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Cessione di azienda

Sono intervenute diverse decisioni utili a delimitare il campo di applicazione dell’art. 2112 c.c. e le conseguenze normativamente riconducibili all’operatività della cessione, anche per escludere il regime decadenziale di impugnazione per il lavoratore che voglia far accertare la sussistenza del rapporto con il cessionario. Sul piano degli effetti derivanti dalla declaratoria di nullità della cessione, invece, è stata riesaminata la questione della detraibilità dell’aliunde perceptum in caso di mancato ripristino del rapporto da parte del cedente.

11.1. Ambito di applicazione ed effetti della disciplina ex art. 2112 c.c.

Sul piano della delimitazione del campo di applicazione della disciplina ex art.

2112 c.c., Sez. L, n. 04425/2019, De Gregorio, Rv. 652909-01, in continuità con Sez. L, n. 06131/2013, Fernandes, Rv. 625470-01, ha escluso che il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza di una società di capitali possa integrare gli estremi del trasferimento di azienda, in quanto non determina la sostituzione di un soggetto giuridico ad un altro nella titolarità dei rapporti pregressi, ma solo modifica gli assetti azionari interni sotto il profilo della loro titolarità, ferma restando la soggettività giuridica di ogni società anche se totalmente eterodiretta.

Nell’ipotesi di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi, perché possa invocarsi il trasferimento all’impresa subentrante, occorre dimostrare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda, mediante il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del know how o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti ostandovi il disposto dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza euro-unitaria che consente, ma non impone, di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla direttiva n. 2001/23/CE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del

657 trasferimento di azienda (Sez. L, n. 08922/2019, Patti, Rv. 653220-01, conforme sul punto a Sez. L, n. 24972/2016, A. Manna, Rv. 641983-01).

Nel caso in cui il trasferimento dell’azienda non derivi da un contratto tra cedente e cessionario ma sia riconducibile ad un atto autoritativo della P.A. (ipotesi su cui si era espressa in precedenza Sez. L, n. 21278/2010, Toffoli, Rv. 615174-01), quale l’assegnazione di un appalto pubblico di servizi, comportante un periodo di sospensione tra l’attività del primo e del successivo imprenditore, va applicata la disciplina ex art. 2112 c.c. – in conformità alla direttiva comunitaria 77/187/CE e all’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia UE con le sentenze 20 novembre 2003, C-340/01, 25 gennaio 2001, C-172/99, 26 settembre 2000, C-175/99 e 14 settembre 2000, C-343/98 – purché l’entità economica, indipendentemente dal mutamento del titolare, conservi la propria identità e si accerti l’esistenza di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese (Sez. L, n. 30663/2019, Garri, Rv. 655878-01).

Sul piano degli effetti della cessione, la ritenuta nullità dell’apposizione del termine ad una pluralità di contratti determina la conversione in un unico contratto a tempo indeterminato, con effetto retroattivo al momento della stipula del primo contratto a termine dichiarato illegittimo, sicché, anche ai fini dell’operatività del meccanismo di cui all’art. 2112 c.c., il rapporto rimane unico, senza soluzione di continuità, con conseguente legittimazione passiva del cessionario rispetto ai crediti retributivi derivanti dal riconoscimento della pregressa anzianità (Sez. L, n.

06867/2019, De Gregorio, Rv. 653201-01).

Sez. L, n. 29291/2019, Cinque, Rv. 655855-01, ha chiarito che la ratio di tutela dei lavoratori ceduti consiste nel garantire la conservazione di tutti i diritti derivanti dal rapporto lavorativo con l’impresa cedente, mirando alla tutela dei crediti già maturati dal lavoratore ed al rispetto dei trattamenti in vigore, ma non ad assicurare l’omogeneità dei trattamenti retributivi e normativi all’interno del complesso aziendale risultante dal trasferimento, cosicché i dipendenti dell’azienda ceduta non hanno titolo per pretendere l’estensione in loro favore delle disposizioni contrattuali più favorevoli applicabili ai lavoratori dell’impresa cessionaria. Nel caso esaminato dalla Corte, è stato ritenuto legittimo un accordo sindacale aziendale che differenziava il trattamento spettante ai dipendenti in relazione alla presenza in servizio presso la società cessionaria ad una certa data, anteriore rispetto al periodo in cui si era verificato il passaggio del personale dalla cedente.

Con riferimento all’ambito di applicazione del regime decadenziale di impugnazione, Sez. L, n. 09469/2019, Balestrieri, Rv. 653615-01 (in senso conforme, Sez. L, n. 28750/2019, Cinque, Rv. 655699-01), ha chiarito che è solo il lavoratore che intenda contestare la cessione a dover far valere detta impugnazione nel termine di cui all’art. 32, comma 4, lett. c), della l. n. 183 del 2010, mentre non vi

è alcun onere di far accertare formalmente, nei confronti del cessionario, l’avvenuta prosecuzione del rapporto di lavoro, quale effetto automatico previsto dalla disciplina ex art. 2112 c.c. Il medesimo principio è stato applicato da Sez. L, n.

13648/2019, Ponterio, Rv. 653965-01, anche all’ipotesi di cessione avvenuta di fatto, come nel caso esaminato dalla Corte, in cui la lavoratrice aveva dedotto che, per effetto del distacco presso un altro datore di lavoro, seguito dalla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con il distaccante e dalla successiva assunzione a tempo determinato da parte del datore ‘cessionario’, si era determinata la continuazione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2112 c.c.

11.2. Conseguenze della declaratoria di nullità della cessione. La questione della detraibilità dell’aliunde perceptum.

Quanto, invece, alle conseguenze della accertata nullità della cessione del ramo di azienda, Sez. L, n. 05998/2019, Boghetich, Rv. 652899-01, ha affermato l’insensibilità del rapporto con il cedente – ancora in essere, sebbene quiescente fino alla declaratoria di nullità della cessione – rispetto alle vicende risolutive del rapporto di lavoro con il cessionario (nella specie, licenziamento dichiarato illegittimo ed esercizio del diritto di opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra ex art. 18 della l. n. 300 del 1970), in quanto instaurato in via di mero fatto.

Inoltre, la Corte è tornata ad esaminare la questione della detraibilità di quanto percepito dal lavoratore nel periodo successivo al mancato ripristino del rapporto da parte del cedente, una volta accertata giudizialmente la nullità della cessione. Infatti, l’interpretazione resa da Sez. L, n. 16694/2018, Leone, Rv. 649247-01, in ordine alla detraibilità della retribuzione corrisposta dal cessionario al lavoratore dall’ammontare del risarcimento dovuto dal cedente, è stata rimeditata soprattutto in esito alla sentenza 28 febbraio 2019, n. 29, della Corte costituzionale, per approdare ad una soluzione maggiormente improntata al principio di effettività del dictum giurisdizionale, «che non ammette svuotamenti di tutela per la mancanza di ogni deterrente idoneo ad indurre il datore di lavoro a riprendere il prestatore a lavorare ovvero affievolimenti della forza cogente della pronuncia giudiziale che risulterebbe in concreto priva di efficacia per il protrarsi dell’inosservanza senza reali conseguenze» (così Sez. L, n. 17784/2019, Patti, Rv. 654479-01), così giungendo ad affermare il principio per cui in caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c. c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte,

659 dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa. In effetti, sancita la natura retributiva e non risarcitoria delle somme da erogarsi ai lavoratori da parte del cedente inadempiente, il ragionamento si fonda essenzialmente sulla duplicità di rapporti che viene a determinarsi per effetto della dichiarazione di nullità della cessione: il primo, giuridicamente esistente proprio in virtù della pronuncia giudiziale, fra il lavoratore ed il cedente, tenuto a corrispondere la retribuzione a seguito di formale messa in mora ed offerta delle energie lavorative da parte del lavoratore; il secondo, esistente di fatto, in virtù del materiale svolgimento della prestazione, fra il lavoratore ed il cessionario, tenuto a corrispondere la retribuzione in quanto beneficiario dell’attività lavorativa, e dunque obbligato in proprio e non quale terzo (con conseguente inapplicabilità della disciplina ex art. 1180 c.c.) né quale soggetto interposto (con conseguente inapplicabilità del regime previsto dall’art. 27 del d.lgs. n. 276 del 2003 in tema di somministrazione). Tale approdo è stato confermato da successive pronunce e può ritenersi che esprima l’attuale orientamento della Sezione (v. in particolare Sez. L, n. 21158/2019, Amendola F., Rv. 654807-01, e Sez. L, n.

21160/2019, Amendola F., Rv. 654995-01, benché quest’ultima concerna la questione – parzialmente differente – della detraibilità dell’indennità di mobilità, su cui v. anche Sez. L, n. 23306/2019, Patti, Rv. 655059-01).

Gli effetti dell’accertata nullità della cessione sono stati considerati anche dal punto di vista del nuovo e diverso rapporto che, di fatto, viene ad instaurarsi fra il lavoratore ed il soggetto già, e non più, cessionario, alle cui dipendenze il lavoratore abbia materialmente continuato a lavorare, rapporto dal quale derivano la nascita degli obblighi gravanti su qualsiasi datore di lavoro che utilizzi la prestazione lavorativa nell’ambito della propria organizzazione imprenditoriale, con conseguente imputabilità al soggetto ex cessionario, e non anche al cedente, della responsabilità per violazione dell’art. 2103 c.c. (Sez. L, n. 21161/2019, Amendola F., Rv. 654808-01).

IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE E COLLETTIVO (DI LUIGI DI PAOLA)

SOMMARIO: 1. Potere disciplinare. - 2. Licenziamento individuale. - 2.1. La motivazione del licenziamento.

- 2.2. La ratifica del licenziamento. - 2.3. La rinnovazione del licenziamento. - 2.4. La revoca del licenziamento. - 2.5. Il licenziamento orale. - 2.6. Giusta causa e giustificato motivo soggettivo di licenziamento. - 2.7. Giustificato motivo oggettivo di licenziamento. - 2.8. Licenziamento discriminatorio e ritorsivo. - 2.9. Periodo di comporto e licenziamento. - 2.10. Divieti di licenziamento. - 2.11. Licenziamento del socio di società cooperativa di produzione e lavoro. - 2.12. Il licenziamento del dirigente. - 2.13. Il licenziamento del lavoratore in età pensionabile. - 2.14. Somministrazione di lavoro e licenziamento. - 2.15.

L’impugnazione del licenziamento e le decadenze. - 2.16. Applicazioni della legge “Fornero”. - 2.17.

Applicazioni del d.lgs. n. 23 del 2015. - 2.18. Le conseguenze del licenziamento illegittimo. - 2.19. Il preavviso. - 3. Licenziamenti collettivi.