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I centri di identificazione ed espulsione: evoluzione legislativa, disciplina giuridica, problemi costituzionali. The Identification and Expulsion Centres: legislative evolution, juridical discipline, constitutional issues.

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Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

I centri di identificazione ed espulsione:

evoluzione legislativa, disciplina giuridica, problemi costituzionali.

The Identification and Expulsion Centres:

legislative evolution, juridical discipline, constitutional issues

Il candidato

Il relatore

Francesco Lenzi

Prof. Gianluca Famiglietti

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Indice

1. Introduzione...4

2. L’evoluzione della legislazione...9

3. La disciplina...17

3.1 Respingimento, espulsione e modalità di attuazione...17

3.2 Il trattenimento: l’avvio della procedura e la convalida...19

3.3 Gestione, organizzazione e modalità del trattenimento...24

3.3.1 Il sistema dei CIE e la loro gestione...24

3.3.2 Gli “ospiti”: chi sono i trattenuti...29

3.3.3 Modalità del trattenimento...32

3.4 La durata del trattenimento...38

3.5 Considerazioni su costi ed efficacia del sistema dei CIE...42

3.6 Cenni sui centri di detenzione per stranieri negli altri ordinamenti europei...46

4. Le problematiche della normativa...51

4.1 Il concetto di “detenzione amministrativa”...51

4.2 Il trattenimento nei CIE è una forma di detenzione?...52

4.3 Le problematiche connesse all’articolo 13 Costituzione...56

4.4 Le questioni legate alle norme sovranazionali...63

4.5 Le problematiche del procedimento di convalida...70

4.6 Le condizioni di detenzione e il principio della dignità umana...78

5. Conclusioni...82

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1. Introduzione

Nell’ambito del cosiddetto “spazio Schengen” e della definizione da parte degli Stati dell’Unione europea di un’area di libera circolazione delle persone, il tema della gestione dei flussi migratori provenienti dalle nazioni esterne allo spazio stesso riveste un’importanza pre-minente: alla previsione di un’area di libera circolazione per i cittadini degli Stati d’Europa è corrisposta l’imposizione di controlli severi sugli ingressi di persone provenienti da Stati “ex-tracomunitari”, estranei allo stesso spazio Schengen; alla “cancellazione” delle frontiere inter-ne all’area di libera circolaziointer-ne europea è corrisposto un irrigidimento delle frontiere esterinter-ne onde meglio distinguere i soggetti che effettivamente godessero del diritto alla libera circola-zione. È in questo scenario che si sviluppa il tentativo di definire strategie comuni tra i vari Stati per definire le modalità dell’ingresso all’interno dei loro confini e i conseguenti casi e modi di espulsione di quegli stranieri che non avessero presentato i requisiti richiesti per con-tinuare a permanere sul territorio dello Stato. Pur continuando a mancare una vera e propria politica comunitaria in tema di immigrazione, i vari Stati dell’Unione europea hanno quindi teso ad armonizzare le rispettive legislazioni in tema di contrasto e soppressione del fenomeno dell’immigrazione “illegale”, tanto sotto il profilo della sorveglianza delle frontiere quanto dell’identificazione dei soggetti “clandestini” da destinare all’espulsione dallo spazio comune di libera circolazione. Il lavoro di indagine da parte degli organi di polizia per la verifica dei titoli necessari agli stranieri per continuare a permanere sul territorio dello Stato ha comporta-to la necessità di istituire dei luoghi dove ospitare i soggetti fermati in attesa di essere compiu-tamente identificati, nonché di strutture dove trattenere le persone destinatarie di un provvedi-mento di espulsione fino a che l’espulsione stessa non possa essere concretamente eseguita, scongiurando così ogni pericolo di fuga e di sottrazione indebita alla procedura di allontana-mento; in ottemperanza a tali esigenze, quindi, tutti gli Stati dell’Unione europea si sono dota-ti, chi prima e chi dopo, di un sistema di centri di trattenimento coattivo destinati agli stranieri oggetto di un provvedimento di allontanamento o espulsione dal territorio dello Stato: struttu-re che in Italia hanno pstruttu-reso la definizione di “Centri di identificazione ed espulsione” o CIE.

Al centro di questo studio vi è quindi l’istituto del Centro di identificazione ed espulsione, sotto i vari profili della sua evoluzione legislativa, della sua disciplina giuridica dettata dalle norme di legge e regolamentari e dei vari problemi che questa disciplina pone sotto il profilo

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del rispetto dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione della Repubblica italiana e dalle norme sovranazionali in materia di diritti fondamentali. La ricognizione sommaria dell’evoluzione della normativa italiana in tema di espulsione degli stranieri irregolari, svolta nella prima parte di questo studio, non è solo necessaria per porre nel corretto inquadramento storico lo sviluppo di questo particolare istituto, ma pone in risalto alcuni elementi caratteriz-zanti che avranno influenza nel tratteggiare la disciplina concreta del trattenimento coattivo degli irregolari stessi. Nonostante le previsioni della Costituzione repubblicana (art. 10 com-ma 2), una legislazione puntuale sulla condizione giuridica dello straniero presente sul territo-rio nazionale è stata considerata dal legislatore come una questione non pterrito-rioritaria, in un pae-se come l’Italia del resto caratterizzato per larga parte della sua storia più da fenomeni di emi-grazione verso l’esterno che di immiemi-grazione da altri paesi. Proprio questa inversione tra i flussi in uscita e quelli in entrata, rinvenibile già a partire dagli anni 1980 ma divenuta palese dalla metà degli anni 1990 con gli arrivi di grandi masse di profughi e migranti economici dai paesi della penisola balcanica, portò ai primi tentativi di definire più compiutamente una di-sciplina dell’allontanamento degli stranieri irregolari ancora ferma, nei suoi capisaldi essen-ziali, alle leggi di pubblica sicurezza dell’epoca fascista (quando non ancorata a fonti non le-gislative come le circolari ministeriali). La regolamentazione delle procedure di espulsione degli stranieri secondo canoni in linea con quelli di altri paesi europei, questione divenuta im-pellente dopo l’adesione dell’Italia al sistema Schengen nel 1990, conobbe quindi la sua pri-ma grande riorganizzazione legislativa con la legge “Turco-Napolitano” del 6 pri-marzo 1998, n. 40, cui seguì di poco l’emanazione di un “Testo unico delle disposizioni concernenti la disci-plina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” abrogativo della discidisci-plina precedente; è proprio nella legge “Turco-Napolitano” che fa la sua comparsa l’istituto del trat-tenimento coattivo degli stranieri irregolari, da attuarsi in strutture apposite dette “Centri di permanenza temporanea e assistenza” (CPTA): pur potendo rinvenire dei “progenitori” nella disciplina precedente, l’istituto è fondamentalmente una novità per l’ordinamento italiano, benché esso fosse già presente da tempo nelle legislazioni degli altri principali paesi europei. Poco più di quattro anni dopo l’entrata in vigore del testo unico, la legislazione in materia di centri per il trattenimento degli stranieri (come pure il resto dell’ordinamento dell’immigra-zione) subisce la prima significativa modifica con la legge “Bossi-Fini” (legge 30 luglio 2002 n. 189), inaugurando così una stagione di frequenti interventi normativi sulla materia con otto riforme piccole e grandi (che arrivano a nove contando il recente “decreto Minniti”, decreto

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legge 17 febbraio 2017 n. 13, non ancora convertito in legge) susseguitesi in un arco di quin-dici anni, durante il quale l’istituto subisce numerose variazioni tra cui quella della denomina-zione delle strutture, ora definite “Centri di identificadenomina-zione ed espulsione” o CIE (“Centro di permanenza per i rimpatri” secondo le modifiche introdotte dal decreto Minniti). Questo dina-mismo legislativo, in netto contrasto con il relativo immobilismo della disciplina dell’immi-grazione nell’epoca della “Prima Repubblica”, è stato quasi sempre portato avanti con lo stru-mento del decreto legge (utilizzato in cinque delle citate otto riforme seguite alla legge “Bossi-Fini”), sottolineando così come esso sia avvenuto per fronteggiare il sorgere di situa-zioni di emergenza dettate da grandi sommovimenti geopolitici (gli attentati del terrorismo islamico nelle capitali d’Europa, il collasso di diversi governi dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente durante il periodo delle “primavere arabe” con le conseguenti guerre civili e flussi di profughi e rifugiati in fuga verso le coste europee), ma anche (meno legittimamente) per rispondere ai rilievi e alle censure della disciplina da parte della Corte Costituzionale e della Corte di giustizia dell’Unione europea.

La seconda parte di questo studio si concentra in una disamina della disciplina del tratteni-mento coattivo degli stranieri all’interno dei CIE. Seguendo idealmente passo passo tutto il procedimento, si inizia dal presupposto fondamentale del trattenimento stesso, ovvero l’irro-gazione nei confronti dello straniero di un provvedimento di espulsione, di cui se ne tracciano i caratteri fondamentali in merito alle modalità di attuazione; è proprio nelle more dell’attua-zione del provvedimento di espulsione che è possibile per la pubblica autorità disporre il trat-tenimento dello straniero presso un CIE, misura esplicitamente prevista dall’ordinamento come metodo principale per garantire l’effettività pratica dell'espulsione stessa qualora essa non possa essere attuata con immediatezza, scongiurando in particolare il pericolo di fuga dell’interessato: si analizzeranno quindi gli aspetti fondamentali relativi all’avvio della proce-dura, alle motivazioni che giustifichino l’emanazione del provvedimento di trattenimento, alla convalida giudiziaria del provvedimento stesso, alla durata ed eventuale cessazione anticipata del trattenimento. L’analisi prosegue con una trattazione della disciplina “pratica” del tratteni-mento a iniziare da una disamina della normativa in materia di gestione ed organizzazione delle strutture adibite a CIE per proseguire con una valutazione delle condizioni di vita cui i soggetti trattenuti vanno incontro una volta entrati nei centri; l’analisi di quest’ultimo aspetto mette in luce diverse gravi criticità di tutto il sistema dei centri per stranieri, sovente venute

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all’attenzione dell’opinione pubblica a seguito di gravi fatti di cronaca (dalle proteste e scio-peri della fame inscenati dagli stessi “ospiti” fino a vere e proprie sommosse e rivolte, per cul-minare con casi purtroppo non rari di suicidi e morti accidentali tra i trattenuti): si tenterà quindi di tracciare un parallelo tra quelle che dovrebbero essere le condizioni di vita all’inter-no dei centri e le modalità del trattenimento così come stabilite dalle varie fonti all’inter-normative in merito (il regolamento di attuazione del testo unico e soprattutto il regolamento unico per i centri di espulsione emanato dal Ministero dell’Interno nel 2014, in questo sanando il prece-dente regime dove molta della disciplina era contenuta nei singoli regolamenti interni dei cen-tri stessi, con conseguenti disuguaglianze e disparità di trattamento), e quelle che sono le con-dizioni reali riscontrate dalle campagne di ispezioni delle strutture e di interviste ai loro occu-panti portate avanti tanto da soggetti istituzionali (la Commissione diritti umani del Senato della Repubblica) quanto da organizzazioni attive nella tutela dei diritti fondamentali (Medici per i diritti umani, Medici senza frontiere). A conclusione di questa parte dello studio vi sono poi delle considerazioni generali in materia di costi economici di tutto il sistema dei CIE (per quanto lo consenta la generale carenza di dati chiari e precisi in merito, carenza denunciata del resto anche da un soggetto istituzionale come la Corte dei Conti) e di “efficacia” dello stesso, ovvero di una valutazione della funzionalità del sistema nel garantire l’effettivo rimpa-trio dei soggetti sottoposti ad esso; seguono poi, con un intento comparativistico, alcuni cenni sui sistemi di detenzione e trattenimento degli stranieri da espellere in vigore nei principali paesi europei.

La terza parte dello studio si concentra sulle problematiche della legislazione dei CIE in meri-to al rispetmeri-to dei fondamentali diritti dell’uomo sanciti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali in materia, come pure in merito al rispetto della normativa comunitaria in tema di espulsione degli stranieri: temi che costituiscono un capitolo centrale nel dibattito dottrinale sui centri di espulsione per migranti. Fin dalla sua origine come CPTA e poi ancora con il pro-gressivo irrigidimento della sua disciplina (soprattutto sotto il profilo della durata del tratteni-mento), il sistema dei Centri di identificazione ed espulsione è stato sottoposto a critiche an-che accese da parte della dottrina in merito al rispetto di alcuni capisaldi fondamentali del no-stro ordinamento costituzionale, stante la sua natura di sistema di “detenzione amministrati-va”: di limitazione della libertà personale, cioè, inflitta non dall’autorità giudiziaria come con-seguenza della commissione di un reato, ma dall’autorità di pubblica sicurezza come

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strumen-to operativo per agevolare il compimenstrumen-to e la riuscita di una procedura amministrativa. Al di-battito sul fatto se il trattenimento nei CIE fosse una forma di detenzione, invero facilmente risolto in senso positivo dalla dottrina a dispetto dei rilievi opposti formulati dal legislatore, ha fatto seguito quindi una severa analisi del rispetto dei principi fondamentali in tema di limita-zioni della libertà personale sanciti dall’art. 13 della Costituzione anche alla luce di una com-parazione della disciplina dei CIE con quella di altri istituti assimilabili, come la normazione delle strutture carcerarie in seno all’ordinamento penitenziario e la normativa penale in mate-ria di misure cautelari personali; tale analisi ha portato alla luce, nell’opinione di vari autori, severe mancanze della disciplina normativa del sistema dei CIE e di contrasto con le riserve di legge e di giurisdizione stabilite nel dettato dell’art. 13, con conseguente ipotesi di illegittimi-tà costituzionale di parte della normativa stessa. Lo studio prosegue poi con una disamina del-la disciplina dei CIE con riferimento aldel-la normativa comunitaria in tema di espulsione degli stranieri, e segnatamente alla cosiddetta “direttiva rimpatri” (direttiva 2008/11/CE) approvata dal Parlamento europeo con il preciso intento di definire procedure comuni a tutti gli Stati membri dell’Unione per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi; anche in questo caso, l’analisi ha sollevato elementi di criticità della normativa italiana, mettendo in luce come il legislatore italiano abbia dato un’attuazione parziale se non solo formale della direttiva stessa, tralascian-do aspetti importanti e dantralascian-do un’interpretazione dei principi sanciti nell’atto comunitario che più si confacesse all’impostazione fino ad allora seguita anche se ciò finiva con il tradire la loro ratio originale. L’analisi prosegue poi con le valutazioni formulate dalla dottrina in meri-to a specifici punti e questioni del procedimenmeri-to giudiziario di convalida del trattenimenmeri-to, sempre con riferimento alla tutela di principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale come i diritti di difesa dell’interessato o l’imparzialità e la precostituzione del giudice. Criti-che in particolare sono state sollevate con riferimento alla scelta fatta dal legislatore del giudi-ce di pagiudi-ce come giudigiudi-ce del progiudi-cedimento e del rito in camera di consiglio come rito del pro-cedimento di convalida del trattenimento, scelte che privilegiano la celerità e speditezza del giudizio di convalida ma che destano gravi perplessità circa la loro applicabilità a un procedi-mento che influisce su un diritto di importanza capitale come quello della libertà personale. Infine si analizzano le materiali condizioni di vita all’interno delle strutture adibite a CIE alla luce del rispetto del fondamentale principio della dignità umana e del divieto di sottoposizione a tortura e trattamenti degradanti, citando in particolare due importanti pronunce dei tribunali di Bari e di Crotone.

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2. L’evoluzione della legislazione

L’istituto del trattenimento coattivo degli stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazio-nale, e destinatari per questo di un provvedimento di espulsione, fa il suo ingresso con la co-siddetta “Legge Turco-Napolitano” del 6 marzo 1998, n. 40; tuttavia, già nella legislazione precedente riguardante il tema del trattamento degli stranieri e della loro espulsione1 si può

rinvenire una serie di disposizioni che costituiscono una sorta di “progenitori” di questo istitu-to e delle sue successive evoluzioni.

Vero “peccato originale” in tema di detenzione degli stranieri da espellere2 era l’articolo 73

della legge di pubblica sicurezza 6 marzo 1865 n. 2248, allegato B, il quale stabiliva, nell’ambito del potere suppletivo concesso alle autorità di pubblica sicurezza in tema di espul-sione di stranieri già condannati in sede giudiziaria per i reati di ozio e vagabondaggio (artico-li 439 e 446 dell’allora codice penale), l’assegnazione a detti stranieri da espellere di un “luo-go di confino” qualora la loro nazionalità non fosse stata certa e non fosse stato quindi possi-bile procedere al loro accompagnamento alla frontiera. Lo stesso trattamento era poi previsto anche per gli stranieri condannati per reati contro la proprietà.

Il già ampio e ampiamente discrezionale potere concesso, durante il periodo liberale, alle au-torità di pubblica sicurezza in tema di espulsioni degli stranieri crebbe ulteriormente dopo l’avvento del regime fascista. Alle varie leggi in tema di pubblica sicurezza e alle previsioni del “codice Rocco” si affiancarono le circolari del Ministero dell’Interno, le quali andarono a costituire una vera e propria integrazione della normativa disponendo e legittimando prassi applicative non previste dalla legislazione stessa o anche apertamente contrastanti con essa; era questo il caso della cosiddetta “espulsione a proprio rischio e pericolo” (definizione conia-ta dallo stesso Ministero degli Interni3), alternativa agli ordinari strumenti dell’espulsione

me-diante accompagnamento coattivo alla frontiera o emissione di foglio di via obbligatorio

pre-1 Per una disamina generale della legislazione in tema di condizione giuridica degli stranieri e della disciplina dell’espulsione nella legislazione italiana dall’Unità a oggi, vedi ISIDE GJERGJI, Il trattenimento dello

straniero in attesa di espulsione: una terra di nessuno tra ordine politico e fatto giuridico,

www.costituzionalismo.it .

2 La definizione è di GJERGJI, op. cit., p. 4.

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visti dalla legislazione in vigore: questa modalità, riservata agli stranieri sprovvisti di mezzi con cui pagarsi il viaggio o dei documenti necessari all’espatrio, consisteva nell’accompagna-mento coattivo dell’espellendo alla frontiera da lui prescelta perché abbandonasse il territorio nazionale entrando clandestinamente in uno degli Stati confinati con l’Italia. Sorretta da un “sistema operativo” messo in piedi dal Ministero stesso con la collaborazione di Prefetture e uffici di polizia di frontiera (volto, ad esempio, a identificare i valichi di frontiera meno sorve-gliati dalle autorità degli Stati confinanti o i più efficaci metodi di fuoriuscita clandestina dal territorio nazionale), questa modalità si valeva anche del trattenimento coattivo (ovvero deten-zione) dello straniero presso gli uffici di polizia delle località di confine: trattenimento riser-vato agli stranieri sprovvisti di documenti d’identità al momento del loro ingresso in Italia, e quindi anche agli stranieri espulsi “a loro rischio e pericolo” e nuovamente respinti in Italia dalle autorità degli Stati confinati; questa forma di trattenimento era del tutto slegata da qual-siasi previsione legislativa, regolamentata solo nella prassi applicativa e molto spesso disposta a tempo indeterminato (stante, del resto, la sua natura totalmente “abusiva”).

Nonostante l’attenzione riservata dalla Costituzione alla tutela dei diritti fondamentali anche degli stranieri presenti sul territorio nazionale, nell’Italia repubblicana il regime dell’espulsio-ne rimase per lungo tempo disciplinato dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 733) di epoca fascista e dal rispettivo regolamento di attuazione (Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635), integrato da alcune disposizioni ulteriori la più im-portante delle quali fu la cosiddetta “legge Reale” (legge n. 152/1975). Scarsamente attento a definire compiutamente la condizione giuridica degli stranieri, l’intero sistema era principal-mente diretto alla repressione penale dell’illecita permanenza degli stranieri sul territorio na-zionale e, nel complesso, era ancora caratterizzato da una normativa instabile pesantemente integrata da disposizioni di natura ministeriale e altre fonti non legislative, al punto di assiste-re a un passiste-revaleassiste-re come fonte del diritto della prassi applicativa sulla legge stessa. Una prima sostanziale risistemazione complessiva per via legislativa della disciplina dell’espulsione si ebbe con la legge 28 febbraio 1990 n. 39 (conversione in legge del precedente decreto legge 30 dicembre 1989 n. 461) o “legge Martelli”; tra le varie disposizioni di riordino della mate-ria, la legge, nel prevedere la possibilità di ricorso al Tribunale amministrativo regionale del luogo di domicilio avverso il provvedimento di espulsione, stabilì (art. 7 commi 11 e 12) la possibilità per il questore che disponeva l’espulsione di richiedere al presidente del tribunale

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di applicare allo straniero, anche prima dell’inizio del procedimento, la misura della sorve-glianza speciale con o senza l’obbligo di soggiorno in una determinata località, stabilendo inoltre in caso di violazione della misura l’arresto e la pena della reclusione fino a due anni. La misura dell’art. 7 legge n. 39/1990 può essere considerata un perfetto antecedente storico della misura del trattenimento stabilita dalla successiva legge Turco-Napolitano, anche se dai risvolti pratici ancora limitati: in un sistema che adottava come modalità privilegiata di espul-sione quella tramite intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato, la sorveglianza spe-ciale come ausilio della procedura di espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ri-vestiva un carattere operativo sostanzialmente marginale4.

Un ulteriore passo prima della legge Turco-Napolitano fu il decreto legge del 30 ottobre 1995 n. 451, convertito con la legge 29 dicembre 1995 n. 563 (cosiddetta “legge Puglia”): durante un periodo di costanti arrivi sulle coste della Puglia di immigrati provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico, fu deciso di istituire tre centri (poi stabiliti a Brindisi, Lecce e Otranto) lungo le coste pugliesi volti ad accogliere i gruppi di stranieri “privi di qualsiasi mezzo di sostenta-mento ed in attesa di identificazione o espulsione”, al fine di risolvere le esigenze di prima as-sistenza dei suddetti. A questo fece seguito il “decreto Dini” (decreto legge 18 novembre 1995 n. 489), reiterato per cinque volte fino al 1996 senza poi essere convertito in legge: il decreto stabilì per la prima volta l’applicazione di una misura di trattenimento coattivo, individuata nell’obbligo di dimora già previsto dall’art. 283 codice di procedura penale, in determinati casi in cui l’espulsione non potesse essere attuata immediatamente (ovvero quando vi fosse bisogno di procedere ad accertamenti relativi all’identità dello straniero o all’acquisizione di documenti di viaggio) oppure in caso di pericolo di fuga dell’interessato. Analogamente alla misura prevista come misura cautelare del processo penale, l’obbligo di dimora stabilito a ca-rico dello straniero si concretizzava nella prescrizione di non allontanarsi dall’edificio indivi-duato nel provvedimento e scelto tra quelli indicati dal Ministero dell’Interno, pena la reclu-sione fino a un anno.

La misura del trattenimento coattivo dello straniero da espellere fa il suo ingresso ufficiale nell’ordinamento italiano con la legge 6 marzo 1998 n. 40 (“Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), detta “legge Turco-Napolitano” dal nome dei suoi firmatari (l’allora Ministro per la solidarietà sociale Livia Turco e l’allora Ministro

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no Giorgio Napolitano); la legge confluirà poi nel successivo decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, anche detto “Testo unico dell’immigrazione” o TUI), abrogativo di gran parte della precedente disciplina così come stabilito dall’art. 47 della stessa legge 40/1998. La legge Turco-Napolitano costituisce in Italia la prima normativa organica in materia di immigrazione e diritti degli stranieri; la norma tende a oscillare tra due differenti impostazioni di fondo, definite come “egalitarista” e “promozionale” l’una, “della tolleranza zero” l’altra, la prima applicata nei confronti degli immigrati regolari, la seconda attuata verso gli stranieri non in regola con le norme per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato5.

In tema di espulsione degli irregolari la legge non modifica più di tanto la precedente discipli-na per quanto riguarda la casistica dei presupposti di espulsione e i modi e le forme di attua-zione dell’espulsione stessa, così come definite dalla precedente legge 39/1990, stabilendo però una più efficace tutela giurisdizionale avverso il provvedimento di espulsione tramite la proposizione del relativo ricorso non davanti al pretore ma davanti al Tribunale amministrati-vo regionale. La novità più importante in tema di espulsione è contenuta nell’art. 12 (poi art. 14 del TUI): la norma dispone il trattenimento dello straniero destinatario di un provvedimen-to di espulsione, nei casi nei quali l’espulsione stessa non può essere eseguita immediatamen-te. Il trattenimento, disposto con decreto del questore e convalidato dal giudice amministrati-vo secondo il procedimento in camera di consiglio stabilito dall’art. 737 e seguenti del codice di procedura civile, deve tenersi in una struttura denominata “Centro di permanenza tempora-nea e assistenza” (CPTA), individuata dal Ministero dell’Interno di concerto con i Ministeri per la solidarietà sociale e del tesoro, e la sua durata è fissata in venti giorni prolungabili dal giudice di altri dieci in certe circostanze.

La disciplina delle modalità di trattenimento nei CPTA era fondamentalmente assente dalla legge Turco-Napolitano, lacuna colmata dal successivo regolamento di attuazione del testo unico dell’immigrazione (d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394) che all’art. 21 stabilì alcuni principi di massima: il trattenimento è disponibile solo all’interno dei centri individuati dal Ministero dell’Interno, salvo la possibilità di disporlo in un luogo di cura qualora lo straniero necessiti di assistenza medica; la puntuale definizione delle regole di convivenza all’interno del centro è demandata al prefetto sentito il questore, garantendo comunque una serie di diritti basilari puntualmente individuati (i diritti fondamentali della persona, la libertà di colloquio con il

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fensore, i ministri di culto e gli altri visitatori cui è concesso l’accesso al centro, la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno); è esplicitamente stabilito “l’assoluto divieto per lo straniero di allontanarsi dal centro”, nonché l’accompagnamento ad opera della forza pubblica ogniqualvolta il trattenuto debba uscire dal centro stesso. All’art. 22, infine, sono de-finiti alcuni principi di massima per l’istituzione dei centri di trattenimento, compito quest’ultimo attribuito al prefetto in conformità alle istruzioni di carattere organizzativo, am-ministrativo e contabile emesse dal Ministero dell’Interno.

Poco più di quattro anni dopo la sua entrata in vigore, il TUI subì rilevanti modifiche ad opera della legge 30 luglio 2002 n. 189 (nota anche come “Legge Bossi-Fini” dal nome dei suoi fir-matari, l’allora Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione Umberto Bossi e l’allora Vicepresidente del Consiglio dei ministri Gianfranco Fini). Nell’ambito di una visione dei movimenti migratori come “variabile dipendente dal mercato e, in particolare, dalle esigenze del mondo delle imprese”6, la legge pose l’immigrazione al centro delle questioni di ordine

pubblico e di supposte esigenze di sicurezza, stabilendo importanti modifiche in tema di espulsione dello straniero irregolare: in particolare, l’espulsione è ora irrogata tramite decreto motivato immediatamente esecutivo e non sospendibile in caso di proposizione di ricorso, e la modalità di attuazione è unicamente quella dell’accompagnamento alla frontiera mediante l’uso della forza pubblica. Il trattenimento presso i CPTA è non solo confermato ma rafforzato con la previsione di un allungamento del periodo di custodia a trenta giorni, prolungabili di al-tri trenta qualora si risconal-trino difficoltà nell’accertamento dell’identità dell’interessato o nel reperimento dei documenti necessari per il viaggio; decorso inutilmente il periodo di tratteni-mento il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni, sotto pena dell’arresto obbligatorio da sei mesi a un anno. Il trattenimento è altresì previsto non solo verso gli stranieri soggiornanti irregolarmente sul territorio dello Stato ma anche nei confronti dei richiedenti asilo, in una serie di ipotesi stabilite dall’art. 32 e legate principal-mente all’identificazione del soggetto e al procedimento per l’accertamento del suo status: il trattenimento è disposto presso gli appositi centri di identificazione per i richiedenti asilo nella maggior parte dei casi, salva l’ipotesi di un richiedente asilo già destinatario di un provvedi-mento di espulsione o respingiprovvedi-mento il quale viene trattenuto presso un CPTA; questa nuova previsione di trattenimento è disponibile tramite decreto del questore, ma avverso di esso non

6 LIVIO PEPINO, La Legge Bossi-Fini. Appunti su immigrazione e democrazia, in “Diritto, Immigrazione e Cittadinanza”, n. 3/2001, p. 11.

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è previsto alcuno strumento concreto di tutela giurisdizionale né è stabilita con precisione la durata del trattenimento.

La nuova disciplina introdotta dalla legge Bossi-Fini sollevò non poche perplessità in merito alla sua costituzionalità, culminate in due pronunce della Corte Costituzionale, entrambe del 2004: la sentenza n. 222/2004, che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 comma 5 bis del Testo Unico “nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolger-si in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla fron-tiera, con le garanzie della difesa”, e la sentenza n. 223/2004, che dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 14 comma 5 quinquies del Testo Unico nella parte in cui prevedeva l’arresto obbliga-torio da sei mesi a un anno dello straniero che si era trattenuto sul terriobbliga-torio dello Stato nono-stante l’intimazione del questore ad andarsene, nono-stante la natura di reato contravvenzionale del-lo stesso per il quale il codice di procedura penale non prevede nemmeno l’arresto facoltativo. A seguito di queste pronunce, il governo intervenne con l’emanazione del decreto legge 14 settembre 2004 n. 214, convertito con la legge 12 novembre 2004 n. 271: la norma apportò una generale rivisitazione del Testo Unico, provvedendo tra le altre cose a stabilire la natura di delitto per l’illecito trattenimento dello straniero destinatario di un ordine di allontanamento (onde garantire così l’arresto dell’interessato, aggirando la pronuncia della Corte Costituzio-nale nella sentenza 223/2004) e a trasferire la competenza relativa alla convalida dei provve-dimenti di trattenimento e accompagnamento alla frontiera e delle impugnazioni avverso i provvedimenti di espulsione dal tribunale amministrativo al giudice di pace. Sono state poi apportate diverse modifiche al rito, stabilendo per il giudizio di convalida la modalità dell’udienza in camera di consiglio alla presenza necessaria di un difensore dello straniero.

Gli attacchi terroristici verificatisi a Londra nel luglio 2005 portarono all’emanazione da parte del governo di un pacchetto di “misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”, contenuto nel decreto legge 27 luglio 2005 n. 144, convertito poi dal Parlamento nella legge 31 luglio 2005 n. 155: pur senza comportare modifiche alla normativa del trattenimento vero e proprio la legge impose un sensibile aggravamento della disciplina concernente l’espulsione con la previsione dell’espulsione immediata, per disposizione del Ministro dell’Interno o, su sua delega, del prefetto, dello straniero la cui permanenza sul territorio nazionale possa agevo-lare in ogni modo organizzazioni o attività terroristiche. Ulteriori aggiustamenti alla disciplina

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delle espulsioni e del trattenimento si ebbero poi con il “pacchetto sicurezza” contenuto nel decreto legge 23 maggio 2008 n. 92, convertito nella legge 24 luglio 2008 n. 125, volto a con-trastare fenomeni di criminalità diffusa connessi all’immigrazione irregolare: sotto il profilo del trattenimento nei CPTA, in particolare, fu innalzato il termine massimo della durata del provvedimento, portato a un totale di 180 giorni tramite la possibilità di concessione di più proroghe successive; si assistette anche a una modifica “nominalistica”, mutando la denomi-nazione dei Centri di permanenza temporanea e assistenza in “Centri di identificazione ed espulsione” (CIE).

Questa disciplina fu sensibilmente rimaneggiata neppure un anno dopo con l’approvazione della legge 15 luglio 2009 n. 94: oltre a prevedere nuove restrizioni alla condizione giuridica degli stranieri, la norma introdusse la fattispecie di reato di “immigrazione clandestina” (poi fonte di lunghe discussioni in sede politica, dottrinale e giurisprudenziale) e aumentò ulterior-mente il periodo massimo di trattenimento in un CIE, innalzato per effetto della somma di più proroghe successive di 60 giorni fino a un totale di 18 mesi. Altre modifiche al Testo Unico furono apportate con il decreto legge 12 novembre 2010 n. 187, convertito con la legge 17 di-cembre 2010 n. 217, contenente norme volte a disciplinare l’espulsione dei cittadini comuni-tari.

Una ulteriore serie di modifiche alla disciplina dell’espulsione dello straniero si rese necessa-ria a seguito di due importanti interventi in sede comunitanecessa-ria: l’approvazione da parte del Par-lamento europeo della direttiva 2008/115/CE (la cosiddetta “direttiva rimpatri”), volta a stabi-lire un quadro di regole comuni tra gli Stati membri dell’Unione europea in materia di rimpa-trio di cittadini di paesi terzi, e la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 28 aprile 2011 causa C-61/11 PPU (cosiddetta sentenza “El Dridi”), relativa alla compatibilità della normativa italiana in tema di allontanamento dello straniero con la sopracitata direttiva. Per andare incontro ai rilievi sollevati dal giudice comunitario e dare attuazione alla “direttiva rimpatri” (nonché alla precedente direttiva 2004/38/CE in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari), il governo italiano intervenne con il decreto legge 23 giugno 2011 n. 89, convertito nella legge 2 agosto 2011 n. 129: tra le altre cose, fu eliminata la previsione dell’arresto per l’inottemperanza all’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato da

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par-te dello straniero (ora sanzionata con una semplice multa), accogliendo così il rilievo solleva-to dalla sentenza “El Dridi”.

Gli interventi più recenti effettuati sulla disciplina del trattenimento si sono caratterizzati per una serie di inversioni di tendenza rispetto all’andamento complessivo degli atti di modifica fino ad allora effettuati. In particolare, con un emendamento parlamentare alla legge 30 otto-bre 2014 n. 161 (o “legge europea 2013-bis”) il termine massimo per il trattenimento in un CIE è stato per la prima volta diminuito invece che aumentato, portandolo da 18 mesi a 90 giorni (30 giorni di durata prorogabili di altri 60 in determinati casi) e rivedendo anche il si-stema delle proroghe. Il decreto del Ministero dell’Interno del 20 ottobre 2014 numero di pro-tocollo 0012700, invece, introdusse un regolamento recante “Criteri per l’organizzazione e la gestione dei centri di identificazione ed espulsione”, primo intervento per dotare i centri di trattenimento degli stranieri irregolari di una disciplina organizzativa e ordinativa uniforme e valida per tutti, fissando standard unici per la tutela dei diritti di assistenza, per la tutela del di-ritto alla salute e alla corrispondenza, e per la regolamentazione dell’accesso alle strutture dei soggetti qualificati e della stampa. Infine, il decreto legislativo del 18 agosto 2015 n. 142, at-tuativo della direttiva del Parlamento europeo 2013/33/UE in materia di accoglienza dei ri-chiedenti la protezione internazionale, ha previsto una disciplina puntuale per il trattenimento nei CIE degli stranieri richiedenti asilo, imposto per una durata massima di 12 mesi ma solo in determinate circostanze (pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica o pericolo di fuga) e previa convalida e periodico riesame da parte del giudice. Da ultimo, anche il più recente in-tervento normativo in materia di immigrazione, il decreto legge 17 febbraio 2017 n. 13, cosid-detto “decreto Minniti” (dal nome del Ministro dell’Interno in carica Marco Minniti) non an-cora convertito in legge dal parlamento, comprende alcune misure in tema di trattenimento degli stranieri: tra queste, un nuovo cambio di denominazione dei centri, ora definiti “Centro di permanenza per i rimpatri”, delle misure finanziarie e organizzative per l’aumento del nu-mero delle strutture e delle modifiche di dettaglio in materia di trattenimento dei richiedenti la protezione internazionale.

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3. La disciplina

3.1 Respingimento, espulsione e modalità di attuazione

Alle misure di contrasto dell’immigrazione clandestina è dedicato il Capo II del Testo Unico sull’immigrazione (decreto legislativo n. 286/1998, d’ora in poi TUI), dall’art. 10 all’art. 17, più varie disposizioni di contorno contenute in altri testi normativi. I due fondamentali istituti cui è demandata l’attività di contrasto agli ingressi illegali nel territorio dello Stato sono il re-spingimento (art. 10 TUI) e l’espulsione (art. 13 e seguenti TUI): il primo è disposto dalla po-lizia di frontiera direttamente ai valichi di confine nei confronti degli stranieri sprovvisti dei requisiti per l’ingresso nel territorio nazionale, oppure con decreto del questore e accompa-gnamento alla frontiera da parte della forza pubblica per gli stranieri irregolari che hanno elu-so i controlli di confine ma elu-sono stati fermati subito dopo o che elu-sono stati temporaneamente ammessi nel territorio nazionale per necessità di pubblico soccorso (cosiddetto respingimento “differito”); l’espulsione è invece riservata agli stranieri che abbiano eluso i controlli di fron-tiera e siano entrati nel territorio dello Stato.

L’istituto dell’espulsione si configura sotto tre forme diverse. La prima è la cosiddetta “espul-sione amministrativa” (art. 13 TUI), disposta dal prefetto “caso per caso” verso lo straniero entrato irregolarmente e non tempestivamente respinto, o che si è trattenuto sul territorio na-zionale senza aver fatto domanda per ottenere il permesso di soggiorno o quando il permesso stesso è stato revocato, annullato o rifiutato dal questore, o è scaduto senza che si sia provve-duto al rinnovo nei tempi indicati; nell’espulsione amministrativa è inoltre ricompresa l’espul-sione disposta dal Ministro dell’Interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Sta-to (art. 13 comma 1 TUI) o per motivi di prevenzione del terrorismo (art. 3 legge n. 155/2005), l’espulsione disposta dal prefetto verso lo straniero già espulso o respinto che non ottempera all’ordine di allontanamento disposto dal questore (art. 15 comma 5-ter TUI), l’espulsione disposta dal prefetto in attuazione una decisione di allontanamento adottata da un altro Stato membro dell’Unione europea (art. 2 decreto legislativo n. 12/2005), e l’espulsione disposta dal prefetto alla scadenza del termine per impugnare le decisioni di rigetto, di estin-zione e di inammissibilità della domanda di proteestin-zione internazionale (art. 35 decreto legisla-tivo n. 25/2008). Le altre due forme di espulsione sono sempre disposte dall’autorità

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giudizia-ria: in primo luogo, l’espulsione a titolo di misura di sicurezza, prevista nel codice penale (artt. 235 e 312) per gli stranieri condannati a pene superiori ai due anni di reclusione o per un reato contro la personalità dello Stato e giudicati socialmente pericolosi, oppure, fuori dai casi previsti dal codice penale, dall’art. 15 TUI per gli stranieri condannati per taluno dei delitti previsti agli artt. 380 e 381 codice penale (delitti per i quali è disposto l’arresto in flagranza obbligatorio o facoltativo) sempre che risultino socialmente pericolosi; in secondo luogo, l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della pena pecuniaria o della pena detentiva non superiore ai due anni di reclusione, o a titolo di misura alternativa alla detenzione (art. 16 TUI), prevista comunque nei confronti dei soli stranieri irregolarmente soggiornati sul territo-rio dello Stato e per ciò già di per sé sottoponibili all’espulsione amministrativa da parte del prefetto.

Una volta disposta l’espulsione dello straniero, le modalità di esecuzione della misura sono due: l’accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica e la concessione di un ter-mine per la partenza volontaria. L’accompagnamento alla frontiera è esperibile solo in deter-minate circostanze tassativamente elencate dalla legge (art. 13 comma 4 TUI): quando si deve dare attuazione alle espulsioni disposte dal Ministro dell’Interno, quando sussiste il rischio di fuga dell’interessato (una presunzione legale, visto che il pericolo di fuga si deve ritenere esi-stente quando ricorre almeno una delle circostanze elencate nell’art. 13 comma 4-bis TUI), quando la domanda di permesso di soggiorno è stata respinta perché manifestamente infonda-ta o fraudoleninfonda-ta, quando senza giustificato motivo non è sinfonda-tato osservato il termine per la par-tenza volontaria o sono state violate le misure disposte unitamente alla concessione del termi-ne o disposte come alternativa al trattenimento in un CIE, quando si deve dare esecuziotermi-ne all’espulsione disposta dal giudice nei casi di cui agli artt. 15 e 16 TUI, e quando lo straniero rinuncia a presentare domanda per la concessione del termine per la partenza volontaria o la suddetta è rigettata. In tutte le circostanze residuali in cui non ricorrano le condizioni per l’accompagnamento alla frontiera lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione può proporre domanda al prefetto per la concessione di un termine per la partenza volontaria: valutato il singolo caso, il prefetto fissa quindi nello stesso provvedimento che dispone l’espulsione l’intimazione all’interessato di lasciare il territorio dello Stato entro un lasso di tempo che può andare da sette a 30 giorni, prolungabile in presenza di determinate circostanze (art. 13 comma 5 TUI). Quando è concesso il suddetto termine il questore deve chiedere allo

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straniero di dimostrare la disponibilità di “risorse economiche provenienti da fonti lecite” per un ammontare proporzionato al termine concesso e compreso tra una e tre mensilità dell’asse-gno sociale annuo, e deve inoltre disporre una o più delle misure volte a garantire l’effettività della partenza elencate all’art. 13 comma 5.2 TUI: consegna del passaporto o altro documento equipollente, obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato e dove l’interessato possa essere agevolmente rintracciato, obbligo di presentazione in giorni e orari stabiliti pres-so un ufficio della forza pubblica territorialmente competente. La violazione di queste misure comporta l’irrogazione da parte del giudice di pace di una multa da 3.000 a 18.000 € e l’immediata applicazione di un provvedimento di accompagnamento alla frontiera; sempre il giudice di pace può, su istanza dell’interessato e sentito il questore, modificare o revocare le misure già disposte.

L’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera è eseguita dal questore con apposito provvedimento, che entro 48 ore dalla sua adozione deve essere comunicato al giudice di pace competente per territorio per il necessario giudizio di convalida. Il giudizio, vertente sul ri-spetto dei presupposti formali e sostanziali per la disposizione dell’accompagnamento alla frontiera, si svolge secondo le modalità dell’udienza in camera di consiglio, alla presenza ne-cessaria dello straniero interessato e del suo difensore. Il giudice deve decidere sulla richiesta entro le 48 ore successive alla comunicazione del provvedimento da convalidare, con decreto motivato ricorribile per Cassazione ma senza efficacia sospensiva; il diniego di convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera ha effetti solo su questo e non sul provve-dimento di espulsione disposto precedentemente (art. 13 comma 5-bis TUI).

3.2 Il trattenimento: l’avvio della procedura e la convalida

L’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera è prescritta come da attuarsi “con im-mediatezza”, ma è frequente che sorgano difficoltà oggettive e ragioni concrete che rendono impossibile l’attuazione immediata del provvedimento; in tali casi, nelle more del provvemento del giudice di pace che convalida l’accompagnaprovvemento alla frontiera il questore deve di-sporre una delle misure stabilite nell’art. 14 TUI: il trattenimento in un Centro di identifica-zione ed espulsione, una misura alternativa al trattenimento o l’ordine del questore allo stra-niero di lasciare il territorio dello Stato entro sette giorni. Il trattenimento in un CIE è la misu-ra principale prevista per gamisu-rantire l’effettività del provvedimento di accompagnamento alla

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frontiera, con le altre due misure stabilite fondamentalmente in via residuale. In particolare, le misure alternative al trattenimento (che sono le stesse già previste per garantire l’effettività della concessione del termine per la partenza volontaria: consegna del passaporto o altro do-cumento equipollente, obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, obbligo di presentazione alla forza pubblica in giorni e ore stabiliti) sono disponibili solo qualora lo stra-niero sia in possesso di un passaporto o altro documento equipollente in corso di validità ed egli non sia oggetto di espulsione in ragione della sua pericolosità sociale (art 14 comma 1-bis TUI); l’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato è invece esperibile quando non è possibile o non è più possibile trattenere lo straniero in un CIE, ovvero quando i posti disponi-bili sono esauriti, o le condizioni personali del soggetto non consentono il suo trattenimento, o lo straniero abbia già trascorso inutilmente il termine massimo di trattenimento previsto dalla legge, o dalle circostanze concrete non emerge più alcuna prospettiva ragionevole che l’allon-tanamento possa essere eseguito e che lo straniero possa essere riaccolto dallo Stato di origine o di provenienza (art. 14 comma 5-bis TUI).

Come detto, il trattenimento in un CIE è la misura privilegiata dall’ordinamento per garantire l’attuazione dell’accompagnamento alla frontiera (sia esso disposto a seguito di espulsione o di respingimento “differito”) nei casi in cui esso non può essere attuato immediatamente. In particolare il trattenimento è previsto dall’art 14 comma 1 TUI in presenza “di situazioni tran-sitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento”; tra le situazioni che legittimano la disposizione del trattenimento, lo stesso comma elenca “la ne-cessità di prestare soccorso allo straniero, o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo”, oltre a richiamare le ipotesi già indicate all’art. 13 comma 4-bis TUI che configurano la presunzione di un pericolo di fuga dell’interessato7. Al di fuori

dei casi regolati dall’art. 14 TUI, il trattenimento in un CIE è inoltre disponibile anche in altre tre ipotesi: quando lo straniero è sottoposto a un procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, situazione che obbliga il questore a richiedere un nulla osta all’autorità giudiziaria prima di disporre l’espulsione dell’interessato (art. 13 comma 3 TUI);

7 L’art. 13 comma 4-bis TUI configura il pericolo di fuga qualora ricorra almeno uno dei seguenti casi: mancato possesso del passaporto o altro documento equipollente, mancanza di documentazione atta a dimostrare la disponibilità di un alloggio ove l’interessato posa essere agevolmente rintracciato, avere in precedenza dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità, aver violato il termine per la partenza volontaria o le misure imposte per la sua concessione, essere rientrato illegalmente a seguito di una espulsione già effettuata o essersi sottratto al trattenimento o alle misure alternative a esso.

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quando lo straniero è in attesa della convalida giudiziaria del provvedimento di espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento prima che sia possibile il trasferimento in uno dei CIE disponibili (art 13 comma 5-bis TUI); nelle more della decisione sulla domanda di protezione internazionale qualora lo straniero presenti profili di pericolosità sociale o rischio di fuga, o, se lo straniero si trova già in stato di trattenimento in un CIE al momento della pre-sentazione della domanda, quando vi sono fondati motivi per ritenere che la domanda stessa è stata presentata al solo fine di ritardare o impedire l’esecuzione dell’espulsione (art. 6 decreto legislativo n. 142/2015). Il recente decreto “Minniti”, non ancora convertito in legge, prevede (art. 17) una quarta ipotesi di trattenimento nel nuovo art. 10-ter TUI, introdotto dal decreto stesso: il trattenimento è previsto come misura da attuarsi per quegli stranieri, rintracciati in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunti nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare, che rifiutino reiteratamente di sottoporsi alle operazioni di rilevamento fotodattiloscopio e segnaletiche volte ad accertar-ne l’identità.

Il trattenimento è disposto dal questore con decreto scritto e motivato, comunicato all’interes-sato tramite consegna a mano o notificazione. Se lo straniero non comprende la lingua italiana il decreto deve essere accompagnato da una sintesi del contenuto scritta in una lingua da lui comprensibile o, se la traduzione non fosse possibile per mancanza di personale idoneo a far-la, in una lingua indicata dall’interessato stesso a scelta tra inglese, francese e spagnolo. Il de-creto deve recare l’avviso che lo straniero ha il diritto di essere assistito da un difensore di fi-ducia o, in mancanza, da uno d’ufficio, che può usufruire del patrocinio gratuito a spese dello Stato e che ha la facoltà di presentare, personalmente o a mezzo del suo difensore, memorie o deduzioni al giudice della convalida. Il decreto, che ha effetto dal momento della notifica all’interessato, deve contenere una puntuale indicazione del CIE presso cui lo straniero deve essere tradotto, scelto tra le strutture più vicine che abbiano disponibilità di posti. Una volta adottato il decreto, il questore del luogo in cui si trova il centro deve senza ritardo e comun-que entro 48 ore dall’adozione trasmettere copia del provvedimento e degli atti collegati al giudice di pace competente per territorio. Il giudice di pace adito deve effettuare la convalida del provvedimento entro 48 ore dal recepimento dello stesso; la convalida può aversi anche

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già in occasione dell’udienza di convalida del decreto che dispone l’accompagnamento alla frontiera, oppure in sede di esame del ricorso avverso il provvedimento di espulsione.

Il giudizio di convalida, che ha natura di giudizio civile e non penale8, si tiene con le forme

dell’udienza in camera di consiglio. Lo straniero interessato deve essere tempestivamente in-formato della fissazione dell’udienza e condotto nel luogo ove essa si svolge; lo straniero deve necessariamente essere assistito da un difensore di fiducia munito di procura speciale, anch’egli tempestivamente avvertito della fissazione dell’udienza, e qualora rimanga sprovvi-sto di un difensore di fiducia il giudice provvede a nominarne uno d’ufficio secondo le norme di attuazione del codice di procedura penale; lo straniero deve altresì essere assistito da un in-terprete, e se non abbiente è ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato. All’udienza partecipa anche l’autorità che ha adottato il provvedimento, la quale può stare in giudizio per-sonalmente anche avvalendosi di funzionari a ciò delegati; al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida, la questura deve fornire al giudice di pace il supporto occor-rente, tra cui in particolare la disponibilità di un locale idoneo dove celebrare il rito (art. 13 comma 5 ter TUI). Il giudice di pace decide con decreto motivato: nella decisione sulla con-valida il giudice deve verificare l’osservanza dei termini e delle procedure, la sussistenza dei requisiti previsti in tema di espulsioni (presupposti formali e sostanziali del provvedimento di espulsione e di quello di accompagnamento alla frontiera, non appartenenza dello straniero alle categorie per le quali la legge vieta l’espulsione) e dei presupposti che consentono il trat-tenimento dello straniero (l’effettiva sussistenza degli ostacoli che impediscono la preparazio-ne del rimpatrio o l’effettuaziopreparazio-ne dell’accompagnamento e l’effettiva transitorietà della situa-zione che ostacola l’immediato accompagnamento) puntualmente dedotti dalla questura; è esplicitamente escluso (art. 13 comma 4 TUI) che il giudice di pace possa sindacare il requisi-to della vicinanza del CIE selezionarequisi-to dalla questura come destinazione dello straniero inte-ressato. La convalida del trattenimento presuppone quindi, necessariamente, l’esistenza, l’effi-cacia e la non manifesta illegittimità del previo provvedimento di espulsione o di respingi-mento; pertanto, il giudice di pace deve spingersi a sindacare, in via incidentale, anche la ma-nifesta illegittimità del provvedimento che dispone l’espulsione o il respingimento. Il decreto questorile che dispone il trattenimento cessa di avere efficacia qualora non sia convalidato dal giudice o la convalida non avvenga entro 48 ore dall’avvio del giudizio, ma ciò non ha alcun effetto sul decreto che dispone l’espulsione (in questi casi, in esecuzione del decreto di

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sione si procede a emanare nei confronti dello straniero l’ordine questorile di lasciare il terri-torio dello Stato entro sette giorni); un giudizio favorevole alla convalida invece costituisce il titolo di trattenimento dell’interessato nel CIE. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per Cassazione, ma il ricorso non ha effetto sospensivo dell’esecuzione della misura; non osta alla proponibilità del ricorso l’omessa impugnazione del decreto di espulsione pre-supposto al decreto di trattenimento, stante la completa autonomia dei due giudizi di convali-da9.

Il trattenimento in un CIE dello straniero che abbia avanzato domanda di protezione interna-zionale è ora regolato dagli artt. 6 e 7 del decreto legislativo n. 142/2015. A parte la significa-tiva differenza che il giudizio di convalida si svolge non davanti al giudice di pace ma davanti al tribunale in composizione monocratica, per il resto il procedimento è del tutto analogo al precedente e la disciplina dell’art. 14 TUI si applica per quanto compatibile: il trattenimento è disposto con decreto scritto del questore, motivato e tradotto in una lingua comprensibile all’interessato, e il decreto stesso è comunicato al tribunale entro 48 ore dalla sua adozione e deve essere convalidato entro le successive 48 ore. Il decreto legge “Minniti”, non ancora convertito, ha spostato la competenza del giudizio di convalida dal tribunale monocratico or-dinario alle nuove sezioni specializzate in materia di immigrazione istituite dal decreto stesso presso una serie di tribunali puntualmente individuati; ha inoltre previsto, per questo tipo di trattenimento, “ove possibile” la partecipazione a distanza del soggetto interessato all’udienza di convalida, mediante un collegamento audiovisivo (puntualmente regolato) tra l’aula dell’udienza e il CIE ove lo straniero sia trattenuto (art. 8 decreto legge 13/2017).

Le misure alternative al trattenimento di cui all’art. 14 comma 1-bis TUI devono essere ogget-to di un provvedimenogget-to di convalida davanti al giudice di pace con le stesse modalità previste per il decreto che dispone il trattenimento nel CIE: le misure sono adottate con decreto moti-vato del questore il quale ne trasmette entro 48 ore dall’adozione una copia al giudice di pace, che ne dispone la convalida entro le successive 48 ore con decreto motivato; la violazione del-le misure convalidate costituisce un reato, attribuito alla competenza del giudice di pace, puni-to con una multa da 3.000 a 18.000 € e a cui fa seguipuni-to la disposizione di un accompagnamen-to alla frontiera da parte della forza pubblica (o, qualora vi siano impedimenti a ciò, il tratteni-mento in un CIE); le misure convalidate posso essere successivamente modificate o revocate

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dal giudice di pace su istanza dell’interessato e sentito il questore. L’ordine del questore allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro sette giorni è impartito con provvedimento scritto, motivato e tradotto in una lingua comprensibile all’interessato cui è notificato, e deve recare necessariamente l’indicazione delle sanzioni previste in caso di violazione nonché, eventualmente e anche su richiesta dell’interessato, la documentazione necessaria ad agevola-re la partenza; la violazione senza giustificato motivo dell’ordine costituisce agevola-reato, nella co-gnizione del giudice di pace, punito con la multa da 10.000 a 20.000 €: in caso di violazione il prefetto, a meno che lo straniero sia detenuto in carcere, dispone una nuova espulsione che, se non eseguibile immediatamente o previo trattenimento in un CIE, può essere corredata dall’emanazione di un secondo ordine questorile di allontanamento (la cui ulteriore violazione comporta una multa da 15.000 a 30.000 €).

3.3 Gestione, organizzazione e modalità del trattenimento

3.3.1 Il sistema dei CIE e la loro gestione

I Centri di identificazione ed espulsione fanno parte di un più vasto insieme di strutture sotto l’egida del Ministero dell’Interno deputate all’accoglienza di stranieri entrati in maniera irre-golare sul territorio nazionale. Le altre tipologie di strutture sono rappresentate dai Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA), destinati a ospitare gli stranieri al loro primo arrivo sul territorio nazionale e volti a fornire loro le prime cure mediche essenziali nonché a fotosegna-larli e smistarli poi verso le altre strutture; dai Centri di accoglienza (CDA), volti a fornire ac-coglienza allo straniero irregolare per il tempo necessario alla sua identificazione e ai primi accertamenti sulla regolarità del suo ingresso; dai Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), volti a ospitare gli stranieri irregolari che abbiano sporto domanda per ottenere una qualche forma di protezione internazionale, al fine di identificarli e avviare la relativa proce-dura10.

Le strutture adibite a CIE verso cui può essere tradotto lo straniero in attesa dell’accompagna-mento alla frontiera sono individuate o costituite con decreto del Ministro dell’Interno, di con-certo con il Ministro dell’economia e delle finanze (art. 14 comma 1 TUI). Il numero dei CIE è in continua fluttuazione: da un picco iniziale di 23 CPTA istituiti nel 1998 sull’onda dell’emergenza (l’intenzione politica era quella di dare attuazione immediata al nuovo

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sitivo) e spesso altrettanto rapidamente chiusi per evidenti carenze delle strutture, si passò a una punta registrata nel 2011 di 13 CIE permanenti più altri tre provvisori (aperti per far fron-te all’incremento di ingressi di stranieri provenienti dai paesi dell’Africa setfron-tentrionale duran-te il turbolento periodo delle cosiddetduran-te “primavere arabe”) per un totale di circa 2.400 posti disponibili11. Al gennaio 2016 si registrano in funzione sei centri (situati a Bari, Brindisi,

Cal-tanissetta, Crotone, Roma e Torino) per complessivi 720 posti disponibili con altri tre centri (Bologna, Gorizia e Milano) per complessivi 475 posti chiusi per lavori di ristrutturazione12;

delle precedenti strutture, una (Trapani-Milo) è stata adibita dal 1° gennaio 2016 ad hotspot13

in attuazione dell’Agenda europea sulle migrazioni del maggio 2015, mentre le altre risultano definitivamente chiuse o sono state riconvertite a centri per stranieri di altra tipologia. Al gen-naio 2017 il numero dei CIE in funzione è calato ulteriormente a quattro (situati a Brindisi, Caltanissetta, Roma e Torino) a causa di chiusure dovute a lavori per ripristinare l’agibilità dei locali, per complessivi 574 posti teoricamente disponibili (ridotti nel concreto a 359 posti ef-fettivi a causa della temporanea chiusura di alcune sezioni dei centri)14.

Ai sensi dell’art. 22 del regolamento di attuazione del TUI (decreto del Presidente della Re-pubblica 31 agosto 1999 n. 394), l’attivazione del CIE istituito dal Ministro dell’Interno è di competenza del prefetto della provincia ove il centro si trova, il quale è responsabile anche della gestione della struttura e della disciplina delle attività che vi si svolgono. La prefettura incaricata può avvalersi nell’amministrazione dei centri delle prestazioni di enti locali o altri soggetti pubblici o privati, tramite la stipula di apposite convenzioni; tali soggetti convenzio-nati possono, a loro volta, avvalersi delle attività di altri enti, di associazioni del volontariato o di cooperative di solidarietà sociale. Nella pratica, le prefetture non hanno mai gestito in pri-ma persona i centri pri-ma ne hanno sempre esternalizzato l’amministrazione15: tra il 1998 e il

2000, in ragione dell’urgenza del momento, quasi tutti gli allora CPTA furono dati in gestione

11 ALBERTO DI MARTINO, FRANCESCA BIONDI DAL MONTE, ILARIA BOIANO, ROSA RAFFAELLI,

La criminalizzazione dell’immigrazione irregolare: legislazione e prassi in Italia, Pisa university press, 2013, p.

56.

12 Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Rapporto sui centri di

identificazione ed espulsione in Italia (febbraio 2016),Senato della Repubblica, p. 14.

13 I cosiddetti hotspot sono strutture, gestite in coordinazione tra le autorità italiane e quelle dell’agenzia europea Frontex, volte ad attività di identificazione e registrazione degli stranieri irregolari appena giunti sul territorio nazionale, al fine di separare celermente le persone richiedenti o necessitanti una forma di protezione internazionale dalle altre destinate al rimpatrio.

14 Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Rapporto sui centri di

identificazione ed espulsione in Italia (gennaio 2017),Senato della Repubblica, p. 12. 15 CATERINA MAZZA, La prigione degli stranieri, Ediesse, 2013, p. 73.

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dalle prefetture competenti alla Croce Rossa italiana, tramite affidamento diretto a seguito di trattativa privata di tutti i servizi e ambiti gestionali (anche quelli non specificamente legati all’ambito umanitario e assistenziale, con conseguente proliferare di subappalti), con alcuni casi residuali dati in gestione a enti di comprovata esperienza in tema di gestione di emergen-ze umanitarie o alle associazioni proprietarie degli immobili adibiti a centro di permanenza. Questa sistemazione finì con il generare diverse diseconomie e disomogeneità gestionali, si-tuazione non certo agevolata dall’assenza, denunciata anche dalla Corte dei Conti16, di dati

precisi relativi alle presenze di immigrati nei centri e all’effettivo utilizzo delle strutture; per ovviare a criticità e trattamenti disomogenei, il Ministero dell’Interno corse ai riparti emanan-do nell’aprile 2000 una direttiva17 indicante norme generali per l’istruzione, l’attivazione e la

gestione delle strutture per gli stranieri immigrati, norme tuttavia ancora troppo generiche per essere risolutive (ad esempio, non erano definiti livelli minimi delle prestazioni o indicati la quantità e il grado di professionalità del personale impiegato nel centro)18. Sempre con il fine

di diminuire le disomogeneità esistenti tra i vari centri, nel 2002 il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno definì in un documento19 delle linee guida

gestionali e degli standard organizzativi validi per tutti i centri e uno schema tipo per la stipu-la di una convenzione per l’affidamento delstipu-la gestione delle strutture a enti esterni, preveden-do per la scelta dell’ente gestore la modalità della “gara ufficiosa”, da rinnovarsi ogni due anni, fatta tenendo conto tanto dell’offerta economicamente vantaggiosa quanto della profes-sionalità e vocazione statutaria dell’ente partecipante; il maggior grado di dettaglio e defini-zione del documento del 2002 rese più competitiva la seledefini-zione degli enti gestori e abbatté il regime di quasi monopolio della gestione prima in capo alla Croce Rossa, con un graduale in-cremento dei soggetti privati che aspiravano all’incarico e la formazione di grossi consorzi composti da cooperative e associazioni sparse sul territorio e radicate in ambito locale. L’incremento della concorrenza così ottenuto non si tradusse però in una forte risoluzione dei problemi che affliggevano i centri: il rapporto della “Commissione de Mistura” (dal nome del suo titolare, l’allora diplomatico delle Nazioni Unite Staffan de Mistura), voluta nel 2006

16 Corte dei Conti, Sezione Centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Gestione

delle risorse previste in connessione al fenomeno immigrazione per l’anno 2003, deliberazione n. 10/2004/G,

marzo 2004.

17 Ministero dell’Interno, Direzione generale dei servizi civili, Direttiva generale in materia di Centri di

Permanenza Temporanea e Assistenza, numero di protocollo 2061/50, 14 aprile 2000.

18 MAZZA, op. cit., p. 75.

19 Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Le convenzioni tipo e le “linee

guida” per la gestione di Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza e Centri di identificazione, già centri d’accoglienza, numero di protocollo 3154/DCS 11.6, 27 novembre 2002.

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dall’allora Ministro dell’Interno Giuliano Amato al fine di fornire una valutazione di tutto il sistema dei centri per immigrati, rilevò come la scelta degli enti gestori avesse continuato a svolgersi “sulla base sostanzialmente di una licitazione privata”20; il sistema continuava a

conferire eccessiva autonomia decisionale alle prefetture, le sole autorizzate a valutare la qua-lità complessiva dell’offerta dell’ente e la sua adeguatezza concreta a darvi attuazione, in una situazione di sostanziale conflitto d’interessi visto che la prefettura è al contempo l’organo che sceglie l’ente gestore, una delle due controparti della convenzione che conferisce all’ente la gestione di un centro nonché l’autorità di controllo sullo svolgimento della gestione stes-sa21. Di fronte a questo perdurare di inefficienze, il Dipartimento per le libertà civili e

l’immi-grazione elaborò un nuovo schema di capitolato d’appalto per la gestione dei centri per stra-nieri, approvato con decreto ministeriale il 21 novembre 2008; la misura fu in realtà poco in-novativa della situazione esistente, e fu volta principalmente ad adeguare lo schema di capito-lato per i centri alle disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici approvato due anni prima: tra i principali elementi di novità, venne stabilita la durata triennale e la non rinnovabi-lità per le convenzioni con gli enti gestori, scelti ora con una vera e propria gara d’appalto con bando pubblico. Pur contribuendo ad aumentare la concorrenza tra gli enti gestori e quindi ab-bassare i costi di gestione, il nuovo intervento normativo non riuscì a risolvere i problemi più importanti, dati fondamentalmente da una scarsa trasparenza delle procedure (criteri di valuta-zione non completamente chiari, verbali di gara e convenzioni non accessibili al pubblico)22.

Allo stato attuale, non esiste una normativa chiara, puntuale e universale per quanto riguarda la costruzione, la localizzazione e la sistemazione interna dei CIE. L’art. 22 comma 2 del re-golamento di attuazione del TUI stabilisce, molto genericamente, che per l’istituzione di un CIE “possono essere disposti la locazione, l’allestimento, il riadattamento e la manutenzione di edifici o di aree, il trasporto e il posizionamento di strutture, anche mobili, la predisposizio-ne e la gestiopredisposizio-ne di attività per l’assistenza, compresa quella igienico-sanitaria e quella religio-sa, il mantenimento, il vestiario, la socializzazione e quant’altro occorra al decoroso soggior-no nel centro, anche per le persone che vi prestasoggior-no servizio”; lo stesso articolo, al comma 4, dispone che all’interno del centro siano messi a disposizione dei locali per l’espletamento del-le attività deldel-le autorità consolari. La direttiva ministeriadel-le del 2000 diede alcune indicazioni

20 Commissione de Mistura, Rapporto conclusivo – Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per

immigrati, 31 gennaio 2007, p. 9, www.interno.gov.it.

21 MAZZA, op. cit., p. 78. 22 MAZZA, op. cit., p. 81.

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di massima sulle caratteristiche generali che dovrebbero avere le costruzioni da adibire a cen-tri di espulsione, mentre circa il trattenimento nel CIE di un richiedente la protezione interna-zionale il decreto legislativo142/2015 stabilisce che esso debba avvenire “ove possibile in ap-positi spazi” (art. 6 comma 2), assicurando “in ogni caso alle richiedenti una sistemazione se-parata, nonché il rispetto delle differenze di genere”, preservando se possibile “l’unità del nu-cleo familiare” e garantendo “la fruibilità di spazi all’aria aperta” (art. 7 comma 1). Il decreto “Minniti” ha imposto, nell’ambito di un ampliamento dei centri esistenti con la previsione di una loro maggiore diffusione sul territorio nazionale, di privilegiare per la collocazione dei CIE “i siti e le aree esterne ai centri urbani che risultino più facilmente raggiungibili e nei quali siano presenti strutture di proprietà pubblica che possano essere, anche mediante inter-venti di adeguamento o ristrutturazione, resi idonei allo scopo, tenendo conto della necessità di realizzare strutture di capienza limitata idonee a garantire condizioni di trattenimento che assicurino l'assoluto rispetto della dignità della persona”; il decreto prevede poi che i centri debbano essere dislocati “sentito il presidente della Regione interessata” (art. 19 decreto legge 13/2017).

Dal punto di vista delle strutture, il panorama dei CIE risulta quindi piuttosto variegato: se so-luzioni adottate in passato soprattutto per le strutture “provvisorie”, con l’adozione di tendo-poli all’aperto o addirittura con la destinazione a luogo di trattenimento di navi passeggeri an-corate in porto23, sono state abbandonate, a strutture di nuova costruzione e specifica

destina-zione continuano ad affiancarsi edifici già esistenti costruiti con altre finalità (caserme, centri geriatrici e simili) e poi riadattati, come pure edifici prefabbricati o container24. I centri, specie

se di nuova costruzione, si ispirano notevolmente alle strutture carcerarie: sono separati dall’esterno da alte mura di cinta in cemento armato, inferriate e sbarramenti di filo spinato sorvegliati da impianti di videosorveglianza. Generalmente il centro si compone di tre blocchi distinti25: quello dell’area amministrativa, quello destinato alle unità abitative e quello che

ospita i servizi, separati gli uni dagli altri da sbarramenti e recinzioni interne. Le unità abitati-ve, separate le une dalle altre da porte blindate e cancellate, occupano ciascuna una superficie media di 25 metri quadri, ospitano gli alloggiamenti per gruppi di sei o otto persone e

conten-23 Nel settembre 2011 alcune centinaia di immigrati provenienti dai centri di accoglienza di Lampedusa furono trattenuti a bordo di tre navi passeggeri (la Moby Fantasy, la Moby Vincent e l’Audacia) ancorate nel porto di Palermo. Vedi DI MARTINO et al., op. cit., p. 56.

24 MAZZA, op. cit., p. 82.

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