventiva per un massimo di 72 ore. Entro 24 ore dal fermo dello straniero, gli atti devono essere trasmessi al giudice istruttore che decide sulla pertinenza del trattenimento in un CIE; lo straniero può quindi avanzare ricorso avverso il trattenimento davanti a un giudice del contenzioso amministrativo. La durata massima del trattenimento è di 60 giorni. La “legge organica” detta alcuni principi generali circa il regime di detenzione, per il resto demandato ai regolamenti interni dei singoli centri cui dal 2012 si è affiancato un regolamento comune per l’organizzazione e il funzionamento delle strutture. Tra le criticità più riscontrate, si lamenta un regime eccessivamente severo per quanto riguarda i contatti con l’esterno (non esiste un regolamento preciso per l’accesso alle strutture da parte

di organizzazioni indipendenti), la mancanza di attività ricreative, un’assistenza sanitaria ero- gata in modo discontinuo e l’assenza di tutele specifiche per i soggetti vulnerabili55.

In Svezia i centri di detenzione per migranti sono stati introdotti a partire dal 1985 e l’attuale regime legislativo è quello dettato dalla “legge sugli stranieri” (Utlanningslagen 2005: 716) in vigore dal 2006. Il trattenimento è disposto dall’autorità amministrativa, con l’esplicita previ- sione che esso deve essere usato solo come misura residuale quando non si può fare ricorso ad altre misure meno coercitive. Avverso al trattenimento è possibile proporre apposito ricorso al tribunale amministrativo supremo o all’apposito tribunale dell’immigrazione, competente an- che per i ricorsi concernenti le condizioni del trattenimento stesso. La durata massima del trat- tenimento varia in base alla motivazione per la quale esso è stato disposto: 48 ore quando è fi- nalizzato all’identificazione dello straniero, due settimane quando bisogna indagare sul pos- sesso dei requisiti di residenza in Svezia, due mesi per l’esecuzione di un ordine di espulsione o di ingresso negato; è previsto poi un termine massimo inderogabile di trattenimento pari a 12 mesi. Le strutture di trattenimento (Forvarsenheter), prima date in gestione a compagnie di sicurezza private, sono dal 1997 amministrate dai servizi sociali statali sotto l’egida del Mini- stero della Giustizia (per tramite dell’apposito Ministero dell’Immigrazione), cosa che ha comportato una più chiara distinzione dal resto del regime carcerario e nettamente migliorato le condizioni di vita all’interno dei centri, con diminuzione delle criticità prima riscontrate56.