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Memoria d'America

Nel documento L'epifania nel primo Sereni. (pagine 88-91)

Capitolo 5. La ricerca della parola

5.1 Linguaggio ermetico nel Concerto

5.1.1 Memoria d'America

Tra le diverse fonti che ricordava Mazzoni la poesia ermetica è stata quella maggiormente significativa per il primo Sereni. e che le conseguenze interessano l’intera raccolta. Prendiamo una poesia come Memoria d’America, datata 1935:

Starmene solo nel ranch Ieri a uno schiantarsi di vetri si disperavano le bestie; adesso antelucani colombi vibrano il capo

a un tremito d’ore minute.

La luna sta nella finestra – ferma su quel paese di venti notturni. Abbandonato nel ranch. Ma palpita arancio colore dalla barriera di nuvole che fanno nevaio sul lago. Quattro zoccoli;

e sento nitrire di ritorno

la cavalla che ieri ho perduto in quell’ultimo temporale d’estate154.

152 SERENI, 2013, p. 818. 153 Ibid.

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I versi hanno misure medio-brevi, tranne per i distici che chiudono le strofe più lunghe: i vv. 7-8 sono una coppia d’endecasillabi alla fine della prima strofa e i vv. 16-17 sono un distico formato da un decasillabo più un dodecasillabo alla fine dell’ultima. Sono presenti due scene temporali, introdotte dagli avverbi «ieri» del v.2 e «adesso» del v.4; lo spazio dedicato ai due momenti è disomogeneo, riducendo la scena del passato a soli due versi (vv.2-3) che fungono da contrasto, accennando a un particolare di disordine probabilmente a seguito di una tempesta, con la scena del presente (vv.4-8) caratterizzata da calma. Tutto il componimento è ambientato in un “ranch”, estraneo per ovvi motivi alla realtà italiana e che Vigorelli motiva come «ricordo di lettura155».

La scansione del tempo si ha nella prima strofa, che segue un verso isolato. La stessa strofa è anche quella che registra il maggior numero di stilemi riconducibili all’ermetismo156, bilanciando l’intento di precisione con note di vaghezza: la polivalenza della preposizione “a”, l’assenza dell’articolo, l’abbondare dei plurali e l’anastrofe dell’aggettivo, tutti elementi che dovrebbero elevare il tono poetico. In generale la sintassi rientra in quella linea dell’«ermetismo debole» segnalata sempre da Mengaldo157 e caratterizzata da ardimenti più lievi rispetto a quelli di Quasimodo Luzi e Gatto. Nel componimento valgono come prove i sintagmi «antelucani colombi» e «arancio colore» che simultaneamente presentano anastrofe dell’aggettivo ed ellissi dell’articolo; l’uso forzato della preposizione “a” dei versi 2 e 6, instaura un parallelo tra le due fonti di rumore della strofa. Il parallelo è reso possibile dall’aleatorietà grammaticale della preposizione, suo connotato principale in quegli anni: è prestata qui anche a un valore temporale, oltre quello causale, ma nel caso delle «ore minute» dopo «antelucani», con lieve ridondanza.

Alle numerose percezioni che si susseguono nei versi («a uno schiantarsi di vetri/ si disperavano le bestie», «paese di venti notturni», «palpita arancio colore») non corrisponde alcuna partecipazione del soggetto, che si caratterizza come «solo nel ranch» e poi «abbandonato». La realtà esterna entra in poesia non in virtù di un contatto privilegiato del poeta con essa, bensì per la suggestività del gioco sonoro, sia relativo alla resa fonetica («schiantarsi di vetri», «nella finestra – ferma») che alle

155 VIGORELLI 1943.

156 MENGALDO 1991, pp. 137-143. 157 MENGALDO 1991, p. 148.

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evocazioni sonore («vibrano il capo/ a un tremito d’ore notturne», «quattro zoccoli/ e sento nitrire»), oppure visive («palpita arancio», «barriera di nuvole/ che fanno nevaio sul lago»). Nell’ultima strofa, dove parrebbe esserci un’interazione tra il soggetto e quanto accade intorno, non si riesce a inquadrare realisticamente l’evento scatenante, che certo è un normale suono di zoccoli ma che non è possibile inserire su un piano di realtà affine a quello del poeta, presente qui nei panni lontani di residente in un ranch. Sempre nell’ultima strofa, non è neanche possibile stabilire una linea temporale sicura, dato che l’individuazione del passato remoto è confusa e viene schiacciata su quello recente («che ieri ho perduto/ in quell’ultimo temporale d’estate»).

L’ambientazione statunitense, in cui il poeta situa la vicenda, è deliberatamente lontana dalla topografia biografica che tanta parte avrà in Frontiera, (a cominciare da uno dei significati del titolo), contribuendo a distanziare vita e poesia. È probabile che la suggestione letteraria abbia avuto la meglio sulla lirica, intesa come espressione personale di uno specifico io. Isella158 propone che Memoria d’America sia un «abbozzo di racconto» dall’«esito fallimentare», figlio quindi di una vena narrativa sereniana che solo più tardi riuscirà a esprimere la propria ricchezza. La stessa articolazione in due tempi con colpo di scena finale e con le note affidate ai versi singoli che segnalano lo stato del protagonista, più che dalla poesia ermetica sembra mutuata dalla narrativa breve, ma il linguaggio non esatto rende impossibile percorrere quella strada. Diverso sarà l’impiego della cura musicale riservata al verso, che invece manterrà sempre un ruolo di primo piano nella poesia di Sereni.

Accennando qualcosa sul protagonista del componimento preso in esame, emerso nei versi isolati 1 e 8 e nella scena dell’ultima strofa, si caratterizza per una certa precarietà e mantiene tratti in comune con il soggetto di altre poesie degli anni ’35- ’37, confluite principalmente nella prima sezione; col proseguire della raccolta lo vedremo, gradualmente, acquisire una nuova fisionomia. Da un certo punto, infatti, l’io lirico matura una più corposa presenza ed espressione, dando al poeta una storia, con annessa memoria e sentimento di contingenza. Il risultato sarà il superamento di quella fase, cui appartiene Memoria d’America, in cui le poesie erano composte perlopiù attraverso immagini statiche ed evanescenti, come il grande quadro

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paesaggistico Inverno o quelli di ampiezza minore come Incontro. Il movimento, prendo il caso della prima strofa di Inverno, poesia d’apertura della raccolta, è reso con giustapposizioni del presente e del passato remoto, mentre l’alternanza tra modi perfetti e imperfettivi induce a un sincretismo temporale che dovrebbe rendere icastica «la svelata bellezza dell’inverno». Nei versi 4-7 si susseguono sbalzi di tempo: «le montagne nel ghiaccio s’inazzurrano/ opaca un’onda mormorò/ chiamandoti: ma ferma – ora/ nel ghiaccio s’increspò». La necessità di dare movimento a scene troppo ferme, lungi dall’essere un problema esclusivo dell’esordiente Sereni, era avvertita anche da Quasimodo159, a causa della generale tendenza ermetica di rifiutare i nessi sintattici. Il compito di dare unità alle scene non viene affidato neanche al soggetto, che si assenta quanto più vengono evocati aspetti del paesaggio. Si registra però la presenza di una seconda persona ai versi 1, «ma se ti volgi e guardi», e 8-9, «poi che ti volgi/ e guardi», cui è affidato il compito di percepire, e plausibilmente di far percepire al lettore, la meraviglia del paesaggio montano invernale. L’insistere sul voltarsi e il guardare riesce a conferire agilità a versi troppo statici, a fornire quel movimento che altrimenti mancherebbe.

Nel documento L'epifania nel primo Sereni. (pagine 88-91)