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ANALISI E COMMENTO DI REALTÀ E VALORE

4. La certezza dell’individuo potente

Definiti i caratteri dell’Io e la sua relazione con i valori, intesi come entità eterne e durevoli originate da un soggetto eterno ed indipendente, Claudi si appresta a precisare lo scopo della filosofia a partire dalla sua relazione con la verità. Il tema principale del terzo capitolo di Realtà

e valore, infatti, è la ricerca della certezza e la sua relazione con la verità: «La filosofia come

ricerca della verità è d’altra parte ricerca della certezza»1. Ogni attività umana è sempre indirizzata

al suo conseguimento, infatti «l’ansia della certezza ci perseguita sempre, sotto le più varie forme»2 e il suo reperimento garantisce il raggiungimento di uno stato di pace e serenità. Ma,

prosegue l’autore, «la filosofia ricerca la certezza nella verità»3 e il filosofo desidera realizzare

una certezza qualitativamente diversa rispetto a quelle delle altre attività umane, in quanto egli aspira a raggiungere la «coscienza di essere e di creare, di essere individuo autonomo ed operante»4. Tale coscienza secondo l’autore, non caratterizza solamente la disciplina filosofica,

ma identifica lo scopo stesso della vita umana caratterizzata dalla ricerca continua di ciò che permette all’individuo di essere originario e di operare indipendentemente da condizionamenti esterni.

Il reperimento della certezza equivale quindi a scoprirsi come soggetto eterno ossia non dipendente «da null’altro che da se stesso»5. Come indicato dalle prime righe di questa

introduzione al testo di Claudi, la finalità di Realtà e valore si delinea infatti come il «riconoscimento di essere eterni, imperituri, immortali e in tal senso reali. In tale coscienza, la certezza dell’Io»6. Ma la definizione di eternità a cui tende il soggetto non deve essere intesa come

il raggiungimento di uno stato universale trascendente l’individuo, bensì come il concretizzarsi della sua individualità e della sua indipendenza singolare.

Definita la certezza come coscienza di essere ed operare, quindi come il raggiungimento di un proprio stato originario, Claudi si appresta ad indicare il percorso storico attraverso il quale il soggetto si realizza concretamente come eternità. Come è possibile che il soggetto raggiunga il suo stato di eternità tramite un procedimento che segue un andamento storico? La ragione di questa domanda scaturisce dall’evidente impossibilità di conciliare il rapporto tra lo sviluppo cangiante e contingente della realtà storica e la dimensione necessaria e immutabile dell’eternità. A queste difficolta di natura teoretica si assommano quelle di tipo espositivo. Ci apprestiamo 1 Realtà, p. 25. 2 Ivi. 3 Ivi, p. 26. 4 Ivi. 5 Ivi. 6 Ivi.

160 infatti a presentare uno dei passaggi più problematici dell’opera sia da un punto di vista contenutistico che argomentativo. La mancanza di un linguaggio chiaro e lineare non permette infatti una profonda comprensione del senso di questo capitolo e molti passaggi sono oscuri e privi di una precisa connessione con la globalità del testo7.

L’introduzione dell’evoluzione storica dell’individuo, viene chiarita dall’autore attraverso l’utilizzo delle categorie di trascendenza e di immanenza. L’Io si caratterizza innanzitutto come al di là della storia e quindi del mutamento: riconoscersi come eterni infatti equivale ad essere oltre il condizionamento del tempo. Tale affermazione è fondata su una precisa concezione ontologica che concepisce l’essere come identico a se stesso e indiveniente: «Essere è ciò che è: ciò che è non può essere inquadrato sul transeunte, nella storia, o nel tempo: o meglio rimane “nella storia”, l’identità di sé stesso, fuori del tempo, o fuori del divenire»8. Secondo l’autore,

però, l’Io può scoprirsi come eterno e originario solo attraverso un percorso di crescita che deve essere considerato «piuttosto come una vera e propria realizzazione. Come tale non è facile»9.

L’Io quindi raggiunge la sua indipendenza originaria attraversando uno sviluppo storico in cui nascono e si sviluppano i valori generati dalla sua attività creatrice: «è probabile perciò, che egli eterna luce trascendente, “inizi appunto la sua storia, creandosi quasi, con questa la sua eterna veste di valori»10.

L’Io quindi trascende lo sviluppo e i condizionamenti storici, senza i quali, però, egli non potrebbe scoprire se stesso né produrre nulla. In questo paradossale rapporto di trascendenza ed immanenza vissuto dal soggetto nei confronti della sua storia, Claudi sembra riprendere e precisare il concetto di “ritmo”, cioè la legge dello sviluppo dell’Io introdotta nella sezione precedente. Essa è caratterizzata dal paradosso di una identità che, per permanere identica a se stessa, deve mutare e crescere secondo un preciso e necessario sviluppo; in tal senso l’individuo esiste come trascendenza attraverso una necessaria fuoriuscita da sé. Tale cambiamento, però, non determina una scomparsa, ossia un perdersi del soggetto nel suo divenire storico, bensì il raggiungimento di ciò che è inscritto nell’essere stesso dell’Io e quindi un “immanere” dell’individuo in se stesso.

In questo equilibrio indefinito tra trascendenza ed immanenza, rientra anche la genesi e la natura dei valori: essi da una parte dipendono dalla capacità produttiva del soggetto e dall’altra parte si costituiscono come indipendenti rispetto al riconoscimento del loro essere. I valori «come

7 La lezione a pp. 26-27 («Purtroppo una così […] esplicativa e formale».) è accompagnata da alcuni probabili segni

di espunzione, indicando la volontà dell’autore di ritornare sul testo per migliorare la forma espositiva e il contenuto.

8 Ivi, p. 26. 9 Ivi.

10 Ivi, p. 27. Il termine “probabile” conferma l’utilizzo da parte di Claudi di espressioni poco consone alle questioni

trattate, richiamando la critica di Bruno Fonzi della Einaudi al testo inviato da Claudi nel 1954: «alcuni capitoli mancano di quell’assoluto rigore stilistico, o concettuale, che il genere richiede; o meglio, l’approssimazione stilistica riflette l’imperfetta chiarezza concettuale» (F.C., Lettera Einaudi, 5 ottobre 1954).

161 oggetti si distaccano dall’Io individuo creatore, ma permangono in questi parimenti indistruttibili come virtù creative, capacità dell’individuo»11. In questo rapporto tra dipendenza ed indipendenza

dei valori, l’Io si rispecchia accrescendo così la consapevolezza di sé e delle sue capacità. Claudi precisa che la creazione dei valori è generata da un’accettazione della vita, resa possibile solo da un atto amoroso che, in quanto tale, è sempre creativo. Tale creazione si attua «faticosamente e travagliosamente in una ricerca che è appunto di verità, che è quanto dire ricerca di Dio»12.

La storia dell’individuo si delinea quindi come la serie dei valori portati ad attuazione. Oltre a tale carattere oggettivo, il divenire storico si caratterizza anche come l’insieme delle capacità e dei limiti che il soggetto ha scoperto tramite il faticoso lavoro di realizzazione delle sue opere. Questo viene precisato distinguendo tra facoltà e virtù, dove la prima si caratterizza come semplice potenzialità non espressa, a differenza della virtù che «è forma creante, capacità creante. La virtù si esplica per amore all’oggetto della creazione. Perciò la virtù nasce operando, nasce nella creazione e si fa co-eterna con l’Io»13.

Tale distinzione permette di comprendere la complessità della storia definita come l’insieme degli atti realizzati dall’individuo in cui egli si scopre «eterna luce trascendente»14. Ma,

precisa l’autore, «La storia concreta dell’Io, in definitiva, si realizza nell’attrazione-ricerca del Trascendente». Solo nella ricerca di ciò, il soggetto «si fa immanente a se stesso, può raggiungere l’identificazione di sé con sé. L’Io assume allora coscienza di sé come “valore”, creatore di valori»15.

Che cosa si intende per trascendenza a cui l’Io deve tendere per farsi immanente a se stesso, così da scoprirsi coscienza di essere ed operare e quindi valore e creatore di valori? Come abbiamo precisato l’obiettivo di Claudi è quello di garantire al soggetto la scoperta del suo valore e quindi del suo essere. Per conseguire ciò, è necessario adottare una visione singolare ed esistenziale dei concetti generali. Anche per quanto attiene la trascendenza è necessario considerarla non come la dimensione generale propria di Dio, ma come un concetto carico di assolutezza che deve essere interpretato a partire dall’esistenza singolare dell’Io. La trascendenza indica quel termine «nel quale la coscienza umana pone il senso di Dio»16, ma non deve identificarsi con esso. Questo

permette all’uomo di conseguire la coscienza di essere e di operare senza però sottomettersi ad un’entità esterna priva di una reale relazione costruttiva con l’uomo. Vediamo ritornare la critica alla concezione monoteistica di Dio e del suo essere, causa principale di una visione errata dell’uomo e della sua storia.

11 Ivi. 12 Ivi. 13 Ivi, p. 28. 14 Ivi. 15 Ivi. 16 Ivi.

162 Le analisi condotte permettono di comprendere in che senso la certezza a cui tende l’uomo sia da intendere come ricerca dell’immortalità, concepita come consapevolezza di essere e di operare. Questo viene dimostrato da Claudi anche per via negativa. Tutti gli uomini che non hanno certezza su di sé, vivono con la paura della mancanza «di quel sentirsi essere ed operare, di quel sia pur vago sentimento dell’eterno che illumina di assoluta sicurezza i volti degli onesti»17.

L’uomo certo è caratterizzato invece da «una ricerca appassionata di idealità e di verità» che consiste in «una tensione alla realizzazione del divino nell’uomo e per l’uomo»18. La certezza è

quindi un atteggiamento, un modo di guardare e di accettare la vita. In questo senso anche la creatività propria dell’amore sessuale può esplicarsi totalmente, solo se il soggetto saprà cogliere nell’unione dei corpi «una qualità più che sensoriale»19.

Definiti i caratteri della certezza e la sua relazione con la verità, Claudi afferma che la ricerca della verità ha come oggetto il bene: le «verità autentiche non possono essere che benefiche. Non dunque è possibile una “verità distruttiva”»20. Da questa precisazione si passa alla

definizione di “individuo potente”, ossia colui che «può farsi un’esistenza a suo piacimento, anche se con sforzo, che la realtà obbedisce in definitiva allo sforzo dell’uomo, il quale perciò “non ha veramente dei limiti”»21. Opposto ad esso vi è il pessimista, definito da Claudi come “uomo

impotente” che interpreta la vita a partire da un sentimento di sconfitta, di ristrettezza rispetto alla sua attività creativa. “L’individuo potente”, invece, possiede il suo potere e le sue capacità in quanto pienamente responsabile: «egli ha senso di sé come “valore” attività originaria causante della realtà e della vita»22.

L’uomo che ricerca la verità vede la realtà nella sua obiettività, nella luce chiara del suo sorgere e manifestarsi. «L’uomo “potente” in realtà non è neppure ottimista: è obbiettivo»23. Egli

giudica tutto secondo la possibilità «dell’uomo di vincere il dolore o la malvagità»24. Il limite è

quindi un’occasione per esercitare il potere di illuminare una porzione di realtà non ancora compresa e valorizzata. Nel superamento della mancanza, il soggetto assume la sfida di crescere e di realizzarsi, manifestando così la sua capacità di conferire valore e senso a ciò in cui si imbatte. In tal senso Claudi afferma:

Quando si sia precisato che la ricerca della verità è ricerca di una certezza, si intende la validità dell’espressione di questa ricerca della sua capacità di dare o meno la 17 Ivi, p. 28. 18 Ivi, p. 29. 19 Ivi. 20 Ivi. 21 Ivi, p. 30. 22 Ivi. 23 Ivi. 24 Ivi.

163 certezza. Una visione funerea della vita mi annulla come individuo, spegne in me la coscienza di essere e di creare, mi distrugge cioè come “certa” entità (di certezza)25.

La ricerca della verità non consiste dunque nel possesso di un contenuto, ma nel raggiungimento di uno stato di certezza sul proprio essere e sulla propria attività da cui segue una modalità nuova di vivere e guardare il mondo. Il soggetto investito dal rapporto con la verità è capace di creare, ossia di illuminare il mondo conferendogli così una propria validità, in virtù della scoperta di sé come soggetto eterno e responsabile.

L’esposizione prosegue ribadendo lo stretto legame tra la verità e il bene: «Essa non può essere che benefica. Qualsiasi opera che non sia benefica non è neanche vera»26. Claudi precisa

che il processo che conduce al raggiungimento della verità deve essere segnato dalla produzione di opere benigne, sottolineando come anche lo stesso percorso di raggiungimento della verità deve essere considerato come parte integrante della ricerca della certezza e quindi generativo di opere buone: «Ma se la verità come certezza non può essere raggiunta per via negativa, non può neanche procedere – in quanto ricerca – in direzione malefica, né le sue espressioni possono essere tali»27.

Non è possibile raggiungere la verità compiendo atti maligni e distruttivi. Il fine quindi non giustifica i mezzi, giacché anch’essi manifestano integralmente il raggiungimento di uno stato di verità e quindi di bontà. La ricerca della verità si delinea quindi come una scoperta, un cammino di maturazione intrapreso dall’Io attraverso cui egli realizza se stesso in un susseguirsi di opere benefiche.

Dal rinsaldarsi del legame tra verità e bene, l’autore procede a precisare i caratteri produttivi della forza dell’amore che hanno la loro prerogativa nel concetto di umiltà, o meglio in quello di buona volontà28. L’amore è «semplice e concreto come tutto ciò che volge alla cosa

reali, ed è estremamente potente perché sviluppa fatti e si nutre di fatti»29. Di converso la violenza

«è gonfia, paludata, ha bisogno di molto apparato, e infine non produce altro che il nulla, del nulla si nutre. I fatti della distruzione non si potrebbero neppure chiamare fatti: sono il niente»30. I

prodotti dall’amore sono semplici, concreti, reali e potenti, a differenza della natura di ciò che è generato dalla violenza che è gonfio e paludato, identificandosi così con il nulla. L’essere dei

25 Ivi, p. 31.

26 Ivi, p. 32. La connessione tra verità e bene viene così motivata: «La quale conclusione sembra coincidere col più

comune buon senso. Il più umile contadino, la più semplice madre di famiglia, l’artigiano, l’operaio, la più comune umanità pensano su questo punto precisamente come Platone, che non si può dire abbia raccolto sic et sempliciter le sue persuasioni dai discorsi dei contemporanei. Ma piuttosto nella natura genuina delle cose doveva vedere risplendere un così umile e pure così schietto lume» (Ivi).

27 Ivi.

28 «Il valore dell’umiltà è questo. E si potrebbe chiamare piuttosto che umiltà (parola equivoca per il significato

originario diverso modificato da sopraggiunti sensi mistico-religiosi) semplicità, obiettività, limpida visione, e bona

voluntas» (Ivi).

29 Ivi. 30 Ivi.

164 valori ha una natura che li spinge ad imporsi di per sé, indipendentemente da altre mediazioni. Ciò spiega le ragioni che spingono Claudi ad indicare, come abbiamo visto in precedenza, l’atto del riconoscimento come unica modalità conoscitiva: l’amore, infatti, crea fatti semplici che si impongono senza ombra di dubbio.

Ma come può l’uomo riconoscere i valori? La domanda esige l’approfondimento della natura e della genesi dell’intelletto e del sapere ad esso connesso: «il lume della sapienza è qualcosa che si accenda per evoluzione nell’uomo dall’incoscienza della materia alla coscienza dell’intelletto, oppure discende e in che modo?»31. Nel tentativo di risolvere tale problematica,

Claudi utilizza alcuni concetti della filosofia spiritualistica propria dell’opera di Leibniz e del naturalismo rinascimentale.

Rispetto alla possibilità della conoscenza della storia umana e del cosmo «la limitazione intellettuale è paurosa»32. Tale incapacità potrebbe essere risolta secondo Claudi dalla presenza

di «altri esseri viventi nell’universo»33 più evoluti di noi, che ci elargirebbero conoscenze e

sapienze superiori. Tale eventualità è stata rappresentata anticamente dal mito di Prometeo oppure dalla «stessa idea della rivelazione»34. In questo senso l’uomo è accompagnato nel suo evolvere

da un potere e da una «sapienza “segreta”»35 custodita solo da alcuni individui, come raccontato

dalle «leggende di arcani palesi od antichi sacerdozi e ignoti alla maggioranza degli uomini non maturi abbastanza per comprenderli ed accettarli»36. Questa visione aristocratica della sapienza è

giustificata dalla «legge inviolabile che la conoscenza e la potenza trovano il loro limite nella capacità “morale” dell’uomo»37. Vediamo ripresentarsi il legame tra la dimensione pratica e

teoretica della conoscenza presentato dall’autore nella seconda parte dell’opera: se il pensiero è «svuotato di contenuto morale»38, allora esso non si qualifica come «espressione di verità, ma

solo di forma atta ad agire in un senso piuttosto che in un altro»39. Solo un individuo “potente”,

ossia realmente consapevole delle sue totali possibilità creative, può giungere a sostenere il peso della ricerca della verità. L’esemplificazione mitologica del rapporto tra moralità e conoscenza è rappresenta dalla figura di Lucifero che, volendo ergersi a creatore assoluto, regredisce ad un livello inferiore: ecco «appunto la legge di involuzione, o diminuzione, o distruzione che colpisce chi tende a superare sul piano della conoscenza-potenza la propria capacità di Bene»40. In questa

31 Ivi, p. 33. 32 Ivi. 33 Ivi. 34 Ivi. 35 Ivi. 36 Ivi. 37 Ivi. 38 Ivi, p. 24. 39 Ivi. 40 Ivi, p. 33.

165 parte finale del capitolo la precisazione introdotta da Claudi rispetto al valore morale della conoscenza, si riferisce soprattutto all’origine del pensiero e alla sua possibile derivazione da entità esterne e superiori all’uomo. Nell’affrontare ciò, egli precisa alcuni concetti della sua visione del mondo che lo avvicinano alla filosofia spiritualistica e al contempo si impegna in una critica alla concezione materialistica della conoscenza e dell’evoluzione propria del darwinismo. Secondo l’evoluzionismo la nascita dei viventi deve essere ricondotta alla semplice materia inerte: la vita sgorgherebbe così casualmente dal non vivente e il fenomeno organico nascerebbe inspiegabilmente dall’inorganico. Ipotizzare che la conoscenza possa spiegarsi solamente secondo tale interpretazione è frutto di una visione «limitatamente antropocentrica dell’universo unita ad una diffusa persuasione di origine positivistica evoluzionistica»41. Secondo

Claudi la teoria darwiniana risulta logicamente impossibile in quanto «il nulla non può dare neppure il nulla»42. Ossia: se non esiste nessuna analogia tra la causa e l’effetto, «come può

sorgere la coscienza dalla non coscienza?»43. L’evoluzione può essere ammessa solo se

ipotizziamo che da «una buia coscienza noi possiamo pensare lo sviluppo della coscienza fino alle forme più eccelse, ma dalla assoluta non-coscienza non riusciamo a concepire nessun passaggio»44.

Dall’indagine dei caratteri e della genesi della conoscenza umana, l’autore introduce alcune precisazioni rispetto alla dimensione materiale e alla necessità di ricercarne un’interpretazione più adeguata: «Dunque l’idea evoluzionistica del passaggio dall’inconscio al conscio noi dobbiamo tradurla nell’immagine leibniziana di un universo cosciente, più o meno, per gradi e livelli»45. La materia ha quindi dei caratteri spirituali che devono essere considerati

per conseguire una conoscenza integrale dell’universo e del mondo. L’evoluzione dei viventi deve essere interpretata considerando l’energia e la forza intrinseca alla materia. La critica di Claudi, quindi, non è diretta ad una visione evolutiva, ma al materialismo che il darwinismo surrettiziamente introduce nell’interpretazione della vita e del mondo. L’evoluzione può essere comprensibile solo in una concezione spiritualistica e pampsichista della materia senza la quale non sarebbe comprensibile la genesi della vita. L’organismo vivente può essere conosciuto solo se si considera che la sua origine può essere ricondotta ad un sostrato intrinsecamente dinamico e vitale. L’assunto che solo il vivente genera il vivente, deve essere tenuto in considerazione per comprendere i caratteri peculiari dell’essere organico. L’universo quindi può essere considerato come un complesso vivente costituito da tanti organismi che rappresentano i vari gradi di 41 Ivi. 42 Ivi. 43 Ivi. 44 Ivi, p. 34. 45 Ivi.

166 maturazione della coscienza costitutiva propria del mondo. La concezione di Claudi non è lontana quindi dalla monadologia di Leibniz e nemmeno dal naturalismo rinascimentale, in cui tutto, essendo microcosmo del macrocosmo, è riproduzione animata della totalità dell’universo46.

Queste precisazioni di ordine ontologico come ci aiutano a comprendere la dinamica della conoscenza dei valori e della verità? La dottrina evoluzionista «è una dottrina superba»47 giacché,

riducendo tutto alla dimensione materiale, impedisce una conoscenza profonda della vita e dell’essere: «Come se si potesse concepire ciò che è escludendone la qualifica dell’eterno»48.

Secondo essa la verità si riduce ad una costruzione dell’uomo e i valori a dei traguardi raggiunti dall’individuo grazie al suo sviluppo storico ed evolutivo. Viene esclusa quindi la possibilità che i «valori preesistano e che vengano immessi nelle coscienze individuali quando queste siano arrivate al punto da comprenderli»49. Cerchiamo di chiarire questa affermazione alla luce del