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4. Le problematiche della normativa

4.2 Il trattenimento nei CIE è una forma di detenzione?

A dispetto dei precedenti storici prima citati, la classificazione del trattenimento dello stranie- ro nei CIE come forma di detenzione (ancorché amministrativa) non sembra essere stata espli- citamente accolta dal legislatore italiano, quantomeno fino a tempi recenti. In generale, nella redazione dei vari testi normativi regolanti la materia si assiste anzi a una precisa scelta dei

termini caratterizzata da un certo “pudore”58 nella definizione degli istituti: così, la permanen-

za coattiva degli stranieri nei CIE, garantita dalla forza pubblica che deve ripristinarla in caso di sua indebita interruzione, non è mai definita (nei regolamenti interni quanto nel regolamen- to unico emanato dal Ministero dell’Interno nel 2014) come “detenzione” ma sempre come “trattenimento”, e gli stranieri oggetto di tale procedura non sono, conseguentemente, mai de- finiti come “detenuti” ma solo come “trattenuti”, “stranieri” o, in particolare nei vari regola- menti interni dei singoli centri, come “ospiti”, termine all’apparenza alquanto eufemistico (come eufemistica appariva del resto la definizione di “Centro di permanenza temporanea e assistenza” originariamente attribuita alle strutture, definizione divenuta poi più chiara circa le reali finalità delle stesse con il passaggio alla dizione di “Centro di identificazione ed espul- sione”). Questa sorta di pudore nell’ammettere il carattere detentivo del trattenimento coattivo nei centri per migranti traspariva anche più chiaramente nella relazione di accompagnamento alla legge Turco-Napolitano del 1998, dove si indicava esplicitamente che “i centri di perma- nenza temporanea sono estranei al circuito penitenziario”, e nella circolare del Ministero dell’Interno n. 11 del 20 marzo 1998, successiva all’approvazione della legge Turco-Napolita- no, dove si precisava che “il trattenimento nel centro non potrà in nessun caso assimilarsi all’applicazione di una sanzione detentiva” (pur specificando che si dovrà avere “la massima cura perché l’accoglienza nei centri non comporti limitazioni della libertà che non siano stret- tamente indispensabili per evitare l’allontanamento abusivo e per garantire la sicurezza delle persone che convivono o lavorano nel centro stesso”). La tesi era che il trattenimento incideva sulla libertà di circolazione e soggiorno dello straniero e non sulla sua libertà personale, e del resto il trattenuto che si fosse indebitamente allontanato dal centro non sarebbe incorso nel reato di evasione.

Tutto all’opposto rispetto al legislatore, la dottrina nettamente maggioritaria non ha mai nega- to la natura di “detenzione” (amministrativa se non propriamente penitenziaria) del tratteni- mento dello straniero in un CIE: una limitazione della libertà personale del singolo, quindi, ol- tretutto prevista (per la prima volta nell’ordinamento italiano) in maniera disgiunta dalla pre- visione di una fattispecie di reato (introdotta solo successivamente all’istituzione dei CIE stes- si)59. Questa tesi prende le mosse da valutazioni strettamente pratiche: i centri riprendono la

58 La definizione è di ALBERTO DI MARTINO, La disciplina dei C.I.E. è incostituzionale, in Diritto Penale Contemporaneo, p. 2.

59 CARLOTTA HAPPACHER, La direttiva rimpatri e la sua recezione in Italia, 2012, consultabile all’indirizzo http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/migranti/happache/

conformazione architettonica (mura perimetrali, videosorveglianza, separazione delle unità abitative a mezzo di barriere) e le regole riguardanti la vita all’interno (divieto di introdurre e detenere determinati oggetti, regolamentazione delle visite dall’esterno) tipiche delle strutture carcerarie; i centri sono sorvegliati continuativamente dalle forze dell’ordine alla stregua di penitenziari; i trattenuti non possono lasciare la struttura se non previa autorizzazione della questura, e qualora lo facciano la misura deve essere ripristinata nel più breve tempo possibile tramite l’intervento della forza pubblica; il trattenimento è disposto al termine di un procedi- mento di convalida davanti a un’autorità giudiziaria che riprende il dettato generale stabilito dall’art. 13 della Costituzione in materia di restrizione della libertà personale (in particolare sotto il profilo del limite delle 48 ore per la definizione del procedimento). Proprio l’art. 13 della Costituzione, del resto, non sembra operare distinzioni di sorta: al comma secondo esso infatti statuisce che “non è ammessa forma alcuna di detenzione […] né qualsiasi altra restri- zione della libertà personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi stabiliti dalla legge”. Nel dettato costituzionale, le forme in cui si concretizza la “restri- zione” della libertà personale sono del tutto indifferenti nella loro sottomissione alla riserva di legge per quanto riguarda i casi e i modi in cui attuarle: la restrizione della libertà personale è valutata indipendentemente dallo strumento tramite il quale essa viene concretamente attuata.

Una parola di chiarezza è arrivata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 105 del 2001: nel dirimere alcune questioni di costituzionalità sollevate dal tribunale di Milano in merito alla procedura di accompagnamento coattivo alla frontiera disciplinata dalla legge Turco- Napolitano, la Corte sentenziò che “il trattenimento dello straniero presso i centri di perma- nenza temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione. Si può forse dubitare se esso sia o meno da includere nelle misure restrittive tipiche espressamente menzionate dall’articolo 13, e tale dubbio può essere in parte alimentato dalla considerazione che il legi- slatore ha avuto cura di evitare, anche sul piano terminologico, l’identificazione con istituti fa- miliari al diritto penale, assegnando al trattenimento anche finalità di assistenza e prevedendo per esso un regime diverso da quello penitenziario. Tuttavia, se si ha riguardo al suo contenu- to, il trattenimento è quantomeno da ricondurre alle “altre restrizioni della libertà personale”, di cui pure si fa menzione nell’articolo 13 della Costituzione. Lo si evince dal comma 7 dell’articolo 14, secondo il quale il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci

misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura ove questa venga violata”. Pur senza mettere in discus- sione la legittimità degli allora CPTA, la Corte indica chiaramente che il trattenimento nei centri è una misura incidente sulla libertà personale, anche se non è configurato come misura detentiva finalizzata all’espiazione di una pena: “si determina dunque nel caso del tratteni- mento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortifica- zione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà perso- nale”.

L’assimilazione del trattenimento degli stranieri da espellere a una forma di restrizione della libertà personale e il paragone tra CIE e strutture detentive sono ormai dati acquisiti da una molteplicità di soggetti istituzionali: la Commissione straordinaria per la tutela e la promozio- ne dei diritti umani del Senato nel suo Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti pe-

nitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia del 6 marzo 2012

(“l’istituzione dei centri si giustifica nella necessità di disporre di mezzi per il rimpatrio degli stranieri, ma l’allungamento dei tempi di permanenza determina un cambio di prospettiva, non trattandosi più di misura straordinaria e temporanea di limitazione della libertà per attuare l’allontanamento ma, vista l'incertezza dei tempi per l’accertamento delle generalità e dell’espulsione, di una detenzione amministrativa”) e nel suo Rapporto sui centri di identifi-

cazione ed espulsione in Italia del luglio 2014 (“L’istituto del trattenimento è di fatto una mi-

sura coercitiva che incide sulla libertà personale la cui natura giuridica si sostanzia in una for- ma di privazione della libertà, sia pure di natura amministrativa”), o la legge 21 febbraio 2014 n. 10, che nell’istituire il “Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale” ne prevede l’intervento anche all’interno dei CIE. In sede internazionale, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, or- gano del Consiglio d’Europa, esercita il suo controllo tanto su carceri, commissariati di poli- zia e istituti psichiatrici giudiziari quanto sui centri di ritenzione per immigrati irregolari60,

mentre la stessa Corte europea dei diritti dell'uomo è intervenuta per la violazione dell’art. 3 CEDU (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradan- ti”) anche in riferimento alla detenzione amministrativa degli stranieri (tra le varie sentenze, la pronuncia del 26 novembre 2009 Tabesh c. Grecia, la pronuncia 22 gennaio 2011 M.S.S. c.

Grecia e Belgio, la pronuncia 19 dicembre 2013 C.D. e altri c. Grecia, la pronuncia 19 dicem- bre 2013 B.M. c. Grecia).