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ANALISI E COMMENTO DI REALTÀ E VALORE

6. Il divino e la “circolarità della vita” 1 Il problema della conoscenza

6.2. Il principio di responsabilità

La polemica condotta da Claudi nei confronti della problematica gnoseologica, ha lo scopo di mostrare che la condizione del filosofare «è proprio quella di tendere irremovibilmente a riconoscere ed affermare una realtà, qualsiasi possa essere l’esito – erroneo o meno – di questa ricerca»13. Le possibilità della conoscenza sono indicate così nella presenza della realtà e nella

necessità che spinge il soggetto ad affermare la verità dell’oggetto. Le precisazioni compiute da Claudi intorno al problema gnoseologico mostrano la struttura e il legame tra la conoscenza e la realtà del divino.

Il divino non si caratterizza come un dato di fatto, come un oggetto semplicemente presente nell’orizzonte del soggetto. Esso, infatti, è stato definito come ciò che è qualitativamente degno di massimo apprezzamento ed è ciò che sostanzia tutto ciò che esiste: «in ogni oggetto o fatto rifluisce la certezza degli eventi, si muove la legge universa» e la «vita universa»14 che

prevede che «Il tutto è in tutto o in tutti: non viceversa»15. Ogni parte è sempre espressione del

tutto e per essere tale è necessario che essa manifesti ciò che la costituisce. La conoscenza del divino esige quindi un impegno da parte del soggetto, una volontà di scorgere la legge che tutto regola e scandisce. Ma il soggetto può impegnarsi in tale conoscenza solo se non «rinuncia alla propria responsabilità»16 in quanto il suo fine «è quello di realizzare il divino, e non di annegare

nel divino»17. Egli deve acquisire la consapevolezza della propria responsabilità scoprendosi così

soggetto eterno e quindi creativo. «La filosofia che questo abbia chiarito è l’estrema e radicale postulazione del principio di responsabilità. Che è l’autoaffermazione profonda dell’Io-valore creatore»18.

Claudi eleva così il principio responsabilità a una dimensione metafisica per giustificare l’essere e l’opera del soggetto umano. Prima di procedere a comprenderne i caratteri è necessario chiedersi: «Che cosa si deve intendere per responsabilità? E che cosa in questo caso si deve intendere per principio? Come nasce la responsabilità?»19. Infatti affermare che l’uomo si

12 Ivi. 13 Ivi. 14 Ivi, p. 51. 15 Ivi. 16 Ivi. 17 Ivi. 18 Ivi. 19 Ivi, p. 52.

182 costituisce come un soggetto eterno, ossia «eterna entità spirituale a cui la morte nulla aggiunge e nulla toglie, centralità solare di pianeti, vigoria fiammante nel cielo dell’eterno»20, esige delle

precisazioni speculative e terminologiche senza la quali non si riuscirebbe a cogliere la sua natura profonda ed originaria.

La prima precisazione introdotta da Claudi riguarda il riferimento della responsabilità: a chi risponde l’uomo nel suo essere responsabile? Per essere pienamente responsabili è necessario innanzitutto superare la concezione monoteistica di un unico Dio che «monopolizza il divino» proprio della vita. L’uomo è responsabile nei confronti dell’«eterna verità»21 ed «essere

responsabili verso di essa, significherà essere proprio in direzione antimistica – responsabili verso gli individui, uno per uno, intesi nella loro essenza divina»22. Come indicato nel capitolo quarto

dell’opera per quanto attiene la definizione del bene23, essere responsabili nei confronti degli

individui significa rapportarsi ad essi a partire dal loro valore, dal loro essere in sé e per sé. La responsabilità nei confronti della verità permette al soggetto di acquisire uno sguardo disinteressato e valorizzatore nei confronti di ciò che egli incontra e conosce, scoprendo così che ogni ente possiede un valore in sé indipendente dall’opera di un Dio unico.

Questa precisazione mostra come il divino sia un termine che definisca l’Io e con cui egli deve sempre rapportarsi per scoprire se stesso. Ma possiamo comprendere il senso profondo della divinità dell’Io solo approfondendo il significato del principio metafisico della responsabilità: «in questo termine e nell’idea da esso evocata è chiuso l’enigma più irriducibile della nostra vita»24.

Eticamente l’individuo responsabile è causa ultima dei suoi atti, configurandosi così come un valore. Ricordiamo che Claudi intende per valore ciò che ha il carattere dell’indipendenza, declinata sia in senso ontologico sia in senso conoscitivo25. Ma se l’Io può essere indicato come

valore, egli allora può essere considerato come «qualcosa di sacro, un Dio celato capace di bene e di male, che conosce quindi il bene e il male. Ma si deve riconoscere soprattutto qualcosa di originario»26. In sintesi: l’ente che eticamente è causa dei suoi atti deve essere concepito come

causa originaria di se stesso, increato ed eterno per definizione:

la consapevolezza radicale di essere soggetto è la stessa cosa della consapevolezza radicale di essere increato. Dunque il fatto che la responsabilità esige l’originarietà

20 Ivi. 21 Ivi. 22 Ivi.

23 «Il Bene dunque dovrà configurarsi all’individuo creatore come una “società” o un universo di individui creatori.

La libertà che è a fondamento di tutto questo vorrà essere vista esplodere in un firmamento di “soli” che creino i loro rapporti, si dispongano nell’equilibrio universale, in una corresponsione di amore-creazione per cui l’universo vivente moltiplichi all’infinito la sua realtà» (Ivi, p. 42). Il bene è quindi definito sempre in relazione agli individui e consiste nella realizzazione della loro totalità attraverso la forza dell’amore.

24 Ivi, p. 52. 25 Cfr. Ivi, p. 13. 26 Ivi, p. 52.

183 dell’individuo non basa sul vuoto, non è arbitraria pretesa, ma trova la sua radice proprio nell’originarietà medesima, è tutt’uno con essa. Il principio di responsabilità in questo caso è lo stesso fondamento metafisico della realtà delle monadi eterne e infinite27.

Un soggetto responsabile è necessariamente originario quindi increato; ciò «significa stabilire ab eterno» i suoi caratteri dichiarando così l’Io libero da quell’unico Dio tradizionalmente identificato con la causa originaria del tutto.

Ma che cosa si intende con originarietà, nucleo e significato primario della responsabilità? Come indicato da Claudi nel passaggio precedente, l’originarietà trova la sua spiegazione solo in se stessa28. Il soggetto è primariamente capacità di autoaffermazione: egli è se stesso e conosce se

stesso senza la mediazione di altro a esso esterno.

Dire “io sono” non è la stessa cosa che dire “io esisto”. “Io sono” è un’affermazione o autoaffermazione, “io esisto” è una constatazione. Dire “Io sono” è cosa peculiarissima e inconfondibile: già dire “tu sei” equivale a dire “tu esisti” e mentre nessuno può dire “io sono” per me, tutti possono dire “tu sei” per me. Perché nessuno può “affermarsi” per mio conto. Da ciò l’impossibilità di essere stato creato, perché nessuno ha potuto compiere questo particolare atto per me. Questa impossibilità metafisica è il fondamento dell’eternità dell’individuo e della originarietà della monade.29.

La differenza tra “Io sono” e “Io esisto” esemplifica la distinzione che Claudi introduce tra essere ed esistenza. L’originarietà dell’Io non può definirsi fissa e immutabile in quanto «“io sono” è un’autoaffermazione»30. L’Io deve affermarsi, individuarsi, altrimenti si qualificherebbe

come semplice potenzialità: «Perché l’Io incomincia quando afferma “io sono”: prima di questo è mera virtualità»31 e tale affermazione si qualifica come un atto di responsabilità. Egli deve

esprimere il consenso a divenire se stesso altrimenti rimarrebbe una potenzialità indifferenziata, inespressa e non creativa.

«Ora l’atto di responsabilità per cui mi affermo “io sono” chiude in se medesimo l’amore alla vita: in concreto all’altro. Come l’amore non produce che individui, così non può volgere che verso individui»32. La responsabilità si esercita sempre nei confronti degli individui assecondando

così la loro totalità. Ma l’Io esercita la sua responsabilità primariamente in se stesso e verso se

27 Ivi.

28 «l’originarietà dell’individuo non basa sul vuoto, non è arbitraria pretesa, ma trova la sua radice proprio

nell’originarietà medesima, è tutt’uno con essa» (Ivi).

29 Ivi, p. 53. 30 Ivi. 31 Ivi. 32 Ivi.

184 stesso favorendo così l’emergere del suo essere. Egli si scopre così come una volontà che deve rispondere ed affermare innanzitutto la totalità del proprio essere.

«La distinzione fra Essere e Realtà si rende necessaria a questo punto»33. L’essere,

concepito in precedenza come mera identità – «l’essere è l’essere»34 –, ora assume il carattere di

fonte ed origine di ogni realtà, verità e valore 35. Esso diviene «L’essere-io-virtualità»36 che con

un atto di libertà fa sì che «Il reale è ed è valore solo e quando l’Io-valore lo farà essere tale»37.

La conseguenza radicale ed inevitabile della definizione dell’Io come responsabilità, e quindi come originarietà, è quella di divenire fonte dell’essere, ossia esercizio di libertà che attualizza ciò che altrimenti rimarrebbe solo virtuale. L’Io diviene così la legge e la struttura della realtà che ha il potere di realizzare le infinite possibilità che altrimenti rimarrebbero pure virtualità astratte.