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Licenziamenti collettivi

I temi di maggior rilievo affrontati nell’anno vertono sulle questioni: a) dei limiti del sindacato giudiziale sull’iniziativa datoriale; b) del rispetto delle procedure, soprattutto sul versante degli obblighi di comunicazione; c) della determinazione della platea dei lavoratori da licenziare e della delimitazione dei criteri di scelta.

Quanto alla prima questione, Sez. L, n. 01515/2019, Lorito, Rv. 652602-01, ha chiarito che la cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, qualificata dalla devoluzione alle parti sociali di un controllo preventivo sulla ricorrenza delle ragioni sottese alla procedura di riduzione del personale, non esclude che il giudice possa verificare l’intento elusivo del datore di lavoro nel far ricorso alla procedura in questione, mediante un accertamento di fatto dell’intera vicenda che ha portato al licenziamento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito, il quale aveva accertato che la totale cessazione dell’attività produttiva – addotta dalla società a giustificazione della mancata adozione di alcun criterio di scelta del personale in eccedenza – non si era in realtà verificata, in quanto la predetta società aveva acquisito ulteriori commesse durante la procedura di mobilità, e, subito dopo la chiusura di quest’ultima, aveva appaltato parte dei lavori a ditte esterne nonché proceduto alla riassunzione di alcuni dipendenti).

Quanto alla seconda, Sez. L, n. 25807/2019, Amendola F., Rv. 655393-01, ha rimarcato che il termine di sette giorni previsto dall’art. 4, comma 9, della l. n. 223 del 1991, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, per l’invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alle organizzazioni sindacali, ha carattere cogente e perentorio e la sua violazione determina l’invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere ovvero che non sia stato dimostrato il danno derivante dalla mancata comunicazione, atteso che detta comunicazione è finalizzata a consentire alle OO.SS. (e, tramite queste, anche ai

689 singoli lavoratori) il controllo tempestivo sulla correttezza procedimentale dell’operazione posta in essere dal datore di lavoro, anche al fine di acquisire ogni elemento di conoscenza e non comprimere lo spatium deliberandi riservato al lavoratore per l’impugnazione del recesso nel termine di decadenza di cui all’art. 6 della l. n. 604 del 1966.

Sulla terza, Sez. L, n. 05373/2019, Patti, Rv. 652777-01, ha puntualizzato che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale nell’ambito delle imprese cui si applica il c.c.n.l. del 31 maggio 2011 relativo ai servizi di pulizia e servizi integrati/multi servizi, qualora il progetto di ristrutturazione non si riferisca in modo esclusivo ad una specifica unità produttiva, nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare occorre fare riferimento all’intero complesso aziendale, ai sensi dell’art. 5 della l. n. 223 del 1991, restando irrilevante che i lavoratori adibiti a un determinato appalto siano stati assunti in azienda in adempimento dell’obbligo di assunzione che grava sull’impresa subentrante in tale appalto, in forza dell’art. 4 del citato c.c.n.l.

L’annullamento del licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta ai sensi dell’art. 5 della l. n. 223 del 1991 non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati ma soltanto da coloro che, tra essi, abbiano in concreto subito un pregiudizio per effetto della violazione, perché avente rilievo determinante rispetto alla collocazione in mobilità dei lavoratori stessi (così Sez. L, n. 13871/2019, Piccone, Rv. 653845-01).

Sez. L, n. 32387/2019, Cinque, Rv. 656052-01, ha affermato che non assume rilievo, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo, atteso che, ove manchi o sia viziato l’accordo sui criteri di scelta con le organizzazioni sindacali, operano i criteri legali sussidiari previsti dall’art. 5, comma 1, della l. n. 223 del 1991, che non contempla tra i suoi parametri la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all’esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro.

E’ stato precisato – da Sez. L, n. 26029/2019, Amendola F., Rv. 655395-01 – che, nel caso di licenziamento collettivo, la violazione della quota di riserva prescritta dall’art. 3 della l. n. 68 del 1999 rientra nell’ipotesi di “violazione dei criteri di scelta”

in quanto assunti in contrasto con espressa previsione legale, ai sensi dell’art. 5, comma 3, della l. n. 223 del 1991, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, st.lav. novellato, quale opzione interpretativa rispettosa del dettato normativo e conforme alla finalità della disciplina – anche sovranazionale – in materia, posta a speciale protezione del disabile.

Con riferimento a fattispecie peculiare, Sez. L, n. 14800/2019, Blasutto, Rv.

653985-01, ha affermato che l’ambito della verifica da effettuare per disporre il collocamento in mobilità ex art. 4 della l. n. 223 del 1991 abbraccia l’impresa nel suo complesso e può estendersi anche a posizioni lavorative non comprese nel trattamento di integrazione salariale. Ne consegue che il provvedimento con il quale il lavoratore è stato collocato in CIGS non assume alcun rilievo in sede di impugnativa del licenziamento conseguente al collocamento in mobilità, la cui legittimità deve essere valutata con esclusivo riferimento agli accordi sindacali che ne costituiscono il fondamento specifico.

Sull’ampia premessa che il collegamento economico-funzionale tra imprese di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell’autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta e non determina ex se l’estensione degli obblighi inerenti al rapporto di lavoro con una di esse alle altre dello stesso gruppo, mentre la codatorialità nell’impresa di gruppo presuppone l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione economica complessiva cui appartiene il datore di lavoro formale nonché la condivisione della prestazione del medesimo, al fine di soddisfare l’interesse di gruppo, da parte delle diverse società, che esercitano i tipici poteri datoriali e diventano datori sostanziali, anche ai fini dell’applicazione delle disposizioni in tema di licenziamento collettivo, Sez. L, n. 00267/2019, Ponterio, Rv. 652540-01, ha confermato la decisione di merito che, ravvisata una situazione di codatorialità per avere il lavoratore prestato la propria attività indistintamente per più imprese del gruppo, essendo sottoposto ai poteri direttivi della capofila, aveva dichiarato illegittimo il recesso disposto nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo riferita alla singola realtà aziendale invece che all’impresa di gruppo.

IL RAPPORTO DI LAVORO PUBBLICO