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La Chiesa che combatte le mafie con il Vangelo

La chiesa non dovrebbe vivere distaccata dall’uomo, dalle sue esigenze, dalle sue necessità ma dovrebbe essere chiamata a vivere in questo preciso momento storico, nei nostri quartieri, nelle nostre vite.

Perché se le due realtà, quella ecclesiale e quella civile, camminano ciascuna per conto proprio a soffrire sarà soprattutto l’uomo del nostro tempo119. E’ necessaria una chiesa testimone di speranza, che si mostri partecipe, comprensiva, una guida che miri al bene; chiara e trasparente nel combattere il male. Il riproporsi della violenza mafiosa non può lasciare indifferenti. E non si tratta solo di perdonare, coloro che chiedono redenzione a Cristo, ma si tratta di “curare” il male, destreggiarlo e combatterlo. La mentalità mafiosa si insidia come una malattia e in alcuni luoghi si infiltra subdola e silenziosa. Ed è allora che la Chiesa dovrebbe essere testimone, adottando un sistema preventivo per le giovani leve e curativo per gli altri ed essere coinvolta nelle questioni odierne. È necessario che le piaghe della società divengano temi di dibattito, riflessione e intervento incisivo per la Chiesa. Papa Giovanni Paolo II nella visita pastorale a Siracusa e Catania nel Novembre 1994, esalta l’impegno della Chiesa ad adoperarsi a costruire una convivenza sociale improntata sui valori della concordia e della pace; cercando di operare coraggiosamente per diventare autentico segno di speranza per l’intera società, soprattutto per i giovani. Sono state troppe le morti a causa della criminalità organizzata.

119 MONGAVEROD., GALEAZZIG., La Chiesa che non tace, Rizzoli, Milano, 2011, pagg. 16-17.

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Quando si parla di stragi di mafia, è necessario chiederci se vi sia differenza tra le morti dei tanti martiri civili e i martiri cristiani. Non esistono categorie differenti di vittime di mafia, sia ben chiaro, esistono ragioni differenti. Diverse in base alla propria missione di vita: v’è chi dalla mafia è stato ucciso per il suo impegno civile e chi come Don Pino è stato ucciso per il suo ministero sacerdotale e come tale colpito non solo perché proclamatore dei valori di giustizia e legalità ma anche perché convinto conoscitore della parola di Dio, della forza del Vangelo e della sacralità della vita. Puglisi era spinto nella sua missione dall’ardore delle fede, dalla forza del Vangelo. Chi ha fatto della vita cristiana il proprio prevalente codice deontologico, risponde alle leggi dello Stato, ma in primis a quella di Cristo: all’amore di Dio e del prossimo. La morte di Don Pino, rispetto alle stragi dei giudici siciliani, porta con sé qualcosa di diverso e di fecondo per il cristiano: una lezione e un modello di fede profondi. Fu questo il principale movente della sua uccisione: essere un testimone dei valori cristiani in contrasto con gli ideali mafiosi. Il suo divenne quasi un metodo profetico, quello di annunciare i “diritti di Dio” implicando così anche i diritti degli uomini. Il suo fu uno sguardo di fede profonda che ricomprese le scelte politiche e sociali. Fu un modello di presbitero inattaccabile sul piano morale personale, in missione e obbedienza al vescovo ma vicino ai bisogni del popolo; una nuova evangelizzazione accessibile a tutti, semplice, con laici decisamente attivi. La sua era una pastorale missionaria, che univa lo stile dell’annuncio a quello dell’incontro interpersonale, che culminava in un intervento di integrale promozione umana. Era ben chiaro in lui il problema della società: quello di un rinnovamento dalle fondamenta dell’immagine e dello stile ecclesiale nella assoluta gratuità e della libertà, non solo dalle forme del potere mafioso, ma dal potere sociale tout court120.

120 Cfr. DONSCORDATOC., Dalla mafia liberaci o Signore, Di Girolamo, Trapani, 2014, pagg. 72-108.

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E’ questo ciò che occorre: passare dal trasmettere al comunicare con un metodo unidirezionale e univoco, quale sia la strada della giustizia, nella direzione opposta a quei mafiosi che si credono uomini di Chiesa. La mafia diviene così anche un problema ecclesiale, riguarda cioè la Chiesa, perché essa si è sviluppata in terra cristiana, in una società cristiana, essendo essi stessi, i mafiosi, spesso difensori della religione121 .

Il metodo Puglisi contrasta quello mafioso con un processo alternativo allo status quo, basato su una prevenzione veramente eversiva. Ed è proprio di fronte all’annuncio autentico del Vangelo che si aprono tre strade: l’indifferenza, la conversione e l’opposizione. La terza è quella che ha scatenato i mandanti dell’omicidio del prete di Brancaccio. Infatti, la strategia di don Pino pur non essendo una pastorale contro la mafia bensì dell’ordinario annuncio di promozione umana e cristiana trova di fronte a sé il baluardo di una forma strutturale di Paganesimo, travestito di una religiosità che si muove al confine tra ambiguità ed espressioni di autoesaltazione idolatrica122. Il credo mafioso si spaccia per religioso con riti autonomi e una sua teologia che prende in prestito dal cattolicesimo solo rituali, linguaggio ed esteriorità. Una specie di Chiesa criminale parallela123. Don Pino diffonde un annuncio ed esercita un recupero sociale anche in un ambito territoriale difficile, predicando e praticando la giustizia, che deriva da una fede di speranza e carità. Non si pone obiettivi come la capacità di pentimento etico e conversione cristiana e collaborazione con la giustizia, la quale è una “strategia pattizia laica dello Stato”124. Il Centro padre nostro e le altre

attività pastorali e sociali di padre Puglisi svolgevano la funzione di scardinare una cultura distorta riportandola alla prospettiva umana e

121 Ibidem. 122 Ibidem.

123 SALESI., I preti e i mafiosi, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2010, pag. 131. 124 Ivi, pag.154.

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cristiana del Vangelo125. Non era una azione antimafia ma l’opera di un prete brillante che comprendeva il Vangelo nella sua valenza storica e nutriva una grande fiducia nella potenza del seme buono. La sua era una lotta tra il padre che è nei cieli e il padrino che governava il quartiere di Brancaccio. Rappresentava una sintesi perfetta di uomo di fede che non restava inerte di fronte al male ma invitava gli esponenti di mafia a convertirsi e parlare dialogando per cambiare; camminava e faceva camminare i fedeli della parrocchia sulla via della strada giusta. La sua formazione a tutto tondo con la gente diventava un percorso contro la mafia senza esserlo alla base. Diveniva ontologicamente anti mafioso non tanto perché andava contro la mafia ma perché esercitava un’opera di ordinaria prevenzione e di lotta effettiva al male diffuso tra gli uomini. Era una pastorale che si faceva carico dei problemi civili, che accompagnava la gente e guidava le anime. Era un prete con una mentalità antica da diversi punti di vista, come mostrano le sue celebrazioni sacramentali, legate ad una sacralità profonda; ma anche un prete innovativo, aperto a tradurre in scelte sociali e solidali il suo sacerdozio, attento a promuovere i carismi dei propri fedeli laici e i diritti degli studenti, pronto ad un confronto, risolvendo i problemi di una sola situazione sociale disgregata. Cortese e attivo nei confronti delle persone anziane, dei carcerati, dei sofferenti, dei disoccupati ma soprattutto dei minori. Egli riassumeva in sé la tradizione ma la consolidava con una evangelizzazione caritativa e solidale. Sosteneva che molti giovani, purtroppo, continuano a non avere senso della propria vita perché non hanno trovato nei sacerdoti questo orientamento preciso chiaro nei confronti e verso Cristo. I mandanti dell’omicidio, diviene facile intuire, cercarono di distruggere non tanto un avversario in senso formale ma un modello di uomo di fede che li avrebbe ostacolati anche in futuro; era il cambio di mentalità che più temevano,

125 SAVAGNONEG., La chiesa di fronte alla mafia, San Paolo, Milano, 1995, pag. 108.

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non l’uomo in sé. Fu un’uccisione in “odium fidei”, cioè in odio alla fede cristiana, per aver incarnato quella che era la sua vocazione. Ed è ciò che ha reso la figura di Don Pino, come un esempio cristiano da raccontare nei secoli; il processo di beatificazione che oggi è in atto, ne è una prova significativa. Il suo martirio causato da una profonda difesa dei deboli, improntata sull’educazione della gioventù, il rispetto della giustizia e della legalità, l’acquisizione dei diritti totalmente negati alla gente, lo ha reso un prete “ordinariamente straordinario”.