LE CITTÀ TROVATE
6.3 Oslo – “la città dove per anni dissipavo i frammenti della mia vita” cxxxv
Per quanto l’opera di Bekim Sejranović indubbiamente abbia molti tratti in comune con quella di Aleksandar Hemon, soprattutto nei primi libri di questo ultimo, tra i due scrittori esiste anche un’enorme differenza. Mentre Hemon cerca di innalzare Chicago al livello di una nuova casa, intesa nel senso esistenziale, com’è evidente, anche se in una misura contenuta, gi{ dai tentativi del suo protagonista Pronek di identificarsi con la nuova citt{, Sejranović, una volta costretto ad abbandonare Fiume, la citt{ con la quale si identificava, non trova mai più un posto che riesca a fermarlo. Se la casa è “where somebody notices your absence”, come la
195 definisce Hemon nel romanzo The Lazarus Project, Sejranović e il suo protagonista non ne hanno una. Persino quando il protagonista di Ljepši kraj torna a Oslo e spera che qualcuno sia venuto ad aspettarlo all’aeroporto, l’assenza di un viso conosciuto lo costringe a concludere con amarezza: “Cammino a passo lento, aspetto qualcosa, una raffica di emozioni, ricordi, aspetto che qualcuno gridi il mio nome, che mi prenda per la spalla... Mi soffermo, mi giro... Niente.”cxxxvii (Sejranović 2010: 17).
La poetica di nomadismo, abbracciata da Sejranović gi{ dal primo romanzo, Nigdje, niotkuda e presente anche in tutti i romanzi successivi, si può definire in maniera persuasiva con le parole del suo personaggio:
Quanto fa bene viaggiare, tanto fa male arrivare a destinazione. Bisogna viaggiare senza meta, senza speranza, senza qualcuno che ti aspetta e che rimane dietro di te, al binario, senza qualcuno a cui mancherai oppure chi ti forzer{ di tornare. Se il viaggio è la vita, allora, l’arrivo alla destinazione è la morte.”cxxxviii (Sejranović 2012: 178)314.
Effettivamente, tutti i suoi personaggi, i quali si potrebbero anche ridurre a uno solo, in linea di massima assimilabile all'autore315, cambiano in continuazione citt{ e paesi, spinti da un eterno tentativo di sfuggire alla paura del vuoto e della routine, alla noia, e alla morte (metaforica o meno). Sebbene Oslo e Brčko si possano definire i due poli tra i quali oscilla il mondo di Sejranović, il suo atteggiamento errante, condiviso con i suoi personaggi, ha un’influenza decisiva sui modi in cui sono rappresentate queste due, e tutte le altre, citt{ nelle quali si trova.
Il carattere transitorio di ogni posto dove passa, fermandosi solo temporaneamente, è accentuato gi{ nella descrizione di casa, molto spesso ridotta a una camera subaffittata. Per quanto le case di tutti gli immigrati recenti possano essere equiparate ai non-luoghi privati, a causa della loro vuotezza, uniformit{ e la natura transitoria (Jestrović 2013: 199), il
314 Vedi anche: Serjanović 2013: 61.
315 In un‟intervista Sejranović a tal proposito spiega: “Adesso vanno di moda le storie autentiche. I miei romanzi sono
quasi-autobiografici, sono stati scritti in modo che sembrassero autobiografici.” (Stjepandić 2016). In un‟altra, invece, spiega: “Alla scrittura guardo come alla propria vita, alla quale aggiungo tutto ciò che sento e vedo, come uno scultore che usa argilla e pietra, e le modella. In realtà ritengo che ogni scrittura sia autobiografica, indifferentemente se ho veramente vissuto quello che ho scritto oppure mi è stato raccontato da qualcuno, perché la veridicità non dipende da colui che racconta, ma da colui che ascolta, ovvero legge. Non faccio differenza tra la vita e la finzione: cosa sono le storie se non frammenti delle nostre vite riportati nelle pagine dei libri?” (Simić Jelaĉa 2015).
196 protagonista di Sejranović non arriva mai ad avere una dimora più stabile. Partendo dalla casa di prima accoglienza in Norvegia, “nello scantinato, accanto alla legnaia, pieno di topi”cxxxix (Sejranović 2012: 106), tutti i suoi alloggi corrispondono esattamente alla definizione di un non-luogo: una cameretta nella residenza universitaria “Sogn” presa in prestito da uno studente tornato a casa durante l’estate (ibid.: 172), vari appartamenti affittati e subaffittati, sempre vuoti (Sejranović 2013: 80), il ranch del nonno, ed in fine, nel romanzo Tvoj sin Huckleberry Finn (2015) una barca.
Come è stato confermato nell’analisi del racconto “Blind Jozef Pronek and the Dead Souls”, tra il luogo e l’identit{ esiste un importante legame, il quale può essere materializzato attraverso una delle tre forme di identificazione – l’identificazione con il luogo, l’identificazione in opposizione a un luogo, la non-identificazione. Nel caso dei protagonisti di Bekim Sejranović, vi è presente una quarta forma del rapporto tra il luogo e l’identit{: la serie di non-luoghi, nei quali i protagonisti trascorrono i loro giorni, trasforma l’identit{ in una non- identit{316:
La vita sopportata negli alloggi temporanei, residenze universitarie, centri di accoglienza,
pied { terre, camere semi-private. Eterni traslochi con uno scatolone di libri e una borsa di
vestiti. Marcire nelle stanze mai più grandi di tre per tre, fughe dagli affitti non pagati, scuse per ritardi nei pagamenti, paranoie che qualcuno possa bussarmi sulla porta, invenzioni delle identit{, insicurezza di fronte alle domande: chi sei, cosa fai, di dove sei, dove vivi? La mia identit{, lo confessavo qualche volta a me stesso, è composta da un mucchio di mezze-verit{, menzogne raccontate con abilit{, rapporti con le donne, deformati e inconclusi.cxl (Sejranović 2012: 103-104).
Lasciando a parte la questione identitaria, visto che una sua analisi più approfondita ci allontanerebbe troppo dall’argomento di questa tesi, è importante evidenziare il fatto che dietro la scelta di abitare in questi luoghi, oltre al rifiuto del protagonista di dare l’importanza al posto dove vive, si trova anche l’impossibilit{ del protagonista-immigrato di affittare un appartamento più adeguato. Il problema sono spesso, ma non sempre, i prezzi troppo alti delle case a Oslo. Attraverso i tentativi del protagonista di affittare una casa insieme alla sua ragazza, Sejranović apre una problematica importante (ma frequentemente nascosta) per
316 „La temporaneità dei soggiorni e i traslochi continui sono messi in una relazione diretta con la performattività
197 l'immagine della citt{: quella della ghettizzazione degli immigrati e della segregazione sociale attraverso l’inaccessibilit{ degli alloggi per certi gruppi cittadini317.
Benché il termine ‘ghetto’, nonostante la sua origine italiana, negli studi contemporanei di geografia antropica (‘human geography’) solitamente venga usato per spiegare fenomeni tipici per la segregazione spaziale e sociale dei cittadini neri negli Stati uniti, il fenomeno al quale si riferisce sta diventando sempre più frequente anche nelle citt{ dell’Europa occidentale, a causa dei flussi di immigrazione transnazionale, provocati dall’instabilit{ geopolitica. La segregazione di gruppi diversi dal punto di vista etnico e razziale in specifiche aree delle regioni metropolitane, caratterizzate da povert{, disoccupazione e alloggi al di sotto dello standard, è un fenomeno presente oggigiorno anche in paesi che non hanno una lunga storia di immigrazione318, tipica dei paesi-colonizzatori, quali Gran Bretagna e Francia (Gottdiener & Budd 2005: 34-38). I problemi di quest’ultima legati all’immigrazione e la conseguente ghettizzazione saranno analizzati in maniera più approfondita in relazione al romanzo di Damir Karakaš Sjajno mjesto za nesreću. Qui, invece, ci soffermeremo sulla situazione a Oslo, dove la segregazione, in quanto si tratta della capitale di un paese conosciuto come uno dei più sviluppati e uno degli ultimi stati sociali (‘welfare state’), viene eseguita attraverso meccanismi più sottili, in primo luogo attraverso pratiche discriminatorie nel mercato degli immobili e la marginalizzazione economica.
Visto che il mercato degli immobili è duplice, „for those who can and who can’t afford housing and for those who are white and those who are not”, come spiegano Leslie Budd e Marc Gottdiener (2005: 55) a proposito della situazione statunitense, ma si può applicare anche alla situazione di Oslo, il protagonista di Sejranović, anche quando può permettersi un alloggio decente, incontra insormontabili difficolt{ nella sua ricerca:
Sono andato a Oslo, quell’autunno del novantacinque, a cercare l’appartamento nel quale avrei dovuto vivere con la mia ragazza e il suo figlio di due anni. In autunno non è facile trovare una casa a causa dell’inizio dell’anno scolastico, ma sono stato fortunato in qualche modo e dopo due giorni sono riuscito ad affittare un trilocale in una palazzina a
317 Questo tema sarà ancora più approfondito nel romanzo di Damir Karakaš Sjajno mjesto za nesreću.
318 L‟immigrazione dal „Terzo mondo‟ in Norvegia è iniziata negli anni ‟60 del XX secolo. Il divieto d‟immigrazione è
stato introdotto nel 1975. Da quel momento gli immigrati sono accettati solo in base alla loro alta formazione, parentela (ricongiungimento familiare), studenti e infine, profughi e richiedenti asilo (Gullestad 2002: 47).
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quattro piani nel quartiere popolare Lambertseter. La proprietaria era una norvegese, di mezza et{, in forma, la quale aveva intenzione di trasferirsi dal suo compagno, una decina di anni più giovane di lei. Le ho lasciato la caparra di tre affitti mensili e quando sono venuto, dopo qualche giorno, a prendere le chiavi, mi aspettava con un’espressione triste. Mi ha detto che le dispiaceva molto, ma che l’assemblea condominiale si era decisamente opposta al trasloco di un altro straniero nella scala A, perché vi era gi{ una famiglia dalla Somalia con cinque bambini, la quale abitava al secondo piano, e se mi traslocavo anch’io allora [...].cxli (Sejranović 2013: 169).
La logica che sta dietro questo tipo di discriminazione immobiliare è che se un appartamento è affittato a un nero, o a uno straniero in generale, questo porter{ all’abbassamento dei prezzi di affitto nell’intero condominio. Inoltre, malgrado le affermazioni dei norvegesi che gli stranieri si ghettizzano da soli319, il fatto è che, come negli Stati uniti i bianchi non vogliono vivere circondati dalle altre razze, per cui si spostano nei quartieri puri dal punto di vista razziale e etnico – il fenomeno chiamato ‘white flight’ (Gottdiener & Budd 2005: 35) – così anche a Oslo, i norvegesi hanno paura di abitare nelle parti prevalentemente abitate dagli immigrati, conferma Sejranović (Kegelj 2014).
Sebbene il protagonista di Sejranović sembri classificato relativamente in alto nella scala antropologica320 degli immigrati a Oslo, di cui si parler{ di più in seguito, in quanto proveniente dall'Europa orientale, in realt{ il suo aspetto fisico (il protagonista è moro e di carnagione scura), la religione musulmana e la provenienza dell'ex-Jugoslavia, non lo posizionano tra i gruppi più desiderati. Lana Molvarec, studiosa croata, spiega che negli anni ’90 in Scandinavia era diffuso lo stereotipo dell’uomo balcanico, geloso e violento, senza
319 In riguardo a questo tema, nell‟articolo dedicato alla strategie retoriche usate in modo più o meno cosciente per
sottolineare la differenza tra i norvegesi e gli immigrati e per costruire “the invisible fences”, l‟antropologa Marianne Gullestad cita una lettera informale inviata da un cittadino anonimo alla politica Rubina Rava, di origine pakistana, incaricata all‟organizzazione della Festa della costituzione il 17 maggio 1999: “The relationship between us broke down from the first day of your arrival. Later it became progressively worse. The most important reason for this is that you have little ability of desire to adapt to our country.” (Gullestad 2002: 47). La stessa autrice cita anche l‟antropologa Unni Wikan, la quale nonostante l‟impegno pubblico contro la creazione di una „sotto-classe‟ permanente composta dalle bambine musulmane, sostiene l‟idea di „auto-ghettizzazione‟ dei musulmani: “Muslims in Norway are problematic in many ways: one has the impression that they distance themselves further from basic Norwegian values than do other groups. Many practise segregation. Many oppose their children having Norwegian friends. This does not apply to all, but it applies to far too many.” (Wikan 1995a: 85-6, 1995b: 26, citato secondo: Gullestad 2002: 52).
320 Questa espressione chiaramente non ha connotazioni assiologiche, ovvero è usata in modo ironico facendo
riferimento alle Giornate antropologiche (Special Olympics) – una manifestazione organizzata dal Department of Anthropology e dal Department of Physical Culture della Lousiana Purchase Exposition nel 1904 alle quali partecipavano i gruppi “primitivi” facendo una serie di competizioni sia in specialità civilizzate che in competizioni
selvagge. La triste realtà è che all‟inizio del XXI secolo ancora esiste la divisione degli esseri umani in base alla razza e
199 successo al lavoro e nell’attivit{ pubblica, il quale nella violenza immotivata trovava l’uscita dalla frustrazione321. Molvarec, inoltre, afferma che negli ultimi dieci anni, questo ruolo è stato trasferito ai musulmani (Molvarec 2014: 104). La combinazione di questi due fattori è sufficiente per escludere il protagonista dalla parte norvegese della citt{, anche se non è nero e persino va a vivere con una norvegese etnica:
Ho provato a spiegarle che io comunque non ero un africano (e anche se lo fossi, cosa c’entra?), che comunque non avevo cinque figli (e se ce li avessi, che importa?), e che la mia ragazza e suo figlio erano puri norvegesi (e cosa se non fossero?), ma tutto questo non mi è stato d’aiuto (e cosa se lo fosse stato?).
Ho continuato a cercare senza successo una casa a Oslo per altre due settimane, ero alloggiato da una coppia norvegese, testimoni di Geova. Poi è arrivata la mia compagna ad aiutarmi perché io avevo iniziato a credere che quell’autunno non fosse possibile trovare una casa se non eri norvegese. Siamo andati a vedere un appartamento nel quartiere Romsås, l’ultima fermata della linea metropolitana S, dove abitano misti stranieri e norvegesi. Mentre entravamo per vedere l’appartamento, da li usciva una famiglia con tre bambini, suppongo somali. La mia ragazza ha chiesto al proprietario, un norvegese cinquantenne e ordinato, se aveva gi{ affittato la casa a qualcuno?
- Pensa a questi che sono appena usciti? Ma non esiste che quelle scimmie nere mi saltino per casa. – ha risposto allegramente.
Dopo siamo andati a vedere alcuni appartamenti nei quartieri Grønland e Tøyen, nei quali vivono maggiormente stranieri e i quali potremmo maliziosamente chiamare ghetti.cxlii
(Sejranović 2013: 169-170).
Com’è gi{ accennato, la segregazione spaziale della capitale norvegese, dove all’inizio del millennio nuovo abitava 1/3 di tutti gli immigrati in Norvegia e il 41% degli immigrati non- occidentali (Gullestad 2002: 47) va oltre ai singoli condomini. Secondo l’antropologa norvegese Marianne Gullestad, “in this city their presence [degli immigrati] is highly visible, particularly in certain inner-city neighbourhoods” (ibid.). Nella rappresentazione di Bekim Sejranović, Oslo è una citt{ chiaramente divisa in due parti: una dove vivono solo immigrati e l’altra dove vivono esclusivamente i norvegesi. Secondo l’esperienza dei protagonisti di Sejranović, più evidentemente di quello dei romanzi Ljepši kraj e Sandale, la permeabilit{ di ognuna di queste due parti non è particolarmente alta, come se vivessero due vite completamente separate. Nell’Oslo orientale, l’unica accessibile al protagonista e apparentemente multiculturale, per strada non si incontra nessun norvegese:
321 Molvarec scrive che durante l'ultimo decennio i musulmani erano i principali portatori dello stereotipo
dell'immigrato geloso e violento, al contrario degli anni novanta, quando, a causa della guerra, al centro d'attenzione c‟erano i balcanici, “in buona parte anche perché il serbo Mihajlo Mihajlović ha ucciso la ministra degli affari esteri svedese.“ (Molvarec 2015: 20). In realtà, l‟attentato è avvenuto nel 2003.
200
Non sono andato alla fermata di metropolitana Tøyen, ma sono andato a piedi verso il centro scendendo lungo Tøyengata. Tutto è pieno di piccoli negozi pieni di verdura e frutta. Le scritte sui negozi sono in urdu, arabo, somalo, curdo, turco. Passo poi attraverso Grønland, davanti all’entrata della metropolitana dove i minorenni somali apertamente spacciano hashish, continuo a camminare attraverso Youngstroget, dove i sudamericani vendono berretti e poncho di lana di lama.cxliii (Sejranović 2010: 32)322.
D’altro canto, il protagonista non solo non ha avuto la possibilit{ di affittare una camera nella parte occidentale della citt{, ma anche l’accesso in un appartamento della borghesia norvegese gli è garantito solo quando ha iniziato la relazione affettiva con una signora norvegese di mezza et{:
Dopo siamo a andati a casa sua a Frogner, un quartiere più nobile nella parte occidentale di Oslo. Immaginavo le vecchiette nelle pellicce preziose come si facessero dei giretti con i loro barboncini e chihuahua vestiti in outfit de luxe per i cani. L’appartamento di Cathrine non era lussuoso, ma era spazioso e arredato con gusto. Prima di tutto abbiamo fatto una doccia insieme. Non mi piaceva mai fare la doccia insieme, ma c’è da dire che fino a quel momento non mi ero nemmeno mai fatto la doccia in un box doccia così grande.cxliv
(Sejranović 2010: 87).
La segregazione degli immigrati da parte dei norvegesi, secondo l’opinione di Marianne Gullestad, è provocata da una logica di egualitarismo basata sull’idea di un’uguaglianza immaginata (‘imagined sameness’) per cui vi è un problema con quelli che sono percepiti come ‘troppo diversi’ (Gullestad 2002: 47 e 60). Gullestad spiega che in questa situazione possa succedere che la maggioranza, ‘uguali’, spesso denominati ‘noi’, evitino quelli altri, immigrati, ‘loro’, perché un conflitto aperto è visto come una minaccia per gli altri valori di base, come ‘pace e quiete’:
In this way differences are concealed by avoiding those people who, for one reason or another, are perceived ‘too different’, and by playing them down in social interaction with those who are regarded as compatible. The result is that the dividing-lines between people in terms of social classes have become blurred. At the same time the differences between ‘Norwegians’ and ‘immigrants’ have become discoursively salient. (ibid.: 47).
322 Questa descrizione di Oslo di Sejranović assomiglia alla descrizione di Parigi di Andreï Makine nel saggio Cette
France qu’on oublie d’aimer e nel romanzo Le Testamente français. La differenza importante si trova però
nell‟approccio di ognuno dei due scrittori: mentre Makine critica la mancata volontà di immigrati di integrarsi imparando la lingua e comportandosi come francesi, Sejranović si focalizza di più sulla xenofobia norvegese e l‟esclusione degli immigrati, di cui le conseguenze saranno evidenziate di più nel romanzo di Karakaš in relazione alle