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Cenni di crioconservazione dell’embrione bovino

Metodiche di crioconservazione dell’embrione nell’uomo, bovino e cavallo

2. Cenni di crioconservazione dell’embrione bovino

Lo scopo della crioconservazione degli embrioni bovini è quello di permettere una conservazione degli embrioni in condizioni valide da cui può essere ripreso, dopo un breve o un lungo periodo, il normale sviluppo all’interno di una bovina ricevente (Gordon, 1996).

Tra le metodiche disponibili nel campo della crioconservazione di embrioni bovini possiamo riscontrare: la refrigerazione; il congelamento e la vitrificazione.

Per quanto concerne la refrigerazione, i primi studi che hanno dimostrato la possibilità di conservare embrioni bovini per un breve periodo a temperature di refrigerazione, 24 h a 10°C, sono stati condotti negli anni 80’a Dublino. Lavori svolti a Cambridge hanno mostrato una chiara relazione tra qualità dell’embrione e stadio di sviluppo e capacità di sopravvivere alla refrigerazione o congelamento (Gordon, 1996). Studi condotti in Texas hanno dimostrato che embrioni bovini recuperati al 5°giorno, non riescono a sopportare temperature di refrigerazione di 4°C; tali embrioni sembravano morfologicamente normali, se esaminati subito dopo raffreddamento, ma le membrane cellulari risultavano danneggiate già dopo 3-7 h in coltura a 38°C (Looney et al., 1989).

AL contrario, altri autori hanno riportato che la refrigerazione a temperature comprese tra 0-4°C è in grado di conservare la capacità di sviluppo degli embrioni bovini (Leibo e Winniger, 1986; Refsdal et al., 1988). Landsverk e colleghi hanno riportato percentuali di gravidanza del 56% dopo trasferimento di embrioni, recuperati da bovine superovulate, refrigerati a 4°C, rispetto al 50% dopo trasferimento di embrioni congelati (Landsverk et al., 1992).

Il vantaggio della tecnica della refrigerazione sta nel fatto di poter spostare facilmente embrioni da una regione all’altra, anche se, le poche ore di sopravvivenza a disposizione, generalmente non più di 24, limitano questi spostamenti ad una territorio relativamente ristretto (Gordon, 1996). Proprio per questi motivi, il commercio internazionale degli embrioni bovini è per la maggior parte rappresentato da embrioni congelati (Gordon, 1996).

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La metodica del congelamento permette una conservazione degli embrioni in azoto liquido a – 196°C, per un periodo di tempo illimitato; il periodo di tempo per il quale gli embrioni bovini vengono crioconservati (da alcuni mesi o qualche anno) sembra non influenzarne la vitalità dopo scongelamento (Hruska, 1991).

Negli ultimi quarant’anni sono stati pubblicati molti lavori scientifici sui vari aspetti delle procedure riguardanti il congelamento degli embrioni di bovino. Il primo successo è da attribuire a Wilmut e Rowson i quali ottennero una gravidanza dal trasferimento di 21 embrioni che erano stati congelati (Wilmut e Rowson, 1973).

Il più importante aspetto da considerare durante il processo di crioconservazione, consiste nel rimuovere dalle cellule la maggior quantità di acqua possibile prima del congelamento; infatti, molti studi sono stati condotti sulle varie tecniche di congelamento, in particolare sulle concentrazioni di crioprotettori da utilizzare, le curve di discesa della temperatura, le temperature di scongelamento e i metodi per la rimozione dei crioprotettori dopo scongelamento (Gordon, 1996).

Una procedura per il congelamento di embrioni bovini allo stato di blastocisti fu descritta da Gordon: gli embrioni dopo la raccolta furono passati in soluzioni avanti concentrazioni crescenti di crioprotettori, per poi essere trasferiti in una soluzione concentrata di glicerolo (1,4 M in PBS contenente siero fetale bovino o BSA) a temperatura ambiente per un periodo di equilibratura di 20 minuti; in seguito è stato aggiunto siero bovino al PBS in una concentrazione di circa il 15% o BSA a 4 mg/ml; a questo punto l’embrione venne caricato in una paillettes da 0,25 ml, fu abbassata bruscamente la temperatura fino a 0°C e portata a valori che oscillavano da -4°C a 7°C. In questa fase fu osservata la formazione iniziale di ghiaccio controllata; in seguito il ghiaccio si formò con valori di 0,3°C per minuto fino a -35°C/min e la paillette contenente l’embrione fu immersa in azoto liquido (-196°C). Lo stesso autore osservò che una cellula idratata sottoposta a congelamento, risulta più suscettibile a danni secondari indotti dalla formazione di grandi cristalli di ghiaccio (Gordon, 1996).

Alcuni autori hanno osservato che uno dei principali fattori che condizionano la sopravvivenza degli embrioni bovini sottoposti a congelamento è dato dalla curva di

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discesa della temperatura; negli anni 70’ è risultato pratico l’utilizzo di curve di raffreddamento di 0,3°C al minuto; tuttavia è stato successivamente dimostrato da Leibo che una maggiore percentuale di sopravvivenza di embrioni bovini sospesi in una soluzione contenente 1,5 M di glicerolo può essere ottenuta con curve di discesa della temperatura di 0,6°C al minuto (Leibo, 1988).

Tra le metodiche di congelamento degli embrioni che possono essere utilizzate attualmente vi sono: il congelamento lento senza equilibratura, il congelamento lento con equilibratura e il congelamento rapido (Ambrosi et al., 2002).

Il congelamento lento senza equilibratura è una metodica che prevede una veloce discesa della temperatura e l’utilizzo di soluzioni estremamente concentrate che causano una rapida disidratazione in modo da far completare il congelamento prima che sia eseguita la fase di equilibratura.

Il congelamento rapido è una tecnica poco utilizzata: dopo un periodo variabile di equilibratura variabile tra 30 secondi e 3 minuti, gli embrioni a questo punto parzialmente disidratati, vengono sottoposti a raffreddamento sui vapori dell’azoto e poi immersi in azoto liquido a -196°C; le percentuali di gravidanza dopo trasferimento di embrioni sottoposti a questo tipo di congelamento sono risultate del 33% circa (Nieman, 1991).

Il congelamento lento con equilibratura è la metodica maggiormente diffusa tra quelle fino ad ora descritte; essa consiste nell’esposizione dell’embrione al crioprotettore per tempi ben determinati, a temperatura ambiente, in base alle caratteristiche fisiche delle molecole utilizzate (Ambrosi et al., 2002). Le tappe fondamentali di questo tipo di congelamento prevedono una fase di equilibratura a temperatura ambientale, l’attesa di un minuto a una temperatura variabile tra -5°C e -7°C, induzione della cristallizzazione (“seeding”), discesa controllata della temperatura -0,5°C al minuto e immersione diretta in azoto liquido quando la temperatura raggiunge valori di -30°C/- 70°C (Ambrosi et al., 2002).

Lo scongelamento degli embrioni viene generalmente eseguito tramite esposizione delle paillettes all’aria e all’acqua; Rall e Maier hanno descritto una procedura che

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prevede l’esposizione delle paillettes all’aria per 10 secondi prima di essere immerse in acqua, la breve esposizione all’aria permette un riscaldamento della paillette fino a - 100°C, prima di essere immessa a 37°C in acqua, limitando così danni agli embrioni (Rall e Maier, 1989).

Nieman ha affermato che la maggiore difficoltà per un utilizzo estensivo delle procedure di congelamento e scongelamento è rappresentata dal metodo difficoltoso e costoso necessario per i passaggi di rimozione dei crioprotettori dall’embrione congelato (Nieman, 1991). Una procedura alternativa alla “multistep” ovvero, esporre l’embrione a concentrazioni decrescenti di crioprotettore, è stata descritta da diversi autori a partire da metà degli anni ’80; tale procedura ha preso il nome di “one step” e prevede che l’embrione congelato venga trasferito, direttamente nella paillette, da un medium crioprotettore a un altro, contenente un soluto impermeabile a concentrazione ipertonica (saccarosio) in modo da far fuoriuscire il crioprotettore dalle cellule per mantenere l’equilibrio osmotico. Gordon ha osservato che quando gli embrioni di bovino contengono protettori intracellulari non molto concentrati, la rapida riduzione di volume dovuta all’osmolarità della soluzione impermeabile di glucosio, permette all’embrione di essere rapidamente diluito in un medium isotonico e direttamente trasferibile nella ricevente (Gordon, 1996).

Il glicole etilenico è stato usato come crioprotettore per la conservazione degli embrioni bovini ed è stato osservato che esso permette una diretta reidratazione degli embrioni scongelati nel liquido di conservazione, a una concentrazione ottimale di 1,5 M (Voelkel e Hu, 1992; Janowitz e Gorlach, 1994).

Galli e colleghi hanno osservato percentuali di gravidanza simili nel trasferimento diretto di embrioni bovini congelati con glicole etilenico 1,5 M e il trasferimento dopo reidratazione in glicerolo al 10% degli embrioni congelati (Galli et al., 1995). Voelkel e Hu hanno affermato che i metodi diretti di trasferimento possono eliminare la necessità della presenza di un embriologo al momento dell’ET e che un operatore esperto può effettuare il trasferimento degli embrioni bovini scongelati direttamente in stalla (Voelkel e Hu, 1992).

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Palasi e colleghi hanno riportato percentuali di gravidanza, dopo trasferimento di embrioni congelati, superiori al 55% (Palasz et al., 1993); Gordon ha riportato percentuali di gravidanza maggiori o uguali al 60% considerando come limiti fattori quali la qualità embrionale, la selezione della ricevente e la sincronizzazione tra donatrice e ricevente (Gordon, 1996).

L’alternativa al congelamento embrionale è la vitrificazione, processo rapido, non molto costoso e utilizzato per la crioconservazione di embrioni di diversi mammiferi e a vari stadi di sviluppo (Vajta e Nagy, 2006).

La vitrificazione è un processo fisico mediate il quale una soluzione viene trasformata in uno stato amorfo simile al vetro attraverso una rapida discesa della temperatura, in modo da evitare la formazione di cristalli di ghiaccio e mantenere le proprietà dei fluidi allo stato solido (Rall, 1987); tale stato solido simile al vetro ha una distribuzione ionica e molecolare paragonabile a quella dello stato liquido, limitando così danni chimici e meccanici (Wissenschafts-Verlag, 2001).

McFarlan ha osservato che la formazione di uno strato simile al vetro si ottiene generalmente quando la concentrazione dei crioprotettori è più alta del 40% (McFarlan, 2001) anche se tali concentrazioni possono risultare tossiche per l’embrione (McFarlan, 1987).

La vitrificazione si avvale dei medesimi principi del congelamento, ma utilizza soluzioni estremamente viscose e curve di discesa della temperatura talmente elevate (fino a un massimo di 2500°C/minuto) che la disposizione delle molecole della soluzione dopo il congelamento e l’aspetto stesso ricorda quello del vetro.

Wissenschafts-Verlag ha riportato che i crioprotettori non permeabili (es. glucosio), se aggiunti alle soluzioni di vitrificazione, diminuiscono la tossicità per una probabile riduzione della concentrazione di crioprotettore intracellulare (Wissenschafts-Verlag, 2001).

La vitrificazione degli embrioni bovini viene ottenuta mediante l’immersione di una paillette contenente l’embrione direttamente in azoto liquido; tuttavia è stato riportato

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che l’esposizione della paillette ai vapori dell’azoto (-150°C), prima dell’immersione nello stesso è molto utile per prevenire le rotture della zona pellucida o degli embrioni stessi (Gordon, 1996). Tali rotture sono state osservate anche durate le fasi di scongelamento; per questo motivo si preferisce, attualmente, esporre le paillette all’aria per qualche secondo prima dell’immersione in acqua a 37°C (Rall e Mayer, 1989).

Il primo successo della conservazione di embrioni di topo (Rall e Fahy, 1985) tramite vitrificazione è stato seguito da numerosi studi, riguardanti le altre specie. Massip e colleghi hanno vitrificato con successo morule e blastocisti bovine, ottenendo buone percentuali di gravidanza (Massip et al., 1986, 1989); de Leeuw e colleghi, utilizzando una miscela di glicerolo (10%) e PROH (1,2-propanediolo 20%) hanno affermato che la vitrificazione di embrioni bovini, associata a una diluizione con singola tappa (“one step”) all’interno della paillette, può rappresentare una rapida alternativa hai metodi convenzionali (de Leeuw et al., 1992).

Dobrynsky e colleghi hanno applicato una metodica di crioconservazione che usavano su embrioni di coniglio e di topo, su embrioni bovini recuperati da donatrici sottoposte a protocolli di superovulazione; gli embrioni sono stati inizialmente disidratati in un medium di equilibratura (10% glicerolo e 25% glicole propilenico) per 7 minuti a 20°C, poi sono stati posti nel medium di vitrificazione (25% glicerolo e 25% glicole propilenico) ed entro 1 minuto sono stati immersi in azoto liquido. Per lo scongelamento le paillette sono state immerse in acqua a 20°C per 5-10 secondi (Dobrynsky et al., 1991).

Riha e colleghi hanno conservato embrioni bovini di 7 giorni utilizzando una nuova forma di vitrificazione che richiede il diretto posizionamento dell’embrione in micro gocce di soluzione vitrificante, per poi essere immersi in azoto liquido (Riha et al., 1991).

Arav ha riportato un metodo simile alla vitrificazione conosciuto come tecnica “minimum drop size”; questa tecnica consta di un raffreddamento e un riscaldamento

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molto rapido degli embrioni, contenuti in piccole gocce di medium (0,06µl) avente basse concentrazioni di crioprotettore (Arav, 1992).

Campos-Chillòn e colleghi hanno riportato uno studio nel quale è stato stabilito un metodo per la vitrificazione di embrioni bovini a uno stadio precoce; lo stesso metodo è stato applicato anche a embrioni di cavallo coltivati in vitro, che presentavano uno stadio di sviluppo da 2 a 8 cellule (Campos-Chillòn et al., 2008). In tale studio, gli embrioni bovini prodotti in vitro tramite IVF (in-vitro fertilization), sono stati sottoposti a congelamento e vitrificazione in paillettes da 0,25 ml, ottenendo però minimi successi: con il metodo del congelamento lento solo 1/18 embrioni si è sviluppato; con la vitrificazione a due tappe (“tow-step”) in cui venivano a contatto con il Glicole Etilenico 5M per 1, 2 o 3 secondi, si sono sviluppati 2/18, 0/15, 0/16 embrioni, rispettivamente; con la procedura di vitrificazione a tre tappe (“three-step”) si sono sviluppati 1/20 embrioni. Sempre nello stesso studio sono stati confrontati altri due metodi di vitrificazione, mediante l’ausilio di particolari paillette OPS (“open pulled straws”), su embrioni bovini di 2 o 8 cellule.

Nel primo metodo, gli embrioni sono stati esposti a glicole etilenico 1,5M per 5 min, glicole etilenico 7M e galattosio 0,6M per 30 secondi e successivamente introdotti nelle paillettes OPS e immersi in azoto liquido.

Nel secondo metodo, gli embrioni sono stati esposti a glicole etilenico 1,1M e dimetilsulfossido 1,1M per 3 minuti, glicole etilenico 2,5M, dimetilsulfossido 2,5M e galattosio 0,5M per 30 secondi e successivamente introdotti nelle paillettes OPS e immersi in azoto liquido come nel primo metodo. I crioprotettori sono stati rimossi al momento dello scongelamento, mediante 3 tappe (“three-step”); dopo di che gli embrioni sono stati coltivati in vitro per 7 e 4 giorni rispettivamente per gli embrioni che presentavano 1 o 8 cellule; gli embrioni di controllo sono stati coltivati senza essere stati precedentemente vitrificati.

Le percentuali di sviluppo degli embrioni a 1 cellula, sono state simili sia per gli embrioni vitrificati sia per gli embrioni di controllo, anche se le percentuali di sviluppo degli embrioni vitrificati con il primo metodo sono risultate simili o superiori rispetto a

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quelle degli embrioni vitrificati con il secondo metodo (controllo 40,4%; primo metodo 37,8%; secondo metodo 18,2%). Anche le percentuali di sviluppo degli embrioni a 8 cellule sono risultate maggiori per gli embrioni del primo metodo rispetto al secondo metodo (42,7% e 14,7% rispettivamente) (Campos-Chillòn et al., 2008).

La vitrificazione degli embrioni bovini non è stata considerata come un efficace alternativa al congelamento fino al 1997 (van Wagtendonk-de Leeuw et al., 1994; 1997); nello stesso anno è stato eseguito uno studio su 150 stalle bovine e 728 embrioni bovini criopreservati, con vitrificazione e congelamento lento, e trasferiti in riceventi da diversi operatori. Le percentuali di gravidanza sono risultate accettabili: 44,5% (n=393) e 45,1% (n=335) rispettivamente (Van Wagtendonk-de Leeuw et al., 1997). Palatz ha riportato percentuali di gravidanza comprese tra il 40% e 55% dopo vitrificazione di embrioni bovini (Palatz, 1996).

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