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I PARTE: LE CITTÀ PERSE

4.3 Due volti di un ritratto funebre

4.3.1 La città in via di sparizione

Come è gi{ stato menzionato, la vita quotidiana sarajevese non è stata oggetto privilegiato dei giornalisti di guerra, anzi. Jean Baudrillard nel suo radicale198 articolo „Pas de pitié pour Sarajevo“199 pubblicato nel 1993 sul giornale La Libération spiega che la sofferenza nell’immagine di Sarajevo non proviene dal bisogno dei suoi cittadini di sentirsi commiserati, in quanto, secondo la sua opinione, loro sono gli unici vivi (nel senso politico) poiché “Being where they are, they are in the absolute need to do what they do, to do the right thing” (Baudrillard 1993). Al contrario, la logica della sofferenza è necessaria agli Europei200, compresi intelletuali e politici, presi dal senso di colpa legato alla fine della storia e al crollo di valori:

It looks like as if we are in the midst of an immense feeling of guilt, shared by intellectuals and politicians alike, and which is linked to the end of history and the downfall of values. Then, it has become necessary to replenish the pond of values, the pond of references, and to do so by using that smallest common denominator which is the suffering of the world, and in doing so, replenishing our game reserves with artificial fowls. ‘At the moment, it has become impossible to show anything else than suffering in the news broadcasts on television’, reports David Schneidermann.” (Baudrillard, 1993).

Secondo il filosofo francese, gli stessi Europei, imponendo una realt{ di sofferenza ai cittadini della Bosnia – realt{ che impone a loro di essere miseri – colmano il proprio bisogno

198 Ritengo radicali le posizioni espresse da Baudrillard in questo articolo in quanto sostiene che la pulizia etnica in

Bosnia è stata solo la più visibile tra le pulizie etniche che in quel momento stavano succedendo in Europa, la quale sotto la compassione per i cittadini di Sarajevo e le proclamazioni sull‟unità nascondeva “white fundamentalism, protectionism, discrimination and control”. Del resto, secondo questo filosofo francese i serbi, portati avanti dal nazionalismo, hanno semplicemente fatto il “lavoro sporco” per gli Occidentali pulendo la Bosnia della sua multiculturalità e soprattutto dell‟elemento musulmano.

199 Qui cito la traduzione in inglese pubblicata nel libro curato da Cushman & Meštrović This Time We Knew.

200 Dţevad Karahasan spiega in maniera molto più pacifica l'incomprensione tra i cittadini di Sarajevo e gli europei.

Parlando di un'intervista con un francese spiega come alla fine della conversazione, nonostante le reciproche buone intenzioni, l'ospite è andato via offeso perché Karahasan non soffriva „quanto lui pensava dovess[e]“ e lui è rimasto con il senso di colpa per aver offeso un ospite benevolente. Secondo lo scrittore bosniaco la ragione per la loro incomprensione si trova nella differenza tra le loro culture: „La mia: in sé pluralistica, polifonica, dialogica- e la sua: in sé unica, monologica, omogenea. La mia che ha abbraciato le 'canzoni popolari austriache' come fossere sue, la sua per la quale non esiste quel che non viene abbracciato dal suo sguardo“ (Karahasan 1995: 78).

130 di realt{: per ricostruirla vanno ‘dove cola il sangue’ e dove succhiano dai cittadini sotto l’assedio la forza morale e l’energia della loro angoscia (Baudrillard 1993). Seguendo la stessa linea di pensiero, Silvija Jestrović spiega che l'attenzione focalizzata solo su un aspetto della guerra, quello atroce, è dovuta da un lato alla difficolt{ di tradurre da una cultura all'altra201 un misto così paradossale di resilienza e distruzione, mentre dall'altro al fatto che per gli spettatori era difficile identificarsi con una immagine più complessa.

Tuttavia, le routine quotidiane dei cittadini durante la guerra, necessarie per la loro sopravvivenza, non solo fisica, ma anche mentale, hanno trovato espressione, come afferma Riccardo Nicolosi, nei libri degli scrittori bosniaci, i quali “partecipano alla costruzione del ‘testo dell’assedio’ di Sarajevo e nelle loro opere modellano lo spazio urbano nel quale lo stato di eccezione, trasformato in quotidianit{202, crea la propria realt{ (irreale)”xciii (2005: 67).

Il racconto „A Coin“(in: The Question of Bruno) è, non solo una delle più esplicite descrizioni della citt{ assediata nella opera di Hemon, ma è forse l'unico testo dove questo scrittore offre una visione data anche da „dentro“, dall'interno della citt{ assediata. Il famoso filosofo sloveno Slavoj Žižek nel suo libro The Metastases of Enjoyment (1994), commentando la cornice imposta intorno alla rappresentazione e all'interpretazione dell'assedio e invitando al suo cambiamento, scrive:

[…] reporters compete with each other on who will find a more repulsive scene – lacerated child bodies, raped women, starved prisoners: all this is good fodder for hungry Western eyes. However, the media are far more sparing of words apropos of how the residents of Sarajevo desperately endeavour to maintain the appearance of normal life. The tragedy of Sarajevo is epitomized in an elderly clerk who takes a walk to his office every day as usual, but has to quicken his pace at a certain crossroads because a Serbian sniper lurks on the nearby hill; in a disco that operates ‘normally,’ although one can hear explosions in the background; in a young woman who forces her way through ruins to the court in order to obtain a divorce so that she can start to live with her lover; in the issue of

201 Qui Jestrović si riferisce alla specificità culturale dei bosniaci di scherzare anche dei temi tragici. Tra l‟altro, questo

tipo di umorismo amaro è presente anche nell‟opera di Hemon.

202 Anche se allo studio del quotidiano sono state dedicate numerose opere dei critici e filosofi, tali Michel de Certeau,

Henri Lefebvre, Guy Debord, Bertold Brecht, Jean Baudrillard, Jacques Rancière, le loro analisi acute di questo fenomeno, definito come “an arena for reproduction of power relations” (Highmore 2002: 29), sono difficilmente applicabili a una quotidianità estrema come lo è quella della vita sotto l‟assedio. Più precisamente per renderle applicabili, come lo fa Jean Baudrillard nel soprammenzionato articolo, bisognerebbe entrare in un‟analisi geopolitica approfondita che supera le necessità di questa tesi.

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the Bosnian cinema monthly that appeared in Sarajevo in 1993 and published essays on Scorcese and Almodóvar… (Žižek 1994: 2, citato secondo: Jestrović 2013: 144).

Nel racconto „A Coin“, è data la voce all'assedio attraverso la figura di Aida, una semplice giovane donna, la quale si potrebbe aggiungere alla lista delle 'incarnazioni della tragedia' a Sarajevo di Slavoj Žižek. Proprio questa prospettiva permette a Hemon di andare oltre le notizie televisive e giornalistiche, rappresentando il forte contrasto tra le mostruosit{ della guerra, le immagini quasi documentarie del paesaggio surreale e post-apocalittico di Sarajevo e la resilienza, la volont{ di mantenere la routine quotidiana dei suoi cittadini, anche se questa ultima è stata portata agli estremi.

Il racconto inizia con la descrizione di un'attivit{ strana, che successivamente si rivela come necessit{ di ogni giorno e, quindi, a causa del suo carattere ripetitivo inizia ad appartenere al dominio del quotidiano. “Suppose that there is a Point A and a Point B and that if you want to get from Point A to Point B, you have to pass through open space visible to a skillful sniper.” (Hemon: 2009). Il punto A e il punto B non sono esplicitati, potrebbero essere due punti qualsiasi nella citt{, tra i quali la gente doveva spostarsi quotidianamente, ad esempio “Sniper Alley”203, Tršćanska ulica204, la riviera del fiume Miljacka, dove a causa della mancanza d'acqua si andava a prenderla, un punto tra la casa di Aida205 e la casa dei suoi genitori. Quello che, invece, è esplicitato è l’intensit{ della paura prima dell’inizio della corsa e

203 Viale dei cecchini - il viale principale di Sarajevo, circondato dai palazzi alti dove c‟erano le posizioni dei cecchini. 204 I cittadini di Sarajevo cercavano in ogni modo di rendere più sicuri i punti di passaggio e incroci più importanti.

Nella collezione di FAMA ci sono presenti varie testimonianze dei cittadini sugli spostamenti nella città, nonché delle strategie per proteggerli (ad esempio vedere: Serif Kulagić: “Kako montirati zavjesu pod snajperima”

http://www.famacollection.org/index.php/tb-bhs/TB-922) . Tra le altre ci sono due testimonianze dell‟attrice Amina Begović sulla pericolosità di Tršćanska ulica, la quale si attraversava esclusivamente correndo (vedere:

http://www.famacollection.org/index.php/konceptualniindeks/search/tag/prelazak%20ulice ).

205 Il racconto ha una forma simile all'epistolare, però invece del solito scambio di lettere nel racconto si presta tanta attenzione a quello che non è stato scritto, ciò che il narratore, emigrato negli Stati Uniti, voleva scrivere ad Aida, che è rimasta a Sarajevo. Anche se a volte il narratore parla della solitudine e della durevolezza della vita in emigrazione, non lo scrive mai ad Aida perché qualsiasi difficoltà del mondo in pace gli sembra troppo banale e non adeguata ad essere condivisa con qualcuno che nel momento in cui gli arrivano le lettere potrebbe essere anche morto. Inoltre, visto che le lettere di Aida da un certo momento non arrivano più (il narratore non considera nemmeno la possibilità che Aida sia morta e rimane convinto che un giorno troverà la cassetta postale piena di lettere arretrate), il narratore inizia a inventare il contenuto delle sue lettere possibili. Così la forma epistolare non è interamente applicabile, perché lo scambio di lettere viene a mancare, per cui, Aida diventa un interlocutore immaginario, piuttosto adatto per un diario, il quale, in questo caso si potrebbe definire il diario dell‟assenza.

132 l’incredibile gioia per un semplice fatto che così spesso è dato per scontato, cioè di essere ancora vivi quando il punto B è stato raggiunto206:

People stand in line at Point A, waiting for their turn to run across. When it’s your turn, you cannot wait, you have to go, because the longer you wait, the readier the sniper is. Plus you don’t want to share the unspeakable fear of the waiting throng. The first time I ran from Point A to Point B, the fear was unspeakable indeed. Pain in your stomach, as if a big steel ball is grinding your bowels. Blood throbbing in your neck veins. Wet heat inside your eyeballs. Numbness of your limbs, increasing as you’re running. Sweat trickling down your cheeks, like a miniature avalanche of dread. You see no life unwinding before your eyes. All you see is one or two meters before you and all the little things you can trip over. You hear every tiny sound. Your feet brushing away dirt and rubble. Distant detonations. Cries of scared and wounded people. Whistling ricocheting bullets. The death rattle from the person behind you. (Hemon 2009).

e:

“When you get to Point B, the adrenalin rush is so strong that you feel too alive. You see everything clearly, but you can’t comprehend anything. Your senses are so overloaded that you forget everything before you even register it.” (ibid.)

Una delle immagini più drammatiche e più forti del mutamento della vita quotidiana a Sarajevo è un parallelismo tra la corsa di Aida tra il Punto A e il Punto B e la corsa di uno scarafaggio nell'appartamento del narratore, lo scopo di entrambi è di sopravvivere al passaggio per arrivare in un posto (illusoriamente) sicuro. Eppure, al contrario dello scarafaggio, il quale teoricamente potrebbe nascondersi sotto il futon del narratore, a Sarajevo un tale posto non esiste: i cecchini frammentano la citt{, “disturbano la sua topografia”xciv (Nicolosi 2005: 70): “they were pouring shells for weeks on end, and even when they didn’t there was an eager sniper. He killed our neighbour who hadn’t even left the building. He just peeked out of the door, cautiously ajar, and the bullet hit him in the forehead and he dropped down dead.” (Hemon 2012).

Nel racconto la citt{ reale è vista e descritta maggiormente da dentro, dalla prospettiva di Aida, però la prospettiva esterna, ovvero l’immagine della citt{ vista all’estero è implicitamente presente attraverso la descrizione del lavoro di Aida, la quale prepara le

206 La soprammenzionata attrice Amina Begović racconta che una di queste corse in Tršćanska ulica era come

un‟esperienza che succede solo in sogno, quando uno sogna di correre, ma non riesce a muovere le gambe. Il raggiungimento del proprio obiettivo, di uno dei possibili punti B, la stessa attrice descrive come la „seconda nascita‟ (http://www.famacollection.org/index.php/konceptualniindeks/search/tag/prelazak%20ulice).

133 registrazioni che dopo saranno inviate ai media internazionali207, ridotte a 2-3 minuti di notizie, tagliate e manipolate, nonché nella figura del suo compagno, Kevin, cameraman di Chicago. Questo ultimo è l’incarnazione par excellence del voyeurismo da spettatore, del “mondo”, ovvero dell’Occidente, il quale, ha guardato con tanta attenzione il conflitto in Bosnia senza intervenire per più di tre anni:

I hate Kevin. He brought footage of yet another massacre: people crawling in their own blood, faceless skulls, limbs strewn, stuff like that. There was this woman, her arms were severed. You could see two frayed, blood-spurting stumps. She was raising the bloody mess of her ex-arms towards Kevin’s camera. Kevin had a close-up of her face, still in shock, not feeling any pain, not being armless yet. The close-up lasted for a good five minutes [...]. I asked Kevin why didn’t he drop the god damned camera and help the woman. He said there was nothing he could do. He’s a cameraman, he said, and that is what he does and how he helps people. (Hemon 2009).

Aida il suo lavoro lo descrive in modo neutro, quasi distaccato: “I get two to three hours of footage every day [sottolineato O.M.]. It's mainly blood and gore and severed limbs”. Inizialmente, prima che esso diventasse abitudine e quotidianit{, Aida aveva un approccio emozionale e cercava di provocare compassione o comprensione o dolore, scegliendo “the most telling images, with as much blood and bowels, stumps and child corpses as possibile” (Hemon 2009). In ogni caso e nonostante l’attrazione delle televisioni internazionali per questo tipo di immagini, le selezioni di Aida subivano una censura che rendeva le immagini solo “mildly horrific” (ibid.). Le notizie di un minuto o due corrispondono esattamente alla definizione di TV, che gi{ Henri Lefebvre ha descritto come l'intrusione violenta nella vita familiare e privata, che solo apparentemente offre verit{ e partecipazione. La “verit{”, inserita tra le notizie su sport, meteo e gli altri contenuti abituali del giornale televisivo, nella sua forma accorciata all'estremo (1-2min) per gli spettatori è solo un altro “spettacolo”, ontologicamente non diverso delle altre notizie, che vengono subito dopo dimenticate. Inoltre, la televisione ci permette di osservare la sofferenza degli altri dalla comodit{ del nostro soggiorno. In questa ‘traduzione’ degli eventi complessi in immagini bidimensionali, inevitabilmente si perdono molti strati di significato. “Twodimensional translations become

207 Thomas Keenan, il professore di media studies al Bard College, sostiene che oggi non possiamo parlare di quello che

è successo in Bosnia o in Rwanda senza parlare dei media. Inolte, Keenan discute la interdipendenza tra l‟immagine trasmessa da televisione e la decisione di intervenire in un conflitto o no, chiamata “CNN effect”: “Today cameras don‟t simply represent conflicts, but take part in them, shape not only our understanding of them, but their conduct.” (Keenan 2002: 107).

134 our points of entry into the worlds of others because they require less time and effort and because they fuel our imaginaries more easily than the chaotic original. Thus, even in an actual, physical encounter, a place is seen through one’s preconceived knowledge of it, which makes it easy to know but hard to understand.”, spiega Silvija Jestrović (2013: 126).

Per queste ragioni, Aida decide di tagliare le scene più drammatiche, che quindi anche per lei sono un evento e le conserva su una cassetta intitolata “Cinema Inferno”. Invece alle televisioni straniere manda solo le scene “mildly horrific”, perché il risultato finale è comunque uguale: non c'è, perché in Bosnia siamo stati testimoni del fallimento del presunto potere dell’immagine di provocare la reazione (Keenan 2002: 109). Una delle scene che ha portato Aida a questa decisione è

a dead women being carried by four men. […] Her skull was cut open by a piece of shrapnel. There was a skull-sod with hair, hanging on a patch of skin. […] I could see the brainless bloody cavity. Then one of the men closed the cavity […] as though he was covering her naked body. (Hemon 2009).

Al contrario di Aida che conserva le registrazioni più violenti per sé, Hemon descrive con plasticit{ e con precisione chirurgica anche i piccoli dettagli dei corpi lacerati e morti, incluso quello della zia di Aida, la quale marcisce chiusa in una camera, perché gli spari non si fermano mai abbastanza a lungo per permetterne la sepoltura. Sebbene tutti questi dettagli soddisfino ‘gli occhi affamati degli spettatori occidentali’, identificati da Slavoj Žižek, non sarebbe giusto pensare che Hemon li usi semplicemente per rispondere alle aspettative del campo letterario americano, primo destinatario delle sue opere. Analizzando la narrazione sull’immigrazione nelle opere di Hemon e soprattutto nel romanzo The Lazarus Project, Iva Kosmos ha dimostrato come questo scrittore inizialmente accetti le regole stabilite dal campo letterario per decostruirle successivamente (Kosmos 2015: 77-81). Nel racconto “A Coin” Hemon, alla stessa maniera, usa la narrazione di Sarajevo come citt{ sofferente, rappresentata attraverso la morte e la distruzione, per attirare l’attenzione anche sugli altri aspetti della vita durante l’assedio. Per tornare alla sopraccitata definizione di ‘esotismo strategico’ di Huggan, Hemon ‘traduce’ la realt{ della citt{ assediata usando il linguaggio “visuale” dei media internazionali, al quale è abituato il suo pubblico, con lo scopo di apportare il cambiamento, lo ‘straniamento’, del ‘metropolitan mainstream view’. Per raggiungere questo obiettivo, Hemon

135 sceglie anche una prospettiva diversa rispetto allo sguardo distaccato dei media, ovvero quello di Aida, una qualunque giovane cittadina della citt{ sotto assedio.

L’esperienza di Aida è “the experience of those who enter the city, walk through it and live it to its full extent” (Bou 2012: 29). Questa esperienza della “pienezza” di vita nel caso della citt{ assediata viene modificata dall’onnipresente possibilit{ di morte personificata dall’implicita presenza dei cecchini. Le immagini del tragitto tra il punto A e il punto B di Aida/scarafaggio contengono (in modo indiretto) anche la loro prospettiva – isolati in alto, “trasformati in voyeur”, per loro la citt{ guardata da sopra diventa solo un’idea astratta “the text that lies before one’s eyes” (De Certeau 1988: 95) con cui i legami sono interrotti. Loro guardano in basso, come Dei, e il piacere del voyeurismo, mescolato con il potere di Dio, di cui si sono appropriati salendo, permette loro di sparare il “tiro perfetto”, di cui scrive in modo dettagliato lo scrittore francese Mathias Enard nel libro La perfection du tir.

Nel racconto oltre all’opposizione interno – esterno, è presente anche quella tra citt{ materiale, composta di case e strade - “living space” per Aida e spirituale, immaginaria per il narratore che l'ha abbandonata. Se nella guerra la citt{ materiale viene distrutta, cosa succede con la citt{ spirituale, citt{ dei ricordi? Subisce anche lei delle trasformazioni, o si fossilizza nella memoria?

Parlando dell’aspetto topografico della letteratura dell’assedio, Davor Beganović enfatizza il ruolo dello spazio e la sua trasformazione:

Space assumes a central position by focusing on claustrophobic narrowing. It becomes an attribute of the world that is also in a state of change, transforming from the place of intimacy into the place of foreigness; through this alternation, it becomes what Michel Foucault calls a heterotopy. The change that the familiar landscape experienced is so essential that it is almost impossible to recognize it. (Beganović 2013: 224).

La trasformazione radicale dal paesaggio familiare all’’eterotopia’, avvenuta durante l’assenza del protagonista, fa sì che per lui la citt{ nelle foto, che gli fa vedere un’amica sperando che lui