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Giustificato motivo oggettivo di licenziamento

2. Licenziamento individuale

2.7. Giustificato motivo oggettivo di licenziamento

Nel corrente anno sono state affrontate significative questioni, per lo più inerenti ai requisiti integranti la fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed all’onere della prova del repechage.

Quanto al profilo concernente l’accertamento della riorganizzazione e del nesso causale, Sez. L, n. 08661/2019, Marotta, Rv. 653449-01, ha affermato che affinché possa configurarsi la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non è sufficiente accertare la sussistenza delle ragioni addotte dal datore di lavoro a

671 sostegno della modifica organizzativa da lui attuata, essendo sempre necessario che dette ragioni incidano, in termini di causa efficiente, sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore licenziato, solo così potendosi verificare la non pretestuosità del recesso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato perché, pur avendo accertato la riduzione del fatturato e l’eliminazione di una specifica attività aziendale, aveva rilevato che il lavoratore licenziato, formalmente inserito nell’organigramma quale addetto a tale attività, non vi era mai stato adibito in concreto).

Si ha difetto di nesso causale, ed è quindi illegittimo il licenziamento, ove intimato per risoluzione del contratto di appalto cui il lavoratore è stato adibito con assegnazione di mansioni non coerenti con l’inquadramento spettante (così Sez. L, n. 03129/2019, Lorito, Rv. 652875-01).

Quanto all’onere probatorio in tema di repechage, Sez. L, n. 23789/2019, Blasutto, Rv. 655064-01, ha evidenziato che la dimostrazione del fatto negativo costituito dall’impossibile ricollocamento del lavoratore può essere data dal datore di lavoro con la prova di uno specifico fatto positivo contrario o mediante presunzioni dalle quali possa desumersi quel fatto negativo. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento per la mancata prova dell’inesistenza di posizioni nelle quali poter ricollocare il lavoratore per ognuno degli appalti gestiti dal datore e per l’omessa indicazione della qualifica di inquadramento dei nuovi assunti, necessaria per valutare la fungibilità delle relative mansioni con quelle svolte dal lavoratore licenziato).

Sempre in tema, Sez. L, n. 29099/2019, Patti, Rv. 655704-01, ha precisato che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo a causa della soppressione del posto cui era addetto il lavoratore, il datore ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussistesse alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale.

Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato al lavoratore in seguito all’esternalizzazione dell’attività svolta da quest’ultimo, al quale era stata previamente offerta una posizione di mansione inferiore – non esistendo posti disponibili del suo livello di inquadramento – dal medesimo rifiutata.

Sez. L, n. 31520/2019, Cinque, Rv. 655997-01, ha chiarito che in tema di licenziamento per soppressione del posto di lavoro, ai fini dell’obbligo del repechage, non vengono in rilievo tutte le mansioni inferiori dell’organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con le competenze professionali del lavoratore,

ovvero quelle che siano state effettivamente già svolte, contestualmente o in precedenza, senza che sia previsto un obbligo del datore di lavoro di fornire un’ulteriore o diversa formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro.

Con riguardo alla peculiare fattispecie della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, Sez. L, n. 26607/2019, Ponterio, Rv. 655398-02, ha chiarito che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo da parte del somministratore nei confronti del dipendente è subordinato alla prova dell’impossibilità di reperire, per un congruo periodo di tempo, occasioni di lavoro compatibili con la professionalità originaria o acquisita del lavoratore, nonché dell’impossibilità di mantenerlo in condizione di ulteriore disponibilità. (Fattispecie in cui è stata ritenuta non dimostrata l’impossibilità della ricollocazione essendo stata accertata l’esistenza, presso l’utilizzatrice, all’epoca di cessazione della missione, di numerose attività, aperte e vacanti, cui il lavoratore poteva essere assegnato).

Con la stessa pronunzia – Sez. L, n. 26607/2019, Ponterio, Rv. 655398-03 – è stato puntualizzato che lo svolgimento della procedura di riqualificazione professionale ex art. 25 del c.c.n.l. del 7 aprile 2014 non esonera il datore di lavoro, nell’ambito di un contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, dall’onere della prova dell’impossibilità di reimpiego del dipendente, in applicazione della disciplina legale in materia, non derogata, sul punto, dalla contrattazione collettiva, potendo l’esito della procedura suddetta costituire elemento indiziario valutabile dal giudice unitamente al restante materiale probatorio.

Sulla questione del licenziamento intimato per impossibilità di svolgimento della prestazione, Sez. L, n. 29104/2019, Boghetich, 655851-01, ha ritenuto che nel rapporto di lavoro fra un istituto di vigilanza e la guardia giurata dipendente, il venir meno dei titoli abilitativi alle specifiche mansioni (decreto di nomina e/o licenza di porto d’armi) configura, ai sensi dell’art. 120 del c.c.n.l. dipendenti di istituti e imprese di vigilanza 2013-2015, un’ipotesi di impossibilità relativa della prestazione, che può comportare il recesso del datore ex art. 1464 c.c. per mancato interesse alla prosecuzione, da configurarsi quale licenziamento per giustificato motivo oggettivo, richiedente il preventivo esperimento del procedimento di conciliazione di cui all’art.

7 della l. n. 604 del 1966, come novellato dall’art. 1, comma 40, della l. n. 92 del 2012.

Sul tema del licenziamento intimato per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di handicap, Sez. L, n. 13649/2019, Ponterio, Rv. 653966-02, ha affermato che sussiste l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del recesso, che discende, pur con riferimento a fattispecie sottratte ratione temporis all’applicazione dell’art. 3, comma 3 bis, del d.lgs. n. 216 del 2003, di recepimento dell’art. 5 della Dir. 2000/78/CE,

673 dall’interpretazione del diritto nazionale in modo conforme agli obiettivi posti dal predetto art. 5, considerato l’obbligo del giudice nazionale di offrire una interpretazione del diritto interno conforme agli obiettivi di una direttiva anche prima del suo concreto recepimento e della sua attuazione.

Sulla base di tale principio, la S.C. ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato ad un dipendente – dichiarato inidoneo alle mansioni di autista ed adibito, inizialmente, a compiti di aiuto meccanico e, successivamente, a mansioni di addetto alle pulizie, per essersi il medesimo rifiutato di svolgere tali ultime mansioni – sul rilevo che la stessa società datrice aveva dimostrato di poter adibire il lavoratore ai predetti compiti, compatibili con le menomazioni fisiche ed in adempimento dell’obbligo di adozione di accorgimenti ragionevoli esigibili.

Sulla individuazione della nozione di disabilità, ai fini della tutela in materia di licenziamento, Sez. L, n. 13649/2019, Ponterio, Rv. 653966-01, ha precisato che la nozione in questione deve essere costruita in conformità al contenuto della Direttiva n. 78/2000/CE del 27 novembre 2000, sulla parità di trattamento in materia di occupazione, come interpretata dalla CGUE, quindi quale limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.

Nello stesso senso è Sez. L, n. 29289/2019, Blasutto, Rv. 655853-01, la quale ha confermato la decisione del giudice di merito, che, nell’ambito di una procedura ex l. n. 223 del 1991, aveva dichiarato illegittimo perché discriminatorio il licenziamento del lavoratore cui, per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni svolte, non era stato attribuito alcun punteggio aggiuntivo rispetto agli altri dipendenti non affetti da disabilità.

E’ stato inoltre precisato – da Sez. L, n. 27502/2019, Pagetta, Rv. 655524-01 – che ai fini dell’accertamento dell’obbligo, posto a carico del datore di lavoro dall’art.

3, comma 3-bis, del d.lgs. n. 216 del 2003, della verifica della possibilità di adottare adattamenti organizzativi nei luoghi di lavoro, il lavoratore deve allegare e provare la limitazione risultante dalle proprie menomazioni fisiche, mentali e psichiche durature e il fatto che tale limitazione, in interazione con barriere di diversa natura, si traduca in un ostacolo alla propria partecipazione, piena ed effettiva, alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, posto che non ogni situazione di infermità fisica che renda il lavoratore inidoneo alle mansioni di assegnazione risulta ex se riconducibile alla nozione di disabilità di cui alla disposizione suddetta.