• Non ci sono risultati.

VITRIFICAZIONE DI EMBRIONI EQUINI MEDIANTE RAPID-I™ VITRIFICATION SYSTEM

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "VITRIFICAZIONE DI EMBRIONI EQUINI MEDIANTE RAPID-I™ VITRIFICATION SYSTEM"

Copied!
153
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Dipartimento di Scienze Veterinarie

TESI DI LAUREA

VITRIFICAZIONE DI EMBRIONI EQUINI

MEDIANTE RAPID-I™ VITRIFICATION

SYSTEM

Candidato: Funghi Federico Relatore: Prof. Camillo Francesco

Correlatore: Dott. Panzani Duccio

(2)

2 …a Veldo ed Elisa che mi siete al fianco in questo giorno speciale… …a Franca e Arturo Angeli a guardia del mio cammino…

(3)

3

INDICE

Riassunto...pag. 5

PARTE GENERALE

Introduzione………...…pag. 7

Embryo transfer nell’uomo, nel bovino e nel cavallo

1. Storia dell’embryo transfer………....……pag. 10

2. Cenni di embryo transfer nell’uomo………..pag. 17

3. Cenni di embryo transfer nel bovino………...pag. 23

4. Embryo transfer nel cavallo………..……..…pag. 43

 Limiti e Possibilità………...………pag. 43

 Selezione e gestione donatrici………..……pag. 48

 Tecniche di recupero embrioni equini………....…..pag. 53

 Valutazione degli embrioni equini………..……….pag. 61

 Selezione e gestione delle riceventi……….………pag. 62

 Tecniche di trasferimento embrioni equini……….………pag. 67

Metodiche di crioconservazione dell’embrione nell’uomo, bovino e

cavallo

1. Cenni di crioconservazione dell’embrione umano………..……pag. 73

2. Cenni di crioconservazione dell’embrione bovino……….……pag. 80

3. Crioconservazione di embrioni equini………...…..pag. 88

 Refrigerazione di embrioni equini………...…....pag. 90

 Congelamento di embrioni equini………..…….…pag. 94

(4)

4

PARTE SPERIMENTALE

1. Scopo del lavoro………..pag. 114 2. Materiali e metodi………....pag. 115 3. Risultati………....pag. 122 4. Discussione……….…...pag. 124 5. Conclusione………...…..pag. 127

BIBLIOGRAFIA...

pag. 128 Ringraziamenti………..….… pag. 153

(5)

5 Riassunto

Parole chiave: vitrificazione, equino, embrione, embryo transfer, crioconservazione

Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare, in vivo, l’applicazione di un sistema di vitrificazione ultra-rapido chiuso, Rapid-I vitrification system, in uso nella specie umana, su embrioni di cavallo recuperati 7 giorni dopo l’ovulazione, valutando le percentuali di gravidanza dopo trasferimento nelle riceventi. Sono stati impiegati 13 embrioni recuperati 7 giorni dopo l’ovulazione di cavalle sottoposte ad inseminazione artificiale con seme fresco. Gli embrioni, una volta misurati e valutati, sono stati sottoposti a vitrificazione mediante un sistema commercializzato per la specie umana, Rapid-i™ Vitrification System (Vitrolife AB, Göteborg, Svezia); le soluzioni vitrificanti utilizzate appartenevano ad un kit commerciale, EquiPro® Vit-Kit™ (Minitübe, Tiefenbach-Alemania). Lo scongelamento degli embrioni è avvenuto dopo una settimana dal processo di vitrificazione;durante la fase di scongelamento tre embrioni sono andati perduti con lo svolgimento della procedura. Dieci embrioni sono stati trasferiti in altrettante riceventi con il risultato di una gravidanza a 14 giorni culminata in un parto eutocico al 304° giorno di gestazione con la nascita di una puledra viva e vitale. La percentuale di successo calcolata sugli embrioni trasferiti è stata quindi del 10% (1/10) e sugli embrioni recuperati del 13% (1/13).

Abstract

Keyword: vitrificatio, equine, embryo transfer, criopreservation

The aim of this thesis was to evaluate, in vivo, the application of a system of closed ultra-rapid vitrification, Rapid-I vitrification system, in use in the human species, on horse embryos recovered 7 days after ovulation evaluating pregnancy rates after transfer into recipients.13 embryos were used which had been recovered 7 days after ovulation in mares undergoing artificial insemination with fresh semen. The embryos, once measured and evaluated, were subjected to vitrification using a system sold for the human species, Rapid-i ™ Vitrification System (Vitrolife AB, Gothenburg, Sweden; the vitrifying solutions used belonged to a commercial kit, EquiPro® Vit-Kit ™ (Minitube, Tiefenbach-Alemania). The thawing of the embryos took place a week after the process of vitrification; during thawing, 3 embryos were lost. Ten embryos were transferred into recipients previously selected with the result of one pregnancy at 14 days, which was carried to term. The success rate calculated on embryos transferred was therefore 10% (1/10) and on embryos recovered 13% (1/13).

(6)

6

(7)

7

Introduzione

L’Embryo transfer (ET) è una tecnica di riproduzione assistita mediante la quale un embrione proveniente da una femmina, denominata donatrice o madre genetica, viene trasferito a un'altra femmina, denominata ricevente o madre uterina, la quale sosterrà la gravidanza al posto della femmina che ha concepito l’embrione. Tale tecnica ha subito un notevole sviluppo nel corso degli anni, consentendone un’applicazione commerciale sia nel comparto animale, più in particolare per le specie d’interesse zootecnico, che nella riproduzione assistita della specie umana.

I primi successi nell’ambito dell’embryo transfer equino si sono verificati più di 40 anni fa (Allen e Rowson, 1972, 1975; Oguri e Tsutsumi, 1974), ma l’avvio commerciale di tale tecnica è avvenuta con alcuni anni di ritardo, perché inizialmente considerata come una tecnica molto specializzata e di difficile realizzazione (Stout, 2006).

Inoltre l’iniziale riluttanza da parte del settore ippico all’utilizzo dell’embryo transfer era dovuto al timore largamente infondato che le prestazioni atletiche dei puledri nati da ET fossero significativamente influenzate dalla madre uterina; a tale credenza si sono venute a sommare restrizioni di carattere burocratico, difatti molti libri genealogici solo di recente hanno accettato questa tecnica, mentre altri ammettono la registrazione di un solo puledro all’anno per una singola fattrice (Hudson e McCue, 2004).

A tali difficoltà culturali, si sommano caratteristiche peculiari della specie equina, quali ad esempio, l’assenza di protocolli efficaci per indurre la superovulazione e la difficoltà nella crioconservazione degli embrioni (Squires et al., 2003; Stout, 2006), che rendono difficoltosa e onerosa l’applicazione dell’ET nel cavallo.

Il numero degli ET effettuati annualmente nel comparto equino è cresciuto enormemente nel corso degli ultimi 20 anni, tale crescita trova conferma all’interno delle statistiche annuali della International Embryo Transfer Society’s (IETS) che documenta 475, 11.676 e 27.594 ET commerciali nel mondo, rispettivamente nel 1999, 2004 e 2010 (Thibier, 2000, 2005; Stroud, 2011). L’espansione dell’utilizzo

(8)

8

dell’embryo transfer nel cavallo, in ogni modo, è avvenuta con molto ritardo e in maniera significativamente inferiore al bovino; nel quale, già negli ultimi 35 anni, tale tecnica è stata caratterizzata dal crescente utilizzo anche finalizzato al commercio di embrioni congelati (Sherzer et al., 2008). Seidel (1981) ha riportato che più di 17.000 gravidanze bovine, nel 1979 in Nord America derivavano dal trasferimento di embrioni. Più recentemente, Stroud (2012) ha riferito che 572.432 embrioni bovini sono stati trasferiti a livello mondiale nel 2011, di cui il 54% trasferiti dopo congelamento e scongelamento.

In particolare, proprio la possibilità dell’utilizzo di metodiche per la crioconservazione di embrioni bovini (prodotti in vivo o in vitro), ha permesso la loro commercializzazione su scala mondiale, in più ha consentito la creazione di banche genetiche per la conservazione del germoplasma bovino (Gordon, 1996).

Tra le tecniche di crioconservazione oggi disponibili ritroviamo: la refrigerazione che consente di poter conservare embrioni per un periodo temporale limitato di 24 ore circa, il congelamento lento e la vitrificazione che invece consentono la conservazione degli embrioni per un periodo temporale indefinito. Fino ad oggi, per quanto riguarda la specie equina, soltanto la refrigerazione è attuata nella pratica.

La crioconservazione propriamente detta (vitrificazione e congelamento lento) ha tutte le potenzialità per permettere una semplificazione della tecnica dell’embryo transfer permettendo il recupero di embrioni da cavalle donatrici e il loro trasferimento in luoghi e periodi temporali diversi. Questo eliminerebbe la necessità di sincronizzare le riceventi, quindi ridurrebbe i costi dell’intera procedura; in più faciliterebbe la distribuzione internazionale di materiale con elevato valore genetico. La crioconservazione degli embrioni consentirebbe la creazione di banche genetiche temporanee che potrebbero risultare vantaggiose per proprietari di cavalle importanti dal punto di vista genetico, ma che devono ancora dimostrare il loro potenziale agonistico: gli embrioni possono essere raccolti e conservati quando le cavalle sono ancora giovani e fertili, per poi essere trasferiti in data successiva solo se le cavalle avranno dimostrato il loro valore (Stout, 2012).

(9)

9

In alcuni studi è stata riportata la possibilità di refrigerare embrioni equini e poterli trasportare per 24 ore a una temperatura di 5°C con diversi terreni di coltura, portando a percentuali di gravidanza di circa il 70% (Carnevale et al., 1987; Carney et al., 1991).

Tuttavia è risultato abbastanza chiaro, valutando i risultati ottenuti da alcuni autori, che tassi di gravidanza accettabili (> 55%) possono essere raggiunti sia con l’utilizzo del congelamento lento (Lascombes e Pashen, 2000) che con la vitrificazione (Eldridge-Panuska et al., 2005), purché gli embrioni da sottoporre alle operazioni di crioconservazione siano in una fase precoce di sviluppo (morula o giovane blastocisti), cioè quando sono di diametro < 300 micron (Czlonkowska et al., 1985; Slade et al., 1985).

Negli ultimi anni la vitrificazione è stata descritta come una procedura rapida che non richiede l’utilizzo di particolare strumentazione, tali aspetti depongono in modo favorevole per un suo utilizzo nella pratica clinica in campo (Carnevale, 2006).

(10)

10

Embryo transfer nell’uomo, nel bovino e nel cavallo.

1. Storia dell’Embryo transfer.

L’embryo transfer, trova l’inizio del proprio percorso alla fine del XIX secolo quando Walter Heape trasferì due embrioni di coniglio di razza Angora in una coniglia di razza Belga, precedentemente accoppiate, ottenendo la nascita di quattro conigli di razza Belga e due di razza Angora (Heape, 1897). È bene però riconoscere a George John Romanes i primi tentativi di trasferimento embrionale, anche se senza successo, precedenti a quelli di Heape (Biggers, 1991).

L’iniziale interesse per la tecnica dell’embryo transfer comincia a svilupparsi nel primo decenni del XX secolo, presso l’istituto Allgemeine und Experimentelle Pathologie di Vienna dove, nel periodo compreso tra il 1911 e il 1913, dove il Dott. Biedl e i suoi colleghi intrapresero il trasferimento di embrioni di conigli in utero, anziché in ovidutto, ottenendo una sola gravidanza dai 70 esperimenti eseguiti. Lo scarso successo fu poi imputato all’ancora mancanza di conoscenza della necessità di sincronia tra lo sviluppo embrionale e il tratto riproduttivo (Biedl et al., 1922).

Gli embrioni di coniglio, oltre che per le tecniche di trasferimento, sono stati i primi ad essere utilizzati per la coltura in vitro di embrioni di mammifero da Brachet nel 1912, senza dubbio per la popolarità del coniglio come animale da esperimento a quel tempo (Mulnard, 1986 e Alexandre, 2001).

Il primo trasferimento su specie d’interesse zootecnico è avvenuto in Texas ad opera di Warwick, Berry e Horlacher che, nel 1932 e 1933, hanno utilizzato tale tecnica su pecore e capre (Warwick et al., 1934 e Warwick e Berry, 1949).

Il secondo conflitto mondiale portò ad un’interruzione pressoché totale dei progressi nel trasferimento di embrioni in Europa. Tuttavia sono stati attuati grandi sforzi per il miglioramento della gonadotropina corionica equina (eCG), al fine dell’aumento di produzione dei vitelli in Gran Bretagna (Parkes e Hammond, 1940 e Folley e Malpress 1944). Quest’ormone, scoperto per primo all’Università di Devis in California (Cole e Hart, 1930), avrebbe più tardi contribuito, insieme ad estratti ipofisari, a giocare un

(11)

11

ruolo fondamentale per la superovulazione in specie diverse dal cavallo (Betteridge 1981).

In parallelo lo sviluppo degli Stati Uniti sul trasferimento di embrioni di bovino vede il suo avvio nel Wisconsin, dove nel 1946 John Rockefeller Prentice fondò l’American Foundation for the Study of Genetics (AFSOG) e riuscì a vedere nella tecnica dell’ET una vantaggiosa opportunità commerciale per aumentare il potenziale genetico della femmina (Betteridge, 2000). Tale linea di pensiero era molto sostenuta anche in Gran Bretagna, dove Hammond prevedeva l’uso dell’embryo transfer come mezzo per la produzione di bovini da carne provenienti da bovine da latte e come mezzo di produzioni di tori per IA di elevato valore genetico (Hammond, 1950).

Sempre negli Stati Uniti, nel 1949, viene descritto il primo catetere per il recupero transcervicale di embrioni bovini ad opera di Rowson e Dowling (Rowson e Dowling, 1949).

Nello stesso anno in Inghilterra viene scoperto l’effetto crioprotettivo del glicerolo sugli spermatozoi di mammifero, determinando un importante ripercussione sulle produzioni animali in genere, ed in particolare sull’embryo transfer (Polge et al., 1949 e Parkes, 1957). La prima metà del XX secolo volge al termine con il crescente interesse per l’applicazione delle tecniche di embryo transfer sugli animali zootecnici, le maggiori conoscenze sul gamete femminile, ma ancore senza che si sia ottenuta la nascita di animali d’interesse zootecnico dal trasferimento di embrioni.

Nella seconda metà del XX secolo si hanno i primi risultati del trasferimento di embrioni in campo zootecnico.

Il trasferimento di embrioni nelle pecore era già in corso in Unione Sovietica nel 1950 e Polonia nel 1957 (Lopyrin et al., 1950; Lopyrin et al., 1951 e Kardymowicz e Stepinski 1957). Lopyrin e colleghi segnalarono la nascita di agnelli non solo dopo il trasferimento di ovuli fecondati in pecore non accoppiate, ma anche dopo trasferimento di ovociti follicolari in pecore fatte accoppiare dopo il trasferimento.

(12)

12

Il primo suino nato dal trasferimento di un embrione è stato realizzato al di là della cortina di ferro ad opera di Kvasnitski (Kvasnitski, 1951); mentre nel 1950 il Dott. Elwyn Willett ed i suoi colleghi furono i fautori della nascita del primo vitello (Betteridge, 2000).

Durante questo periodo prese piede lo sviluppo di nuovi protocolli per indurre la superovulazione nelle donatrici bovine, per la raccolta e il trasferimento di embrioni attraverso la cervice, per la manipolazione di embrioni in attesa del trasferimento e per la sincronizzazione dei cicli estrali di donatrici e riceventi (Dziuk et al., 1958).

Nel frattempo, Chang ha aperto la strada ad uno sviluppo di importanza cruciale nel trasferimento di embrioni, quando nel 1952 assieme a Marden riuscì a trasportare embrioni di coniglio da Worcester a Cambridge, utilizzando una beuta di vetro e dei palloncini di ghiaccio; il trasferimento di tali embrioni ha portato ad un tasso di gravidanza del 10% che seppur basso è valso ad intravedere la potenzialità della movimentazione di materiale genetico a livello internazionale non più sotto forma di animali vivi ma di embrioni (Marden e Chang, 1952).

Anche se in questi anni lo sviluppo nella tecnologia della riproduzione aveva raggiunto buoni risultati, venivano ancora utilizzate tecniche chirurgiche per il trasferimento degli embrioni le quali limitavano la possibilità di un utilizzo commerciale (Willet, 1953).

Le tecniche chirurgiche per il recupero dell’embrione si svilupparono inizialmente nel cane al fine di applicarle alla medicina umana (Allen et al., 1928); vennero poi utilizzate nelle pecore e nelle capre (Warwick et al., 1934) e successivamente nei bovini (Umbaugh, 1949).

Tuttavia in alcuni paesi tra cui il Giappone si svilupparono metodi transcervicali per la raccolta e il trasferimento di embrioni; il primo vitello nato da tecniche di ET non chirurgiche si ebbe nel 1964 (Mutter et al., 1964).

Nonostante alcuni successi, l’approccio non chirurgico nel trasferimento di embrioni cadde temporaneamente in disuso, difronte ai risultati di gran lunga superiori realizzati

(13)

13

attraverso metodiche di trasferimento chirurgico (Rowson et al., 1969). Solamente nella metà del 1970 i metodi transcervicali sono stati nuovamente fonte di studio e perfezionamento, per permettere un loro utilizzo sia nella raccolta sia nel trasferimento di embrioni, fino alla sostituzione dei metodi di tipo chirurgico (Brand e Drost, 1977).

Un radicale cambiamento si ebbe all’inizio degli anni ’70 dopo due eventi distinti. Primo tra questi fu la pubblicazione di un lavoro scientifico riguardante i bovini portato avanti da Rowson e colleghi che compararono due mezzi di coltura diversi (siero omologo e TCM 199) tra cui uno mai utilizzato (TCM 199) e due metodi di trasferimento (chirurgico e non chirurgico). Con l’utilizzo del siero omologo non venne ottenuta nessuna gravidanza, mentre con il TCM 199 furono ottenuto il 91% di gravidanze tramite trasferimento chirurgico (Rowson et al., 1969).

Il secondo evento riguardava la decisione del governo canadese di importare dall’Europa bovini di razza così detta ‘‘esotica’’ per le performance produttive superiori a quelle dei bovini locali. Il problema era però dato dalle misure restrittive (quarantena) e dal costo che queste comportavano; fu così favorito lo sviluppo dell’embryo transfer che in qualche modo permetteva di evitare le norme imposte dal governo.

Gli anni ’70 sono stati definiti come ‘era commerciale’ dell’ET (Betteridge 1981).

Uno dei progressi di vasta portata si è verificato all’inizio del decennio, quando Whittingham riuscì ad ottenere una gravidanza da embrioni di topo che erano stati congelati e successivamente scongelati e trasferiti (Whittingham et al., 1972). Poco dopo Ian Wilmut e Tim Rowson ottennero il primo vitello nato da blastocisti congelata (Wilmut e Rowson, 1973), ma non ottennero un’immediata applicazione pratica a causa della ridotta sopravvivenza degli embrioni sottoposti al congelamento (Ploge, 2000; Leibo, 2000). L’applicazione pratica si è avuta nel decennio successivo a seguito di ulteriori lavori di Alan Trounson e Steen Willadsen, che recuperarono e trasferirono tramite via transcervicale embrioni allo stadio di morula avanzata o blastocisti precoce ottenendo percentuali di sopravvivenza degli embrioni maggiori rispetto a quelle di Wilmut e Rowson (Betteridge, 2000).

(14)

14

Un altro importante passo in avanti è stato l’avvento dell’utilizzo della Prostaglandina F2α e i suoi analoghi, per la sincronizzazione dell’estro negli animali da allevamento (Phillippo e Rowson 1975).

I progressi continuavano anche sul fronte del trasporto su lunghe distanze degli embrioni, mediante l’utilizzo di ovidutti di coniglio; le prime specie ad essere state trasportate con successo mediante questo metodo sono stati suini ed ovini (Baker e Dziuk, 1970; Wrathall et al., 1970; Baker et al., 1971; Kardymowicz e Kremer, 1971). L’utilizzo di salpingi di coniglio fu riconsiderato successivamente per il trasporto di embrioni di cavallo da Cambridge alla Polonia (Allen et al., 1976).

La nascita del primo puledro in ET è da attribuire ad autori giapponesi nel 1974 che ottennero 6 gravidanze (40%) da cavalle di età compresa tra i 2,5 e i 19 anni, dopo flushing uterino con endoscopio a tre vie e trasferimento degli embrioni per via trans-vaginale con perforazione del fornice trans-vaginale e della parete uterina in 15 cavalle (Oguri e Tsutsumi, 1974).

Studi sull’ET negli equini si erano svolti due anni precedenti alla nascita del primo puledro; nel 1972 Allen e Rowson avevano infatti recuperato e trasferito 19 embrioni dai due ai quattro giorni post ovulazione in cavalle, asine e ibridi senza ottenere alcun successo. Lo stesso anno anche gli autori giapponesi Oguri e Tsutsumi, tramite tecnica del lavaggio uterino con endoscopio a tre vie, avevano recuperato e trasferito 11 embrioni senza ottenere nessuna gravidanza (Betteridge, 2003).

Altra tappa importante fu la nascita del primo vitello da embrione sessato, nato il giorno di Natale del 1975 (Hare et al., 1976).

Il progresso dell’ET è stato modesto nel corso degli anni ’70 e la ricerca è stata rivolta alla maturazione follicolare degli ovociti di animali da allevamento e nella loro fertilizzazione in vitro (Betteridge, 1977). Un primo tentativo è stato quello di Sreenan (1970) in Irlanda, ma è stato in Giappone, che Iritani e Niwa (1977) ottennero i primi successi in termine di ovociti di bovino fecondati in vitro. In Canada nel 1975, Bedirian e colleghi dimostrarono che gli ovociti follicolari di bovino potevano essere fecondati in ovidotti di altri bovini e di suini.

(15)

15

Tuttavia, qualunque successo compiuto in campo animale in quel periodo fu eclissato dalla nascita di Louise Brown, la prima bambina ‘nata in provetta’ (Steptoe ed Edwards, 1978).

Gli anni ’80 furono caratterizzati dalla micromanipolazione dell’embrione, dalla fertilizzazione in vitro e dallo sviluppo della biologia molecolare.

Alla fine degli anni ’80, tramite trasferimento nucleare, furono prodotti vitelli (Prather et al,. 1987), conigli (Stice e Robl, 1988) e suinetti (Prather et al., 1989).

Il primo vitello nato dalla fertilizzazione in vitro di ovociti bovini, fu ottenuto da Ben Brackett e colleghi nel 1981; dopo pochi anni tale metodica è stata attuata anche nei i suini e ovini, portando alla nascita dei primi maiali e agnelli da fecondazione in vitro a Cambridge nel 1983 e nel 1984 rispettivamente.

Il recupero per via laparoscopica di ovociti follicolari da bovine, ha fatto una breve apparizione (Sirard e Lambert, 1985), per essere subito sostituito dalla metodica transvaginale ‘ovum pick up’ (OPU) con aspirazione ecoguidata dei follicoli ovarici. Quest’ultima tecnica è stata introdotta dai Pesi Bassi (Pieterse et al., 1988).

L’espansione dell’Embryo transfer nel cavallo è stata notevole durante gli anni ’80, anche se non è stata rapida come nella specie bovina, principalmente per la difficoltà nei trattamenti di superovulazione della fattrice.

Particolare interesse è stato rivolto anche alle tecniche di criopreservazione degli embrioni, le quali permettono il trasferimento dell’embrione in momenti e luoghi diversi da quelli in cui avviene il lavaggio uterino e quindi un notevole vantaggio economico; la crioconservazione è ancora oggi una fonte di ricerca per gli studiosi, poiché le tecniche presentano difficoltà nell’applicazione e gli embrioni equini hanno una scarsa vitalità dopo scongelamento (Squire et al., 1999).

Nel 1981 Griffin e colleghi ottennero la prima gravidanza equina da 4 embrioni congelati, anche se ebbero l’interruzione della gestazione al 60° giorno (Griffin et al., 1981).

(16)

16

Il primo puledro nato dal risultato di un trasferimento di un embrione congelato è da attribuire ad un autore giapponese (Yamamoto et al., 1981).

La potenziale utilità del trasferimento di embrioni per la conservazione di specie minacciate dall’estinzione è venuta alla ribalta nel 1980, eventi degni di nota a questo proposito sono la nascita di un Gaur da una mucca Holstein e di una Zebra da una cavalla di Quarter Horse (Betteridge, 1986).

Gli anni ’90 ed i primi del 2000 sono stati caratterizzati da un ulteriore sviluppo delle tecnologie riproduttive e dalla pubblicazione di lavori scientifici concentrati sul trasferimento nucleare e sul recupero di cellule staminali dagli embrioni di animali domestici.

Tra le nuove tecniche è stata utilizzata in diverse specie, tra cui il cavallo, l’iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (Lit et al., 2001). Inoltre sono state approfondite tecniche quali il trasferimento intratubarico di gameti (GIFT) e il trasferimento di oociti (OT) (Carnevale, 2004).

Nel 2001 Palmer ha riportato la nascita di due puledri nati da oociti maturati e fecondati in vitro (Palmer, 2001).

Altri autori hanno riportato la nascita di un mulo e di un puledro sani derivanti dal trasferimento nucleare di cellule somatiche (Woods et al., 2003; Galli et al., 2003).

Sempre per quanto riguarda la crioconservazione degli embrioni equini, negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi studi concernenti una particolare tecnica che prende il nome di vitrificazione; tale procedura rappresenta un’alternativa ai metodi classici di criopreservazione (Rall e Fahy, 1985), è rapida e può essere utilizzata in campo (Carnevale, 2006).

(17)

17

2. Cenni di Embryo transfer nell’uomo

L’origine della fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione (IVF/ET) in umana, ha inizio attorno al 1969/70 ad opera di due gruppi di ricercatori diversi, senza nessuna connessione tra loro: il gruppo inglese di Edwards e Steptoe (Cambridge e Manchester) e quello australiano della Monash University (Lopata, Trounson e Wood). L’idea di partenza era quella di trovare una soluzione alle maggiori cause di sterilità coniugale.

I due gruppi di ricerca cominciarono il loro lavoro basandosi sulle esperienze, già numerose e promettenti, in campo veterinario che già a quell’epoca avevano compiuto con successo operazioni di trasferimento di embrioni di animali dopo fecondazione extracorporea (Guaschella et al., 1988).

Il primo successo clamoroso si è avuto nel luglio 1978 quando all’Oldham General Hospital di Manchester nacque Louise Brown dopo un procedimento di IVF/ET eseguito da Steptoe e Edwards (Steptoe ed Edwards, 1978). Durante quegli stessi anni, altri ricercatori in Australia e negli Stati Uniti arrivarono al successo con la nascita di altri “bambini in provetta”.

Negli anni successivi l’uso della stimolazione ovarica per migliorare i risultati dell’IVF portarono al prelievo di numerosi ovociti e conseguentemente alla creazione di molti embrioni. Per ridurre i rischi di gravidanze multiple che derivavano dal trasferimento in utero di numerosi embrioni e per evitare lo spreco degli embrioni soprannumerari, iniziò a svilupparsi la metodica del congelamento degli embrioni anche negli esseri umani. Sempre in Inghilterra, e contemporaneamente in Australia negli anni 1983-1984, nacquero i primi bambini ottenuti da embrioni congelati. In Italia le prime nascite con il metodo IVF sono state negli anni 1983-1984.

Da allora in tutti i Paesi europei sono sorti gruppi di studio e di sperimentazione di tali tecniche che hanno portato rapidamente la IVF ad essere considerata non più una procedura sperimentale, ma una cura per l’infertilità di coppia. Le prime tecniche che si svilupparono furono contemporaneamente la GIFT (Gamete Intrafallopian Transfer – trasferimento intratubarico di gameti) e la FIVET (Fertilization In Vitro Embryo

(18)

18

Transfer – fertilizzazione in Vitro con trasferimento di embrione). La differenza fra le due tecniche è che nella prima i gameti vengono inseriti a livello tubarico dove avviene la fecondazione, mentre nella seconda tecnica la fecondazione avviene in vitro e si trasferisce l’embrione direttamente nella cavità uterina. Nel corso degli anni tutti i ricercatori si sono concentrati sul miglioramento delle metodiche per poter ottenere sempre maggiori percentuali di successo e quindi di gravidanze e di bambini sani, ma anche per poter estendere l’applicazione di tutte queste tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) ad un maggior numero di casi di infertilità. Grandi progressi si sono ottenuti nel campo dell’infertilità maschile. Con la messa a punto della ICSI (Intracytoplasmatic Sperm Injection – iniezione intracitoplasmatica di un singolo spermatozoo) tutte le coppie con un problema di infertilità da fattore maschile, che non potevano usufruire della IVF, hanno potuto farlo. Con la ICSI, infatti, basta un solo spermatozoo mobile, o almeno vitale, perché sia possibile iniettarlo nell’ovocita maturo in metafase. Questa innovazione, assieme all’affinarsi di altre metodiche di prelievo chirurgico degli spermatozoi (MESA, Microepididymal Sperm Aspiration – aspirazione microchirurgica di sperma dall’epididimo, e TESE, Testicular Sperm Extraction – Prelievo di spermatozoi a livello testicolare previa aspirazione percutanea), hanno permesso la risoluzione di molti dei problemi di infertilità maschile (Spinelli et al., 2014).

Verso la fine degli anni ’80 si sono avuti i primi casi di congelamento degli ovociti umani. Nel 1986 Chen riportò il successo del congelamento di un ovocita (Chen, 1986), ma, fino al 1997, pochissime sono state le segnalazioni di bambini nati utilizzando ovociti crioconservati (Jaqueline, 2000). Nonostante le tecniche di crioconservazione degli ovociti fossero già state applicate con successo in altre specie, le percentuali di sopravvivenza post scongelamento e quelle di fertilizzazione sono rimaste a lungo molto basse in umana. Inoltre, l’esposizione della cellula uovo agli agenti crioconservanti e la variazione di temperatura alla quale viene sottoposta possono avere effetti deleteri sulla sua struttura cellulare.

(19)

19

Di recente, soprattutto in Italia, sono ripresi gli studi sulla crioconservazione di ovociti e si sono ottenuti dei risultati migliori grazie a nuove metodiche di congelamento e scongelamento (Fabbri et al., 2001).

Il protocollo per la procedura di procreazione assistita prevede alcune fasi fondamentali che possono essere schematizzate nelle seguenti:

 Induzione della crescita follicolare multipla e della maturazione ovocitaria;

 Prelievo degli ovociti;

 Crioconservazione degli ovociti soprannumerari;

 Fecondazione in vitro e coltura embrionaria;

 Trasferimento degli embrioni in utero.

. Terapia di stimolazione follicolare

Sebbene le prime gravidanze siano state ottenute dopo il recupero di un singolo ovocita in cicli spontanei (Steptoe et al., 1978; Lapota et al., 1980), l’utilità di indurre una crescita follicolare multipla, deriva dalla evidenza che il tasso di gravidanza incrementa in maniera significativa parallelamente al numero di embrioni trasferiti (Edwards et al., 1984; Seppola et al., 1984). La disponibilità di un certo numero di ovociti permette anche di crioconservare quelli soprannumerari evitando alla paziente di sottoporsi a successive stimolazioni. Le strategie per la crescita follicolare multipla sono numerose e tutte hanno la finalità di incrementare i livelli plasmatici delle gonadotropine, per sovraimporre al processo di selezione fisiologica di un singolo follicolo dominante, una selezione e maturazione follicolare multipla. I farmaci principali per ottenere questo effetto sono l’ormone follicolo stimolante (FSH), l’ormone luteinizzante (LH) e la gonadotropina corionica umana (hCG) utilizzata per la maturazione finale degli ovociti e per guidare il momento dell’ovulazione.

Fino a poco tempo fa tutti e tre gli ormoni derivavano da estrazione di urine da donne in menopausa (hMG che contiene FSH e LH), o da donne in gravidanza per l’hCG. Già nel 1990, con l’utilizzo della tecnologia del DNA ricombinante, è stata prodotta

(20)

20

una gonadotropina quasi pura al 100% e nel 1995 è stato prodotto l’ormone FSH ricombinante (rFSH, Follitropin-a, Gonal-F, Serono, Switzerland; follitropin-b, Puregon/Follistim, Organon, The Netherlands). Recentemente sono diventati commerciabili anche l’ormone LH (luteotroin, Luveris, Serono, Switzerland) e l’ormone hCG (Choriotropin, Ovidrel, Serono, Switzerland), permettendo di abbandonare completamente l’utilizzo dei prodotti di derivazione urinaria.

Diversi sono i protocolli di stimolazione attualmente in uso, ma a tutt’oggi non è stato identificato un farmaco/farmaci o una strategia di loro somministrazione, che abbia mostrato in modo netto una maggiore resa rispetto ad altri.

Qualunque strategia si adoperi, gli obiettivi sono: la maturazione di follicoli multipli, morfologicamente e funzionalmente adeguati; il recupero di multipli ovociti preovulatori di “buona qualità”; la sincronizzazione dello stadio endometriale e della crescita dell’embrione.

. Il prelievo di ovociti

Una volta ottenuta la crescita follicolare, al momento opportuno si deve procedere al recupero degli ovociti. Il prelievo viene fatto quando un numero adeguato di follicoli ha raggiunto un diametro di 16-18 mm. Ad un’ora bene precisa viene somministrata una dose di 5000-10000 UI di hCG e dopo 36 ore si procede al prelievo. Il primo approccio al prelievo ovocitario era stato quello laparoscopico (Wikland, 1985). Questo metodo aveva numerosi vantaggi: esposizione ottimale del campo operatorio, possibile esecuzione di esplorazione diagnostica completa nella stessa seduta, buona percentuale di recupero di ovociti, possibilità di eseguire un intervento terapeutico sulle tube, visione tridimensionale; ma anche molti svantaggi come: necessità di anestesia generale o epidurale, maggiore invasività, impossibilità di raggiungere il follicolo se le ovaie sono ricoperte da aderenze, possibile tossicità per l’ovocita in caso di esposizione a CO2, necessità di ospedalizzazione della paziente, costi di gestione elevati, possibile danno per gli ovociti da esposizione alla luce del laparoscopio perché sono fotosensibili.

(21)

21

Per tutti questi motivi la tecnica ecografia, prima per via transaddominale e poi per via transvaginale, ha soppiantato quasi totalmente quella laparoscopica (Homburg, 1989; Hamori, 1988). Inizialmente furono proposte varie tecniche: prelievo trans-addominale, trans-uretrale, trans-vescicale, con guida o a mano libera. Ben presto la tecnica di prelievo transvaginale con guida si è affermato come il più semplice, il più sicuro, il più rapido, ed il più accettato dalle pazienti ed attualmente è, in pratica, l’unico utilizzato (Mio, 1987; Mio, 1992). In Figura 2.1 è riportato un disegno di come avviene il prelievo degli ovociti.

Figura 2.1. Metodica di prelievo degli ovociti eco guidata. (NERA Roma – Centro PMA – FIVET).

.

Tecniche di coltura degli ovociti umani

Gli ovociti, dopo essere stati recuperati con il prelievo del liquido follicolare, devono essere preincubati in incubatore a 37°C e 5%CO2. Nel 1982 Trounson e colleghi (Trounson et al., 1982) avevano osservato che, lasciando ad incubare gli ovociti per 5-6 ore prima di inseminarli, la percentuale di fecondazione e il numero di embrioni ottenuti aumentava enormemente. Questo periodo, denominato preincubazione, permetteva a molti ovociti di raggiungere lo stadio di metafase II e di completare la reazione corticale, ottenendo così un notevole miglioramento dei risultati (Mio et al., 1992; Urbacnsek et al., 1987; Silverberg et al., 1991). Nei protocolli attuali il periodo dura 3 o 4 ore permettendo di recuperare un 65% di ovociti in metafase II, grazie anche ad un buon controllo del momento del prelievo.

(22)

22

Durante tutta la manipolazione degli ovociti è molto importante mantenere il più possibile una temperatura costante di 37°C, per evitare alterazioni del citoscheletro o danneggiare i cromosomi. Altrettanto importante è mantenere all’interno degli incubatori una percentuale di umidità del 95% e una miscela di gas specifici, per mantenere costante il pH delle soluzione in modo da non creare stress alle cellule. In particolare la CO2 deve essere presente al 5% così come è nelle tube (D’lugi et al., 1984).

A questo punto alcuni ovociti ormai maturi possono passare direttamente alla fase di fecondazione per poi essere trasferiti, i rimanenti in sovrannumero saranno sottoposti a tecniche di crioconservazione.

.Preparazione degli ovociti per il congelamento

Al momento del prelievo, i gameti femminili sono costituiti dalle cellule del cumulo che racchiudono all’interno l’ovocita con tutta la sua struttura morfologica. Le cellule del cumolo vengono allontanate attraverso: un’azione enzimatica, con l’enzima acido ialuronico che è lo stesso contenuto nelle cellule del cumulo e che viene attivato dal contatto con gli spermatozoi durante la fecondazione in vivo; sia con un’azione meccanica, cioè con l’uso di pipette molto sottili con un diametro di 130-140 micron. Il passaggio dentro e fuori da queste pipette provoca la disgregazione delle cellule del cumulo che per azione dell’enzima si erano già staccate. A questo punto gli ovociti vengono sottoposti al processo di crioconservazione mediante congelamento lento o vitrificazione.

.Trattamento del liquido seminale

Gli spermatozoi prima di essere aggiunti agli ovociti per la fertilizzazione, devono andare incontro al processo di capacitazione, processo che normalmente si verifica nell’attraversamento delle vie genitali femminili e che può essere riprodotto in vitro. Gli spermatozoi dell’eiaculato si trovano ricoperti, soprattutto nella zona della testa, della cosiddetta “surface coating material” e si trovano immersi nel plasma seminale dove sono state messe in evidenza glicoproteine che, depositandosi sulla superficie dello spermatozoo inibiscono la capacitazione e la reazione acrosomiale in vitro

(23)

23

(Mastroianni e Biggers 1981). La tecnica di capacitazione in vitro consiste quindi nell’asportazione meccanica del “surface coating material” e del plasma seminale. Circa due ore prima dell’inseminazione degli ovociti, il liquido seminale, appena raccolto, viene lasciato fluidificare, diluito nel terreno di coltura, supplementato al 10% con siero umano, nella proporzione di 1:4 e centrifugato per due volte a 600 G. Dopo l’ultima centrifugazione il campione viene incubato per 30’ a 37° C, periodo durante il quale gli spermatozoi migliori migrano dal pellet depositato sul fondo alla parte liquida del campione. Dopo il periodo di incubazione si raccoglie il surnatante e si contano gli spermatozoi mobili ottenuti. Per l’inseminazione di un ovocita occorre una concentrazione di spermatozoi mobili che oscilla da 40 a 80.000/ml.

Questa tecnica di coltura, quasi universalmente adottata dai gruppi che praticano la IVF/ET, consente ormai quasi l’85% di fertilizzazione. Lo scopo principale è quello di utilizzare la frazione più mobile e vitale degli spermatozoi lasciando da parte quelli morti e le forme agglutinate. I diversi lavaggi, inoltre, permettono di diminuire la possibilità di contaminazione batterica (Guaschella et al., 1988).

.Fecondazione in vitro e coltura embrionale

Raggiunta la concentrazione ottimale di spermatozoi, questi vengono aggiunti agli ovociti che durante la loro permanenza in incubatore hanno completato la maturazione; le provette vengono riposte in incubatore perché avvenga la fertilizzazione. L’incubazione avviene a 37° C in contenitori umidificati e sotto atmosfera gassosa che può essere composta da: 5% CO2, 5% O2 90% N.

Rispetto al tempo di incubazione necessario per la capacitazione, quello utile alla fertilizzazione risulta essere molto più lungo; esso oscilla da 6 a 24 ore (Lopata et al., 1980). Dopo tale periodo gli ovociti vengono posti in terreno di coltura fresco, supplementato al 15-20% di siero. Durante tale “passaggio” l’ovocita viene “liberato” dalle cellule residue del cumulo e dalla fitta nube di spermatozoi che gli si sono addossati. Questa manovra favorisce l’osservazione al microscopio per stabilire l’avvenuta fertilizzazione mediante l’individuazione dei due pronuclei o del secondo globulo polare. Gli ovociti fertilizzati vengono riposti in incubatore ed osservati in

(24)

24

diversi momenti: dalle 18 alle 35 ore dopo la fertilizzazione, quando si verifica il primo clivaggio a 2 cellule, un clivaggio a 4 cellule è osservato attorno alle 36-50 ore dall’inseminazione e in fine un clivaggio a 8 cellule viene osservato a 72 ore (Guaschella et al., 1988).

.Trasferimento degli embrioni in cavità uterina

Quando l’embrione ha raggiunto le 4-8 cellule si procede al suo trasferimento in utero. Esso avviene attraverso il canale cervicale, questa via ha il vantaggio di essere semplice, rapida e di non richiedere anestesia. La situazione ottimale per il transfer sembra essere quella in cui il numero delle cellule sia inferiore a 8, infatti è stato osservato che nei casi in cui sono stati trasferiti embrioni con più di otto cellule si ottenevano percentuali di gravidanza più basse (Giorgetti et al., 1995; Ziebe et al., 1997).

Anche il numero degli embrioni da trasferire rappresenta un grosso problema: è sempre opportuno trasferire più di un embrione, per aumentare la probabilità d’impianto, in genere però non si supera il numero di 4. A causa della fotosensibilità dell’embrione, il reimpianto stesso va eseguito in penombra. La paziente viene premedicata con un sedativo o un ipnotico e poi viene messa in posizione ginecologica, inclinata all’indietro in modo che il fondo dell’utero si trovi sempre ad un livello più basso delle cervice.

Gli embrioni vengono caricati su un catetere, con una ventina di microlitri di terreno di coltura, che a sua volta viene inserito nel canale cervicale. Di solito la procedura è indolore; uno speculum bivalve espone la cervice e impedisce alla superficie vaginale di toccare il catetere. La cervice e la parte superiore della vagina vengono deterse in modo da prevenire l’introduzione di materiale nella cavità uterina. Se si sono avute delle difficoltà nel passaggio del catetere in genere si aspetta alcuni minuti prima di iniettare l’embrione, in modo da far cessare le contrazioni uterine stimolate dal catetere. Dopo che l’embrione è stato iniettato bisogna aspettare un minuto prima di rimuovere il catetere, in modo da facilitare la deposizione dell’embrione nell’utero. II catetere viene quindi ritirato lentamente e viene esaminato al microscopio per

(25)

25

verificare che l’embrione sia stato realmente deposto nell’utero. Anche la scelta della cannula con cui effettuare il transfer può presentare diversi problemi: con una cannula soffice si possono avere difficoltà nel superamento dell’orifizio uterino interno; l’uso di una cannula rigida, invece, può determinare delle lesioni con conseguente sanguinamento, che può essere di notevole ostacolo all’impianto dell’embrione. Dopo il transfer la paziente riposa in ospedale 24 ore e per tre-quattro giorni dopo il transfer dovrà limitare la sua attività fisica. A partire dal 10°-12° giorno dal transfer si inizia a controllare il livello ematico della Beta hCG per una evidenziazione precoce della gravidanza, per poi continuare con i regolari controlli per il monitoraggio della gestazione (Guaschella et al., 1988).

(26)

26

3. Cenni di embryo transfer nel bovino

Il primo trasferimento di un embrione bovino è stato segnalato nel 1949 (Umbaugh, 1949), ed il primo vitello nato con embryo transfer si è avuto nel 1951 (Willett et al., 1951). L’applicazione del trasferimento di embrioni nel campo della buiatria cominciò a prendere piede già nei primi anni 70’, per la crescente domanda d’importazione di razze bovine Europee, per le loro elevate produzioni, in paesi del continente Americano. Mediante tale metodica si prevedeva di ridurre i costi relativi allo spostamento di bestiame ed evitare le restrizioni di quarantena imposte dagli stati importatori; tale necessità ha creato la base per lo sviluppo di questa tecnica in ambito commerciale.

Negli anni 90’ in USA il 27,5% delle migliori bovine e il 44% dei migliori tori venivano già prodotti con l’utilizzo di nuove tecnologie (Betteridge, 1995). Nei primi anni del 2000 la tecnica dell’embryo transfer veniva utilizzata in tutto il mondo con più di 500.000 embrioni bovini trasferiti ogni anno (Tribulo et al., 2002), nel 2007 sono stati trasferiti 823.160 embrioni bovini (prodotti in vivo e in vitro) nei diversi continenti (Thibier, 2008); Stroud ha riferito che 572.432 embrioni bovini sono stati trasferiti a livello mondiale nel 2011, di cui il 54% trasferiti dopo congelamento e scongelamento (Stroud, 2012).

La tecnica dell’embryo transfer presenta numerosi vantaggi tra i quali la possibilità di amplificare il patrimonio genetico delle femmine ottenendo un grande numero di vitelli da bovine con qualità genetica superiore (Gordon, 1996), infatti se un toro può avere milioni di figli in tre anni grazie all’IA, una bovina, nello stesso periodo può partorire al massimo tre vitelli; utilizzando l’ET, la stessa vacca, può avere anche una dozzina di prodotti (Thibault, 1977).

Inoltre l’utilizzo della metodica MOET (ovulazioni multiple ed embryo transfer) consente una selezione genetica più rapida rispetto al Progeny Test (Shaw, 1989), grazie al maggior potere di favorire il miglioramento genetico rispetto ai programmi di accoppiamento tradizionali tramite IA, soprattutto grazie all’aumento dell’intensità della selezione delle femmine, diminuendo l’intervallo generazionale (Ruane, 1988).

(27)

27

Mediante ET si possono eludere alcune cause di infertilità ottenendo vitelli da bovine di alto valore genetico che sono diventate sterili a causa di infortuni, malattie o per età avanzata (Bowen et al., 1978; Elsden et al., 1979) anche se i tassi di successo sono solo un terzo di quelli ottenibili con soggetti giovani e sani.

Altro vantaggio dell’ET risiede nella possibilità di spostare embrioni da un paese all’altro, riducendo la necessità di spostare animali vivi con relative problematiche sanitarie, economiche e di benessere animale. Ciò è stato facilitato da ulteriori sviluppi della tecnologia legata all’embryo transfer ed in particolare dallo sviluppo delle tecniche per il congelamento di embrioni bovini; con l’utilizzo di protocolli per il congelamento è stato infatti possibile ottenere un elevata quantità di embrioni di riserva disponibili per la commercializzazione (Gordon, 1996).

Ulteriori vantaggi possono essere dati dalla possibilità dello sfruttamento degli sviluppi di tecnologie riproduttive quali il sessaggio degli embrioni, lo splitting degli embrioni e l’utilizzo dell’ET nei paesi tropicali per espandere il numero di bovine da latte utilizzando bovine zebù come riceventi.

Tali trasferimenti tra Bos taurus e Bos indicus conferma la possibilità di successo nel trasferimento embrionale interspecifico (Kraemer, 1983). Altre possibilità nell’utilizzo dell’ET in buiatria sono state date dalla preservazione della biodiversità genetica e dalla creazione di banche genetiche animali.

In accordo con i dati recentemente stabiliti dalla “FAO Global Bank for Domestic Livestock”, nella quale sono presenti 2047 specie, 221 razze bovine sono considerate a rischio di estinzione e il 60% di queste si trovano in paesi industrializzati (Gordon, 1996).

Nel 1987, la FAO ha istituito sette “Regional Animal Gene Bank” proprio al fine di preservare la diversità genetica delle razze; due di queste si trovano in Sud America (Brasile e Argentina), due in Asia (Cina e India), due in Africa (Etiopia e Senegal) e una in America centrale (Messico). L’iniziativa FAO comprende anche la compilazione di un inventario mondiale nel quale vengono annotate le nascite di tutto

(28)

28

il bestiame e ha dato origine ad una banca del seme e ad una degli embrioni appartenenti a razze in via di estinzione (Gordon, 1996).

Lo svantaggio principale dell’ET in buiatria risiede nella difficoltà di esecuzione di tutte le manualità tecniche necessarie per lo svolgimento di programmi commerciali; infatti, sebbene l’ET nel bovino offra la possibilità di ottenere embrioni da femmine con elevato valore genetico a costo più basso rispetto all’acquisto di animali vivi, un progetto commerciale di questo tipo non può essere svolto in tutte le aziende dove comunemente vengono effettuati programmi di IA. È stato stimato che il numero di potenziali donatrici è inferiore all’1% nei paesi industrializzati e allo 0,1% nei paesi non industrializzati (Gordon, 1996).

Un ciclo di embryo transfer bovino consta di alcune fasi fondamentali che possono essere così schematizzate:

 Selezione delle donatrici;

 Protocolli di Superovulazione;

 Gestione ed inseminazione delle donatrici;

 Tecniche di recupero embrionale;

 Valutazione degli embrioni;

 Selezione e gestione delle riceventi;

 Tecniche di trasferimento degli embrioni.

. Selezione delle Donatrici

Ci sono due criteri di massima per la selezione delle donatrici da impiegare in programmi commerciali di embryo transfer: 1) superiorità genetica, cioè animali che contribuiscono al miglioramento di specifiche attitudini; 2) probabilità di produrre il maggior numero di embrioni utilizzabili. Generalmente vengono usati come parametri di superiorità genetica, la produzione di latte e la sua composizione, i tassi di accrescimento, la facilità al parto e la resistenza alle malattie (George et al., 2005).

(29)

29

Tra i fattori condizionanti il risultato dell’embryo transfer legati alla donatrice sono stati riportati: l’età e la razza della bovina, l’effetto della stagione e l’intervallo post partum.

Hasler e colleghi, in uno studio svolto sull’analisi di dati relativi alla superovulazione di bovine di razza Frisona di età compresa tra 16 mesi e i 17 anni, hanno osservato che non vi è una differenza nelle percentuali di ovulazione e nella vitalità degli embrioni (Hasler et al., 1981).

Secondo Lerner e colleghi, in bovine di razza Frisona, la massima risposta a trattamenti di superovulazione avviene tra i 5-6 anni di età (Lerner, 1986).

Per quanto riguarda le differenze di razza è stato evidenziato che bovine di razza Simmenthal forniscono tassi più alti di embrioni trasferibili rispetto a bovine di razza Angus, Charolais e Polled Hereford (Breuel et al., 1991).

Sugli effetti stagionali per il recupero embrionale invece, ci sono pareri discordanti in letteratura, ciò trova giustificazione nella complessità dei fattori nutrizionali e ambientali associati ad un particolare periodo dell’anno (Gordon, 1996). Uno studio condotto in India su incroci di bovine Frisone sottoposte a protocolli di superovulazione in stagioni caldo-secche, caldo-umide e in inverno hanno evidenziato che il tasso di ovulazioni e di recupero di embrioni è stato più alto durante il periodo invernale (Aganval et al., 1993). L’influenza del clima sulla risposta del bestiame a trattamenti di superovulazione è stata condotta anche in Germania dove, secondo i dati estrapolati, non vi è stato alcun effetto evidente della pressione atmosferica o dell’umidità relativa, ma è stato evidenziato che valori di temperatura compresi tra 10-15°C sono stati responsabili di un aumento del numero di embrioni trasferibili (Freytag et al., 1995).

Infine, è stato osservato che la fertilità e la risposta a protocolli di superovulazione è influenzata anche dall’intervallo post partum; Sahara e colleghi monitorando tramite ultrasonografia ovaie di bovine da carne dopo il parto, hanno notato che i follicoli con diametro maggiore di 4 mm decrescono marcatamente a partire dal giorno 92 post-partum (Sahara et al., 1994); Hoekstra ha osservato che la fertilità di bovine da latte

(30)

30

considerate buone donatrici di embrioni è elevata tra 50 e 70 giorni dopo il parto, ma si riduce tra 90 e 110 giorni, ritornando normale dopo i 110 giorni (Hoekstra, 1989).

. Protocolli di superovulazione

Il termine superovulazione indica il risultato di un’azione indotta sull’ovaio da parte di ormoni stimolanti, in virtù dei quali l’ovaio risponde con l’ovulazione di più follicoli(Perez, 1994).

La metodologia della superovulazione nella bovina è generalmente basata sull’utilizzo di ormoni ipofisari, placentari e prostaglandine F2α o E1; Perez ha anche descritto il ricorso ad altri fattori quali flushing alimentare, effetti luminosi, interazioni sessuali, diete proteiche o lipidiche, selezione delle donatrici, periodo post partum, razza, specie e trattamenti ripetuti che possono favorire il risultato definitivo dei metodi precedenti.

Allen e Doisy sono stati i primi ad utilizzare la gonadotropina sierica di cavalla gravida (PMSG= pregnant mare gonadotropin o eCG= equine chorionic gonadotropin) per ottenere la superovulazione nella bovina, somministrando la molecola dopo enucleazione manuale del corpo luteo (Allen e Doisy, 1923). Il PMSG è un ormone che si trova nel siero di fattrici gravide ed è prodotto dalla placenta a partire dai 40-50 giorni di gravidanza; dal punto di vista funzionale è la sintesi di due ormoni FSH e LH (con una clearance più lunga), dalla cui azione si ottiene l’effetto ovulatorio (Gordon, 1996).

Nel corso degli anni sono stati studiati vari protocolli: Philippo e Rowson, per esempio, hanno provato il trattamento della bovina con PMSG, una somministrazione al giorno per due giorni, nella fase luteinica del ciclo estrale preceduta di 48 ore dalla somministrazione di Prostaglandine F2α (Philippo e Rowson, 1975); Nudeen e Hafez hanno trattato bovine con 2000-3000 UI di PMSG e con 2000 UI di hCG (human corionic gonadotropin) al 16° giorno del ciclo (Perez, 1994).

Una risposta più elevata e costante rispetto al PMSG è stata ottenuta con la somministrazione di FSH (Gordon, 1996).

(31)

31

Hirschfield e colleghi hanno dimostrato che l’FSH è fondamentale per il reclutamento di follicoli che debbono entrare in accrescimento, mentre l’LH è essenziale per completare le tappe finali della differenziazione follicolare (Hirschfield et al., 1979). Il tempo di permanenza in circolo (clearance) dell’FSH è breve: alcuni minuti nel topo (Gary et al., 1970) ed un tempo simile nella bovina; tale caratteristica comporta dei vantaggi e degli svantaggi: il vantaggio sta nel fatto che l’FSH, avendo una clearance più breve del PMSG, non evoca una eccessiva azione follicolo stimolante che può, a sua volta creare problemi di congestione ed eccessiva maturazione follicolare (Perez, 1994). Lo svantaggio risiede nella necessità di somministrazioni ripetute ad intervalli molto brevi per assicurare un azione sostenuta per vari giorni.

Le dosi di FSH da utilizzare al fine di ottenere una risposta adeguata possono variare da 26 fino a 60 mg in base alla razza e alla taglia dell’animale (Looney et al., 1978; Scharms et al., 1977; Betteridge, 1977; Nelson et al., 1979). Generalmente la somministrazione avviene per via intramuscolare per 4-5 giorni, a dosi uguali o decrescenti (Perez, 1994). Tra i problemi derivanti dall’utilizzo di FSH è stata rilevata la possibile contaminazione della molecola da parte di percentuali variabili di LH (Mapletoft e Pierson, 1993). Con l’avvento dell’FSH ricombinante bovino (b-FSH), è stata garantita la purezza della molecola e quindi l’assenza di altre proteine contaminanti (Gordon, 1996). Saumade ha dimostrato che passando da due a tre somministrazioni di FSH al giorno si ottiene l’aumento della risposta ovulatoria e quindi il numero di embrioni recuperati (10 contro 7,4 embrioni) (Saumade, 1983).

Secondo Mapletoft, il momento più adeguato del ciclo estrale per iniziare un trattamento di superovulazione nella bovina coincide con un periodo compreso tra il giorno in cui il diametro del follicolo dominante è massimo e quello in cui vi è l’emergenza del secondo follicolo dominante (giorno 9-13 dove il giorno 0 è il giorno dell’estro); questo trattamento (Tab. 3.1) deve essere accompagnato dalla somministrazione di PGF2α, 48 ore dopo l’inizio, al fine di indurre la lisi del corpo

luteo, l’estro e l’ovulazione (Mapleoft, 1986).

Un importante fattore che condiziona la risposta superovulatoria è dato dalla presenza di un follicolo dominante; in diversi lavori è stato riportato che l’inizio del trattamento

(32)

32

di superovulazione con FSH in presenza di un follicolo dominante porta ad una diminuzione della risposta superovulatoria (Lussuer et al., 1995).

Tabella 3.1 Esempio di trattamento superovulatorio utilizzato nella bovina (Tratto da Mapletoft, 1986).

Giorno Tempo Trattamento 1 Trattamento 2 Trattamento 3

10 a.m. p.m. 2500 UI PMSG 5mg FSH 5mg FSH 5mg FSH 5mg FSH 11 a.m. p.m. PGF2α riceventi 4mg FSH 4mg FSH 5mg FSH 5mg FSH 12 a.m. p.m. PGF2α donatrici 3mg FSH 3mg FSH 5mg FSH 5mg FSH 13 a.m. p.m. 2mg FSH 2mg FSH 5mg FSH 5mg FSH 14 a.m. p.m. IA IA 15 a.m. p.m. IA IA IA IA

La presenza di un follicolo dominante all’inizio del trattamento sembra ridurre la risposta superovulatoria del 40-50% (Guilbault, 1991); De Ruigh e colleghi hanno riportato che l’ablazione di un follicolo dominante tramite aspirazione follicolare 38-46 ore prima dell’inizio del trattamento superovulatorio comporta un aumento significativo dei tassi di recupero degli embrioni, se paragonato a soggetti ai quali non è stato ablato il follicolo (9,1 contro 6,7 embrioni rispettivamente) (De Ruigh et al., 1996).

Riguardo la possibilità di utilizzare trattamenti superovulatori ripetuti nello stesso, soggetto i risultati tra i vari autori sono discordanti anche se la risposta superovulatoria e il recupero di embrioni non sembrano essere significativamente influenzati da trattamenti ripetuti (Gordon, 1996).

.Gestione ed inseminazione delle donatrici

Per quanto riguarda la gestione delle donatrici risulta fondamentale la sincronizzazione tra bovine donatrici e riceventi in termini di stadio del ciclo estrale (Gordon, 1996).

Già nel 1969 Rowson e colleghi affermavano che l’esatta sincronizzazione tra l’età dell’embrione e lo stadio del ciclo della ricevente portava a migliori percentuali di

(33)

33

gravidanza, anche se poteva essere tollerato un certo grado di differenza tra donatrice e ricevente pari a ± 1 giorno (Rowson et al., 1969).

Bovine che hanno presentato un range di asincronia superiore a 2 giorni normalmente sono state scartate (Gordon, 1996).

In uno studio svolto da Janovitz su 2478 trasferimenti è stato osservato che, utilizzando un range di asincronia delle riceventi in estro di -48, -24, 0, +24, +48 ore (il simbolo - indica che l’estro nella ricevente è precedente rispetto alla donatrice), le percentuali di gravidanza dopo trasferimento sono risultate rispettivamente 23,8%, 52,2%, 58,2%, 49,5% e 44% (Janovitz, 1994).

Gordon ha descritto un protocollo per la gestione della donatrice; una volta applicato uno dei protocolli per la superovulazione, è stato rilevato l’estro e la bovina è stata sottoposta ad inseminazione artificiale; l’autore ha raccomandato l’uso di inseminazioni ad intervalli di 12 ore, iniziando 12 ore dopo il rilievo dell’inizio dell’estro (Gordon, 1996).

Nei programmi di ET , al fine di controllare i periodi inter-estrali, sono state utilizzate le Prostaglandine; l’estro delle donatrici può essere atteso circa due giorni dopo la somministrazione di PGF2α e la bovina può essere inseminata la mattina e nuovamente la sera, se ha mostrato segni del calore all’inizio della giornata; se l’estro è invece apparso più tardi, la bovina può essere sottoposta ad IA la prima volta nel pomeriggio e la seconda il mattino successivo (Gordon, 1996).

Generalmente l’inseminazione artificiale è stata eseguita mediante l’utilizzo di seme congelato; sono state normalmente utilizzando due paillettes da 0.25 ml nella dose iniziale dopo il rilievo dell’estro e un supplemento di una o due paillettes dopo 12 ore (Gordon, 1996).

Goulding e colleghi hanno rimarcato l’importanza dell’utilizzo di un seme di elevata fertilità (congelato o fresco) per assicurare un elevata percentuale di recupero di embrioni di buona qualità e hanno ritenuto che due paillettes di seme possono essere sufficienti per l’inseminazione di bovine sottoposte a superovulazione (Goulding et al.,

(34)

34

1994). La dose inseminante nel toro varia da 10 a 40 x 10^6 di spermatozoi, in relazione alla qualità del seme e al sito di deposizione (Gordon, 1996).

.Tecniche di recupero degli embrioni

La discesa degli embrioni in utero avviene normalmente tra due e cinque giorni post-ovulazione anche se, generalmente, circa il 10% permane nelle tube uterine fino al 5° giorno (Perez, 1994).

Le tecniche per il recupero degli embrioni possono essere raggruppate in due grandi categorie: tecniche chirurgiche (Rowson et al., 1969; Perez, 1994; Gordon, 1996) e tecniche non chirurgiche.

Le tecniche chirurgiche sono state abbandonate a causa dei costi elevati, delle possibili complicazioni e della maggiore sensibilità al benessere animale che si è sviluppata negli ultimi anni.

Le tecniche non chirurgiche, metodiche atraumatiche, hanno facilitato l’applicazione dell’ET in stalla anche in certe categorie di donatrici, quali le bovine da latte, che presentano difficoltà nell’esteriorizzazione dell’apparato riproduttivo (Gordon, 1996). Anche tali tecniche però, hanno presentato degli svantaggi. Uno dei problemi riscontrati nella metodica non chirurgica è stato il passaggio del catetere attraverso la cervice della donatrice nella fase luteinica del ciclo estrale; infatti Gordon ha riportato che una semplice dilatazione meccanica non è sempre possibile e spesso può essere responsabile di traumi (Gordon, 1996).

Il recupero di embrioni con metodi non chirurgici è stato eseguito mediante l’utilizzo di sonde specifiche; attualmente diversi autori utilizzano il catetere di Foley.

La sonda di Foley ha una struttura semirigida dotata di un palloncino all’estremità craniale che, sigillando l’utero, permettere di introdurre e drenare con sicurezza i liquidi di lavaggio per la raccolta degli embrioni. Queste sonde sono completate da un sistema di due o tre vie e un pallone insufflabile.

(35)

35

Nel sistema a due vie il liquido viene introdotto e recuperato sempre dallo stesso canale; al contrario, i sistemi a tre vie, hanno canali separati per l’introduzione ed il recupero del medium dall’utero, all’estremità della sonda per il recupero del liquido è presente un filtro con la funzione di trattenere gli embrioni.

Perez ha descritto la tecnica per il recupero degli embrioni (Fig. 3.1): la bovina viene contenuta in travaglio, viene poi eseguita un anestesia epidurale caudale, (5-10 ml di anestetico locale) nello spazio compreso tra prima e seconda vertebra coccigea. A questo punto viene svuotato il retto e la regione perineale e le labbra vulvari vengono lavate con sapone antisettico, risciacquate ed asciugate. La sonda viene quindi introdotta all’interno dell’utero, viene gonfiato il palloncino e viene iniettato il liquido di lavaggio in frazioni di 50-100 ml che sarà raccolto separatamente in matracci a temperatura di 30-35 °C, il volume totale di liquido da inserire in ciascun corno è di circa 600-700 ml (Perez, 1994).

Una volta raccolto il liquido di lavaggio viene sgonfiato il pallone della sonda, così da poter togliere la sonda dall’apparato genitale della bovina e successivamente vengono somministrate prostaglandine alla donatrice sia per accorciare il periodo interestrale sia per evitare gravidanze indesiderate (Lopez-Gatius, 1995).

(36)

36

Per la raccolta dell’embrione possono essere usati diversi medium: “Earle’s based Hepes Buffered tissute medium” (TCM 199, Gibco: Betteride e Mitchell, 1974) + neomicina solfato, PB1 + neomicina solfato e “Dulbecco’s phosphate-buffered saline” (DPBS) + neomicina solfato a pH 7,2 con l’aggiunta di 1 o 2% di siero bovino inattivato (Betteridge, 1980).

Il successo del lavaggio uterino è correlato con la quantità di fluido recuperato, generalmente dovrebbe essere recuperata una percentuale del fluido iniziale pari al 90-100% (Gordon, 1996).

Una volta recuperato il liquido di lavaggio si procede alla ricerca degli embrioni per mezzo di un microscopio stereoscopico che viene impiegato anche per la loro valutazione (Perez, 1994).

. Valutazione degli embrioni

In letteratura sono stati descritti alcuni metodi per la valutazione della normalità e della vitalità degli embrioni: la maggior parte di questi sono centrati sulla valutazione delle anomalie morfologiche degli embrioni, l’uniformità della taglia cellulare, la forma, il colore e le dimensioni (Gordon, 1996).

Un sistema per la classificazione degli embrioni bovini su base morfologica è stato messo a punto in USA da Lindner e Wright; questi autori hanno classificato gli embrioni in quattro categorie: eccellente, buono, medio, scarso (Tab. 3.2). Le percentuali di gravidanza associate a ciascun grado dopo trasferimento in riceventi sono risultate rispettivamente 45%, 44%, 27% e 20% (Lindner e Wright, 1983).

Hasler e colleghi, lavorando su un elevato numero di bovine, hanno riportato percentuali di gravidanza nelle riceventi di 83%, 75%, 63% e 46% dopo trasferimento di embrioni di grado 1, 2, 3 e 4 rispettivamente (Hasler et al., 1987).

Per quanto riguarda la corrispondenza tra stadio di sviluppo ed età dell’embrione, Holy e colleghi hanno recuperato embrioni bovini di 7 giorni osservando 18,7% morule, 47,7% giovanissime blastocisti, 20,5% giovani blastocisti, 9,5% blastocisti espanse, 2,1% blastocisti in schiusa e 0,5% blastocisti schiuse (Holy et al., 1988).

(37)

37

Tabella 3.2. Valutazione degli embrioni bovini in base alle caratteristiche morfologiche

Grado Qualità Caratteristiche tipiche dell’embrione

1 Eccellente

Embrione perfettamente simmetrico, con regolare granulazione e un contorno ben definito, distinto: assenza di blastomeri estrusi. Corrispondenza tra stadio di sviluppo ed età

2 Buono

Embrione con regolare granulazione e contorno ben definito, distinto; estrusione di qualche blastomero e degenerazione di alcuni blastomeri minori, occasionalmente presenza di un asimmetria nella forma.

3 Medio

Embrione intatto ma contorno confuso in alcune parti; difetti evidenti quali cellule estruse, formazione di alcune vescicole e qualche blastomero degenerato.

4 Scarso Embrione con irregolare granulazione e contorno confuso; molti blastomeri con degenerazione evidente, qualche volta forma anormale.

5 Degenerato Degenerazione evidente a tal punto che non potrebbe essere possibile individuare l’esatto stadio di sviluppo qualche volta forma anormale. (Tratto da Kenney et al., 1983)

. Selezione e gestione delle riceventi

Un importante parametro di selezione per le riceventi bovine è dato dalla loro anamnesi riproduttiva; le manze che non hanno mai partorito sono generalmente preferite come riceventi di embrioni nei programmi di ET, rispetto a bovine che hanno già partorito (Broadbent et al., 1991), perché oltre ad essere prive di problemi legati ai parti precedenti, possono essere reperite più facilmente e ad un costo inferiore rispetto ad una vacca.

Coulthard ha affermato che il trasferimento di embrioni per via trans-cervicale può risultare difficile, se non impossibile, nel 10% delle manze (Coulthard, 1991). Infatti l’utilizzo di particolari categorie di bovini come riceventi di embrioni, quali le manze vergini, potrebbe essere responsabile di problematiche riguardanti il benessere animale; nel Regno Unito, per esempio, l’uso di manze vergini di razze da carne come riceventi per embrioni di razze da latte di grossa taglia o razze da carne con grande

Riferimenti

Documenti correlati

Summary: bioBakery is a meta’omic analysis environment and collection of individual software tools with the capacity to process raw shotgun sequencing data into actionable

La costruzione di reti di risorse multimediali attorno al libro può essere considerata il fulcro di uno sforzo collettivo, da parte dei bibliotecari partecipanti al progetto,

The role of the cylindrical chamber SC2 with tangentially installed nozzles is to burn and gasify the tiniest fractions of coal dust and partial combustion of the gases generated

A livello di lieviti, se è noto che C.albicans è la specie di più frequente riscontro in campioni clinici, altre specie di Candida così come altri lieviti vengono segnalati

And then, on a different level, advances in the study of the neuroanatomy and neurophysiology of large ungulates may be the beginning of the use of their nervous tissues in

Supplementary Materials: The following are available online at http://www.mdpi.com/2304-8158/9/6/761/s1 , Figure S1: Standard calibration curve, Figure S2: Normal residual

Fig 4.. group) exhibiting more similar patterns to control untreated oocytes (CTR group). The first difference observed between CTR oocytes and both CP and VITRI oocytes is related

La tipologia di prodotti alimentari/mangimi/MOCA che sono stati oggetto delle 398 notifiche effettuate dall’Italia attraverso il RASFF ha riguardato, maggiormente, i prodotti