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4. Le problematiche della normativa

4.4 Le questioni legate alle norme sovranazionali

Un fondamento giuridico-costituzionale al trattenimento coattivo degli stranieri irregolarmen- te presenti sul territorio nazionale è stato rintracciato in due disposizioni normative di caratte- re sovranazionale: l’art. 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) e la direttiva del Parlamento europeo 2008/15/CE (cosiddetta “direttiva rimpatri”).

L’art. 5 della CEDU sancisce, al suo comma 1, che “ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza”; segue poi un elenco di casi in cui, “nei modi previsti dalla legge”, un individuo può essere legittimamente privato della libertà, tra cui (punto f) “se si tratta dell’arresto o del- la detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppu- re di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione”; allo straniero trattenuto si applicano quindi i principi generali sanciti dalla CEDU in materia di persone detenute, a partire da quelli elencati nello stesso art. 5: informazione circa i motivi della detenzione, diritto di presentare ricorso davanti a un tribunale circa la legittimità della detenzione stessa, diritto a una riparazione in caso di ingiusta detenzione. La disposizione dell’art 5 comma 1f della CEDU ha consentito alla Corte europea dei diritti dell’uomo di defi- nire, nell’arco di più sentenze, una serie di criteri generali da applicarsi alle procedure di trat- tenimento di uno straniero in attesa di espulsione: in particolare la privazione della libertà, ol- tre che conforme alle ipotesi tassativamente indicate dalla CEDU e alla legge nazionale che prescrive e disciplina la procedura, deve essere “non arbitraria”, ovvero deve corrispondere a criteri che “all'osservazione di un soggetto esterno, rendano verosimile la giustificazione della restrizione della libertà”72. Tale ultimo principio costituisce il fulcro della protezione accorda-

ta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo agli stranieri trattenuti in attesa di espulsione, visto che il requisito della “non arbitrarietà” va oltre la mera prescrizione della conformità del pro- cedimento al diritto del singolo Stato nazionale: una privazione della libertà personale può es- sere impeccabilmente eseguita in conformità alle leggi interne, ma comunque risultare arbitra- ria e dunque inammissibile sul piano convenzionale. Questo principio è stato quindi impiegato dalla Corte per fissare una serie di punti, come il fatto che la detenzione non sia posta in esse- re dalle competenti autorità in mala fede o tramite inganni, che l'ordine di detenzione e la sua esecuzione siano entrambi strettamente connessi con la finalità dell'allontanamento del sog- getto dal territorio, che il luogo e le condizioni di detenzione debbano essere appropriati, so- prattutto in considerazione del fatto che la misura è applicata a persone che non hanno com- messo alcun reato e che versano spesso in condizioni di particolare vulnerabilità, e che la du- rata della misura non debba eccedere il tempo ragionevolmente richiesto per il perseguimento dell'obiettivo ultimo. Significativa la sentenza Mikolenko c. Estonia (n. 10664/05), relativa a un caso di trattenimento di uno straniero protrattosi per un tempo estremamente lungo (tre anni e mezzo) a causa della mancanza di cooperazione sia dell’interessato che del paese di de-

72 Sentenza Corte EDU Fox, Campell and Hartley c. Regno Unito, 30 agosto 1990, nn. 12244/86, 12245/86, 12383/86.

stinazione: la detenzione che risulti impossibile a causa della mancanza di “una prospettiva realistica di espulsione dal territorio” non è stata considerata giustificabile alla luce della CEDU73.

Diversi autori, tuttavia, hanno sottolineato una notevole genericità della norma della CEDU, tale da renderla “inidonea ad offrire un valido fondamento giuridico-costituzionale all’istituto del trattenimento dello straniero”74: la norma fornisce una tutela della libertà personale dello

straniero trattenuto più limitata di quanto fa la Costituzione italiana, e pertanto non può consi- derarsi superiore a essa (come è noto, le norme internazionali possono arrivare a derogare la Costituzione ma senza intaccare il nucleo dei principi fondamentali dell’ordinamento da essa tracciato: l’ordinamento costituzionale è aperto solo a integrazioni ampliative delle garanzie e dei diritti tutelati, mentre sono escluse eventuali involuzioni).

Più dettagliate risultano le disposizioni contenute nella direttiva 2008/115/CE approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 16 dicembre 2008, cui l’Italia ha dato attuazione con il decreto legge 23 giugno 2011 n. 89 convertito nella legge 2 agosto 2011 n. 129, oltretutto in ritardo rispetto al limite di tempo concesso dalla direttiva stessa per il recepimento (24 dicem- bre 2010) e solo dopo l’apertura di una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea il 26 gennaio 2011. La cosiddetta “direttiva rimpatri” ha lo scopo di stabilire (art. 1) “norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi gene- rali del diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di pro- tezione dei rifugiati e di diritti dell'uomo”. La direttiva tratteggia tutto il procedimento del rimpatrio dello straniero irregolare, procedimento che deve essere effettuato tenendo conto delle condizioni e dei bisogni particolari del soggetto interessato e quindi, necessariamente, tramite una valutazione fatta caso per caso. Tale procedimento è contraddistinto da un “princi- pio di gradualità” nelle misure adottate per effettuare il rimpatrio: la misura privilegiata dalla direttiva è quella della partenza volontaria da parte dell’interessato (art. 7), sancita dalla deci- sione di rimpatrio stessa la quale fissa un congruo termine per la partenza compreso tra sette e trenta giorni prorogabile in presenza di determinate circostanze; alla fissazione del termine per la partenza volontaria posso collegarsi degli obblighi volti a evitare un pericolo di fuga del

73 GIOIA BONAVENTURA, La tutela dei diritti fondamentali in Europa: il case study dei diritti dei migranti, consultabile all’indirizzo http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/migranti/bonaventura

soggetto, come “l'obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o l’obbligo di dimorare in un deter- minato luogo”. La fissazione di un termine per la partenza volontaria può essere rifiutata solo “se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quan- to manifestamente infondata o fraudolenta o se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale”: in tali casi, e quando il termine fis- sato per la partenza non è stato rispettato, gli Stati possono adottare “tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio” ivi comprese misure coercitive (art. 8). Tali misure, adottate “in ultima istanza”, devono tuttavia essere proporzionate e non eccedere un “uso ra- gionevole della forza”, oltre che rispettare la legislazione nazionale in materia di diritti fonda- mentali e dignità degli individui. Nell’ambito di tali misure, il trattenimento coattivo costitui- sce l’ultima misura impiegabile dallo Stato per espletare la procedura di rimpatrio: esso è una possibilità estrema, da attuarsi salvo che “nel caso concreto poss[ano] essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive”, e comunque al solo fine di preparare il rimpatrio in caso di sussistenza di un pericolo di fuga o se il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio stesso o dell'allontanamento (art. 15).

Già da queste prime previsioni si scorge un contrasto tra la disciplina delineata dalla “direttiva rimpatri” e quella sancita dal TUI. Come già osservato, l’ordinamento italiano configura come metodo principale per l’espulsione dello straniero irregolare l’accompagnamento coattivo alla frontiera a mezzo della forza pubblica, con la previsione del trattenimento qualora esso non possa essere effettuato immediatamente, in questo contravvenendo la disciplina della direttiva che invece predilige come strumento primario quello della fissazione di un termine per la par- tenza volontaria. La partenza volontaria è effettivamente prevista nel nostro ordinamento (art. 13 comma 5 TUI), ma con modalità tali da vanificarne in gran parte l’applicazione pratica: il termine può essere richiesto unicamente dallo straniero interessato dal provvedimento, ma l’unica previsione legislativa stabilita per dare effettività a questa procedura è l’obbligo per la questura di fornire al soggetto “schede informative plurilingue” che illustrino tale facoltà, sen- za oltretutto prevedere alcunché in merito a struttura, traduzione e modalità di diffusione di tali schede con conseguente disomogeneità di trattamento e totale discrezionalità delle questu- re interessate. Le modalità di attuazione della concessione del termine per la partenza volonta- ria destano ulteriori perplessità: la decisione del prefetto, di regola, si basa sulla documenta-

zione, attestante le condizioni specifiche che giustificano la concessione del termine per la partenza volontaria, allegata dallo straniero alla domanda, domanda che tuttavia è presentata dall’interessato non direttamente al prefetto ma al questore, con il risultato che la decisione è presa non tanto sulla base di un’attenta valutazione del singolo caso ma sulla base di un car- teggio scambiato tra due uffici dell’amministrazione statale. Una volta fissato il termine da parte del prefetto, il questore deve poi chiedere allo straniero “di dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite, per un importo proporzionato al termi- ne concesso, compreso tra una e tre mensilità dell’assegno sociale annuo” (art. 13 comma 5.2); tralasciando alcune considerazioni “pratiche” (come dovrebbe fare lo straniero, in pos- sesso di una somma di denaro, per dimostrare che essa proviene effettivamente da una “fonte lecita”?), tale presupposto, non previsto dalla direttiva rimpatri e di cui il legislatore non spe- cifica la finalità, “pare essere funzionale a scongiurare il rischio di inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio entro il tempo prestabilito, come se maggiore disponibilità economica fosse sinonimo di maggiore affidabilità del singolo”75. Priva di logica sembra anche l’ulteriore

previsione della fissazione, da parte del questore, di misure coercitive volte a dare effettività all’obbligo di partenza allo scadere del termine (consegna del passaporto, obbligo di dimora, presentazione agli uffici della forza pubblica): tali misure sono chiaramente volte a scongiura- re un pericolo di fuga dell’interessato, ma l’esclusione del pericolo di fuga è requisito essen- ziale per la concessione del termine per la partenza volontaria stesso da parte del prefetto. In- costituzionale appare poi il fatto che tali provvedimenti coercitivi, limitativi della libertà per- sonale, possano essere adottati anche in assenza di motivi eccezionali di necessità e urgenza, in questo contravvenendo la disposizione dell’art, 13 comma 3 della Costituzione76. Sulla de-

finizione del “rischio di fuga”, su cui si basa la negazione della concessione del termine, la “direttiva rimpatri” si limita a delineare una scarna definizione (art. 3 punto 7: “la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un cittadino di un paese terzo oggetto di una procedura di rimpatrio possa tentare la fuga”), ri- mettendo sostanzialmente la questione alle legislazioni nazionali. Il TUI adempie all’obbligo definendo puntualmente il rischio di fuga all’art. 13 comma 4 bis, ma ancora una volta con previsioni che destano una certa perplessità: il non possesso di un passaporto in corso di vali- dità, la non disponibilità di un alloggio o il fatto di aver in passato fornito, anche in una sola

75 MAZZA, op. cit, p. 59. 76 MAZZA, op. cit., p. 60.

circostanza, generalità false appaiono agli occhi di diversi studiosi come elementi non neces- sariamente indicanti una precisa volontà del soggetto di sottrarsi all’obbligo della partenza77.

La conflittualità tra la direttiva rimpatri e l’ordinamento del TUI si apprezza anche sotto altri profili. Nel dettato della direttiva, il trattenimento dello straniero è una misura di extrema ra-

tio giustificata solo dalla sussistenza di un pericolo di fuga dell’interessato o di attività di osta-

colo alla preparazione dell'allontanamento da parte di questi (art. 15 comma 1). Questo princi- pio è ripreso anche dalla legislazione italiana, la quale però (come abbiamo già visto) ricom- prende nelle circostanze giustificative del trattenimento in un CIE anche ipotesi del tutto sle- gate da un comportamento attivo o omissivo dello straniero interessato, quali appunto la man- cata cooperazione da parte delle autorità dello Stato di destinazione nel fornire i documenti necessari al rimpatrio o l’indisponibilità di un mezzo di trasporto idoneo al viaggio: se la di- rettiva europea lega il trattenimento a una condotta attiva da parte dell’interessato, la legisla- zione italiana lo lega anche a situazioni contingenti e indipendenti dalla volontà del soggetto, oltretutto con l’aggiunta di una previsione talmente generica (“a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento”, art. 14 comma 1 TUI) che lascia ampio spazio alla discrezionalità dell’autorità procedente. Appare poi una evidente violazione della norma europea il fatto che la legislazione italiana ricom- prenda, tra le cause per le quali è possibile disporre il trattenimento, eventi previsti dalla diret- tiva come causa per il prolungamento del trattenimento già disposto: la “direttiva rimpatri” in- dica infatti (art. 15 comma 6) nella “mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato” e nei “ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi ter- zi” le due cause per le quali gli Stati membri possono prolungare fino a un massimo di dodici mesi l’originario trattenimento di durata semestrale disposto sulla base dell’art. 15 comma 1, quando invece il TUI indica questi due eventi, oltre che come motivo di prolungamento del trattenimento ex art. 14 comma 5, anche come motivo per la disposizione di un trattenimento in un CIE ad opera del questore ex art. 14 comma 1.

Altro grave inadempimento della legislazione italiana riguarda poi la mancanza di una proce- dura di riesame periodico del trattenimento già disposto. La direttiva rimpatri prevede infatti che “il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio” (art. 15 comma 1): il tratte-

nimento dello straniero è una misura temporanea, disponibile unicamente e fintantoché sussi- stono i già citati motivi che la giustificano, ben potendo quindi cessare anticipatamente se tali motivi vengono meno. In attuazione di questo principio, la direttiva prevede quindi che “in ogni caso, il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato o d'ufficio” (art. 15 comma 3), e che “quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata” (art. 15 comma 4). La legi- slazione italiana, tuttavia, non ha recepito questa parte della direttiva: nel TUI è completamen- te assente la previsione di un procedimento di revisione del trattenimento già disposto, a inter- valli periodici oppure attivabile da parte dello straniero trattenuto o d’ufficio, che consenta eventualmente di far cessare anticipatamente la misura in quanto i motivi che la giustificano sono nel frattempo venuti meno; l’unica previsione dettata dalla legislazione italiana è quella della proroga del trattenimento richiesta dal questore (art. 14 comma 5 TUI), oltretutto senza alcuna specificazione in merito alle modalità del relativo procedimento di attuazione (che solo un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa da parte della Cassazione, nella sentenza n. 4544 del 24 febbraio 2010, ha ricondotto al procedimento generale già previ- sto per la convalida giudiziaria del decreto che dispone il trattenimento) e senza un'esplicita possibilità per il giudice di stabilire una durata della proroga articolata e differenziata in base alle effettive esigenze del singolo caso.

Il cattivo recepimento della direttiva rimpatri da parte dell’ordinamento italiano emerge anche dalla sentenza “El Dridi” della Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza 28 aprile 2011 causa C61/11 PPU), relativa all’allora previsione nel TUI di una pena della reclusione fino a un anno per lo straniero che non avesse adempiuto, senza giustificato motivo, a un ordi- ne questorile di allontanamento dal territorio dello Stato entro sette giorni (disposizione poi modificata dal legislatore italiano, dopo la bocciatura da parte della Corte, nella previsione per questa fattispecie di una multa in luogo della reclusione). Nelle motivazioni della sentenza la Corte ha avuto modo di ribadire che l’espulsione dello straniero irregolare debba avvenire, sulla base di quanto disposto dalla “direttiva rimpatri”, di regola tramite un rimpatrio su base volontaria, concedendo allo straniero un congruo termine per lasciare il territorio dello Stato, e solo secondariamente tramite misure coercitive; il trattenimento dello straniero, indicato dal-

la Corte come la “misura più restrittiva della libertà che la direttiva consente nell’ambito di una procedura di allontanamento coattivo” e strettamente regolamentato al fine di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini interessati dei paesi terzi, è disponibile solo lad- dove ogni altra misura coercitiva meno afflittiva non risulti sufficiente nel caso in specie. La Corte ha quindi censurato la previsione di una sanzione penale (la reclusione fino a un anno, appunto) come misura volta “al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo”: eventuali misure penali adottate in materia devo- no risultare compatibili con il diritto comunitario in generale e non dovranno comunque esse- re tali da “compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e da priva- re così quest’ultima del suo effetto utile”, mentre invece, come la notare la Corte, la previsio- ne della reclusione per lo straniero inottemperante all’ordine di allontanamento compromette “la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva” visto che ritarda l’esecuzione del rimpatrio dello straniero stesso. La Corte ha poi avuto modo di indicare le disposizioni della direttiva come direttamente applicabili (essendo inutilmente scaduto il termine per il loro re- cepimento da parte dell’Italia e trattandosi di norme chiare e incondizionate), e ha quindi invi- tato i giudici italiani a disapplicare le norme del TUI che risultino in contrasto con la direttiva stessa; ha poi sancito che le regole fissate dalla “direttiva rimpatri” solo derogabili da parte degli Stati membri solo in senso più favorevole per lo straniero interessato.

In generale, l’impressione che si ricava da questa disamina è che il legislatore italiano abbia voluto dare un recepimento di massima della “direttiva rimpatri” ma prestando la dovuta at- tenzione solo ai punti che più riteneva coerenti con l’impostazione fino ad allora seguita (pri- ma tra tutti la durata del trattenimento, subito prolungata nel suo limite massimo a 18 mesi sfruttando l’apposita facoltà concessa dall’art. 15 commi 5 e 6 della direttiva), trascurando di dare attuazione concreta ad altre disposizioni se non proprio ignorando o non accogliendo la

ratio e lo spirito dei principi dettati dal legislatore europeo; l’attuazione della direttiva, lungi

dal costituire un miglioramento della tutela dei diritti fondamentali degli stranieri sottoposti a procedura di espulsione, si è in gran parte tradotta in un inasprimento del regime precedente.