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La dirigenza del comparto sanitario

IL RAPPORTO DI LAVORO PUBBLICO CONTRATTUALIZZATO

9. La cessazione del rapporto di lavoro

10.1. La dirigenza del comparto sanitario

A proposito dei dirigenti medici, vanno anzitutto segnalate alcune importanti pronunce in materia di incompatibilità, con cui la S.C. ha definito i confini del relativo regime, dettato dall’art. 53, commi 6 e 7, del d.lgs. n. 165 del 2001.

Un quadro generale è stato tracciato da Sez. L, n. 31277/2019, Marotta, Rv.

655987-01, con cui la Corte ha operato una ricostruzione dell’istituto delle incompatibilità e si è poi soffermata sulle regole speciali concernenti la dirigenza medica.

La pronuncia ha chiarito che la normativa sul pubblico impiego (art. 53 del d.lgs.

n. 165 del 2001) prevede, in attuazione dell’art. 98 Cost., il dovere di esclusività del dipendente pubblico, il quale è obbligato a riservare all’ufficio di appartenenza tutte le sue energie lavorative, con espresso divieto, salve limitate tassative eccezioni, di svolgere attività imprenditoriale, professionale o di lavoro autonomo, nonché di instaurare rapporti di lavoro alle dipendenze di terzi o accettare cariche o incarichi in società o enti che abbiano fini di lucro.

Tale normativa, inderogabile da parte della contrattazione collettiva, pone sbarramenti assoluti, mirando a prevenire, già sul piano della potenzialità, il dispendio di energie del lavoratore pubblico in altre attività; trattasi di valutazione astratta con giudizio prognostico ex ante, indipendentemente dall’esistenza di riflessi negativi sul rendimento e sull’osservanza dei doveri d’ufficio.

In questo quadro si inserisce la normativa speciale relativa ai dirigenti medici, che la Corte ha applicato rispetto a un dirigente titolare di quote in una società privata, il cui oggetto sociale consisteva nella organizzazione e nella prestazione di servizi accessori all’attività medica.

L’art. 4, comma 7, della l. n. 412 del 1991 ha introdotto il principio del rapporto unico di lavoro con il servizio sanitario nazionale, vietando in particolare “la titolarità o la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con il servizio sanitario nazionale”.

La pronuncia ha chiarito che anche in questo caso l’incompatibilità deve essere valutata sulla base di un giudizio prognostico ex ante, da svolgersi anche e principalmente con riferimento all’oggetto sociale. Ne consegue che, nel giudizio disciplinare diretto ad accertare la responsabilità del medico, l’Azienda sanitaria può limitarsi a dimostrare la partecipazione in una società avente tali caratteristiche, spettando al medico dimostrare che a quel dato formale non corrispondesse alcuna realtà fattuale.

721 Sempre in tema di incompatibilità, Sez. L, n. 00427/2019, Di Paolantonio, Rv.

652221-01, ha stabilito che tale disciplina si estende anche ai dirigenti medici degli enti previdenziali, per i quali la successione delle fonti, normative e pattizie, è particolarmente complessa. Inizialmente, trovava applicazione l’art. 4, comma 7, della l. n. 412 del 1991, dettato per la dirigenza medica del S.S.N., ma esteso al personale medico degli enti previdenziali, unitamente a tutti gli altri istituti normativi, dall’art.

13 della l. n. 222 del 1984. Tale ultima disposizione è tuttavia divenuta inapplicabile a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi di settore, successivi alla privatizzazione del pubblico impiego (secondo quanto previsto dall’art. 72 del d.lgs.

n. 29 del 1993, poi trasfuso nell’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001).

La successiva Sez. L, n. 03467/2019, Di Paolantonio, Rv. 652907-01, si è occupata delle incompatibilità per coloro che ricoprono ruoli di governo di aziende pubbliche di servizi alla persona (ex IPAB). Si dubitava dell’applicabilità delle regole dettate dall’art. 53 citato, attesa l’equiparazione posta da alcune disposizioni tra tali dirigenti e gli amministratori degli enti territoriali. In realtà, proprio la circostanza che l’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 207 del 2001, operi, per gli organi delle aziende di servizi alla persona, un rinvio limitato a taluni specifici istituti di garanzia previsti per i rappresentati degli enti locali, ha indotto la S.C. a escludere che il legislatore abbia considerato integrale tale equiparazione. Per le incompatibilità, non subisce pertanto deroghe il regime generale, che trova fondamento nell’obbligo di esclusività sancito dall’art. 98 Cost. per i dipendenti pubblici.

Sez. L, n. 00091/2019, Tricomi I., Rv. 652045-02, ha poi rammentato che nell’ambito della dirigenza sanitaria non trova applicazione l’art. 2103 c.c. con riferimento al mancato riconoscimento delle mansioni superiori, atteso che l’inapplicabilità di tale disposizione ai dirigenti del pubblico impiego privatizzato, sancita in via generale dall’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, è ribadita per la dirigenza sanitaria, inserita in un unico ruolo distinto per profili professionali e in un unico livello, dall’art. 15-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 e dall’art. 28, comma 6, del c.c.n.l. 8 giugno 2000.

In tema di retribuzione dei dirigenti medici, assumono rilievo le seguenti decisioni.

Sez. L, n. 04953/2019, Di Paolantonio, Rv. 653020-01, ha chiarito che l’art.

39, comma 9, del c.c.n.l. 8 giugno 2000 per la Dirigenza medica del servizio sanitario nazionale, che prevede la maggiorazione della retribuzione di posizione in favore dei dirigenti preposti a più strutture complesse, si interpreta nel senso che la maggiorazione in questione può essere riconosciuta solo qualora i poteri attribuiti al dirigente, preposto ad una struttura composta al suo interno da più articolazioni, non annullino, sotto il profilo gestionale, l’autonomia delle articolazioni stesse.

Sez. L, n. 28938/2019, Tria, Rv. 655702-01, si è invece soffermata sulla remunerazione per l’attività svolta durante i turni di reperibilità, giungendo alla conclusione che il carattere derogabile del limite a tali turni, fissato in numero di dieci dall’art. 17 del c.c.n.l. 2002-2005, esclude che per quelli prestati in eccedenza debba essere corrisposta una retribuzione aggiuntiva, ma non anche che lo svolgimento del turno, che limita, pur senza escluderlo, il godimento del riposo, venga compensato;

la mancata remunerazione lederebbe, infatti, i diritti fondamentali del lavoratore, oltre che l’imparzialità della P.A., la correttezza e la buona fede, senza che rilevino i limiti di spesa, in quanto la distribuzione delle risorse disponibili non può essere effettuata in modo tale da violare i diritti fondamentali degli operatori del settore.

Vi è poi Sez. L, n. 31387/2019, Di Paolantonio, Rv. 655995-01, già citata nel par. 3., con cui la S.C. ha ribadito che, nel pubblico impiego privatizzato – dove il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva – non possono essere attribuiti trattamenti economici non previsti da tali fonti, nemmeno se di miglior favore. Da ciò la conseguenza che il trattamento economico previsto dai c.c.n.l. per i dirigenti medici di struttura complessa non può essere rivendicato da chi, al di fuori delle procedure concorsuali e selettive disciplinate dagli stessi contratti, sia stato preposto a una struttura che, seppure definita complessa dall’atto aziendale, non risponde ai requisiti richiesti dalle disposizioni regolamentari e collettive.

Quanto all’attività libero professionale svolta dal medico dipendente dell’ASL, nel 2019 la S.C. ha fissato alcuni punti fermi.

Quanto all’attività intramoenia, si è precisato che essa rientra nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, risultando tale regime connotato da un complesso di obbligazioni che scaturiscono dal sottostante rapporto che lega il sanitario all’ente da cui dipende; ne consegue – in tal senso Sez. L, n. 04948/2019, Blasutto, Rv.

653018-01 – che i crediti per le prestazioni intramurarie sono soggetti alla prescrizione quinquennale.

La citata Sez. L, n. 32264/2019, Bellè, Rv. 656049-01, nel riaffermare il principio di onnicomprensività della retribuzione dirigenziale, ha sostenuto che è dovuto un compenso ulteriore solo per particolari prestazioni aggiuntive specificamente previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva e come tali remunerate sulla base di appositi presupposti, tra cui rientrano, proprio per la dirigenza sanitaria, gli incarichi libero-professionali intramoenia ex art. 15-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992.

In ordine alla cessazione dell’incarico dirigenziale dei medici, di rilievo sono le precisazioni fornite da Sez. L, n. 30228/2019, Di Paolantonio, Rv. 655867-01: nel caso di termine apposto all’incarico conferito al dirigente medico legato all’azienda sanitaria da contratto a tempo indeterminato, lo spirare del termine comporta la

723 cessazione dell’incarico ma non del rapporto; nel caso di termine finale del contratto del dirigente assunto a tempo determinato, invece, è lo stesso rapporto che si risolve automaticamente alla scadenza ed il dirigente non vanta alcun diritto soggettivo alla rinnovazione, che, seppure consentita nei limiti previsti dalla legge e dal c.c.n.l., rientra comunque nella facoltà dell’amministrazione, tenuta a valutare la persistenza delle condizioni che legittimano il ricorso alla tipologia contrattuale.

Infine, meritano di essere segnalate due pronunce concernenti categorie di medici non rientranti originariamente nella dirigenza sanitaria ex d.lgs. n. 502 del 1992.

Per quanto concerne gli ex medici condotti con rapporto non esclusivo con le ASL, Sez. L, n. 29625/2019, Bellè, Rv. 655714-01, ha ribadito che essi, in ragione della loro libera scelta di non esercitare la relativa opzione, permangono in una posizione giuridica differenziata rispetto al restante personale medico del servizio sanitario nazionale, mantenendo, in particolare, il trattamento retributivo omnicomprensivo originariamente previsto dall’art. 110 del d.P.R. n. 270 del 1987, con esclusione degli ulteriori emolumenti previsti dalla contrattazione collettiva per i dirigenti medici del servizio sanitario nazionale con rapporto esclusivo di dipendenza con la ASL, tra cui l’indennità di specificità medica. Al riguardo, non assume rilievo lo stanziamento di somme previsto dall’art. 1, comma 456, della l. n. 205 del 2007, limitato alla previsione di un impegno di spesa da ripartire secondo criteri da definire a cura del Ministero della salute.

Vi è poi la vicenda dei dirigenti sanitari, già dipendenti della Associazione ROMAIL e assunti dall’Azienda Policlinico Umberto I ai sensi della l.r. Lazio n. 20 del 2014: Sez. L, n. 03476/2019, Torrice, Rv. 652869-01, chiamata a stabilire se avessero diritto all’anzianità di servizio maturata prima dell’immissione in ruolo, lo ha negato, sul presupposto che la stessa legge regionale, facendo riferimento alle posizioni iniziali dell’area della dirigenza, intendesse attribuire in modo inequivoco a detto personale la posizione ordinamentale del dirigente sanitario all’atto della prima assunzione, da individuarsi nel momento in cui è stato costituito per la prima volta il rapporto di impiego pubblico privatizzato con l’azienda sanitaria.

Per quanto concerne la dirigenza non medica del comparto sanitario, Sez. L, n.

03134/2019, Tria, Rv. 652876-01, ha dettato i criteri per la determinazione del fondo della retribuzione di risultato per il periodo successivo al 30 giugno 1997 e ha stabilito che trova applicazione, anche per i dirigenti ancora governati dal vecchio regime dell’incentivazione al cd. plus orario, la normativa statale sulla retribuzione di risultato, nell’interpretazione dell’art. 61, comma 2, del c.c.n.l. del 5 dicembre 1996 resa dalle Sezioni Unite della S.C., con la sentenza n. 30222 del 2017, in ordine alla determinazione della “quota massima spendibile”. I criteri previsti dagli accordi regionali, ancorché rispettosi dei massimali indicati dalla normativa statale, non sono utilizzabili, atteso che il trattamento economico di tutti i dipendenti pubblici

contrattualizzati va ricondotto alla materia di competenza legislativa esclusiva statale dell’ordinamento civile, di cui all’art. 117, comma 2, lett. l) Cost.