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ANALISI E COMMENTO DI REALTÀ E VALORE

5. Il mito e la legge propria dell’Io

La quarta sezione dell’opera si apre mostrando il valore fondamentale del mito rispetto al percorso sviluppato. L’uomo è un soggetto che conosce se stesso e si confronta con l’altro da sé attraverso il mito, ossia tramite una particolare narrazione di eventi e gesta con cui egli costruisce e realizza la sua certezza: «Miti religiosi, politici, filosofici, e poi miti pratici, spiccioli, giornalieri»1. Claudi non si riferisce solamente alle grandi rappresentazioni della storia come ad

esempio l’Iliade oppure l’Odissea. Egli concepisce la narrazione come l’espressione «dell’attitudine mitizzante dell’uomo»2 che gli appartiene come carattere definitorio. In questa

quarta sezione dell’opera, l’autore introduce delle specifiche molto importanti rispetto all’attività propria dell’Io e ai caratteri della sua autocoscienza. Se il soggetto è attività di pensiero, questa, però, viene ad esprimersi anche attraverso una precisa narrazione che corrisponde ad una modalità di organizzare e quindi di comprendere il mondo. In questo senso l’uomo narrando interpreta il mondo, ne organizza i significati, ma al contempo ne viene influenzato: il narrante, infatti, è determinato dall’atto stesso della narrazione e quindi dal narrato. In questo senso, Claudi chiarisce che i miti possono essere positivi – ossia «atti a suggerire un comportamento “positivo” od evitare violazioni distruttive della vita in generale e umana in particolare»3 – e di basso livello, «che

muovendo dai bassi strati psicologici determina orientamenti, impulsi, ritorni, giri a vuoto e catastrofi di cui è piena la storia»4. I miti positivi sono rari e realizzati da «lucide menti superiori

appunto per guidare le moltitudini in determinate direzioni»5. Nella seconda accezione, molto più

comune rispetto alla prima, la narrazione ha lo scopo di esaltare e celebrare la potenza individuale di un soggetto idealizzato, privo, cioè, di caratteri concreti e reali:

La regalità, per esempio, fra i tipici ed esemplari. L’aspirante esclude dalla sua immagine tutti i doveri e i sacrifici che la regalità dovrebbe comportare, oppure, se si immagina nell’esercizio di essa, non tanto si interessa della verità e necessità e doverosità dei casi e problemi che deve risolvere, quanto di sé impegnato a risolvere i medesimi problemi. Il centro di interesse è sé medesimi: narcisisticamente. Un sé stesso immaginato agire e non in azione.

In questo secondo significato, il mito ha la funzione di celebrare un soggetto, oppure un valore, tramite la creazione di una realtà fittizia che ne impedisce così la sua vera conoscenza. L’esempio tipico di questo meccanismo secondo Claudi è rappresentato dall’eroe che dona la sua 1 Realtà, p. 37. 2 Ivi. 3 Ivi. 4 Ivi. 5

171 vita per salvare gli altri: «L’azione eroica, di per se stessa, finisce per avere solo valore di mezzo per il raggiungimento»6 di un’aurea eterna dove tutti adoreranno l’eroe celebrandone ritualmente

le gesta. L’origine del mito è quindi una volontà di affermazione, intesa come celebrazione di sé secondo una serie di ritualità con cui ciò deve essere attuato.

Se il mito si caratterizza, quindi, come una idealizzazione della realtà che non permette una vera scoperta di sé, quali sono le motivazioni che spingono Claudi ad inaugurare questo quarto capitolo affrontando questa tematica? Che cosa si annuncia nel mito che ci aiuta a progredire nella scoperta della certezza del soggetto introdotta nel capitolo precedente?

L’uomo partecipa veramente all’azione, agisce consapevolmente, solo se scorge nei propri atti una propria affermazione personale. Raramente un soggetto agisce disinteressatamente. Nella realtà fittizia creata dal mito, il soggetto è spinto ad agire per soddisfare quel bisogno di autoaffermazione che egli inevitabilmente vuole soddisfare. L’analisi intorno al mito mostra quindi che l’uomo è incapace di agire in maniera disinteressata, trovandosi così «nell’alternativa vitale di essere se stesso, cioè agire per pura autonomia, o di lasciarsi ancora portare dal mito»7.

Quanto più l’individuo riuscirà a liberarsi dal sostegno del mito, ossia dal bisogno di autocelebrazione, tanto più «egli sarà creatore di valori»8. Il mito quindi è considerato da Claudi

come l’abbrivio dell’attività umana, esso propizia «l’atto creativo, ma intervenendo nell’atto, lo compromette o lo rovescia: promuove l’atto distruttivo»9. I creatori di valori divengono tali solo

se riescono a sacrificare se stessi per esaltare così ciò che desiderano affermare. Nel mito la potenza del soggetto viene esaltata per soddisfare un bisogno di autoaffermazione; nella creazione dei valori, invece, il soggetto realizza opere in maniera disinteressata arrivando così a scoprire se stesso come creatore di opere eterne.

La disamina del mito e della sua struttura ha permesso all’autore di chiarire che il soggetto afferma se stesso solo donandosi totalmente alla sua opera. Questo introduce delle specifiche anche rispetto alla definizione di amore formulata da Claudi. Nei capitoli precedenti, l’amore si è delineato come creazione e produzione erotica, a cui si viene ad aggiungere anche quello di donazione e di rinuncia di sé. Si profila così una concezione di amore fondata sull’unione dei significati di creazione e di donazione, una connessione giustificata da una precisa visione circolare dell’esistenza, come verrà dettagliato successivamente nel corso dell’opera.

Chiarito il carattere del mito e mostrata la sua relazione con l’attitudine del soggetto ad essere creatore di valori, Claudi si appresta a compiere una digressione per esporre le motivazioni che lo hanno spinto ad indagare concetti come «l’amore, il valore, il soggetto, l’oggetto, invece

6 Ivi, p. 37. 7 Ivi, p. 38. 8 Ivi. 9 Ivi.

172 che su altri, parimenti amati se non preferiti dalla più parte delle menti speculative, come il tempo lo spazio, le categorie, l’arte, la morale, ecc»10. Il nucleo della digressione è incentrato intorno al

valore della filosofia e al senso e alla struttura della sua ricerca:

Perché una speculazione filosofica, pur tendendo ad una sistematica visione della realtà, muove attorno a certi temi piuttosto che altri, particolarissimi nuclei che tali rimangono e costituiscono l’individua fisionomia di una ricerca malgrado l’esigenza di totale obbiettività della filosofia11?

L’obiettivo di Claudi è indagare come la filosofia, pur essendo di natura totalizzante, esprima tale esigenza a partire da problematiche particolari. Tale chiarimento di ordine generale, implica una delucidazione delle motivazioni che hanno indotto l’autore a trattare alcuni argomenti impostandoli secondo un preciso metodo. Un sistema filosofico infatti è sempre l’espressione e la manifestazione di una personalità. Se uguali infatti possono essere le questioni trattate dagli autori, diverse saranno però le loro impostazioni, le risonanze poste ai singoli concetti: «identici problemi si colorano diversamente secondo il sentimento da cui sono mossi, l’amore all’oggetto che li muove»12. La ricerca è sempre definita dalla personalità dell’autore e non può essere compiuta

prescindendo da un determinato punto di vista. Ma quali sono le condizioni che rendono la ricerca filosofica sistematica ed universale?

«I cosiddetti problemi radicali»13 presuppongono sempre un dato personale, delle attitudini

singolari, senza le quali essi non potrebbero generarsi. Tale dato personale, però, deve essere concepito come una «struttura quasi pre-natale», ossia «quanto di eterno il pensatore ha in sé»14.

Solo attraverso di essa egli può cogliere «l’eterno dei problemi»15, la loro «essenza primordiale»16.

«E l’eterno è atto, conoscenza ed esperienza d’amore»17. La statura universale delle problematiche

filosofiche risiede, quindi, nella costante implicazione del filosofo nella propria ricerca, nella volontà e nella passione con cui egli vi si dedica. La conoscenza si fonda quindi «nel terreno morale, nella sostanza inalienabile dei valori. Solo il filosofo che abbia in qualche modo il “valore” avrà dunque una pietra di paragone alla quale si dissolvono le scorie dei problemi illusori»18. La radicalità e l’universalità di una problematica dipendono quindi dalla loro incidenza

nella vita dell’uomo, altrimenti i problemi si qualificano come insignificanti e irrisori, ossia tali 10 Ivi, p. 39. 11 Ivi. 12 Ivi. 13 Ivi. 14 Ivi. 15 Ivi. 16 Ivi. 17 Ivi. 18 Ivi.

173 che, «risolti in un modo o nell’altro, la vita dell’uomo, e la condizione del suo comportamento, non muta»19.

Che io definisca il concetto una verità universalmente valida è una questione di etichetta: quali siano queste verità è il problema reale, se esistano verità di questa specie è ciò che interessa, perché coinvolge la validità stessa della ricerca, che è atto vitale20.

Per giustificare la sua analisi, Claudi prende come riferimento la corrente dell’esistenzialismo, mostrando come il suo interesse per «le condizioni autentiche della realtà» e per i «limiti veri del pensiero»21, ponga l’uomo «di fronte a problemi reali»22 e non a «problemi

oziosi»23. Esso infatti vuole mostrare come la radicalità e l’universalità di alcune problematiche

dipendono da un certo modo di vivere e quindi abbiano una genesi esistenziale. Claudi precisa inoltre che i veri problemi si impongono all’uomo in quanto «Preesistono connaturati in lui, ed esistono nella realtà, come la realtà stessa»24. Se la personalità si configura come il colore e

l’accento che l’autore conferisce alle problematiche filosofiche, la natura del problema non può essere risolta nella singolarità del soggetto. Esiste infatti un nucleo originario – «una struttura quasi pre-natale»25 – immanente all’essere del soggetto da cui discende la sostanza universale e

radicale delle problematiche filosofiche che accomunano tutti gli uomini.

L’indagine intorno al carattere universale della filosofia non deve essere ridotta ad un’astratta difesa del suo statuto epistemologico. L’autore infatti vuole mostrare che la filosofia può essere tale solo se assume come «pietra di paragone della sua veridicità […] il comportamento dell’uomo-comune», ossia dell’uomo «non “lavorato” dal pensiero»26. La filosofia deve quindi

confrontarsi con la struttura intrinseca della natura umana e a partire da questo mostrare la sua pretesa di universalità. Il chiarimento intorno allo statuto della filosofia introduce delle implicazioni importanti riguardanti la connessione che intercorre tra la verità, il bene e la natura umana. La verità, infatti, per dichiararsi tale, deve essere compresa da tutti e può essere conosciuta solo se ha una reale incidenza nella vita del soggetto garantendogli così la capacità di realizzare i valori:

Quanto al valore di “bene” di una verità, e cioè in questo caso, tale consapevolezza, è stato già accennato, ma riapre per altro verso il problema della verità, dandoci al caso 19 Ivi. 20 Ivi, p. 40. 21 Ivi. 22 Ivi. 23 Ivi. 24 Ivi. 25 Ivi, p. 39. 26 Ivi, p. 41.

174 da pensare che la stessa consapevolezza ha valore solo in quanto mezzo di realizzazione di un valore superiore, solo in quanto cioè conquistata e diffusa da uomini che abbiano realizzato e vivano con la luce superiore un superiore spirito di amore27.

La ricerca e l’acquisizione della verità è sempre connessa alla realizzazione del bene, senza la quale non si conseguirebbe la conoscenza della verità: «una verità che non sia anche bene esclude a priori il dato di fatto dello spirito di amore e delle sue possibilità: è vana e superficiale visione della vita»28. Nel corso dell’opera Claudi ha mostrato più volte la connessione della verità

con il bene indicando nell’amore, inteso come donazione e creazione, la possibile giustificazione di tale rapporto. In questa sezione, l’autore cerca di esplicitare la portata e il senso di questo rimando a partire dallo scopo e dal senso dell’attività del soggetto.

Considerato lo stretto legame tra verità e bene, Claudi cerca di chiarire la natura del bene considerato che esso «è radicale alla natura umana»29. Riprendendo le analisi del terzo capitolo,

l’autore ribadisce che l’individuo ricerca in ogni sua attività la certezza di sé come consapevolezza di essere e di creare. Ma «l’individuo che abbia raggiunto questa capacità di essere e di creare è anche individuo che ama»30. Dalle analisi compiute in precedenza, l’amore si definisce come una

creazione che è tale solo in un atto di donazione. Il soggetto che abbia conseguito una certezza su se stesso, si configura come capace di amore e quindi desidera che anche altri soggetti conseguano la sua stessa certezza e libertà. L’amore in quanto donazione si realizza solo attraverso la diffusione di soggetti liberi e capaci di essere se stessi. In questo senso «Il Bene dunque dovrà configurarsi all’individuo creatore come una “società” o un universo di individui creatori»31. Il

Bene si caratterizza come una comunità di soggetti liberi che si sostengono in una progressiva affermazione di libertà personale che permette la diffusione di una libertà creatrice. Una società fondata quindi su una «corresponsione di amore-creazione per cui l’universo vivente moltiplichi all’infinito la sua realtà»32. L’amore si delinea come la condizione per la realizzazione storica del

bene, poiché «si dirige alla creazione dell’individuo come alla totalità; senza preoccupazioni di altro. L’amore è creazione di individualità»33. Esso si caratterizza quindi come la forza che spinge

il soggetto ad affermarsi in un atto di creazione che ha i caratteri della donazione disinteressata di sé, scevra, quindi, di qualsiasi velleità narcisistica propria invece del mito.

27 Ivi. 28 Ivi, p. 42. 29 Ivi. 30 Ivi. 31 Ivi. 32 Ivi. 33 Ivi.

175 La trattazione intorno al bene ha mostrato il ruolo dell’amore nel percorso che permette al soggetto di affermarsi e di realizzare così il bene. In seguito a tale chiarimento, Claudi riprende e precisa il concetto di ritmo introdotto nel secondo capitolo dell’opera34 con lo scopo di

approfondire la natura dell’Io e il suo compimento. La realizzazione del soggetto equivale all’esplicarsi del suo ritmo. In questi passaggi viene ribadita la definizione di ritmo come «unità in movimento»35, chiarendo però che in tale formulazione non emerge la realtà intrinseca del

soggetto: «Ma il ritmo resta tuttavia un carattere esteriore, spaziale, di quell’organismo soprattutto di significati che è la realtà ed il valore»36.

Quale ulteriore specifica è necessario introdurre per comprendere il senso e la qualità caratteristica dell’organismo? Possiamo notare che in seguito all’approfondimento del significato del ritmo, ossia della struttura interna del soggetto, Claudi accosta per la prima volta i due termini che compongo il titolo dell’opera: “realtà” e “valore”. «Nel ritmo, come nel movimento si dovrà vedere la grafica dell’assoluto significato, dell’idea nella sua interiorità pura»37. Così

approfondendo la natura interna del soggetto, possiamo comprendere quale possa essere il legame che intercorre tra la realtà e il valore.

Chiarire il concetto di ritmo equivale ad indagare quei concetti e quelle verità che «richiamano incessantemente al nostro destino e alla necessità di trovare un equilibrio in questo continuo moto della bilancia dell’essere»38. In questo senso nella ricerca del significato del ritmo

stiamo indagando l’essenza e quindi la natura stessa del soggetto.

L’amore dunque crea organismi, e questo è ciò che lo distingue, l’organismo è ritmo – unità in movimento – il ritmo appare la grafia di un significato, un valore. Ma il ritmo indica anche per suo conto una caratteristica vitale39.

Il ritmo indica la legge di un organismo che ha la capacità di determinare la sua libertà e quindi di creare altri valori. Il ritmo è quel moto proprio degli individui che hanno la possibilità di creare e determinare altre realtà essendo legge a se stessi. Il ritmo in tal senso è l’espressione della libertà del soggetto che rimane se stessa mutando e sviluppandosi. Claudi precisa che il significato di legge racchiuso nel concetto di ritmo è diverso dalla definizione formulata dallo scientismo che consiste in un «modo di comportarsi della realtà a prescindere da qualsiasi legame con un ordine razionale, o spirituale superiore»40. In tale accezione, la legge è identificata con il

34 Cfr. Ivi, p. 14. 35 Ivi. 36 Ivi, p. 43. 37 Ivi. 38 Ivi. 39 Ivi, p. 44. 40 Ivi, p. 45.

176 significato di «valore di costanti valide nella loro misura»41. Per esprimere il suo significato di

legge, Claudi afferma di volersi richiamare alla visione spiritualistica presente nell’opera di Dante, nella quale la legge consiste nell’apparire di una realtà interiore essendo una manifestazione della realtà spirituale. Il concetto di legge infatti richiama primariamente quello di libertà e di causa e secondariamente l’accezione di costante misurabili, propria della definizione dello scientismo. Ma, precisa Claudi, per comprendere tale significato di legge bisogna «avere innanzitutto riconosciuto il “valore”, entrando con ciò nell’ordine ideale della vita. Che è quanto dire entrare nell’ordine eterno della vita»42. Attraverso la definizione di ritmo come manifestazione di una

volontà interna, l’autore vuole comprendere come l’individuo può essere certo di se stesso riportando così la causa del suo consistere nel suo essere.

Egli, l’individuo, non avrà quiete finché non avrà stabilito di se medesimo la certezza. Allora, e allora solo, il rapporto gli si potrà chiarire, e la sua posizione rispetto al mondo trovare quell’equilibrio di cui l’individuo va disperatamente alla ricerca43.

Nelle pagine precedenti l’autore si sofferma ad analizzare le soluzioni metafisiche di matrice panteistica e trascendente rispetto alla natura di Dio e alla sua opera. Entrambe eludono l’unico vero problema: «il problema rimane sempre, al centro del pensiero di tutti i tempi, il problema dell’individuo. La sua posizione rispetto al mondo, la sua essenza, e il suo destino, la sua condizione»44. Tutta la ricerca compiuta dall’individuo nel corso della storia ruota intorno alla

necessità di raggiungere la certezza rispetto al suo essere e alla sua attività. Problematica che spesso è stata risolta spostando la consistenza dell’Io nell’essere di Dio, sminuendo così il valore del soggetto e la sua natura eterna45. In questo senso la trascendenza si configura come ciò che

non permette al soggetto di realizzare se stesso, impedendo così al soggetto la scoperta della sua vera certezza e del suo reale consistere.

L’Io aspira a divenire certo di sé. Ciò non si realizza in un possesso teorico, ma in un modo di essere e di consistere proprio dell’Io da cui si origina una relazione con il mondo come «rapporto di conoscenza di potenza e di amore»46. Il soggetto scopre se stesso come capacità di

41 Ivi. 42 Ivi. 43 Ivi, p. 46. 44 Ivi.

45 Tale mistificazione è operata non solo in ambito religioso, ma anche attraverso altre forme di trascendenza: «La

dedizione mistica a Dio è ancora il tentativo di risolvere il problema della certezza dell’individuo sulla base e in seno a Dio; la stessa cosa può dirsi della dedizione mistica alla società. La stessa scienza, nella ricerca della legge assoluta, tendenzialmente ad essa, è l’espressione dell’ansia dell’individuo di trovare in essa “l’ubi consistam”, la certezza di esso individuo. Che è una certezza di eterno» (Ivi).

177 creare e di realizzare solo nel rapporto con il mondo. Senza tale relazione, l’Io non ha la possibilità di sapersi come valore e quindi è incapace di realizzare la sua dignità infinita:

Perché se non ho esperienza del potere, non ho neanche nozione della creatività, né posso realmente creare se non amo il termine della creazione. Non ho in altri termini nozione di me come “ente” creatore, come “dignità spirituale”, come “valore”47.

Solo attraverso il rapporto con il mondo, il soggetto scopre la responsabilità che egli ha nei confronti di se stesso. L’Io è sempre chiamato a possedere e a creare se stesso e la sua vita. In tale dinamica egli invera se stesso, «giacché l’unicità della vita è anche la sua circolarità, per cui l’individuo creando si realizza come creatore»48. In una visione circolare dello sviluppo, l’Io

realizza se stesso rimanendo in sé e muovendosi per sé. La circolarità elimina quindi l’eventualità che il soggetto esca da se stesso nel suo sviluppo, sottomettendosi a dimensioni trascendenti che lo privano così della sua realtà profonda. In una visione circolare, il concetto di legge si qualifica come manifestazione propria di un soggetto che agisce rispondendo solo a se stesso. La circolarità «riconduce al soggetto la potenza esplicata nell’opera creata, e rende possibile la nuova creazione, diversa ed identica»49. Il soggetto scopre la sua potenza rapportandosi con il mondo e grazie al

confronto con l’opera che egli realizza, approfondisce così il suo essere e la sua attività creativa.