I PARTE: LE CITTÀ PERSE
2.2 La città nel paese “inesistente, uno spazio per racconti gotici” 72 : (de)costruzione
Il ritratto di Belgrado, tradizionalmente presente nella letteratura e nell’immaginario europeo, è caratterizzato da una colorazione oscura, corrispondente all’immagine della Serbia, la quale con il tempo, e soprattutto con le guerre degli anni novanta, nel processo di riproduzione dell’orientalismo (Bakić-Hayden 1995), è stata gradualmente equiparata con i Balcani73, intesi come lo „schema mentale“, situato nel „sistema stabile degli stereotipi“
70“French and piano lessons”, “summer holidays on the coast and winter holidays in the mountains”, “my parents spent
thousands on their daughters‟ English classes”, vestita in un paio di jeans e le scapre da ginnastica All Star (Goldsworthy 2015). Comunque, Goldsworthy non nasconde la sua posizione privilegiata, di ragazza che negli anni settanta ha vissuto in una casa con quattro camere per ogni membro di famiglia, nonostante i suoi genitori fossero solo degli impiegati.
71Nello stesso tempo l‟autrice si chiede se tutto fosse stato un‟illusione: “Could it really be that I grew up in a world
behind the looking glass, which had no more substance than the painted backdrop on the theatrical stage?”
72 Si tratta di una citazione da Stakleni zid (Tasić 2008: 30).
73Nel frattempo il termine „i Balcani“ è stato sostituito prima con “i Balcani occidentali”, diventando meno
dispregiativo grazie all‟aggettivo “occidentale” con tutte le sue connotazioni positive, per dopo diventare “region” (“regione”) che è completamente neutro. Inoltre, l‟enciclopedia Britannica cita anche il termine „Europa Sud Orientale‟ (“South East Europe”), usato per l‟area più larga rispetto ai Balcani occidentali.
52 (Todorova 2006: 7-10), rappresentando l'Oriente europeo, „stagnante“, „ritardato“, „tradizionale“ e „mistico“ (Bakić-Hayden & Hayden 1992: 1).
Tomislav Longinović, professore all’Universit{ di Wisconsin-Madison negli Stati uniti, a tal proposito scrive:
The global media identified the largest ethnic group of the former Yugoslavia as the biggest culprit for the ethnic violence in the Balkans, as well. It was 'the serbs' led by the vampire-in-chief, Slobodan Milošević, who enforced the rigid historicist model of collective identity by ensconcing the monumental past of the people as the very origin and essence of the linguistic, racial, or cultural origin of the nation. (2011: 5)
Inoltre, durante gli anni novanta la Serbia era vista come la minaccia militare della regione (Kaplan) e i serbi come la fonte del male, mentre alcuni giornalisti stranieri, con talento letterario, riferendosi alla Serbia la chiamavano “the Land of Mordor” (Glenny, 1992: 31, citato secondo Hayden 2014)74. Di conseguenza, anche se non è esplicitato, Belgrado era intesa come la capitale di Mordor e la sede del capo-vampiro, l’unico leader comunista est-europeo che è riuscito a salvare se stesso e il suo partito dal crollo del comunismo facendo “a direct appeal to racial hatred” (Kaplan).
Téa Obreht è una scrittrice americana di origine belgradese, vincitrice del prestigioso premio “Orange”, inclusa nella lista dei 20 migliori scrittori sotto 40 anni delNew Yorker e nell’antologia The Best American Short Stories 2010. Nel suo romanzo The Tiger’s Wife offre due tipi di immagini dei Balcani e di Belgrado, contrapposte tra di loro. È importante sottolineare che Obreht, in realt{, non specifica esplicitamente che si tratta dei Balcani, per cui i rimproveri citati in seguito che riguardano l’autenticit{ dell’immagine da lei offerta, sono solo parzialmente fondati, perché il genere letterario scelto, cioè il romanzo, in teoria lascia spazio per l’invenzione75. L’autrice usa solo nomi inventati, tra l’altro non particolarmente serbi o serbo-croati, ma con un vago eco slavo. Ci sono però alcuni particolari geografici,
74L‟immagine della Serbia data nella chiave dell‟orientalismo è stata usata dai media e dai politici occidentali come la
scusa per il bombardamento del 1999. Nello stesso modo, l‟insistenza sull‟odio centenario descritto da Kaplan, e avente origini da Edith Durham, secondo la testimonianza di Kaplan stesso, è stata usata da Bill Clinton, all‟epoca il presidente degli Stati uniti, come la scusa per non intervenire in Bosnia.
75La ragione per questi rimproveri è nel fatto che l'autrice rispetta le convenzioni della letteratura multiculturale dalla
quale si aspetta di far conoscere l'Altro e la quale è letta nella chiave di ricerca d'autenticità. Inoltre, nel testo ci sono troppi elementi facilmente riconducibili alla storia e alla geografia dell'ex-Jugoslavia. Dato tutto ciò, la questione della responsabilità per la rappresentazione offerta è inevitabile.
53 architettonici e storici, che facilitano il riconoscimento delle localit{ realmente esistenti. Ad esempio grazie al fatto che la Citt{, che si trova sui due fiumi uno dei quali è il Danubio, con lo zoo sulla cittadella dell’epoca turca, è stata bombardata due volte, di cui una nell’epoca contemporanea, permette una facile identificazione di Belgrado (nel romanzo ‘la Citt{’), oppure il vecchio ponte bombardato grazie al quale il lettore facilmente riconosce Mostar (aka Starobor). Secondo il critico di The New York Times Review of Books Charles Simic la scelta di non usare i nomi propri e reali è un tratto positivo, perché oscurando la geografia e alludendo agli eventi storici solo obliquamente, l’autrice riesce ad offuscare deliberatamente la demarcazione tra reale e immaginario, posizionandosi tra la realt{ e il mito76. Per questa caratteristica della sua scrittura, Obreht è stata paragonata dai critici a Gabriel Garcia Marquez, Mikhail Bulgakov e Milorad Pavić (Simic 2011), nonché a Pushkin e Gogol (Levy 2011: 64). D’altro canto, Peđa Jurišić, in una delle rari recensioni negative di The Tiger's Wife pubblicate nel mondo occidentale, trova l'immagine dei Balcani di Obreht considerevolmente problematica, come anche il fatto che i critici occidentali non l'hanno notato:
Despite the amount of attention and ink given the novel, this subject [l'immagine dei Balcani] has remained neglected. The portrayal of the region has been praised but not much discussed.
concludendo che:
The exuberance of the reception that greeted The Tiger’s Wife speaks to two things: the self-evident talent of Téa Obreht on the one hand, and the lingering, unexamined
popularity of Balkan stereotypes [evidenziato da me] on the other.(Jurišić 2013)
In ogni caso, nel romanzo ci sono due grandi linee di trama, che grosso modo dividono i fili del racconto tra il realistico e il fiabesco. La prima riguarda il presente e racconta il viaggio della protagonista Natalia Stefanović, pediatra, dalla Citt{ a un paese
76Invece, secondo la studiosa croata Iva Kosmos leggendo The Tiger’s Wife non si ha la sensazione che il fantastico e il
reale siano intrecciati, perché alcuni miti (il mito delle ossa, il mito della mora) sono svelati, per cui si possono spiegare attraverso l‟abitudine umana (e della tradizione orale) di spiegare le proprie paure attraverso superstizioni. (Kosmos 2013). La fondazione per questa spiegazione si può trovare, tra l‟altro, in una frase presente nel romanzo: “He [il farmacista] learned, too, that when confounded by the extremes of life – whether good or bad – people would turn first to superstition to find meaning, to stitch together unconnected events in order to understand what was happening.” (Obreht 2011: 310).
54 costiero77 che dopo la guerra è finito dall’altro lato della frontiera. Natalia e la sua amica Zora vanno lì per vaccinare i bambini, diventati orfani a causa dell’esercito sotto controllo della Citt{. L’altra linea di trama, invece, descrive la vita del nonno di Natalia, partendo dalla sua infanzia nel periodo della Prima Guerra Mondiale fino alla morte, contemporanea al viaggio della protagonista. Il primo filo serve da “cornice” che avvolge l’altro, composto da una serie di racconti, legati tra loro in modo allentato, per cui a volte il lettore ha l’impressione di leggere una raccolta di racconti, anziché un romanzo. Per la nostra analisi dell’immagine di Belgrado e dei Balcani è importante quasi esclusivamente questo secondo filone, cioè la serie di racconti intorno alla vita del nonno, perché oltre alle descrizioni della vita a Belgrado negli anni novanta, include tutti e due principali elementi magici e folcloristici, ovvero quello dell’uomo immortale e dell’amante della tigre78. Anche se può sembrare che analizzando queste storie, che formano il nucleo del racconto del nonno e sono ambientate nei paesi sperduti nei Balcani, ci si sta allontanando dal tema di questa analisi, ovvero l’immagine della citt{, non bisogna dimenticare che tutto inizia dal momento quando la tigre scappa dallo zoo di Belgrado, nella citt{ bombardata all’inizio della Seconda guerra mondiale, tra l’altro presente anche nel film di Kusturica Underground (Hayden 2014: 14). In questo modo, tutte le vicende avvenute successivamente sono più o meno connesse alla Citt{. Il racconto su Dariša „The Bear“, cacciatore e l'ultima speranza degli abitanti del villaggio del nonno nella quale era venuta la tigre, offre un’immagine interessante di Belgrado nel periodo del Regno di Jugoslavia. Luka, il macellaio sogna di andare in Citt{ e partecipare alla radio, mentre la stessa immagine della tigre che vagabonda per la citt{ trova il suo parallelo nell’episodio sull’elefante che cammina
77La critica serba Aleksandra Đuriĉić nota che, nonostante l‟intenzione dell‟autrice di creare un racconto realistico,
quello del viaggio, il risultato sembra essere prodotto della sua fantasia: “Le immagini del loro viaggio e del trasporto degli aiuti umanitari provengono chiaramente dalla fantasia dell‟autrice, perché assomigliano di più alle missioni a Darfur e in Etiopia, che nei Balcani.” [la traduzione è mia]. Inoltre, il milieu locale è rappresentato attraverso gli stereotipi, evidenzia Đuriĉić: “barbecue a due piedi con tanta cipolla nella mehana locale, i tragicamente sporchi bagni lungo la strada, imparagonabilmente pigri e aroganti doganieri che le tengono al confine”. (Đuriĉić 2011: 444)
78Dato che in serbo il sostantivo “tigar” provoca l‟associazione all‟esercito paramilitare di Arkan (uccisso prima che
iniziasse il processo contro lui alla Tribunale per i crimini di guerra all‟Aia), cioè alla “Guardia volontaria serba”, sopranominata “Arkanovi tigrovi”, il critico PeĊa Jurišić racconta l'aneddoto secondo il quale quando ha menzionato ai suoi amici serbi The Tiger's Wife, gli hanno chiesto se pensava alla cantante Ceca Raţnatović, moglie di Arkan (Jurišić 2013). In ogni caso, è chiaro che il titolo è stato pensato per il mercato anglofono, dove provoca le associazioni agli altri romanzi con i titoli simili o motivi simili, The White Tiger di Aravind Ariga, oppure The Life of Pi di Yann Martel che ha l‟immagine della tigre sulla copertina, definendo in questo modo la posizione “prevista” per Téa Obreht tra gli scrittori “multiculturali” (Kosmos 2015: 37)
55 per la citt{ durante il bombardamento del ’99. Inoltre, anche le descrizioni di Belgrado negli anni novanta, che saranno analizzate più tardi, sono riconducibili al filo che segue la vita del nonno e ad essa legata l’infanzia e l’adolescenza della protagonista Natalia.
Comunque, quello che accomuna queste due linee narrative sono l’onnipresenza della violenza in tutte e sue forme, sia in tempi di guerra che di pace, e la superstizione alla quale non riescono a resistere nemmeno Natalia e suo nonno, nel romanzo portatori dei valori di razionalit{ e scientificit{, in quanto tutti e due medici. Questi due elementi hanno provocato alcune delle più acute critiche del romanzo The Tiger’s Wife, per il resto massivamente elogiato. Per esempio il critico Peđa Jurišić si chiede se il fatto che “superstition abounds, emerges from every mouth, while all narrative strands seem to finish in violence”xi è un segno dell’immaginazione ricca o impoverita (Jurišić 2013), concludendo che in ogni caso non si tratta di un'immagine autentica79. Effettivamente, l'accento sulla natura violenta degli abitanti dei Balcani e sulla violenza onnipresente nella vita, anche quella quotidiana, corrisponde all'immagine che i media occidentali hanno trasmesso dell'ex-Jugoslavia. Tomislav Longinović nel suo studio Vampire Nation: Violence as Cultural Imaginary scrive: „[...] the global media representation of 'the serbs' has been defamiliarized to exemplify the violence that presumably is no longer tolerated by the Western understanding of civilization,“ (Longinović 2011: 6). L’unica differenza nel romanzo The Tiger’s Wife rispetto all’affermazione di Longinović è che Téa Obreht non prende parte, ovvero non attribuisce la violenza ai serbi piuttosto che ai croati o musulmani, promuovendo in questa maniera la politica di riconciliazione e di equiparazione delle vittime (Kosmos 2013), tipica per la letteratura “multiculturale”, di cui si parler{ di più in seguito.
Nel suo influentissimo diario di viaggio Balkan Ghosts pubblicato nel 1990, scritto in maniera essenzialista, Robert Kaplan, tra l’altro, riproduce lo stereotipo dell’odio eterno tra i popoli balcanici80, che l’autore ha probabilmente trovato da Edith Durham in The Burden of
79Al contrario, per i lettori americani l‟immagine autentica è quella che corrisponde alle loro idee pre-esistenti, oppure
nella mancanza di essa, l‟autentica è l‟immagine che è stata creata da uno scrittore che con la sua biografia è in grado di garantire l‟autenticità (vedi: Pisac 2011, Tasić 2009: 65-111).
80Kaplan ha persino deciso di descrivere i serbi attraverso l‟odio verso gli albanesi come se questo fosse la loro più
importante caratteristica nazionale e come se la nazione fosse un‟insieme realmente esistente e non solo una costruzione discorsiva. Partendo da questi pressuposti, l‟immagine creata è per forza essenzialista. Comunque, secondo questo
56 the Balkans (1900), uno di quelli libri che i giornalisti occidentali hanno frequentemente consultato per acquisire le nozioni di base della storia e della cultura dei Balcani all’alba delle guerre in ex-Jugoslavia (vedere: Goldsworthy 2005). Venti anni dopo, la giovane scrittrice Téa Obreht nel suo romanzo ripete la stessa idea:
But now, in the country’s last hour, it was clear to him [al nonno], as it was to me, that the cease-fire had provided the delusion of normalcy, but never peace. When your fight has purpose – to free you from something, to interfere on the behalf of an innocent – it has a hope of finality. When the fight is about unraveling – when it is about your name, the places to which your blood is anchored, the attachment of your name to some landmark or event – there is nothing but hate, and the long, slow progression of people who feed on it and are fed it, meticulously, by the one who come before them. (Obreht 2011: 281).
Questa non è l’unica similitudine tra Obreht e Kaplan. Nello stesso libro, Kaplan scriveva che nei Balcani la storia non è vista come una traccia in progressione nel tempo come nell’Occidente: “Instead history jumps and moves in circles; and where history is perceived in such a way, myths take root” (Kaplan 2014). Téa Obreht in un’intervista ripete la stessa idea:
In Balkan culture, there’s almost a knowledge that reality will eventually become myth. [...] In ten or twenty years you will be able to recount what happened today with more and more embellishments until you’ve completely altered that reality and funneled it into the world of myth. (citato secondo: Jurišić 2011).
La scrittrice usa questo tipo di ragionamento come la scusa per il suo non coinvolgimento sui temi politici e per il trattamento degli elementi storici in maniera molto vaga, per cui la spiegazione del nonno a Natalia:
The story of this war – dates, names, who started it, why – that belongs to everyone. Not just people involved in it, but the people who write newspapers, politicians thousands of miles away, people who've never even have been here or heard of it before. But something like this [si riferisce alla scena dell'elefante che cammina per la Citt{] – this is yours. It belongs only to you. And me... (Obreht 2011: 54).
può essere letta come il suo credo personale.
In questa prospettiva, leggere nella recensione di Observer che nel romanzo è contenuta „a healthy dose of serious history“ (Fischer 2011) è molto più sorprendente rispetto all'affermazione di The Washington Post secondo la quale The Tiger's Wife „draws us
autore, l‟essenzialismo nelle descrizioni di una nazione è del tutto normale, anzi è necessario: “[...] generalisations are necessary, or else discussion would be immobilized.”, afferma Kaplan (Kaplan 2014).
57 beneath the clotted tragedies in the Balkan to deliver the kind of truth that histories can't touch“ (Ron 2011). In ogni caso, per un lettore americano la verit{ sui Balcani non è basata sulla storia, come vorrebbe fare crede Obreht, ma sugli stereotipi trasmessi sia dalla letteratura e dal cinema, che dai media. L'unico punto nel quale sembra che l'autrice stia per prendere una svolta ironica nel trattamento delle leggende e dei miti, è quello dove l'uomo immortale si rivela consapevole dell'esistenza dei vampiri nell'immaginario del popolo e del trattamento dedicato a loro: „Any minute now your Hungarian is going to go outside and call in the others, and then there will be business with garlic and stakes and things. And even if I cannot die, I have to tell you that I do not enjoy having a tent peg put in my ribs81.“ (Obreht 2011: 66). Nel resto del romanzo, Obreht tratta le superstizioni e gli elementi fantastici come se veramente rappresentassero il modo nel quale il mondo è visto nei Balcani ancora nel ventesimo secolo, per cui la critica serba Aleksandra Đuričić sostiene che la scrittrice usa tutti gli elementi che ritiene rappresentino lo spazio dei Balcani secondo i lettori americani82.
Per tornare ai „consigli per il successo“ di Andrea Pisac riportati nell’introduzione, la fortuna del romanzo The Tiger’s Wife può essere spiegata anche attraverso adattamento dell’immagine della Serbia e dei Balcani che il romanzo offre all’immagine pre-esistente. Questo approccio ha portato i critici come Aleksandra Đuričić e Iva Kosmos a paragonare il romanzo di Téa Obreht con gli autori “multiculturali”83, come Jhumpa Lahiri, Kiran Desai, Anita Nair (Đuričić 2011: 445) oppure con Yann Martel e Aravind Ariga (Kosmos 2013), anziché con gli scrittori espatriati dall'ex-Jugoslavia84. Inoltre, Kosmos ha individuato alcune caratteristiche che tutti questi scrittori condividono:
81Il vampiro, a causa del romanzo Drakula di Bram Stocker è senza dubbio diventato uno dei simboli dei Balcani.
Persino il termine è uno di tre termini provenienti dalle lingue balcaniche entrati nell‟inglese quotidiano.
82“Necessariamente sotto l‟influenza di quello che l‟opinione pubblica statunitense le ha servito a proposito dei Balcani
e degli insensati conflitti tribali, e volendo accontentare quell‟immagine stereotipata del suo paese natale, lei si è immersa, forse incosciamente, nei cliché, creando un pastiche di immagini, termini, svolte aspettate e soluzioni comuni nello spazio per il quale non è profondamente sicura se ama o odia”, commenta Aleksandra Đuriĉić (Đuriĉić 2011: 445) [la mia traduzione].
83Vladimir Tasić nel suo saggio „Alegorija kolebljivog fundamentaliste“ questo tipo di produzione letteraria definisce
con il termine „ethno-lit“ (paragonabile ad esempio a „chic-lit“), ovvero „letteratura etnica,che promuove un particolare tipo di alterità adattato all‟orizzonte delle aspettative del pubblico, case editrici e critica anglo-americani”. (Tasić 2009: 68).
84Anche Charles Simic nota questa differenza: “What makes The Tiger’s Wife so special is that it has nothnig to do with
the typical immigrant memoir or the thinly disguised autobiographical novel.” Al contrario delle due critiche sopramenzionate, secondo Charles Simis questo è un‟altro lato positivo del romanzo di Obreht, però è chiaro che lui
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La più importante uniformit{ delle opere analizzate si rispecchia nel livello ideologico: si promuove in maniera non critica l’ideologia di comprensione reciproca e di riconciliazione, di tolleranza religiosa, razziale e nazionale, però senza nessuna traccia di un’analisi più complessa delle circostanze storiche e geopolitiche, le contraddizioni sociali o le analisi dei rapporti di potere tra il centro e la periferia descritta nei romanzi. (Kosmos 2015: 38) [la traduzione è mia].xii
causate anche dal fatto che le opere della cosiddetta “cultura di differenza” sono lette come se fossero le guide turistiche oppure i manuali etnografici (vedere anche: Tasić 2009: 65-111).
Come è stato dimostrato, per il romanzo di Téa Obreht The Tiger’s Wife possiamo dire che si adatta bene alle richieste del mercato e del campo letterario statunitense, che sotto la pressione della teoria postcoloniale ha rinunciato all’approccio coloniale, ma non alla richiesta dell’esotismo, il quale ci si aspetta di trovare nei romanzi degli scrittori del terzo mondo, la Serbia inclusa. D’altro canto per Stakleni zid di Vladimir Tasić si può dire che è il romanzo serbo il quale nella maniera più esplicita decostruisce il processo della creazione delle immagini della Serbia nell’ottica del balcanismo. Il fatto di aver scelto di scrivere nella