Capitolo 5. La ricerca della parola
5.4 Terrazza
Il costante punto di riferimento della seconda persona si trasforma, passando dalla prima alla seconda sezione, in una prima persona plurale, un noi che può rappresentare due gruppi differenti. Il primo è l’unione dell’io e del precedente tu che ora appare meno lontano ma in qualche modo ancora più sfuggente; talvolta lo si può intendere come fantasma dell’io, il suo doppio, altre volte come una donna la cui immagine è sempre presente. Per evitare errori risultano utili alcuni chiarimenti forniti dall’apparato critico che quasi sempre, prendiamo il caso di Rosaio, scioglie il dubbio su un’eventuale persona dietro le quinte della poesia. Il secondo tipo di noi indica il gruppo di amici del poeta ai quali Sereni ripensa nei termini di «una compagnia numerosa ma non particolarmente allegra225». Il gruppo, nello specifico, si formò durante le vacanze estive a Luino, e resta all’interno delle poesie di questi anni e solo per quelle ambientate in quel luogo. Non è raro che entrambi i noi siano presenti nella stessa poesia, segnalati dall’alternarsi della prima persona plurale e dalla seconda singolare. Trascrivo una delle più brevi poesie di questa sezione per mettere in luce l’alternarsi del destinatario e per ipotizzare il motivo che ne è alla base. La poesia fu composta nel luglio del 1938 e ha come ambientazione un evento risalente all’estate precedente. Come quasi tutte le poesie della seconda sezione, il luogo è Luino.
Improvvisa ci coglie la sera.
Più non sai dove il lago finisca;
un murmure soltanto sfiora la nostra vita sotto una pensile terrazza. Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
121 entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira se ne va.
La poesia ha nove versi, divisi in due strofe di cui la prima procede da un alessandrino con scalino in apertura a quattro settenari mentre la seconda inizia con un settenario ed è seguita da un verso che può essere un decasillabo che ricalca l’andamento del primo verso fino allo scalino, complice anche la medesima parola finale, oppure, con una forte dialefe a-un, essere anch’esso un endecasillabo. Gli ultimi due versi sono endecasillabi regolari, il primo piano e il secondo tronco. Da segnalare l’assonanza tra verso 2 e 4, finisca-vita e la rima tra terzultimo e penultimo verso con sera- torpediniera.
Il titolo rimanda a un tema tipico dell’ermetismo e più in generale nella poesia degli anni Trenta ossia la pensilità quale condizione esistenziale226. Balaustre, balconi o terrazze sono presenti in Ungaretti, Montale, Luzi, Sereni, Parronchi, Gatto e Bigongiari. Nel caso di Sereni considerata la datazione media di questo testo non sorprende molto che in origine il titolo era un più prosastico La menta, per essere cambiato, nobilitandolo in sintonia col gusto del tempo, in Terrazza. La poesia fu giudicata da Gatto227 quale migliore poesia di Sereni.
Sull’antefatto vale la testimonianza di Barigozzi, primo destinatario epistolare della poesia, il quale chiarisce che la menta fu la bevanda presa da lui, dal poeta e da Bonfanti nell’occasione che ha ispirato la poesia, cioè un’uscita serale presso un bar con vista sul lago Maggiore. Meno chiaro se il noi della poesia comprenda i soli tre nomi che Barigozzi indica oppure se sia da estendere a tutti gli astanti del locale ma questo è un problema di minore entità rispetto quello della comparsa del tu. In entrambi i casi, infatti, resta da sciogliere il nodo sulla seconda persona per capire se questa riguardi una persona specifica tra i presenti oppure no. La sua stessa collocazione, quasi di sfuggita e nello scalino quaternario tronco del primo verso, lascia pensare a una lontananza tra lei e gli altri. Uno sguardo all’apparato critico fa emergere una precedente versione228 che in luogo di «Più non sai» presenta «E tu non sai», variante che enfatizza ulteriormente il tu non più evocato nel resto della poesia
226 STASI 2002, pp. 102-105. 227 GATTO 1942.
122
che, con questa sola eccezione, è tutta alla prima persona plurale (v.1 «ci coglie», v.4 «la nostra vita», v.6 «siamo tutti», v.9 «ci scruta»). Ciò che Sereni ottiene con l’inserimento iniziale ma defilato, di una seconda persone è istituire un’aura di ambiguità sul testo. Non si può parafrasare con certezza i noi del componimento in un modo (Sereni, Barigozzi, Bonfanti) o nell’altro (l’io del poeta e il tu) perché il poeta non fornisce elementi sufficienti per poterlo fare. L’ipotesi meno probabile è che il tu siano uno tra Bonfanti e Barigozzi, poiché il poeta non ha alcun motivo di scegliere l’uno e di escludere l’altro. Una seconda ipotesi è la sovrapposizione di tu e poeta, intendendo “il poeta” come la persona fisica presente al sopraggiungere della sera e il
tu come una sua proiezione ideale, non legata alla contingenza del momento, come se
Sereni si rivolgesse a un sé ideale. Questa lettura però non regge alla prova del disegno generale, non spiegando perché Sereni debba avere un io ideale cui rivolgersi e soprattutto da dove questo provenga. È più probabile che Sereni riveda, in un certo futuro, la scena e si rivolga singolarmente a sé stesso, non potendo usare la prima persona. Vi sarebbe quindi un io poeta del presente che guarda e un tu Sereni guardato. L’attitudine contemplativa di Sereni, ricchezza ereditata dagli studi fenomenologici, rende possibile credere ciò. Sereni, d’altronde, non è un poeta dell’attimo, non compone poesia su qualcosa nel momento in cui quel qualcosa avviene. In ciò si ritrova nel Montale che separa il giorno che ha permesso la poesia e l’altro in cui la poesia viene composta.
L’ultima ipotesi è che dietro il tu vi sia una persona che l’io poetico ha sempre presente e con la quale intesse un dialogo, anche a distanza. In questo modo si ricalca il dualismo montaliano ma, come già accennato, il tu in Sereni non ha la stessa potenza di quello in Montale. In questo caso vale la considerazione espressa per il tu della prima sezione, cioè che in assenza di elementi che favoriscano la distinzione tra il poeta e il tu per entrambi verrà postulata una medesima condizione.
Attraverso il riesame di un pezzo di vita Sereni giunge al risultato della poesia, che sarà la ricostruzione della scena con il fine di lasciare qualcosa di sé e di permettere al lettore di parteciparvi, in accordo con quanto Mengaldo nota229 per i poeti Bertolucci, Caproni e Sereni, sancendone l’appartenenza al filone della «poesia
esistenziale».
123
Il tu, che sia il poeta stesso presente in scena visto retrospettivamente al momento della composizione o che sia una persona elevata a riferimento della propria vita con cui il poeta costruisce un discorso comune, fornisce profondità alla poesia, come fosse l’aggiunta di una dimensione. Ogni evento ha una sua realtà e a questa s’affianca quella del ricordo o della comunanza con qualcun altro.
Terrazza è un caso estremo di indeterminazione, mentre altrove si propende con più
certezza verso un noi composto dal poeta più una seconda persona. Restano escluse da queste poesie le due, Inverno a Luino e Paese, nelle quali la seconda persona si riferisce alla stessa Luino.
Nella terza sezione di Frontiera, Versi a Proserpina, il tu acquista tratti più definiti, è distinguibile da qualunque altro personaggio prima nominato, e ha un nome: Proserpina. Quando Saba lesse le due poesie di questo ciclo che furono inserite nel
Diario d’Algeria lamentava230 che «Proserpina è un nome qualunque, e non dice nullo, o non dice abbastanza». Saba, muovendo da posizioni anti-ermetiche, rinfaccia a Sereni il non essere sempre in grado di «liberare la sua poesia dalla letteratura (e anche da reminiscenze letterarie)231». È vero che Proserpina è un nome frutto di compromissione col gusto del tempo e mediato letterariamente, come lo è anche, per restare in Sereni, la Diana dell’omonima poesia, ma Saba fa un intervento puntuale solo sulla seconda raccolta e non affronta il percorso che Sereni svolge in modo lento ma continuo. Nella sezione a Proserpina sono presenti due personaggi principali, il poeta e la donna, e sullo sfondo un gruppo di giovani («dei giovani cade la danza»,
La sera invade il calice leggero, v. 7) e in generale un paese identificabile con Luino
(«il buio paese s’è racchiuso/ dietro la lanterna», Dicono le ortensie, v. 3). La relazione che in questo micro-canzoniere si instaura tra il poeta e la donna non si presenta come speciale o eccezionale: il poeta non fa quasi nulla per rimarcare un privilegio comune: l’io poetico è del tutto identificabile come appartenente al gruppo di giovani e si differenzia tra questi in quanto si fa voce della breve storia della donna. Il verso «o mia voce più dolce…», unico caso in Sereni di apostrofe rivolta alla propria voce, ha ragione d’essere proprio per il ruolo che il poeta riveste nella triste vita di Proserpina,
230 GIBELLINI, 2015, pag. 59. 231 Idem, pag. 55
124
cioè d’essere il suo cantore ora che è morta. Volendo dare un’identità alla donna, Proserpina fu una ragazza di Luino, Piera Battaglia, figlia di un industriale la cui casa, dice Sereni in una prosa232, «era stata ospitale come forse nessun’altra in quegli anni, cuore immaginario del paese per conciliaboli di signore borghesi sferruzzanti a maglia per combattenti e prigionieri nel tempo di guerra; aperto per onomastici e compleanni». Proserpina è dunque a suo agio con il paese che costituirà il suo corteo funebre, non proviene dalle alte nebulose e non si contrappone alla catastrofe della storia.
Rispetto la prima sezione e rispetto alcune poesie della seconda, quelle dove l’io poetico e il tu risultavano pari di fronte agli avvenimenti intorno, la morte pone un incolmabile solco. Risulta impossibile conservare la comunione che poteva essere realizzata di fronte «alla svelata bellezza dell’inverno» o riuscire a rasentare l’Eliso di Strada di Zenna ora che uno dei due è irrevocabilmente in quel luogo. Nella prima sezione il poeta presenta una seconda persona in modo vago o per accenni; riguardo
Diana, poesia che considera tra le migliori di tutta la raccolta, dà informazioni
sfuggenti su chi possa essere la donna della poesia (la futura moglie, una compagna di scuola, un’attrice). Nella seconda sezione non è difficile credere che la donna sia parte della compagnia del poeta, dato che gli eventi sembrano riguardare entrambi: la «pensile terrazza», l’uscita al lago di Strada di Zenna, l’avvento del mese di settembre, etc. Nell’ultima sezione, una sorta di terzo atto della storia, viene ripercorso un anno (da marzo a marzo) che include i ricordi della donna in vita, la sua morte e la ripresa del ciclo vitale: «E oggi qui attorno la quiete/ dei vetri indifferenti, oggi il minuto/ sfaccendare dei passeri là fuori» (Sul tavolo tondo di sasso, vv. 6-8).
L’ultima poesia, che segue i versi a Proserpina, appartiene al ciclo della sezione
Frontiera e condivide con quella la donna ispiratrice, la B. «del sorriso» che dovrebbe
aver avuto nome “Bianca Biffi”. Collocata a fine di libro, come naturale chiusa del libro (fin troppo naturale da sembrare artificiale, secondo Sereni), non è chiaramente percepibile lo scarto tra le due donne, finendo per avallare la percezione di un’unica entità femminile.
125