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3. La disciplina

3.3 Gestione, organizzazione e modalità del trattenimento

3.3.3 Modalità del trattenimento

Fino all’adozione del decreto del Ministero dell’Interno del 20 ottobre 2014, non esisteva un regolamento unitario per la gestione interna delle attività di un CIE o che garantisse i diritti dei trattenuti e l’erogazione dei servizi loro spettanti. Le fonti legislative sono in merito caren- ti e contengono solo disposizioni generali e di principio. Il TUI, all’art. 14 comma 2, si limita a prevedere che lo straniero sia trattenuto nel centro “con modalità tali da assicurare la neces- saria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità”, assicurando in ogni caso “la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno”; similmente, il decreto legislativo n. 142/2015 sul trattenimento dei richiedenti la protezione internazionale enuncia, all’art. 7, che lo stranie- ro è trattenuto “con modalità che assicurano la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità”, deve essere informato “delle regole vigenti nel centro nonché dei suoi diritti e obblighi nella prima lingua da lui indicata o in una lingua che ragionevolmente si suppone che comprenda”, e che all’interno del centro deve essere assicurata, nell’ambito dei servizi socio- sanitari, “la verifica periodica della sussistenza di condizioni di vulnerabilità che richiedono misure di assistenza particolari”. Il regolamento di attuazione del TUI dedica alle modalità del trattenimento l’art. 21: le modalità del trattenimento devono garantire “nel rispetto del regola- re svolgimento della vita comune, la libertà di colloquio all’interno del centro e con visitatori provenienti dall’esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona”,

e nell’ambito del centro devono essere “assicurati, oltre ai servizi occorrenti per il manteni- mento e l’assistenza degli stranieri trattenuti o ospitati, i servizi sanitari essenziali, gli inter- venti di socializzazione e la libertà di culto, nei limiti previsti dalla Costituzione”. A parte queste disposizioni, la disciplina puntuale del regime cui sono sottoposti i trattenuti è stata a lungo definita dai regolamenti interni di ogni singolo CIE, adottati dalle prefetture territorial- mente competenti in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 21 comma 8 regolamento di at- tuazione del TUI. Ai regolamenti emanati dal prefetto, sentito il questore, è demandata la defi- nizione delle disposizioni occorrenti “per la regolare convivenza all’interno del centro, com- prese le misure strettamente indispensabili per garantire l’incolumità delle persone, nonché quelle occorrenti per disciplinare le modalità di erogazione dei servizi predisposti per le esi- genze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale e le modalità di svolgi- mento delle visite”, in attuazione delle disposizioni contenute nel decreto di costituzione del centro e delle altre direttive impartite dal Ministero dell’Interno (in particolare, per quanto ri- guarda l’erogazione dei servizi, tramite i capitolati d’appalto). Questo basarsi sui singoli rego- lamenti interni per la definizione delle modalità del trattenimento ha inevitabilmente ingenera- to diverse disparità di trattamento tra un centro e l’altro, situazione cui solo l’adozione da par- te del Ministero dell’Interno nell’ottobre 2014 di un regolamento unico per la gestione e l’organizzazione dei CIE ha tentato di porre rimedio.

Il trattenimento in un CIE è disposto mediante strumenti coercitivi: in base all’art. 14 comma 7 TUI, spetta al questore adottare tutte le misure di vigilanza necessarie perché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e per ripristinare la misura qualora essa sia violata, avvalendosi all’uopo della forza pubblica. L’art. 22 comma 9 del regolamento di attuazione del TUI specifica ulteriormente che al questore è demandata l’attuazione dei provvedimenti e delle misure “occorrenti per la sicurezza e l’ordine pubblico nel centro, comprese quelle per l’identificazione delle persone e di sicurezza all’ingresso del centro, nonché quelle per impe- dire l’indebito allontanamento delle persone trattenute e per ripristinare la misura nel caso che questa venga violata”. In attuazione di tali disposizioni, quindi, i regolamenti dei singoli CIE hanno sempre previsto, accanto al divieto assoluto per lo straniero di lasciare il centro, la pre- disposizione all’interno della struttura di presidi delle forze di pubblica sicurezza, circostanza ora prevista puntualmente dal regolamento unico del Ministero dell’Interno (artt. 9, 10 e 11): la vigilanza tanto interna (controllo e identificazione dei visitatori non istituzionali, manteni-

mento dell’ordine e della sicurezza pubblica) quanto esterna (controllo degli accessi e delle mura perimetrali), assicurata ininterrottamente per le 24 ore, è svolta da membri della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri o della Guardia di Finanza unitamente, ove sia previsto, da appartenenti ad altre Forze Armate, sotto la supervisione generale di un responsabile del servi- zio di vigilanza individuato dal questore in un ufficiale di un corpo di polizia giudiziaria.

L’assistenza sanitaria offerta ai trattenuti è un aspetto centrale per la tutela del fondamentale diritto costituzionale alla salute. Come disposto anche dal regolamento unico del Ministero dell’Interno, ogni CIE deve essere dotato di un’area destinata all'assistenza sanitaria dei tratte- nuti, comprensiva di spazi per le visite mediche, per l’isolamento e la breve osservazione, e dotate di servizi igienici dedicati, mentre l’ente gestore deve provvedere alla presenza dell’adeguato personale medico e infermieristico. Prima dell’ingresso nel centro lo straniero deve essere sottoposto a visita medica da parte della ASL o dell’azienda ospedaliera, in parti- colare per accertare che non sussistano patologie che rendano incompatibile la permanenza del soggetto nella struttura (malattie infettive, stati psichiatrici, patologie acute o cronico de- generative), mentre una volta all’interno lo straniero è sottoposto a visite e screening medici da parte del personale del centro, il quale deve predisporre per ogni trattenuto un’apposita scheda sanitaria. Qualora si renda necessaria l’effettuazione di visite o trattamenti sanitari spe- cialistici, lo straniero può essere tradotto, su autorizzazione del responsabile del centro, in strutture sanitarie esterne ma comunque con l’accompagnamento e la sorveglianza delle forze dell’ordine. Sotto il profilo dell’assistenza sanitaria, tanto le visite alle strutture da parte della Commissione diritti umani del Senato32 quanto le campagne di ispezione condotte da associa-

zioni attive nella tutela dei diritti umani fondamentali33 hanno riscontrato numerose criticità:

in linea di massima, gli enti gestori sono in grado di assicurare un servizio unicamente di pri- mo livello (a volte limitato ai soli trattamenti sanitari essenziali e comunque troppo dipenden- te dalla discrezionalità ed efficienza dei singoli enti gestori) appoggiandosi praticamente sem- pre a strutture esterne per le cure specialistiche e gli accertamenti diagnostici di approfondi- mento; queste attività, però, sono frequentemente ostacolate e ritardate da impedimenti logi- stici (tra tutti la mancanza di un sufficiente numero di agenti di pubblica sicurezza per garanti- re le scorte) e burocratici (non sempre è presente un’intesa tra l’ente gestore e l’ASL del terri-

32 Commissione diritti umani Senato, Rapporto 2014, pp. 40-80.

33 Medici per i Diritti Umani, Arcipelago CIE – Indagine sui Centri di identificazione ed espulsione italiani, Infinito edizioni, 2013; Medici senza frontiere, Al di là del muro – Viaggio nei centri per migranti in Italia, Missione Italia, gennaio 2010.

torio per l’accesso ai servizi di secondo livello, intesa che del resto deve essere rinegoziata se l’ente gestore cambia). Vi è poi una generale carenza nello scambio di informazioni sanitarie in caso di trasferimento di un soggetto da un CIE all’altro o dal carcere a un CIE (anche nel caso si tratti di stranieri detenuti da diverso tempo), e quasi sempre gli stranieri per i quali le visite preliminari (per le quali non sono previste linee guida comuni con conseguente alto gra- do di discrezionalità) portano alla luce patologie incompatibili con il trattenimento sono sem- plicemente liberati senza essere avviati a strutture sanitarie in grado di trattarli o senza essere informati delle terapie di cui necessitano. Si lamenta una generale deficienza degli organici del personale sanitario assegnato alle strutture sotto il profilo del personale specialistico (so- prattutto psichiatri e ginecologi) che pure sarebbe particolarmente necessario dato il contesto dei centri e dei loro occupanti. Si riscontra un uso abnorme di psicofarmaci, in particolare an- siolitici, che risulta preoccupante in ragione della mancanza di personale medico specialistico che possa sorvegliarne la prescrizione e l’assunzione. Emerge poi, dalle testimonianze raccol- te, una grave compromissione del rapporto di fiducia tra medici e pazienti, con i primi che nu- trono il sospetto di trovarsi di fronte a sintomi simulati o causati da atti di autolesionismo (in- vero frequenti) al solo scopo di lasciare la struttura e tentare quindi la fuga, e i secondi che de- nunciano scarsa attenzione ai loro problemi di salute da parte del personale sanitario. Il siste- ma è in buona sostanza concepito per fornire assistenza sanitaria a persone trattenute per un breve periodo di tempo, rivelandosi quindi inadatto quando questi tempi sono prolungati oltre una certa misura con la conseguente necessità di gestire in maniera continuativa patologie cro- niche e ingravescenti34.

Il regolamento unico del Ministero elenca, all’art. 4, un lungo insieme di servizi che l’ente ge- store deve garantire ai trattenuti, tra cui la custodia dei risparmi e dei beni personali (elencan- do anche gli oggetti la cui detenzione all’interno del centro è vietata per ragioni di sicurezza, in questo sanando la precedente ampia discrezionalità che mostravano i singoli regolamenti interni), il servizio mensa, la corrispondenza epistolare e telefonica, le attività ricreative, so- ciali e religiose. All’art. 5 è prevista la possibilità per la prefettura di stipulare accordi con enti e associazioni esterne per la fornitura ai trattenuti di servizi, integrativi di quelli forniti dall’ente gestore, riguardanti la mediazione culturale, l’interpretariato, l’assistenza legale e so- ciale, il supporto psicologico e le attività ricreative. In generale, il regolamento prescrive (art. 1) di fornire all’interessato, all’atto di entrata nel centro, una serie di documentazioni che illu-

strino quelli che sono i suoi diritti fondamentali, tra cui una “Carta dei diritti e dei doveri” ri- portata in calce allo stesso regolamento, un elenco degli avvocati che esercitano il patrocinio gratuito, e materiale informativo riguardante la procedura per la richiesta della protezione in- ternazionale. Anche sotto questi profili numerose sono le criticità rilevate. La grave carenza di spazi adeguati rende difficile garantire attività ricreative e di esercizio del culto quando non addirittura la semplice libertà di movimento all’interno del centro, uno stato di fatto che porta a una prolungata inattività forzata per i trattenuti (i quali sono completamente esclusi anche dalla gestione interna della struttura) che aggrava il disagio psichico della detenzione. A parte l’accesso a un apparecchio televisivo, l’offerta di attività ricreative da parte dei gestori è mise- ra e a volte si concretizzata in attività poco consone al luogo e alle persone trattenute, stante anche le regole stringenti (per evitare rischi d’incendio sono vietati libri e giornali, la fornitura di penne e matite è strettamente controllata per evitare atti di autolesionismo). L’erogazione dei servizi di mediazione linguistica e culturale, di assistenza legale e di supporto psicologico rispondono a standard non omogenei e risultano quindi spesso insoddisfacenti, anche in ragio- ne delle carenze di personale (vari centri non dispongono di mediatori culturali, gli psicologi sono presenti per limitati periodi di tempo), aggravando così il disagio psichico dei trattenuti e impedendo un adeguato trattamento delle situazioni di vulnerabilità (come le vittime di abusi e violenze o le persone in stato di grave emarginazione sociale). In alcuni centri sono state ri- scontrate deficienze nella fornitura dei servizi elementari (come la barberia o la lavanderia) e nella fornitura di beni essenziali come lenzuola, coperte, vestiario e prodotti per l’igiene. La comunicazione agli interessati di quali siano i loro diritti e doveri, o finanche dello stesso re- golamento interno, avviene spesso con modalità inadeguate, con conseguenti gravi compro- missioni delle loro facoltà in merito alla procedura: molti trattenuti lamentano di non aver avuto modo di incontrare il proprio difensore d’ufficio, o di non essere stati informati della possibilità di nominare un legale di fiducia o di avanzare domanda di protezione internaziona- le. Come giudizio complessivo sulle condizioni di vita nei CIE basti la testimonianza, resa da numerosi trattenuti, secondo cui “si sta meglio in carcere”35.

Il capitolo relativo all’accesso all’interno dei CIE da parte di persone esterne è stato fonte di notevoli contrasti. La materia era inizialmente regolata dalla direttiva del Ministro dell'Interno del 24 aprile 2007 che forniva una compiuta disciplina riconoscendo anche alla stampa la pos- sibilità di accesso a tali centri nel rispetto di alcune prescrizioni poste a tutela del diritto alla

riservatezza degli stranieri. Con la motivazione di far fronte a una massiccia ondata di arrivi dal nord Africa, tuttavia, il 1º aprile 2011, con la circolare n. 1305, il Ministero degli Interni vietò l’accesso alle strutture da parte di chiunque non fosse indicato in un ristretto elenco (comprendente Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Organizzazione Interna- zionale delle Migrazioni, Croce Rossa Italiana, Amnesty International, Medici Senza Frontie- re, Save The Children, Caritas e altre associazioni già in rapporti con il Ministero), escluden- do quindi i mezzi d’informazione, le organizzazioni indipendenti e in generale gli esponenti della società civile. La misura scatenò fortissime polemiche da parte degli organi di stampa e degli attivisti della società civile, concretizzatesi nell’avvio della campagna “LasciateCIEntra- re” per reclamare il diritto di informare ed essere informati sulle condizioni interne delle strut- ture di trattenimento degli stranieri, e fu infine annullata, cambiato il governo, dalla direttiva n. 11050/110(4) del 13 dicembre 2011 la quale ripristinò il precedente regime; sulla questione si esprimeva anche il TAR del Lazio con la sentenza n. 4518 del 18 maggio 2012, la quale ri- scontrava una violazione da parte della precedente circolare 1305/2011 delle norme fonda- mentali poste a tutela della libertà di stampa (l’art. 21 della Costituzione, l’art. 10 Convenzio- ne Europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali e l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea). La disciplina è ora più puntualmente nor- mata dal regolamento unico agli artt. 6 e 7: hanno accesso ai CIE “in qualunque momento senza alcuna autorizzazione e previa tempestiva segnalazione alla prefettura” i membri del governo e del parlamento nazionale ed europeo, i magistrati nell’esercizio delle loro funzioni, il delegato in Italia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e il garante na- zionale per la tutela dei diritti delle persone detenute, i quali possono intrattenere colloqui con gli stranieri detenuti che ne facciano richiesta purché il responsabile della vigilanza non rilevi rischi per la sicurezza degli ospiti; previa autorizzazione della prefettura e nulla osta della questura, possono accedere ai centri anche i rappresentati di enti, associazioni di volontariato o cooperative di solidarietà sociale che abbiano stipulato accordi con il Ministero dell’Interno o la prefettura per lo svolgimento di attività di assistenza, i garanti regionali per la tutela dei diritti dei detenuti (per i soli centri presenti nel territorio su cui hanno competenza), i giornali- sti, i ministri di culto richiesti dallo straniero, il coniuge e i familiari del trattenuto, il persona- le della rappresentanza diplomatica o consolare del paese dello straniero che ne faccia richie- sta, e in generale tutti i soggetti che avanzino motivata richiesta. Anche su questo punto non sono mancate contestazioni, legate all’eccessiva discrezionalità dei criteri adottati dalle prefet-

ture in merito a modi e tempi delle visite dei soggetti “non istituzionali”, alla frequente impos- sibilità di visite ai singoli stranieri da parte di persone che non siano familiari stretti, alle con- dizioni di riservatezza dei colloqui stessi, all’impossibilità di eseguire registrazioni video o fo- tografiche senza esplicita autorizzazione della prefettura (divieto esteso agli stessi trattenuti, cui sono requisiti i telefoni cellulari dotati di fotocamere)36. L’impressione generale è che i

CIE siano strutturati come istituzioni chiuse ed estranee al territorio dove sorgono, “luoghi te- nuti separati dal resto della società e volutamente avvolti da una patina opaca per allontanarli dall’opinione pubblica e dalle istituzioni”, cosa che “impedisce il controllo democratico su tale realtà”37.