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La chiave montaliana

Nel documento L'epifania nel primo Sereni. (pagine 106-115)

Capitolo 5. La ricerca della parola

5.3 Sereni e la poesia dei suoi anni

5.3.1 La chiave montaliana

Un rinnovato interesse per Montale sorge nel 1938 con la pubblicazione delle

Occasioni. Nella seconda raccolta il poeta opera cambiamenti fondamentali anche se

in presenza di una costante attenzione per spunti di vita minore. In questo senso non ci sarebbe grande stacco rispetto gli Ossi, considerato che anche quelle poesie affondavano le radici in una realtà di riferimento semplice quale quella del piccolo mondo ligure. La somiglianza viene avvertita da Sereni quando ammette che sia possibile l’equivoco di attribuire a Montale «un atteggiamento da poeta minore199» ma nella seconda raccolta egli osa di più e nella storia quotidiana, oggetto condiviso con il lavoro precedente, ma che muta passando da quella di un giovane nell’estate

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ligure a un intellettuale a Firenze, pone le basi per lanciare «uno sguardo così libero e penetrante negli aspetti del mondo» e lasciare «una memoria d’assoluto». La via che Montale trova rifiuta quindi la grande storia dei poeti vate e del primo Ungaretti e anche la via degli ermetici che propugnano l’idea di una poesia del tutto slegata dalla storia.

L’altro cambio di rotta che convince Sereni è l’ottimismo di fondo che anima le

Occasioni200 capovolgendo il risultato pessimista degli Ossi. L’atteggiamento fiducioso che il soggetto montaliano conserva nel suo esame del reale, consapevole che sia possibile isolare l’attimo di vita piena o di mantenere viva una speranza, conquista Sereni. È un atteggiamento che fu attribuito a Montale fin da subito e che Sereni ricorda nella sua recensione, accompagnato da altri critici, come «amor vitae» e diviene amore dei momenti della vita e degli oggetti ad essi collegati. La prima strofa di Verso Vienna di Montale «il convento barocco/ di schiuma e di biscotto/ (…) e tavole imbandite, qua e là sparse/ di foglie e zenzero» dal gusto puntuale e da convito è affine ai versi sereniani «tra i tavoli schierati all’aperto/ e la gente intenta alle bevande» della poesia Diana. Sereni presenta una nota di vaghezza in più ma v’è una comunione di fondo nell’individuare l’oggetto poetico e la sua connotazione positiva: in Montale la scena è quasi idillica e giocosa con le foglie sul tavolo all’ombra di un convento tratteggiato come una torta, in Sereni è più sobria nel ritrarre un momento di relax cittadino. Altrove, in Canzone lombarda, dice «le bevande si fanno più chiare/ l’inverno sta per andare di qua», con l’aggiunta di un dato temporale anch’esso positivo, annunciando la primavera e le sue bevande tipiche che hanno colori più chiari di quelle invernali (Fioroni suggerisce il vino bianco, la birra e l’aranciata che prendono il posto di vino rosso, ponce al rum e cioccolata 201 ).

Questa coincidenza da tavola è una dei pochi spunti quotidiani sovrapponibili tra

Occasioni e Frontiera, perché i momenti di vita della raccolta montaliana sono

numerosi ma principalmente di ambiente domestico202 mentre quelli che Sereni inserisce nella sua raccolta, almeno nelle due sezioni più corpose, Concerto in

200 SIMONETTI 1998, p. 129. 201 SERENI 2013, p. 41.

202 CATALDI 1991, pag. 29; ma anche, significativamente, lo stesso Sereni in SERENI, 2014, p.

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giardino e l’omonima del titolo Frontiera, sono quasi tutti di ambiente esterno. Nella

prima ci si muove tra i paesaggi montuosi della Lombardia, Milano, l’Emilia, il Piemonte, Urbino; nella seconda il centro è Luino, con l’eccezione della poesia

Immagine. Dando ancora uno sguardo alla funzione del luogo emerge che in Sereni il

punto di vista parte sempre dall’hic, con Poesia militare che rappresenta una rara eccezione in quanto partenza. Montale riserva molta più attenzione agli spostamenti propri e altrui: Verso Vienna, Verso Capua, A Liuba che parte, Elegia di Pico Farnese. Il rapporto con Montale è giocato sul motivo degli attimi significativi che è quanto Sereni voleva lasciare di sé e su cui voleva costruire la propria poesia. Nelle Occasioni c’è materiale sufficiente per il proposito immanente di Sereni perché la poesia montaliana non prescinde mai dalla determinazione di coordinate spaziali e temporali del fatto e riesce a coniugare vita privata e storia comune come anche tono elevato e tendenza al romanzo. «In quegli anni c’era voglia di romanzo» dirà più tardi Sereni203 ma una dichiarazione del genere va letta solo come esternazione personale, al più condivisa da una parte del gruppo milanese frequentato da Sereni, perché in generale nella letteratura del tempo non vi fu, né poteva esservi, alcuna piega verso la narratività. Volendo fare un nome tra i pochi più difensori delle ragioni del romanzo il più importante è quello di Vigorelli, riconosciuto tale da Contini e da Bo204, e negli anni ’37-’41 Sereni, per la sua poesia, si è confrontato soprattutto con lui. Indagando l’attenzione al romanzo del poeta di Luino emerge come egli l’abbia volta al singolare, ascrivendola quindi al sé di un tempo, in un altro intervento montaliano degli ultimi anni205, in cui dichiara che fosse intento a una ricerca del «romanzo ma col desidero che fosse la poesia a suggerirglielo o farglielo supporre206». Nelle Occasioni, comunque, c’è anche più di quanto servisse a Sereni, perché l’immanenza nel libro di Montale è un ponte diretto per la metafisica, dato che per il poeta ligure i due aspetti non vanno disgiunti, come sancisce nell’Intervista immaginaria: «immanenza e trascendenza non sono separabili». Per Sereni «spoglio di metafisiche superbe207» il sovrappiù di senso non è necessario, l’attimo di vita che vuole fermare può essere

203 SERENI,

204 STASI 2002, pp. 6-7. 205 SERENI 2014, pag. 1032. 206 Corsivo mio.

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soltanto sé stesso e non per questo essere insignificante: gli dà forza l’essere parte dell’esistenza del poeta. Lo studio che Sereni fa del nuovo stile delle Occasioni dà come frutto la possibilità di una «poesia fedele alle proprie origini terrestri» o, detto altrimenti nel linguaggio tranchant della sua lettera, fedele alle «cose». Non è sempre così in Montale e Sereni nota due modalità di racconto, quella quasi da poesia pura «sdegnosa delle precisazione causali» cui Montale «soggiace a volte» e quella narrativa eseguita post-evento. Tra le due Sereni accorda il primato alla seconda, laddove il gusto ermetico avrebbe senz’altro preferito la prima, almeno negli anni immediatamente successivi e cioè finché si potrà parlare di ermetismo in Italia. Montale accoglie dal mondo moderno un’altra novità: i nomi. Molti vocaboli della comunicazione quotidiana entrano nella poesia delle Occasioni, magari a volte con una mediazione tra lingua corrente e lingua poetica ma generalmente la forma meno nobile non è mai scartata aprioristicamente. Quando Sereni procede a sua volta nell’uso di parole comuni si scontra con l’idea alta di poesia e di nobilitazione del reale che aveva scelto di seguire e i risultati sono variabili. Il contrasto è intuibile anche solo considerando la sua venerazione della poesia (richiamata a proposito dei versi dannunziani partendo da La poesia è una passione?) e la predilezione per le «cose» che vuole ricordare. Una delle soluzioni è l’introduzione di montalismi tecnici nella sua poesia, in modo da godere sia del decoro di termini poetici sia della precisione nominativa. Il caso più eclatante è la «torpediniera» di Terrazza che calca la montaliana «petroliera» della Casa dei doganieri, e a quella si aggiungono anche «darsena», che fa riferimento all’attività portuale, e «vetrina», con richiamo probabilmente ad attività di vendita. A questa soluzione, che è la meno ricorrente data la necessità di coincidenza tra i due poeti e i rispettivi oggetti da nominare, Sereni affianca una strategia di giustapposizione del termine comune e del termine aulico. La poesia Nebbia è esemplare della dinamica: al verso 3 «semafori quieti»; ai vv. 4-6 «io vengo in parte/ ove s’infolta la città/ e un fiato d’alti forni la trafuga» dove gli altiforni sono nominati in un contesto di riprese dantesche e a loro è attribuito un umanizzato «fiato»; ai vv. 12-13 i «giorni delle volpi gentili/ autunno di feltri verdi fioriva» dove volpine sono le stole e il feltro, probabilmente dei cappelli, è trattato come un fiore208. In altri componimenti si trovano «gli autocarri che mordono la montagna», quindi si

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ha un processo d’umanizzazione analogo a quello visto in Nebbia, e i «radi battelli del tardi/ di luminarie fioriti» di Inverno a Luino. Altre volte Sereni conserva il nome più prezioso senza mediazioni, come nel caso dei «velocipedi» di In me il tuo ricordo¸ mentre il coevo Bertolucci già usava «biciclette» in Emilia, penultima poesia di

Fuochi di novembre (1934). Sereni raggiungerà i risultati migliori di questo tratto

stilistico nelle poesie più lunghe degli Strumenti umani, raccolta dove la compromissione tra educazione umanistica, e con essa la passione per la poesia, con la nuova realtà italiana sarà costante. Sul perché ciò accada nelle poesie lunghe credo sia da riferire allo spazio che queste garantiscano al poeta per spiegare sia l’espressione quotidiana che quella alta e per organizzarle in un complesso intreccio fatto di piccoli scarti. Riporto come esempio, da Quei bambini che giocano, vv. 2-8,

se presto ci togliamo di mezzo. Perdoneranno. Un giorno. Ma la distorsione del tempo

il corso della vita deviato su false piste l’emorragia dei giorni

dal varco del corrotto intendimento: questo no, non lo perdoneranno209.

La secca espressione «ci togliamo di mezzo» è seguita da una pronuncia spezzata che nel verso 3 fa nascere due frasi: una composta dal solo verbo e l’altra dalla precisazione temporale. La sintassi franta mima un andamento tipico della riflessione mentale più che del parlato, e considerando che non è mai suggerita la presenza di un interlocutore è molto più probabile che si tratti del primo caso. L’io poetico, nel voler ridurre l’espressione ai suoi elementi minimi, sembra ricerchi una soluzione razionale al dilemma posto all’inizio, conquistando un punto per volta una conclusione accettabile: ogni risultato logico è provvisorio e c’è il rischio che il seguente possa confutarlo. L’ultimo verso citato è anch’esso diviso in due ma preferisce la virgola al punto per indicare il maggiore controllo sulle emozioni che è possibile dopo aver ammesso le colpe della propria generazione. Al centro del verso c’è la ripetizione no-

non con cui l’io poetico tenta di consolidare la conclusione a cui è giunto. Tra i versi

3 e 8 sintatticamente franti e lessicalmente piani c’è il serrato elenco di errori, privo di punteggiatura e di tono elevato: «distorsione», «emorragia», «varco»,

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«intendimento» sono parole che pur non facendo parte del lessico della tradizione letteraria non possono essere considerate comuni. Sereni riesce in questa poesia a passare dal registro lessicalmente e sintatticamente basso a uno più sostenuto e organizzato, che ha come pause solo il fine verso, introdotto dalla sola congiunzione avversativa «ma». Ciò è possibile grazie all’impiego di versi medio-lunghi e, quando è necessario, molto lunghi (due settenari, un novenario, un endecasillabo e uno, il quinto, che conta quindici sillabe) e dalla maggiore confidenza ormai acquisita con la lingua comune e con tutti i suoi referenti quotidiani.

Quando il Sereni di Frontiera, invece, seleziona la parte della sua esperienza su cui poetare segue un criterio, lo si è accennato, di vicinanza e di affetto e la scelta dei tre montalismi sopra riportati, «darsena», «torpediniera», e «vetrina», è motivata dal moto positivo dei sentimenti. La darsena è la «darsena/ dei Navigli» mentre in Montale era più anonimamente «della città»; la stessa poesia che ospita il sintagma,

Ritorno, chiude il trittico milanese Compleanno-Nebbia-Ritorno e annuncia la

rinascita primaverile, oltre a trattare il tema del ritorno, carissimo a Sereni. La torpediniera e la vetrina sono presenti nella prima e nella seconda poesia della sezione

Frontiera, che è pervasa da quello stessa tema del ritorno e, in più, «torpediniera» è

collocata al penultimo verso di poesia mentre «vetrina» in fine di strofa, quindi entrambe occupano una posizione di rilievo semantico. L’accortezza di Sereni nel posizionare termini non tradizionalmente poetici in punti significativi e, insieme a ciò, di avvalersi della nuova autorità montaliana mostra come resista in lui un nocciolo di diffidenza verso la compromissione troppo serrata con la lingua d’uso. Sereni, in altre parole, non vuole «torcere il collo» all’«eloquenza della […] vecchia lingua poetica» ma raggiungere una compenetrazione sempre maggiore tra i due registri, secondo un tracciato ormai offerto da Montale e che sarà lentamente percorso fino ai risultati degli

Strumenti umani.

A supporto dei segnali di montalismo timidi che emergono dai testi di Sereni si possono aggiungere due dichiarazioni del tardo Sereni riguardo la sua lettura giovanile del poeta ligure. Da quanto Sereni dice, in modo tutto sommato convincente per ciò che gli studi hanno confermato, la sua prima lettura montaliana fu, ricordata per il primo verso e non per il titolo, Un murmure: e la tua casa s’appanna. Sull’importanza

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del primo verso per Sereni, che qui resta impresso più del titolo, Mengaldo210 riporta un aneddoto sul poeta luinese e cioè che amava parafrasare da Valery un aforisma per cui «il primo verso ce lo dà il buon Dio, il resto è dura fatica211».

Su questa prima esperienza Sereni stesso fa alcune considerazioni e nota come ebbe da subito «un’immagine già più avanzata della poesia, o piuttosto del mondo, di Montale» perché aveva del tutto saltato la fase degli Ossi e si era trovato catapultato in una poesia nuova, «particolarmente felice in quell’occasione». È probabile che l’equivalente apporto delle due opere montaliane in Frontiera sia da imputare alla lettura temporalmente sfasata che ne fece Sereni, presentendo un Montale da

Occasioni anche leggendo quello degli Ossi.

In altri termini, Montale con i suoi primi versi precorreva in noi la presa di coscienza del mondo circostante e dei suoi stessi lineamenti fisici: nella misura in cui ci avvertiva che lo spazio immediatamente a noi vicino e nel quale stavamo già muovendoci con la nostra esistenza non solo poteva essere ma già era abitato dalla poesia.212

La lettura di Montale assicura quello che era più a cuore per Sereni: che la realtà situata intorno a lui non escludesse la poesia ma ne fosse intrisa. Si trattava di coglierla, e Sereni segue il rigoroso metodo della propria esperienza, e di possedere gli strumenti per trasferirla sulla pagina, e per ciò si è rivolto costantemente a quanto la poesia contemporanea offriva, per lingua e modi. Il secondo riconoscimento fatto da Sereni si concentra più su questa seconda fase del lavoro di poeta:

Fin dentro gli anni della guerra la poesia di Montale ci aveva offerto una chiave, fu la chiave più naturale per noi, non dirò per leggere nell’universo, ma per affacciarsi sull’esistenza che era nostra e viverla: in certi casi, inventarla. […] Un centro industriale e i suoi fuochi repressi nella notte di guerra era così naturalmente «la fucina vermiglia della notte»; l’attesa a un punto d’imbarco coincideva così naturalmente con l’onda che si rompeva, vuota, sulla punta…213

Il risultato della poesia di Montale agli occhi di Sereni, ma anche di un noi di cui egli si fa tramite, è di far coincidere così naturalmente vita e poesia al punto che la poesia diviene strumento per conoscere, finanche inventare, la propria vita ma restando distinta da essa. Un rapporto di forze rovesciato rispetto quello ermetico espresso da

210 MENGALDO, p.

211 L’originale di Valery è: «Les dieux, gracieusement, nous donnent pour rien tel premier vers; mais

c'est à nous de façonner le second», da VALERY, 2016.

212 SERENI, 2014, pag. 1008. 213 Idem, pag. 1011.

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Carlo Bo in Letteratura come vita (1938) che vede la letteratura, tra le varie cose, come ricerca interiore della verità.

Al termine provvisorio del suo percorso, costituito prima dalla pubblicazione di

Frontiera in quanto opera che inaugurasse la linea delle edizioni della rivista

«Corrente» e l’anno dopo da Poesie in quanto summa prebellica della sua opera, Sereni avrebbe ritenuto funzionale alla sua poesia il solo modo montaliano. Ciò è testimoniato da un dubbio che sorse allo stesso autore in merito alla poesia conclusiva di Frontiera, Ecco le voci cadono, sul cui retroscena ci permette uno sguardo un’altra lettera dell’epistolario Sereni-Vigorelli214. Si tratta del sospetto di pateticità del titolo, presentatosi a Sereni a poco più di due mesi dalla pubblicazione del libro, sintomo questo di come lentamente egli continuasse a ripensare a quanto scritto. È una poesia dove titolo e primo verso coincidono, datata 1940 e gode della stessa atmosfera che anima la sezione Frontiera, collocandosi nello stesso clima di evocazione luinese che dà corpo a, prendo come esempio, Terrazza e Strada di Zenna, poesie dominate dalle suggestioni e dalla condizione dell’attesa. Riporto la poesia per potere meglio seguire le tracce del dubbio di Sereni.

Ecco le voci cadono e gli amici sono così distanti

che un grido è meno

che un murmure a chiamarli. Ma sugli anni ritorna

il tuo sorriso limpido e funesto simile al lago

che rapisce uomini e barche ma colora le nostre mattine215.

La metrica è quasi del tutto regolare: tutti i versi sono imparisillabi con l’eccezione dell’ultimo che è un decasillabo. Assonanze tra il verso 2 e 4 «distanti» «chiamarli», più nel mezzo del verso 5 «anni», un’altra assonanza tra i vv. 3 e 6 «meno» «funesto» e infine la interna, sempre ai versi 3 e 6, «grido» «sorriso». Come si evince da quanto notato la cura rimica è molto attenta ai versi centrali mentre tralascia l’attacco e la chiusura. I primi due versi però seguono il modulo endecasillabo-settenario, molto melodico, e l’ultimo verso è introdotto da un secondo ma che smorza la nota mortuaria

214 ISELLA 1991, pp. 48-51. 215 SERENI 2010, p. 53.

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del precedente e apre all’immagine positiva che chiude il libro intero. Sebbene sia una poesia riuscita, un’unica strofa di nove versi che tocca tutti i temi cari a Sereni (amicizia, morte, lago, speranza, amore, voce come mezzo di comunicazione tra individui) fondendoli in una struttura metrica solida e musicale, il poeta lamentava l’inizio patetico. Nella lettera a Vigorelli l’autore si rammarica per il titolo che sembra «troppo da ultima poesia» e «la fa sembrare collocata lì a forza»; in un certo senso avverte che vi sia un forte rischio di innaturalezza, atteggiamento che ormai rifiuta o che comunque non reputa degno di chiudere il libro. L’innaturalezza riguarda il modo di presentarsi al lettore, non certo la conclusione del libro che invece è del tutto coerente con i temi portanti. Nel dire, all’ultima poesia, «le voci cadono», Sereni pensa di essere scontato e di esasperare il pedale della pateticità con l’equivoco di far credere al lettore che ciò che conta è il suo coinvolgimento in una rievocazione malinconica, forse nostalgica, e soprattutto troppo artefatta. Quello che secondo lui non emerge è la «mossa concreta» da cui «tutto partiva» e questo perché non ha delineato sufficientemente l’origine della poesia.

Lo scrupolo che investe Sereni è un segnale che denuncia una forte somiglianza di intenti con le Occasioni. Il legame viene ancor più rinsaldato dalla soluzione che Sereni contempla per chiarire meglio le sue intenzioni. Con la correzione che egli aggiunge il titolo cambia in Convito e l’inizio della poesia viene accresciuto così: «Ecco le voci del convito cadono/ e gli amici che il giorno/ fiammante dagli ultimi vetri saluta/ sono così distanti» per poi proseguire dal terzo verso senza nuove aggiunte. Questa variante abortita può dare luogo a due considerazioni.

La prima di queste è una riprova di come la reazione quasi istintiva di Sereni al contatto con una realtà troppo anonima sia di ricorrere al lessico poetico per innalzarla, ancora nel 1941. Se «convito» è ritenibile soluzione accettabile data l’assenza di sinonimi che rendano l’idea dell’incontro intorno a una tavola, «fiammante» e «ultimi vetri» sono l’attardarsi estremo in meccanismi poetici non più accettabili e di conseguenza non ripubblicati l’anno dopo. La seconda considerazione è l’importanza che ricopre l’introduzione alla scena della poesia, che Sereni dichiara essere «il sorriso della B.» cioè di una compagna delle vacanze a Luino dell’estate del ‘37. Ma il centro dichiarato della poesia non può, a differenza della poesia pura, prescindere da

Nel documento L'epifania nel primo Sereni. (pagine 106-115)