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I PARTE: LE CITTÀ PERSE

3.3 La città irriconoscibile

3.3.1 La città in transizione

Svetlana Boym per descrivere il fenomeno della citt{ in transizione riprende il termine citt{ porosa con cui Walter Benjamin ha descritto Napoli, la citt{ dove niente è concluso, dove gli edifici ancora in costruzione stanno accanto a quelli in rovina (Boym 2001: 77). La stessa autrice, inoltre, sostiene che la porosit{ crea il senso di teatralit{ e di intimit{ urbana, perché rappresenta il tempo nella citt{, mentre sia i progetti per una modernizzazione radicale per il futuro sia una fedele ricostruzione del passato hanno per obiettivo la distruzione della porosit{, creando una più totale visione della citt{ (ibid.). Nonostante a Novi Sad di Kiša i hartija si trovino ovunque, le une accanto alle altre, rovine, vecchi edifici, siti abbandonati e nuove costruzioni, la sensazione che il romanzo trasmette non è quella di una citt{ porosa e intima. La ricostruzione, sia fisica sia identitaria, ha trasformato il suo aspetto fino all’irriconoscibilit{, ma la mancanza di una chiara concezione urbanistica, senza nessuna selettivit{, ha cancellato la memoria urbana, seguendo esclusivamente la logica del profitto, del capitalismo nascente la cui crescita si raggiunge “by

94 occupying space, by producing a space” (Lefebvre, citato secondo: Gottdiener & Budd 2005: 91).

I protagonisti del romanzo al ritorno alla citt{ natale devono affrontare una serie di cambiamenti, sia nella cultura, nella mentalit{ e nel sistema dei valori, sia nell’aspetto materiale e architettonico della citt{. In una recensione pubblicata in Serbia, il critico Zlatoje Martinov ha notato che la cultura che i protagonisti trovano al loro ritorno è in grande misura primitivizzata:

Posizionati all’interno della cornice di una nuova cultura, molto primitivizzata [...] loro iniziano a parlare usando il linguaggio dei ricordi della loro citt{, di una cultura completamente diversa nella quale sono cresciuti e che è sparita irrimediabilmente proprio nello schianto tragico della storia, della mitologia e della politica, perdendosi nell’abisso oscuro dei nuovi simboli usa e getta, i quali insieme hanno promosso l’egemonia [velikodrzavlje] della politica e del show-biz e il conseguente kitsch culturale. Dal caos della guerra è nato il disordine dopo guerra dal quale, invece delle istituzioni stabili, ha iniziato a prendere forma una gerarchia di violenza e anarchia.xlvi

(Martinov 2004).

Poiché la memoria risiede nel muoversi, attraversare, fare deviazioni (Boym 2001: 80), ognuno dei tre protagonisti di Kiša i hartija che tornano a Novi Sad dall’estero, cerca di riappropriarsi della citt{ vagabondando, andando nei posti dove una volta si poteva trovare la gente come loro, perché il ritorno a casa è in realt{ il ritorno in una comunit{ immaginaria (Boym 2001: 256):

[Žorž] cercava i posti dove prima, mentre ancora conosceva la ‘sua’ citt{, poteva incontrare i sognatori, fumatori di canna, musicisti, narratori, fumettisti, folli, che ancora amano quella cittadina gonfiata come se facesse uso di steroidi, la amano abbastanza per raccontare storie e leggende di essa, [...] per iniziare la rivoluzione se qualcuno solo menziona la costruzione di un parcheggio nel centro storico, per entrare nelle catacombe e cercare il tunnel sotto il fiume, per passeggiare tutta la notte perché non hanno più dove andare. Dove siete, fantasmi? Non potevano sparire. Non potevano.

xlvii(Tasić 2004: 71 ).

Il piccolo gruppo degli amici di Tanja, che per la maggior parte si è formato a caso ma anche grazie al riconoscimento reciproco della particolarit{ di ciascuno e della confusione provocata dallo shock culturale davanti alla citt{ trasformata, si potrebbe definire “la comunit{ immaginaria degli stranieri sognanti”, il termine coniato da Svetlana Boym per

95 indicare il desiderio di casa di quelli esuli, interiori o esteriori, dalla comunit{ immaginaria della nazione.

In giro, invece, c'è della nuova gente, venuta durante gli anni '90, quando, come si ricorda la protagonista, “la citt{ si stava svuotando. Oppure, no. Non si stava svuotando. Spariva la gente che conoscevo; appariva la nuova gente, più infelice”xlviii (Tasić 2004: 140). Questa gente ha accettato i cambiamenti perché non ha, e non può avere, dei ricordi della citt{ com’era una volta. Inoltre, anche nel sistema dei valori è avvenuto un grande stravolgimento durante la guerra e immediatamente dopo, con l’apparizione di quelli che si arricchivano senza scrupoli – “i tipi del quartiere” i quali contrabbandavano e distribuivano la benzina, le sigarette, l’extasy, la cocaina, guidavano le macchine di lusso e parlavano delle armi (Tasić 2004: 192). A causa del loro comportamento prepotente sembrava che la citt{ appartenesse esclusivamente a loro, come se non esistesse nessun altro:

Davanti al caffè ‘Pelagija’, nel quale una volta si radunavano attori, poeti, musicisti, vide la fila delle limousine nere con le targhe a quattro cifre. Un’Audi con la targa 16-00 era parcheggiata sulla fermata dell’autobus, la gente saliva sull’autobus in mezzo alla strada, si creò la colonna dei veicoli, si sentivano parolacce e minacce, impotenti, perché nessuno venne a spostare la macchina.xlix (Tasić 2004: 71).

Sotto l’influenza di questi ultimi, anche la gente (come ad esempio Đura, uno dei protagonisti che prima credeva nei valori della vita civile e della cultura alta e alternativa, rappresentata attraverso i “ricordi-lampo” in Oproštajni dar), sentendosi miserabile, ingannata o invidiosa, ha cercato di adattarsi.

Il cambiamento di interessi “culturali” è testimoniato anche dalla scarsa affluenza al caffè-libreria di Đura, nel quale è finito l’intero inventario dell’ultima libreria alternativa della citt{. Questo luogo di incontro e di condivisione (di sogni, storie, miti, risate, idee) per i protagonisti, grazie alla sua posizione in una stradina sotto la fortezza, si riempiva durante il festival della musica “Exit”149. Subito dopo, però, quando vanno via tutti quei giovani, “venuti

149 Il festival è nato nel 2000 dall‟idea degli studenti dell‟Università di Novi Sad e il suo nome aveva connotazioni

politiche, perché si riferiva alla situazione attuale, un anno dopo il bombardamento della Serbia e all‟impossibilità di uscire dal paese. Il primo festival era localizzato davanti alla Facoltà di Filosofia (dove oggi si trova la sede del Rettorato di cui all‟epoca c‟era solo lo scheletro in cemento armato), è durato l‟estate intera (una delle idee era anche

96 nella citt{ per ballare al ritmo dell’industria del divertimento credendo che fosse la musica di un altro e migliore mondo” l (Tasić 2004: 202), il profitto cadeva a zero. Anche se nel romanzo di Tasić lo slogan di questo festival – “The State of Exit” – non è menzionato (lo slogan è stato inventato nel 2003), è interessante notare come questo sintagma, apparentemente semplice, nello stesso tempo promette la liberazione, l’uscita dall’ordinario stato mentale (se la parola ‘exit’ si intende nel senso letterale e non come il nome proprio) e rappresenta un simulacrum (Baudrillard), dato che lo spazio del festival si presenta come un territorio indipendente con le proprie regole e la propria valuta.

La crisi sociale della formazione dell’identit{ urbana è rappresentata attraverso la metamorfosi della cultura in spettacolo, edonismo, consumismo (Iraz|bal 2007: 200), di cui l’Exit è un buon esempio, mentre la sua ultima forma è il kitsch. La narratrice, dopo aver capito che i vecchi posti nei quali una volta usciva, sono pieni di gente così radicalmente diversa da lei e da quelli che ci andavano una volta, che i discorsi che sentiva sembravano lontani come se li ascoltasse attraverso un vetro impenetrabile (Tasić 2004: 158), continua la ricerca sperando di trovare qualche nuovo posto dove sentirsi a suo agio. Invece trova una dimostrazione personificata del nuovo sistema assiologico:

Cercavo i nuovi posti; vagabondavo. Tutti andavano da qualche parte. [...] Accanto a me sul boulevard passavano le Audi e le Mercedes con i vetri oscurati, le jeep che se ne fregavano dei semafori, le Kawasaki che strillavano come i feriti, le ragazze con i berretti da baseball nelle yugo-cabrio dalle quali tuonavano i gangsta-rapper infuriati, e io li seguivo, non sapendo perché, affascinata da quella processione.li (Tasić 2004: 159). Tuttavia, il fascino iniziale per il nuovo volto della citt{, che la protagonista sta scoprendo, è di durata estremamente breve e viene sostituito da lacrime, nausea, paura, repulsione (Tasić

quella di incoraggiare i giovani di recarsi alle elezioni), non esistevano i biglietti perché lo spazio era completamente aperto e l‟elemento della cultura pop e dell‟industria di divertimento puro era controbilanciato dai numerosissimi spettacoli, discussioni, proiezioni cinematografiche. L‟anno successivo, il Festival si è spostato sulla fortezza, ha introdotto i biglietti e ha ridotto la durata prima a nove e poi a quattro giorni. L‟accento si è spostato verso la cultura di massa, concentrando l‟attenzione sul main stage, sul quale di solito si esibiscono le star della musica pop, elettronica e qualche volta mainstream rock, e sul “dance area”, uno grande spazio riservato solo per la musica elettronica. Nonostante l‟Exit abbia portato un grande numero di turisti stranieri, i quali probabilmente non avrebbero mai sentito parlare di Novi Sad, la sua influenza non è esclusivamente positiva: a causa della sua visibilità internazionale, una grande parte dei fondi dedicati alla cultura viene tolta ad altre organizzazioni, festival e associazioni culturali (spesso di più alto livello culturale e più aperti verso i cittadini di Novi Sad), e assegnata a questo festival, il quale quando si tratta del prezzo dei biglietti (generalmente alti per lo standard in Serbia), non fa la differenza tra gli abitanti del posto (i quali l‟hanno parzialmente finanziato attraverso le tasse) e gli stranieri.

97 2004: 163), perché la narratrice da questi nouveaux riches sentiva “l’odio verso l’urbano, civilizzato e emotivo”lii (Z.M. 2004). La sofferenza provocata dallo scontro con la volgarit{, l’economia di rapina e la falsit{ che la circonda, culmina nell’incontro della protagonista con una donna che piange per il cane ucciso da un autista di tutte queste Audi, Mercedes e Kawasaki, il quale ha proseguito senza fermarsi. Tanja si rende conto che la gente continuava a passare accanto ignorando questa donna disperata, cercando il proprio piacere, “sogni, inganni, illusioni che chiameranno la realt{”liii (Tasić 2004: 162). La focalizzazione sulla storia e la tradizione (intesi nei termini di nostalgia restauratrice e aventi la missione di soprimere la memoria (Nora 1989: 9)), l’intorpidimento emozionale e una completa assenza d’umanit{ e d’empatia negli esseri umani che passavano, è definita dalla narratrice con il termine ‘kitsch’, il godimento pericoloso, perché il suo oggetto non ha l’importanza:

La gente ammira la propria ammirazione, il proprio piacere nella parata degli simboli conosciuti. Qualche volta questo è innocuo. [Però] il kitsch si trasforma facilmente in tirannia. [...] La fede, la bandiera, la tradizione, il mercato libero. Non importa. Il kitsch richiede l’obbedienza. [...] Diventa paranoico. Vieta. Uccide. liv (ibid.)

Invece, il kitsch, intendendo la manifestazione dell’estetica e l’etica del consumismo (Calinescu 1977: 231, citato secondo Irazab|l 2007: 202), spesso è accompagnato da simulacrum i quali offrono la promessa che la bellezza si possa vendere e comprare150 oppure la sospensione della realt{, per quelli che possono premettersi di acquistarli:

Giravo a caso a sinistra o a destra, verso il fiume, fino al fiume, verso le file di panifici e pizzerie che guadagnano importi come da spaccio di eroina vendendo le fette di pane con un po’ di ketchup. Guidavo accanto al salone di immobili e ai negozi di ceramica italiana – mi fermai accanto a uno e vidi il modello ‘Splendore delle stelle’, il box di vetro con le panchine di ceramica, l’impianto stereo e le lampade alogene che simulano

il cielo stellato per circa quindici mila euro [sottolineato da O.M.]– ai negozi, di cui le

insegne al neon erano illuminate in colori radioattivi, come una caricatura triste, il sorriso dei clown e la lacrima disegnata, i quali pregano, supplicano, elemosinano i sorrisi e le lacrime, i veri sorrisi e le vere lacrime.lv (Tasić 2004: 164).

Nonostante sia ben noto che in Serbia la maggior parte dei cittadini fosse (e sia ancora) troppo povera per poter anche solo sognare di acquistare uno qualsiasi di questi oggetti, sembra che, a parte i protagonisti del romanzo, tutti abbiano accettato questa nuova

150 Convinzione strettamente legata al fenomeno del „kitsch‟ nel mondo del consumismo. “Kitsch has to do with the

modern illusion that the beauty can be bought and sold”, scrive Clara Irazábal nella sua analisi del kitsch e dell‟iperkitsch a Las Vegas (2007: 202).

98 situazione: il capitalismo che li impoverisce sia materialmente che culturalmente, costringendoli ad affondare, senza resistenza e indignazione, nell’invisibilit{ dietro i nuovi ricchi, persino cercando di imitarli.

Visto che “un cambiamento del quadro politico può causare [una] rimozione dei ricordi collettivi” (Assmann 2002: 146) e “non sono solo i ricordi a stabilizzare il gruppo, ma anche il gruppo a stabilizzare i ricordi in quanto tali” (ibid.: 68), non è sorprendente che la citt{ rappresentata in Kiša i hartija abbia ampiamente dimenticato la sua identit{ urbana. Mentre “ogni idiota sa [...] perché il turco ammazzò Ilija Birčaninlvi151” (Tasić 2004: 69), Nestor ha scoperto solo tramite i musicisti con i quali suonava a Praga, che una volta a Novi Sad l'intero palazzo dello sport chiedeva “bis” al gruppo di jazz sperimentale Art Ensemble of Chicago (ibid.: 168). Tuttavia, poiché ogni “ricordo soggettivo procede in modo essenzialmente ricostruttivo: si origina sempre dal presente e pertanto comporta inevitabilmente [...] una deformazione, un'alternazione, [...] un rinnovamento del dato ricordato, che dipende dalle circostanze temporali in cui esso viene richiamato alla memoria” (Assmann 2002: 30), la citt{ nei ricordi dei protagonisti, decisi a non accettare il nuovo paradigma “culturale”, è indubbiamente idealizzata.

Siccome la memoria è strettamente legata agli spazi, per provocare un’amnesia collettiva è necessario distruggerli, perché non bisogna dimenticare che dalla emigrazione dei protagonisti al loro ritorno sono avvenuti dei cambiamenti radicali, un sistema politico ed economico è sparito, e con esso il relativo stile di vita. Inoltre, una nazione, in quanto la comunit{ immaginaria è stata artificialmente “uccisa”. In alternativa, è possibile sostituirli con qualcosa di più adeguato o semplicemente più fruibile, dal momento che l’ars oblivionalis, come Umberto Eco chiamava l’arte di dimenticare, funziona non tramite cancellazione, ma tramite sovrapposizione (citato secondo: Boym 2002: 108). Per questa ragione, i luoghi, che i protagonisti conoscevano, con i quali si identificavano, che rappresentavano i punti cardine della memoria culturale della loro generazione, non esistono più o sono stati sostituiti dalle

151 Ilija Birĉanin (1764-1804) era il knez (duca) serbo ucciso dai turchi durante il massacro dei duchi nel 1804, nonché il

personaggio della poesia popolare Početak bune protiv dahija. Comunque, il personaggio storico di Ilija Birĉanin non ha nessun‟importanza per il romanzo – serve solo da metafora per la nostalgia restauratrice con il suo interesse per la creazione della nazione.

99 nuove costruzioni, i nuovi bar, le nuove agenzie, la nuova gente – le rappresentazioni di una nuova identit{ della citt{, l’incarnazione del potere, che provocano lo stupore dei protagonisti, il senso di non-appartenenza, la confusione e la mancanza dei riferimenti spaziali nella citt{ che una volta consideravano ‘la loro’:

Molti di quei ‘vecchi posti’ non esistevano più. La libreria ‘Guy Debord’, in via Mornarska, era stata abbattuta. Al suo posto si alzavano i palazzi residenziali nei colori pastelli [...]. La videoteca ‘Bernard Panasonic’ [...] era stata trasformata nel club dell’Associazione delle modelle [...]. Continuò a camminare lungo il boulevard, passò accanto al tram stazionario dal quale strillava la musica dance locale.lvii (Tasić 2004:

71).

In ogni caso, sarebbe sbagliato credere che a Novi Sad sia mai stata adottata una chiara politica urbanistica, come in alcune altre citt{ in transizione152, con l’obiettivo di distruggere gli strati storici indesiderati per ricreare una nuova identit{. Di conseguenza, la protagonista, Tanja, guidando per la citt{ trova un caos architettonico, i palazzi che sembrano strappati dai loro posti e caduti da qualche altra parte a cui definitivamente non appartengono, con elementi di segregazione sociale rappresentati dalle mura alte intorno alle case dei nuovi ricchi nonché dalla netta linea dell’argine che separa il quartiere dei poveri da quello dei “patrioti con numerose macchine tedesche”153:

Guidavo nei viali [...] passai accanto all’ospedale e al cimitero, per le strade vicino al parco, il quartiere degli edifici mostruosi, recintati con le mura alte e illuminati con i riflettori gialli o verde pallido. Sembravano massi strappati, che un’esplosione [...] potente aveva strappato dalle radici e mandato in orbita solo perché la gravit{ [...] li riportasse a terra, in qualche altro, per loro strano, posto, nei detriti. Dovunque si costruiva qualche cosa, nuovi palazzi, chiese, case, centri commerciali e filiali di banche di terza classe, dovunque erano lasciate gru, impalcature e betoniere, dietro le quali, solo a volte, potevo intravedere i muri con le scritte che ricordavo da prima, e più recenti, che non ricordavo o ricordavo solo parzialmentelviii (Tasić 2004: 163-164).

Poi, guidavo verso la periferia, vagabondavo nel labirinto da incubo dei palazzi identici, le macchine abitative, mi trovai nella valle spettrale delle case non finite, fatte di

152 Vedere: “Moscow, the Russian Rome”, “St. Petersburg, The Cosmopolitan Province”, “Berlin, The Virtual Capital”,

in: Boym (2001), The Future of Nostalgia, New York: Basic Books.

153 Si tratta del quartiere di Adice, di cui una parte è praticamente “slum”, con la popolazione disagiata e marginalizzata,

spesso di etnia Rom, mentre dall‟altro lato dell‟argine si trovano le case costruite perlopiù dalla diaspora, i gastarbeiter. L‟intero quartiere è costruito senza nessun piano urbanistico e non di rado mancano le infrastrutture di base. A causa di un grande numero di strade non asfaltate, tra i novisadesi circola l‟aneddoto che quando piove nemmeno i tassisti vogliono andare ad Adice.

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mattoni con il nylon sulle finestre, tornai e girai verso il fiume, entrai nel buio più profondo, passai accanto al cinema abbandonato, spuntai all’argine che separava le

haciende dei patrioti con numerose macchine tedesche dai bassifondi con i pollai

accanto ai quali camminavano i bambini sporchi con i bastoni nelle mani, i bambini che fumavano, sputavano nella polvere, davano i calci agli scatoloni incendiati, ‘giocavano’. (Tasić 2004: 163-166)lix.

La protagonista, Tanja, la quale sognava di iscriversi agli studi di architettura, immaginando che gli architetti vedono le citt{ “come gli esseri viventi, con i polmoni, la circolazione del sangue, il viso, qualche spalla nuda, il dettaglio scoperto che allude e promette”lx (Tasić 2004: 141), di fronte alla bruttezza della citt{ trasformata, tremava come “la macchina portata al limite dello sfinimento”lxi (ibid.: 166).

Con il processo di trasformazione della citt{, in questo caso durante la transizione, è strettamente legato il fenomeno di gentrificazione, che rappresenta un tipo di rinnovamento della citt{ e comporta “the inflow of capital investment into the real estate of an already existing place in the metropolitan region whose values are depressed” (Gottdiener & Budd 2005: 32). I protagonisti di Kiša i hartija sono dolorosamente coscienti che se la gentrificazione continuer{, nel prossimo futuro non si potr{ più vedere nemmeno una nonna che dalla finestra guarda la piazza vicino al centro (Tasić 2004: 15), perché ogni casa sar{ sostituita con un palazzo moderno, con appartamenti e uffici di lusso, per cui tutti coloro che non parteciperanno al flusso di capitale saranno respinti in periferia.

Il processo di gentrificazione comprende anche la riqualificazione delle aree industriali abbandonate nell’era post-industriale, che i protagonisti sentono come l’ultima parte della citt{ che gli appartiene ancora e alla quale appartengono. “Da dove viene l’idea che apparteniamo a qualche luogo, che qualcosa ci appartiene, almeno quel labirinto di capannoni vuoti, laboratori di fabbriche chiuse, magazzini con le finestre rotte?”lxii (Tasić 2004: 23), si chiede Tanja, aggiungendo che per loro quello spazio rappresentava una metafora, la parte dello spazio “non marcato”, qualcosa che sarebbe potuto diventare la loro casa, intesa nel senso spirituale. Sfortunatamente per loro, questo spazio, che corrisponde al quartiere conosciuto come “Kineska četvrt” (nel romanzo questo nome non è menzionato), a causa della sua posizione, sotto il ponte, lungo l’argine sul lato della citt{, vicino ad uno dei più importanti boulevard, risultava, e risulta ancora, attraente per l’investimento di capitale. Per questa

101 ragione non poteva sfuggire ai progetti del cosiddetto “sviluppo lungo le rive” (“waterside” o “waterfront (re)development”), simile a quello di “Belgrado sull’acqua” precedentemente analizzato, e caratteristico per il rinnovamento urbano di molte citt{ sui fiumi o sulla costa in tutto il mondo154. Questo spazio pubblico, anche se ancora abbandonato nel periodo descritto nel romanzo, per i protagonisti e per l’identit{ urbana della citt{ è importante, perché porta in sé il potenziale di svilupparsi in qualcos’altro, anziché in un altro centro commerciale o in una banca155, “l’equazione tra il sangue e il capitale”lxiii (ibid.: 24). Però, come afferma Ana Vilenica, ricercatrice, teorica e curatrice del volume Na ruševinama kreativnog grada, “quando si tratta