L’elaborazione della giurisprudenza di legittimità, avuto riguardo alla figura del redattore, come ricordata nel paragrafo che precede, costituisce, poi, il substrato sul quale è stata tracciata la nozione di corrispondenza estera da Sez. L, n. 02930/2019, Bellè, Rv. 65260503, in conformità con quanto già ritenuto da Sez. L, n.
19199/2013, Arienzo, Rv. 628388-01.
In tema di lavoro giornalistico, afferma la S.C., ai sensi dell’art. 5 del c.c.n.l. 10 gennaio 1959, reso efficace erga omnes con d.P.R. n. 153 del 1961, affinché l’attività di un giornalista corrispondente dall’estero integri lo svolgimento delle mansioni proprie di un “ufficio di corrispondenza”, occorre che ricorrano, in analogia con l’attività di redattore, oltre all’elaborazione di notizie, anche la continuità della loro trasmissione, nonché il carattere elaborato e generale delle notizie stesse, provenienti da qualsiasi settore dell’informazione del Paese di corrispondenza, restando irrilevante che vi sia o meno una struttura multipersonale e munita di specifici mezzi datoriali. E’ facendo applicazione di questi principi, che la Cassazione ha annullato la sentenza che aveva negato la qualifica di corrispondente dall’estero in favore di una giornalista che lavorava da sola e priva di una struttura formale di riferimento, ma curava quotidianamente da Madrid l’elaborazione di informazioni di ogni genere, provenienti da tutta la Spagna, dando copertura a qualsiasi esigenza di partecipazione ad eventi, congressi e conferenze stampa.
7. Il trasferimento.
Il datore di lavoro può disporre il trasferimento del lavoratore; l’esercizio di detta facoltà datoriale impinge, tuttavia, nella vita del lavoratore e nelle sue scelte personali e familiari ed è perciò vincolata alla sussistenza di comprovate ragioni tecniche e produttive.
615 7.1. La libertà datoriale di operare lo spostamento dei lavoratori nell’ambito della unità produttiva.
Il contemperamento degli interessi del datore e del lavoratore operato attraverso la verifica della sussistenza delle ragioni tecniche ed organizzative, ai fini della legittimità del trasferimento, trova ulteriore bilanciamento nella nozione di unità produttiva, all’interno della quale il datore di lavoro può liberamente spostare i dipendenti, salvo che l’unità non comprenda uffici notevolmente distanti sul territorio.
Detto principio è stato affermato da Sez. L, n. 17246/2018, Negri della Torre, Rv. 649604-01, conforme alla precedente Sez. L, n. 12097/2010, Di Nubila, Rv.
613528-01, che ha ritenuto che la nozione di trasferimento del lavoratore, che comporta il mutamento definitivo del luogo geografico di esecuzione della prestazione, ai sensi dell’art. 2103, comma 1 (ultima parte), c.c., e alla stregua delle disposizioni collettive applicabili nella specie (artt. 37 e 74 del c.c.n.l. per i dipendenti postali), non è configurabile quando lo spostamento venga attuato nell’ambito della medesima unità produttiva, salvo i casi in cui l’unità produttiva comprenda uffici notevolmente distanti tra loro.
Ebbene, della nozione di unità produttiva, con specifico riferimento alla attività di piazzista, si è interessata Sez. L, n. 29520/2019, Garri, Rv. 654745-01, ritenendo che l’unità produttiva dalla quale il prestatore non può essere trasferito, se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, è quella che costituisce articolazione autonoma dell’impresa, con idoneità a produrre beni e servizi dell’azienda, sicché, quanto ai piazzisti, essa va individuata in relazione all’itinerario da compiere, alla zona da visitare o all’ambito territoriale assegnato. In applicazione del principio innanzi esposto, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva qualificato come trasferimento il mero mutamento di clientela, all’interno della medesima area geografica di assegnazione, senza verificare la sussistenza di sostanziali mutamenti della prestazione.
7.1.1. Mutamento di unità produttiva del lavoratore che assiste familiare con handicap.
Del divieto di trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, ai sensi dell’art. 33, comma 5, della l. n. 104 del 1992, nel testo modificato dall’art. 24, comma 1, lett. b) della l. n. 183 del 2010, si è occupata Sez.
L, n. 21670/2019, Negri della Torre, Rv. 654822-01.
Nella pronunzia innanzi citata si afferma, conformemente a quanto già ritenuto da Sez. L, n. 24015/2017, Torrice, Rv. 646099-02, che il divieto di trasferimento del lavoratore opera ogni volta che muti definitivamente il luogo geografico di
esecuzione della prestazione, anche nell’ambito della medesima unità produttiva che comprenda uffici dislocati in luoghi diversi, in quanto il dato testuale contenuto nella norma, che fa riferimento alla sede di lavoro, non consente di ritenere tale nozione corrispondente all’unità produttiva di cui all’art. 2103 c.c.
Insomma, nel caso specifico dell’assistenza ai familiari conviventi disabili, il giudice di legittimità utilizza una nozione attenta alla tutela dei diritti del prestatore e dei suoi familiari in condizione di handicap.
7.1.2. Scelta della sede di lavoro da parte del prestatore che assiste familiari con handicap grave e fruizione dei permessi.
Per l’evidente connessione con il tema poc’anzi trattato della delimitazione del raggio entro il quale il datore può operare il trasferimento del lavoratore che assiste familiari in condizioni di disabilità, va verificata anche la posizione assunta dal giudice di legittimità con riferimento al diritto alla scelta della sede di lavoro.
Ebbene, la Cassazione ha precisato che detto diritto alla scelta della sede può essere esercitato, ricorrendone i presupposti, sia al momento dell’assunzione che successivamente, nel corso del rapporto di lavoro.
Nel dettaglio, Sez. L, n. 06150/2019, Ponterio, Rv. 653082-01, afferma che in materia di assistenza ai portatori di handicap, l’art. 33, comma 5, della l. n. 104 del 1992, nel testo modificato dalla l. n. 53 del 2000 e dalla l. n. 183 del 2010, circa il diritto del lavoratore che assiste un disabile in situazione di gravità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, va interpretato nel senso che tale diritto può essere esercitato, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell’assunzione, anche nel corso del rapporto di lavoro, deponendo in tal senso il tenore letterale della norma, in coerenza con la funzione solidaristica della disciplina e con le esigenze di tutela e garanzia dei diritti del soggetto portatore di handicap previsti dalla Costituzione e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con l. n. 18 del 2009.
Va qui ricordata anche Sez. L, n. 21416/2019, Marotta, Rv. 654680-01, in relazione alla diversa questione dei permessi retribuiti ex art. 33, comma 3, della l. n.
104 del 1992.
La condizione – cui è assoggettato il relativo diritto – che la persona da assistere, affetta da handicap grave, non sia ricoverata a tempo pieno, scrive il giudice di legittimità, non può che intendersi riferita al ricovero presso strutture ospedaliere o simili (pubbliche o private) che assicurino assistenza sanitaria continuativa, in coerenza con la ratio dell’istituto, che è quella di garantire al portatore di handicap grave tutte le prestazioni sanitarie necessarie e richieste dal suo status, così da rendere superfluo, o comunque non indispensabile, l’intervento del familiare. Nella specie, la
617 S.C. ha cassato la sentenza impugnata – che aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato per falsa dichiarazione del lavoratore in ordine al requisito del mancato ricovero della madre, alloggiata in una casa di riposo – perché la valutazione del giudice di merito sulla veridicità della dichiarazione si era arrestata ad una nozione atecnica di ricovero, senza considerare il livello di assistenza prestato dalla struttura.