Capitolo 5. La ricerca della parola
5.1 Linguaggio ermetico nel Concerto
5.1.2 Poesia militare
Questo carattere impressionistico, che riserva larga parte di un componimento al registrare l’ambiente circostante in sé, persiste in quasi tutta la sezione Concerto in
giardino, anche per poesie a datazione bassa, come Piazza militare, del 1940, che
riporto di seguito e da cui cercherò di far risaltare le differenze con Memoria
d’America.
Mezzanotte fu sui cancelli fresca d’acqua nel vento la voce dolente di sonno. Arretrava nell’ora
un paese d’azzurri santuari perduto tra le perse primavere. Ma salvo nelle voci degli addii sommesso presentiva il mare al passo dei notturni battaglioni160.
159 MAZZONI, 2002, p. 124. 160 SERENI 2010, p.26.
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La metrica, prima differenza, predilige forme medio-lunghe: settenario, novenario ed endecasillabo. Novenari e settenari sono concentrati nei primi quattro versi, ai quali seguono endecasillabi con un novenario in penultima posizione; il metro, dice Mazzoni riguardo un’altra poesia dei primi anni Quaranta, «ricerca una propria regolarità161», ma oltre ciò segue anche la regola tradizionale italiana di non intrecciare lunghezze parisillabi e imparisillabi. Anche in questo caso sono presenti due momenti diversi ma con un salto temporale meno marcato; la divisone strofica coincide con la scansione del tempo. La prima strofa, vv. 1-6, inizia fornendo l’ora della poesia, «mezzanotte fu sui cancelli», ed è commentato da Fioroni162 come il rintocco delle campane che segnano l’ora. I successivi due versi concorrono a delineare un’atmosfera di quiete tra la «voce […] di sonno» e gli elementi naturali «vento» e «acqua». L’azione che sopraggiunge al verso 4 è la percezione di un individuo, il quale vede allontanarsi sempre più un «paese d’azzurri santuari», immagine pacifica, rimarcando al verso successivo l’idea della perdita attraverso un compatto endecasillabo. La reiterazione del participio, prima nella forma debole «perduto» poi in quella forte «perse», la triplice allitterazione e l’insistere della liquida «perduto tra le perse primavere» contribuiscono alla solida chiusura della strofa e al suo congedo.
Il successivo momento occupa gli ultimi tre versi, non è introdotto da un avverbio di tempo e la distanza dal precedente non è molta. L’introduzione spetta alla congiunzione “ma” tipica di Sereni, autore che raramente le riserva il solo significato avversativo (il tratto antitetico permane nel contrapporre il paese «salvo» e un presagio non altrettanto positivo). Il salto temporale lo si comprende tramite la mutata caratterizzazione delle «voci» e dell’elemento marino il quale, personificato, ha un presentimento. Il ruolo del mare ha anche una funzione ulteriore perché con la sua nota di inquietudine è come se sommergesse gli aspetti del paesaggio evocato per tratti nella prima strofa: il suono sommesso del mare copre l’eco della mezzanotte, la «voce dolente» e non può non aggiungere turbamento all’azzurro delle chiese, divenute «santuari» nella «prospettiva memoriale163» attraverso cui il poeta già guarda a esse.
161 MAZZONI 2002, pag. 137. 162 SERENI 2013, pag. 106. 163 SEGRE 1993.
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Sereni riporta164 l’antefatto dell’episodio dicendo che «era sulla strada intanto che passavano i battaglioni del 78° Fanteria che partivano prima di noi». Ogni verso evoca un aspetto della partenza: gli «addii» dei commilitoni, il mare che esprime un presagio negativo e infine l’elemento bellico che dà subito concretezza al presentire nefasto del mare.
Non che alcuni tratti stilistici tipici dell’ermetismo siano caduti: i plurali dominano quasi tutta la nominazione (cancelli, santuari, primavere, voci, addii, battaglioni) ma nessuno di questi può realmente essere fatto risalire a quella matrice; il vago «senso d’acqua» però muove senz’altro da quella. Anche le inversioni sono frequenti («d’azzurri santuari», «perse primavere», «sommesso presentiva il mare» e «notturni battaglioni») e contribuiscono a identificare i luoghi poeticamente significativi. Emerge qui una sostanziale differenza rispetto a Memoria d’America e riguarda il motivo per cui certe immagini entrano in poesia: alla dignità delle scelte lessicali si aggiunge il legame che certe figure hanno con il soggetto che, con la propria esperienza, sorregge la poesia. Delle inversioni segnalate le prime due, «azzurri santuari» e «perse primavere» interessano elementi affini al protagonista: la prima è la metafora di un mondo felice che immancabilmente s’allontana, la seconda è quanto, nel passato, poteva essere felice, magari lo è stato, ma che ormai è andato perduto. Il mare, invece, fa da specchio all’angoscia del protagonista, che evita anche in questo frangente di rappresentarsi in prima persona. L’espressione del proprio sentimento è quindi delegata a una voce autorevole come quella marina. I «notturni battaglioni», infine, sono il tratto più contemporaneo e prosastico della poesia. Supposto ciò, non mutano le implicazioni di una scelta lessicale così distante dal vocabolario ermetico, con il sostantivo «battaglioni» che appartiene al linguaggio tecnico militare e, soprattutto, alla circostanza storica vissuta dall’autore.
Restando nella stessa sezione del libro, due somiglianze sono riscontrabili con questa clausola, in Ritorno e in Soldati a Urbino. La prima delle due termina con «marcia/ di tamburi sinistri» e la seconda con «rombo/ degli autocarri che mordono la montagna». La disposizione sintattica di entrambe è identica, con il tema in fin di verso, separato dal rema che copre interamente l’ultimo verso, mentre costituisce differenza da quella
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di Poesia militare ma ci sono due aspetti comuni a queste tre chiuse. Il primo è l’ordine della sintassi che, con uno strumento semplice, eleva il tono del fatto militare, con la separazione costituita dal fine verso nei due casi riportati e nell’inversione di aggettivo e sostantivo nella poesia esaminata. Il secondo è proprio la collocazione nel finale di poesia dell’elemento bellico disturbante. Gli effetti raggiunti da questa disposizione sono due: si può chiamare la prima, sbrigativamente, una conclusione inquietante, che nel punto finale getta quindi un’ombra sull’intera poesia; la seconda è la preparazione riservata, attraverso un tessuto di versi meno discosti dalla norma poetica, all’inserimento del dato grezzo di realtà. Per il primo risultato ci aggiriamo in una costante dell’atmosfera sereniana, non solo del primo periodo ma della sua produzione intera, ed è l’introduzione di un fattore di angoscia personale che turba l’ambiente esterno, qualunque esso sia. Nel secondo caso, ritornando all’aspetto stilistico, ci si trova davanti a una prudenza linguistica che resta più solida dell’intenzione fenomenologica: il compromesso che ne risulta è il massimo cui possono ambire le cose per essere in poesia.
Questa dialettica bloccata sconfortava l’autore, già in questi anni implacabile punitore di sé stesso, e portandolo a definirsi, in un commento epistolare di Poesia militare, soltanto «uno che ha propositi di poesia»165. Per Sereni il risultato era quindi sgradito: i versi che evocano i tratti della città sono nient’altro che «particolari (…) suggestivi» e viene mancato l’obiettivo di «dire che cos’è stato Garessio nella sua vita166». L’alternativa che egli prospettava alla lingua poetica troppo rigida era la prosa, nutrendo la convinzione che quelle difficoltà le fossero estranee e che attraverso di essa l’espressione sarebbe stata meno problematica, riuscendo quindi a tenere insieme sia la pulsione narrativa che la voce personale. La contraddizione, non risolta prima della terza raccolta, porterà a inserire direttamente brani all’interno del Diario
d’Algeria.