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Potere disciplinare

Le pronunce di rilievo emesse nel corso del corrente anno attengono per lo più ad aspetti di portata generale, imperniati, da un lato, sul principio di intangibilità dell’esercizio del diritto di difesa dell’incolpato nell’ambito del procedimento disciplinare, e, dall’altro, su quello del necessario contenimento, entro limiti ben precisi, del potere di intervento del giudice sulla sanzione, quale naturale prerogativa del datore.

Così, quanto al principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare, Sez. L, n. 08293/2019, Amendola F., Rv. 653206-01, ha affermato che il principio in questione, che vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, può ritenersi violato qualora il datore di lavoro alleghi, nel corso del giudizio, circostanze nuove che, in violazione del diritto di difesa, implicano una diversa valutazione dei fatti addebitati, salvo si tratti di circostanze confermative, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre, ovvero che non modifichino il quadro generale della contestazione.

In applicazione del predetto principio è stata confermata la sentenza di merito che, rispetto ad una contestazione relativa ad irregolarità nella negoziazione di titoli di credito, commesse da un dipendente di un istituto credito, non aveva valutato, ai fini della sussistenza della giusta causa, il diverso addebito, specificato solo nel corso del giudizio, della richiesta di prestiti ad un cliente per far fronte ad una forte esposizione debitoria.

In analoga prospettiva, Sez. L, n. 10853/2019, Arienzo, Rv. 653623-01, ha puntualizzato che la necessaria correlazione dell’addebito con la sanzione deve essere garantita e presidiata, in chiave di tutela dell’esigenza difensiva del lavoratore, anche

in sede giudiziale, nella quale le condotte del lavoratore medesimo sulle quali è incentrato l’esame del giudice di merito non devono nella sostanza fattuale differire da quelle poste a fondamento della sanzione espulsiva, pena lo sconfinamento dei poteri del giudice in ambito riservato alla scelta del datore di lavoro. (Nella specie, la S.C. - in relazione ad un licenziamento intimato al lavoratore per avere la commissione giudicatrice di gare di appalto, di cui egli era componente, delegato e demandato a terzi l’attività valutativa, invece del tutto omessa, a valle di un accordo illecito, senza alcuna partecipazione alle sedute - ha cassato la sentenza che aveva ritenuto legittimo il licenziamento fondato sulla diversa condotta, non contestata dal datore, consistita nell’essersi i membri della predetta commissione avvalsi dell’intervento di consulenti esterni, senza attestarne l’attività nei verbali di gara).

Sul delicato tema del procedimento di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, tipizzata dalle parti collettive, Sez. L, n. 08582/2019, Marchese, Rv.

653212-01, ha evidenziato che il predetto procedimento postula l’integrale coincidenza tra le due, con conseguente impossibilità di procedere a una tale operazione logica, quando la condotta del lavoratore sia caratterizzata da elementi aggiuntivi, estranei e aggravanti, rispetto alla previsione contrattuale.

Nella specie, relativa a un caso di guida in stato di ebbrezza costituente reato, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, sul semplice presupposto che il c.c.n.l. di settore punisse con la sanzione conservativa l’essere sotto l’effetto di sostanze alcoliche durante il servizio, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, senza considerare la maggiore gravità del fatto in concreto contestato.

In ordine ai limiti della rimodulazione in sede giudiziale della sanzione irrogata dal datore, Sez. L, n. 03896/2019, Garri, Rv. 652886-01, ha ribadito, in conformità ad un consolidato indirizzo, che il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell’illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell’impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., onde è riservato esclusivamente al titolare di esso; ne consegue che è precluso al giudice, chiamato a decidere circa la legittimità di una sanzione irrogata, esercitarlo anche solo procedendo ad una rideterminazione della sanzione stessa riducendone la misura. Solo nel caso in cui l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista, perciò, soltanto in una riconduzione a tale limite, ovvero nel caso in cui sia lo stesso datore di lavoro, costituendosi nel giudizio di annullamento della sanzione, a chiederne la riduzione, è consentito al giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, applicare una sanzione minore, poiché in tal modo non è sottratta autonomia all’imprenditore e si realizza l’economia di un nuovo ed eventuale giudizio valutativo, avente ad oggetto la sanzione medesima. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la società datrice, mediante la generica richiesta di una “valutazione anche diversa della congruità della sanzione rispetto al fatto” - priva di indicazione

663 circa la diversa misura disciplinare irrogabile in via alternativa -, avesse demandato al giudice una valutazione discrezionale di proporzionalità tra condotta e sanzione da irrogare, e, quindi, in concreto, la scelta della misura disciplinare da adottare, così in sostanza sollecitando l’esercizio di quel potere disciplinare che è invece precluso al giudice).

Quanto alle clausole della contrattazione collettiva che scandiscono i tempi del procedimento disciplinare, Sez. L, n. 24157/2019, Marchese, Rv. 655067-01, ha precisato che l’art. 8, comma 4, del c.c.n.l. industria metalmeccanica privata del 20 gennaio 2008 si interpreta nel senso che il termine finale di sei giorni entro il quale il datore deve irrogare la sanzione trova applicazione solo in caso di presentazione delle giustificazioni, considerato che sia il predetto termine finale che la fictio dell’intervenuta accettazione delle giustificazioni sono evidentemente collegate all’esercizio, da parte del lavoratore, della specifica facoltà che l’ordinamento appresta.

In relazione alle previsioni negoziali concernenti l’incidenza della recidiva sulla sanzione applicabile, Sez. L, n. 00138/2019, Cinque, Rv. 652219-01, ha stabilito che, in tema di licenziamento disciplinare, l’art. 72 del c.c.n.l. Vetro distingue la recidiva specifica per la medesima mancanza, che consente l’immediato licenziamento senza preavviso, dalla recidiva plurima o impropria che, ai fini della legittimità del recesso, richiede, nei dodici mesi precedenti, tre pregresse sospensioni per particolari e tipici illeciti disciplinari.

Infine, con una rilevante sentenza in tema di presupposti per l’operatività dell’effetto scriminante derivante dall’esercizio del diritto di critica, Sez. L, n.

01379/2019, Amendola F., Rv. 652601-01, ha chiarito che l’apprezzamento in ordine al superamento dei limiti di continenza e pertinenza stabiliti per un esercizio lecito della critica rivolta dal lavoratore nei confronti del datore costituisce valutazione rimessa al giudice di merito, il quale, nella ricostruzione della vicenda storica, deve enucleare i fatti rilevanti nell’integrazione della fattispecie legale e motivare, rispetto a ciascuno di essi, circa il convincimento che tutti i predetti limiti siano stati rispettati, senza trascurare gli elementi che potrebbero avere influenza decisiva - il cui omesso esame può determinare una lacuna tale da non consentire l’esatta riconduzione del caso concreto alla fattispecie astratta, cagionando un errore di sussunzione rilevante ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. -, nonché delineando l’“iter” logico che lo ha indotto a maturare detto convincimento. (Nella specie, la S.C.

ha cassato la sentenza di merito che, senza procedere alla verifica del rispetto dei limiti di continenza e pertinenza, aveva ritenuto scriminata dal diritto di critica l’affermazione, contenuta in una lettera indirizzata dal lavoratore ai vertici aziendali e agli organi di stampa, che un costoso veicolo della società non veniva utilizzato dai vertici medesimi “al solo fine di far ricorso a ditte esterne”).