• Non ci sono risultati.

4. Le problematiche della normativa

4.6 Le condizioni di detenzione e il principio della dignità umana

Le materiali condizioni di vita degli stranieri trattenuti nei CIE, così come descritte dai sog- getti anche istituzionali che si sono occupati della questione, pongono ulteriori interrogativi in merito al rispetto di diritti fondamentali, soprattutto sotto il profilo della tutela del principio della dignità umana così come enunciato dall’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degra- danti”) e dal combinato disposto degli artt. 2 e 3 della Costituzione.

La questione del regime di trattenimento degli stranieri all’interno dei CIE e del suo possibile contrasto con il fondamentale principio del rispetto della dignità umana è stata al centro di un giudizio svoltosi davanti al tribunale civile di Bari tra il 2011 e il 201491. La causa civile, pro-

mossa da due avvocati baresi, è stata portata avanti grazie a una sorta di escamotage legale: i ricorrenti hanno infatti proposto azione popolare ai sensi dell’art. 9 comma 1 Testo unico enti locali, il quale consente a ogni cittadino di sostituirsi in giudizio all’ente locale di cui è eletto- re quando questi non agisca a tutela dei propri diritti, e hanno quindi avanzato l’azione in so- stituzione del Comune e della Provincia di Bari sostenendo che tali enti avevano subito un danno diretto alla loro immagine dall’illiceità del trattenimento degli stranieri operato nel CIE di Bari, anche in ragione della completa assenza di una loro partecipazione alla costruzione e alla gestione del centro collocato sul loro territorio. L'azione, quindi, formalmente non è stata proposta a tutela dei diritti dei migranti trattenuti ma a tutela delle posizioni soggettive delle comunità locali che si vedevano loro malgrado coinvolte nelle scelte gestionali dell'ammini- strazione statale, anche se lo scopo vero del giudizio doveva essere l’accertamento delle con- dizioni di trattenimento cui erano sottoposti gli stranieri nel CIE come “condotta materiale le- siva dei diritti universali dell'uomo" e portare quindi, come esplicitamente richiesto dai ricor- renti, alla chiusura del centro. La I Sezione civile del tribunale di Bari ha quindi statuito sull’azione con l’ordinanza del 9 gennaio 2014: sulla base delle risultanze di una relazione pe- ritale promossa antecedentemente all’azione e delle valutazioni di un consulente tecnico no-

90 ANDREA PUGIOTTO, op. cit., p. 345.

91 Sulla questione vedi ANDREA GILIBERTO, Quale tutela giurisdizionale della dignità degli stranieri

detenuti nei C.I.E.? Una singolare pronuncia del Tribunale civile di Bari, consultabile all’indirizzo

minato dal giudice stesso in corso di causa, il tribunale non ha ritenuto pienamente adeguata la struttura barese alla propria funzione di struttura detentiva, né correttamente adempiuti i la- vori di miglioria edilizia ordinati nel 2011 a seguito della perizia all'epoca disposta, e ha di- sposto l'esecuzione di una serie di puntuali interventi strutturali da realizzarsi entro 90 giorni. Con l’ordinanza del 9 maggio 2014, invece, il tribunale in seduta collegiale ha rigettato tanto il ricorso avverso la precedente decisione presentato dalla Presidenza del Consiglio e dal Mi- nistero dell’Interno, quanto il ricorso incidentale dei ricorrenti contro la medesima ordinanza nella parte in cui disponeva l'esecuzione di lavori edilizi anziché la chiusura immediata del CIE, ritenendo che "l'ordine di esecuzione lavori sia senz'altro idoneo ad arginare il pregiudi- zio irreparabile lamentato dagli attori popolari".

Un importante intervento sulla questione viene dalla sentenza del tribunale di Crotone del 12 dicembre 2012 n. 1410, relativa all’incriminazione di tre cittadini stranieri trattenuti nel CIE della città calabrese che si erano resi protagonisti di una rivolta contro gli agenti di pubblica sicurezza assegnati al presidio della struttura92. Gli imputati erano stati quindi chiamati a ri-

spondere dei reati di resistenza a pubblico ufficiale aggravata (art. 339 codice penale) e di danneggiamento pluriaggravato (artt. 635 comma 2 e 625 n. 7 codice penale), avendo preleva- to calcinacci e altro materiale dai moduli abitativi del centro e avendoli scagliati contro gli agenti e gli automezzi delle forze dell’ordine. I fatti in sé non sembravano discostarsi più di tanto simili episodi di rivolta avvenuti anche in altri CIE, né si ponevano particolari problemi circa il loro accertamento visto che gli imputati stessi li avevano pacificamente ammessi, indi- candoli come una reazione plateale a un’operazione di “bonifica” (ovvero di perquisizione) condotta dalle forze dell’ordine e avvertita come un sopruso, e, più radicalmente, come meto- do di riacquisto della libertà personale a fronte di condizioni di vita all’interno del centro de- scritte come inumane; innovativa tuttavia è stata la decisione del giudice, che ha mandato as- solti gli imputati riconoscendo loro la scriminante giuridica della legittima difesa (art. 52 co- dice penale) in ragione delle condizioni di vita riscontrate nel CIE di Crotone. La verifica di- sposta dal tribunale sulle condizioni di vita degli stranieri trattenuti nel CIE ha portato a un giudizio fortemente critico delle strutture, definite, nelle parole del giudice, “al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente

alla loro destinazione: che è quella di accogliere esseri umani”93; i trattenuti erano costretti a

92 Per una disamina completa della sentenza del tribunale di Crotone, vedi ANDREA GABOARDI, Difesa

legittima e CIE. La vulnerabilità giuridica di una definizione “fuori legge”, Diritto penale contemporaneo, 2013.

dormire su materassi lerci, privi di lenzuola e con coperte sporche, disponevano di servizi igienici luridi, i pasti erano forniti in quantità insufficiente e consumati senza sedie e tavoli fino al novembre 2012, quando infine era stato istituito un apposito locale mensa. Tali condi- zioni di vita sono state ritenute lesive del principio fondamentale della dignità umana, ricono- sciuto come di portata universale dalla nostra Costituzione e indicato del resto nello stesso TUI con una formulazione (“lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità”, art. 14 comma 2) che non richie- de il raggiungimento di una soglia minima di dignità ma postula un rispetto “pieno” della stes- sa, secondo gli stessi “standard” applicati al cittadino medio e quindi senza distinzione di con- dizione o nazionalità del soggetto interessato.

Appurata in tal senso la lesione dei diritti, il giudice di Crotone si è spinto quindi a sindacare gli altri elementi per la sussistenza della legittima difesa, ovvero le modalità dell’aggressione, l’ingiustizia dell’offesa e l’attualità del pericolo. La prima è stata accertata senza troppe diffi- coltà, stante la consolidata opinione in dottrina secondo cui l’aggressione può verificarsi an- che con comportamenti omissivi (quali quelli dell’ente gestore del centro e dei vari soggetti preposti alla sua vigilanza), con la legittima difesa che si configura quindi tanto in azione ri- volta all'omettente per indurlo ad agire, quanto in azione che coinvolga beni o soggetti diversi dai quali l’offesa si trovi immediatamente a scaturire94. Circa il secondo profilo, il giudice ha

sindacato la legittimità dei provvedimenti con cui è stato disposto il trattenimento, verificando la corrispondenza dell’art. 14 TUI alle disposizioni della “direttiva rimpatri” del 2008 (cui do- veva essere attribuita prevalenza in caso di contrasto con le norme nazionali, quantomeno per le disposizioni che apparivano come direttamente applicabili), riscontrando che due dei prov- vedimenti risultavano del tutto privi di motivazione sia in ordine ai requisiti della misura sia con riferimento al profilo dell’inadeguatezza di misure meno afflittive, mentre il terzo si ap- pellava nelle motivazioni alla pericolosità dello straniero per l’ordine e la sicurezza pubblica (la cui invocabilità, di per sé legittima nel provvedimento che dispone l’espulsione, è però sta- ta esclusa nel provvedimento che dispone il trattenimento, autonomo dal precedente, dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea 30 novembre 2009, C-357/09, oltre che essere assente nella formulazione della normativa nazionale) e al pericolo di fuga (giudicata illogica nelle sue statuizioni e mancante del riferimento all’impossibilità di adottare misure meno restrittive). Circa il terzo profilo, le condizioni di detenzione appurate dal giudice erano

tali da rendere certa la violazione della dignità umana dei soggetti trattenuti nel centro, e ben si poteva sostenere la sussistenza di una condotta aggressiva permanente e di un pericolo per- durante. Anche i requisiti richiesti all’azione difensiva sono stati ritenuti sussistenti, a iniziare dalla costrizione a difendersi visto che gli stranieri non avevano modo di sottrarsi alla lesione della dignità umana in quanto privati della libertà personale; nemmeno può dirsi che ci si tro- vasse di fronte a un pericolo consapevolmente ricercato o messo in conto: come rileva il tribu- nale, “gli imputati non possono essere considerati alla stregua di chi affronta una situazione di pericolo prevista ed accettata, dovendosi sempre attendere da uno Stato di diritto (non il ri- schio, appunto, di una violazione dei propri diritti, ma, appunto) il rispetto delle regole, e tan- to più dei diritti fondamentali del cittadino”95. Sussistente era anche la necessità a difendersi,

visto che la difesa degli stranieri ristretti si è rivolta contro soggetti preposti al funzionamento del centro, ovvero gli agenti in servizio di vigilanza, e tramite il loro comportamento i tratte- nuti sono riusciti a sollevare l’attenzione delle istituzioni preposte alla loro custodia sulle loro condizioni di vita e sollecitare così l’autorità amministrativa a porre rimedio, stante anche l’assenza di eventuali altre modalità di tutela giuridica. Infine, sussistente era anche la propor- zionalità della reazione, visto che sul piano del bilanciamento delle offese non sembra esserci sproporzione tra il bene della dignità umana offeso dall’aggressore e i beni patrimoniali, non- ché il prestigio e l’efficienza della pubblica amministrazione, lesi dalla reazione: come recita la sentenza, “la reazione degli imputati si [è] rigorosamente mantenuta entro i limiti del mini-

mo imprescindibile affinché le legittime rimostranze dei ristretti potessero acquistare voce in

un simile contesto, peraltro privo – a differenza di quanto è (almeno formalmente) previsto in ambito penitenziario – di qualsiasi possibilità di accesso a forme di tutela giurisdizionale”96.

Al di là dei casi concreti, queste sentenze pongono molti interrogativi circa la tenuta della nor- mativa del trattenimento coattivo degli stranieri irregolari quando essa è posta a confronto con norme e principi costituzionali, anche in ragione del fatto che il trattenimento stesso “non vive di sole regole e di soli principi, anzi vive poco – il minimo indispensabile – sia delle une sia degli altri; il trattenimento trae piuttosto alimento dall’eccezione, e non tanto dall’eccezione positivamente prevista e disciplinata, quanto piuttosto da quella che si pone al di fuori dello

ius positum”. La legislazione del trattenimento si serve di norme positive quando deve offrire

strumenti coercitivi vincolanti, ma li rifiuta “quando l’obiettivo che le ha dato forma può me-

95 Sentenza Tribunale Crotone 12 dicembre 2012 n. 1410, p. 22. 96 GABOARDI, op. cit., p. 27.

glio realizzarsi liberando l’amministrazione dagli impacci di regole predefinite e aprendole gli sconfinati spazi di un arbitrio occulto, coperto da strascichi normativi di tenore generalissimo e inconsistente”97.