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I PARTE: LE CITTÀ PERSE

5.2 La Vienna tascabile

Sebbene in Croazia esista la consapevolezza degli effetti negativi del governo austro- ungarico (vedere: Tuđman 1992a e Tuđman 1992b, perché ne ha limitato lo sviluppo, nel balcanismo l’essenza della nazione croata, e anche quella delle altre nazioni jugoslave, è espressa proprio attraverso l’influenza dei governatori stranieri. Conseguentemente, nei paesi al nord-ovest della Jugoslavia, ovvero in Croazia e Slovenia, il carattere europeo e apparenti vantaggi dell’Impero austro-ungarico erano sottolineati, mentre l’Impero ottomano veniva accusato per le “malattie” del resto del paese (Bakić-Hayden & Hayden 1992: 5). Milica Bakić- Hayden e Robert Hayden evidenziano che i benefici del governo degli Asburgo e la degradazione dell’Impero ottomano non erano per niente ovvi a quelli che vivevano in questi due imperi. Mentre i cristiani nell’Impero ottomano godevano un’autonomia considerevole, i contadini dell’impero austro-ungarico non avevano praticamente nessun diritto fino all’inizio

[...] perché faceva parte del „cordon sanitaire“ contro la Germania ma anche contro la nuova minaccia dall‟Est – la Russia Sovietica. In questa maniera al popolo croato, per la seconda volta nella sua storia, è toccato difendere l‟Europa e la civiltà occidentale. Però, in poco tempo si è scoperto che il popolo croato venne sacrificato un‟altra volta. (TuĊman 1992b).

243 Nei casi quando è stato usato, l'obiettivo era di rappresentare l'Altro in modo negativo, ad esempio: a proposito del

veto della Grecia all'adesione della Macedonia alla NATO Večernji list scrive: „Doveva veramente vincere la ristrettezza mentale balcanica contro le indiscutibili sfide alla sicurezza e alla stabilità di una regione critica?“ („Zar je balkanska sitniĉavost zaista morala nadvladati nedvojbene izazove sigurnosti i stabilnosti jedne krizne regije?“.

Večernji list (2008). „Grĉka voda na srpski naĉin“. Citato secondo Šarić 2008: 67).

244 Si riferisce all‟affermazione di Tony White, citata nell‟introduzione a questo capitolo, secondo la quale Zagabria

159 dell’ottocento, quando i paesi sotto i turchi avevano gi{ intrapreso il percorso verso l’indipendenza (ibid.).

Tena Štivičić nel suo saggio „Prvo lice, Druga“ decostruisce proprio l'idea secondo la quale i legami storici con l'Impero degli Asburgo e la sua influenza abbiano avuto un impatto positivo sulla cultura e sull'identit{ croata. Štivičić nota che le evocazioni del patrimonio austro-ungarico sono un luogo comune nei discorsi quotidiani, ma che se ne parla raramente con tono elogiativo e lusingante, come invece lo facevano i politici cercando di rinforzare l'idea dell'appartenenza della Croazia all'Europa (Štivičić 2014: 90).Invece, proprio quello che è meno attraente nella mentalit{ di zagabresi e croati, a patto che sia possibile parlare della mentalit{ di una nazione, di solito si attribuisce all'eredit{ austro-ungarica:

Quel qualcosa di malaticcio nella mentalit{ croata, se è possibile parlare della mentalit{ di una nazione intera, ma quel qualcosa zagabrese di cui i zagabresi non vanno fieri – la tendenza di non uscire in strada, di abbassare la testa, di obbedire alla legge, alle regole e alla burocrazia, la tendenza verso il conformismo e la mancanza di passione balcanica – quello sono le cose che attribuiamo all’influenza austro-ungarica. Infatti, noi non eravamo così finché l’Austria non ci ha piegaticxxi. (ibid.: 90).

A tal proposito, Štivičić si domanda se esiste veramente un denominatore comune per i paesi che una volta facevano parte dell'Impero degli Ausburgo245 grazie al quale ci sarebbe possibile parlare di un unico spazio spirituale, come quello balcanico. Secondo questa autrice, la condizione necessaria per poter considerare comune una qualsiasi cosa è l'esistenza di influenze reciproche, e non solo unilaterali come nel caso della Croazia e dell'Austria (ibid.: 90). Nonostante tutto ciò, la Croazia, pur di ‘scappare’ dai Balcani, preferisce essere paragonata all’Austria, anche essa diventata ‘tascabile’ da quanto non fa più parte del grande Impero austro-ungarico, alla quale l’autrice si riferisce usando il nome “Kakania”, richiamando in questa maniera una delle più grandi opere del novecento, ovvero L’uomo senza qualit{ di Robert Musil.

245 Al contrario, Dubravka Ugrešić nel saggio „The Spirit of Kakanian Province“ sostiene: „[...] the Austro-Hungarian

monarchy [...] stamped a watermark on the souls of its subject, an internal landscape, the coordinates of periphery and center.“ (Ugrešić 2013: 289).

160 Un’altra scrittrice croata, Dubravka Ugrešić, nel saggio intitolato „The Spirit of Kakanian Province“ del 2012, descrivendo in modo critico lo spirito provinciale della Croazia, sottolinea che alla fine dell'ottocento, questo paese post-jugoslavo cercava di liberarsi dall'Austria, ovvero dall'Impero sottoposto al potere di Vienna246. Questa citt{, pur essendo la prima metropoli della letteratura croata (Šenoa, Kumičić, Gjalski, J. E. Tomić), dove anche gli intelletuali andavano per studiare e gli artisti per affermarsi, spesso occupava il ruolo dell''eroe negativo' e 'l'Altro indesiderato' (Nemec 2010: 9), anche se nello stesso tempo figurava come il centro, rispetto al quale si definiva la provincia. Comunque, oggigiorno l'importanza di Vienna, in quanto centro culturale, è diminuita a livello europeo e mondiale. Come nota la sopraccitata Ugrešić: „Kakanian metropolises have long since lost their attraction and pizzazz. The center move elsewhere. I am guessing that today's writers in Prague, Budapest, and Vienna envy rare compatriot whose name appears as a contributor in – The New Yorker.“ (Ugrešić 2013: 290).

Benché attualmente247 a Zagabria convenga la comparazione con questa metropoli europea, in primo luogo per le sue connotazioni centroeuropee (Štivičić 2014: 90), Ugrešić evidenzia il provincialismo che sta dietro a paragoni del genere quando sono usati per autodeterminarsi, perché rispecchiano lo sforzo dei paesi più piccoli di “leap on board the train of history and inscribe themselves on the map” (Ugrešić 2013: 302). Il primo presidente croato, autoproclamatosi ‘il George Washington croato’ ha proclamato Zagabria la metropoli, paragonandola con la piccola Vienna e la piccola Parigi (ibid.). Nel suo saggio “Prvo lice, Druga” Tena Štivičić, partendo dall'analisi delle reazioni dello stesso paragone, ovvero di Zagabria con la Vienna 'tascabile', questa volta fatto dal giornalista Tony White, descrive la prepotenza e l'illusoriet{ di convinzioni del genere: „[...] Zagabria è negli occhi dei zagabresi la capitale di un paese dell'Europa Centrale, una indubbia metropoli. Il fatto che gli altri non riconoscono la sua potenzialit{, per il momento è una nostra perdita, ma tra poco indubbiamente diventer{ la loro.“cxxii (Štivičić 2014: 89). Similmente a Ugrešić, Tena Štivičić

246 “Croatia was torn between Austro-Hungary and its dream of indipendence, a possible alliance of Southern

Slavs”, afferma Ugrešić, notando che la situazione croata cento anni dopo, cioè alla fine del XX e all’inizio del XXI secolo non era radicalmente cambiata, perché Croazia, anche in quel momento si trovava al bivio, solo che questa volta era diretta in direzione opposta.

161 evidenzia il complesso di inferiorit{ delle piccole nazioni che si nasconde dietro questo tipo di ragionamenti della gente comune, incoraggiati dalla politica ufficiale: “Le piccole nazioni capiscono che sono condannate a rimanere piccole. [...] E l’unica cosa che le può succedere è estinguersi. Perciò cercano [...] di dimostrare la propria genialit{.”cxxiii (ibid.: 91). La fragilit{ dell’identit{ delle piccole (e soprattutto delle nuove) nazioni si riflette anche nella loro auto- vittimizzazione, mentre gli stereotipi che il centro applica a loro e la negligenza con la quale tratta lo loro singolarit{, vengono ricevuti come delle offese:

Quando, ad esempio, ho accettato la borsa semestrale per lo studio in Svizzera, tutti i miei connazionali, maggiormente quelli che non ci sono mai stati, mi consigliavano di non andarci perché la noia mi avrebbe uccisa. Perché noi, zagabresi, siamo abituati a vivere in quarta. Da noi, anche l’esperienza della spesa è tesa come un thriller. La panna acida e il formaggio riusciranno ad entrare nell’Unione Europea, oppure ce li confischeranno per distruggere il nostro senso d’identit{ e per trasformarci in un grande Starbucks sul mare. E noi, noi siamo qualcosa di molto più complesso, la chiesa con il campo da calcio e il centro commerciale. Sul mare.cxxiv (ibid.: 91).

La visione binaria del mondo diviso tra “il primo” e “il secondo”, ovvero tra “noi” e “loro”, messa in rilievo gi{ dal titolo di questo saggio, riflette il problema identitario della Croazia intrappolata tra i Balcani e l’Europa centrale, nonché la condizione di immigrante dell’autrice. Proprio grazie all’esperienza d’emigrazione, Štivičić riesce ad avere una visione più completa del forte contrasto tra la percezione occidentale e l’autopercezione del suo paese natale, anche se ammette che nei ricordi “la paese che non è mai esistito viene idealizzato fino a caricatura”cxxv248 (ibid: 94). Mentre la Croazia si ritiene l’Occidente, nel più occidentale dei paesi europei, la Gran Bretagna, l’autrice è considerata un’est-europea, anche se l’Europa si è

248 Tena Štiviĉić evidenzia il processo di idealizzazione a distanza del proprio paese, appoggiandosi sulle immagini

stereotipate: A casa la gente è aperta e cordiale, ti darebbero una mano, dividerebbero con te l‟ultimo boccone. A casa la gente condivide tutto volentieri, aprono le porte delle lore case e non proteggono gelosamente il loro tempo e il loro spazio solo per loro stessi. A casa la gente ti darebbe il passaggio fino alla tua porta, e non fino alla prima fermata della metropolitana. I vicini si salutano e aiutano, nel frigorifero del vicino si può tenere la torta del compleanno, il vicino ti guarderà il bambino, il cane, il pesce o la pianta. A casa fa più caldo, il sole spledne di più, piove di meno (vabbè, questo è un dato di fatto), i cambiamenti climatici ancora non hanno colpito la Croazia come lo è successo all‟Occidente, noi ancora abbiamo tutte e quattro stagioni, inverni nevosi, estati calde. La prugna viola cresce solo da noi e da nessun‟altra parte né più a nord né più a ovest in Europa, l‟Europa non sa nemmeno quanto la prugna possa essere dolce. L‟anguria si mangia con le braccia sporche fino ai gomiti e sono dolcissime, e non tagliate a pezzettini e confezionate in plastica. In Croazia esiste la comunità, si lavora di meno, la vita non assomiglia a un‟alveare, si sta di più in compagnia (forse è per quello che abbiamo così tanti problemi), e sebbene ci siano sempre più numerose indizioni che anche i croati, come tutti gli altri, vivono una vita falsa su Facebook, la società spezzata agli individui naricisisti ancora non ha sopresso il senso di unità. Il mio paese è ancora felicemente incosciente dei suoi pregiudizi razziali e xenofobi. (Štiviĉić 2014: 95).

162 riunita molto prima che lei emigrasse249: “Gli est-europei sono diventati, temporaneamente, il mio popolo. E i balcanici, a Londra, gli unici ‘noi’ e i ‘nostri’.”cxxvi (ibid.: 93). La sua facile accettazione di questa sua nuova identit{ è la conseguenza della solitudine metropolitana, dell’incontro con l’alterit{ accentuata (al contrario di quella artificialmente creata tra i popoli dell’ex-Jugoslavia), nonché del centrismo culturale dell’Europa occidentale (ibid.: 93). Al contrario dell’autrice che accetta la sua identit{ balcanica e cerca di superare la differenza culturale, il suo paese di provenienza ancora rifiuta di appartenere ai Balcani. Per sottolinearlo, Štivičić fa riferimento ai motivi dei film di Kusturica, che probabilmente più di ogni altro artista dell’ex-Jugoslavia ha contribuito al rafforzamento degli stereotipi occidentali su questa regione: “[...] i Balcani sono quel luogo dove i Rom levitano sopra l’acqua, dove la gente va in giro con l’anatra sulla spalla, dove si beve e mangia come se non ci fosse domani, dove si banchetta e dove le passioni sono disinibite” (ibid.: 90)cxxvii. Eppure, i Balcani, immaginati in questa maniera esotica e orientalizzante sono, come evidenzia Štivičić, molto più interessanti all’Europa rispetto all’Austria, con la quale si accetta volentieri il paragone in Croazia.