I PARTE: LE CITTÀ PERSE
4.3 Due volti di un ritratto funebre
4.3.2 Il destino dell’Europa
L’immagine di Sarajevo nel romanzo di Igor Štiks Mentre Alma dorme è poliedrica e complessa – essa racchiude in sé molti aspetti della guerra, alcuni gi{ sviluppati nel racconto a “A Coin” di Aleksandar Hemon, mentre altri vengono appena sfiorati nell’opera di questo ultimo. Alla prima categoria appartengono indubbiamente la creazione della “realt{” da parte dei media, le passeggiate nella citt{ distrutta, cercando di mantenere un rapporto intimo con i
138 luoghi importanti nonostante l’assedio, il lavoro e la routine quotidiana209. Alla seconda, invece, appartengono: la possibilit{ di sperimentare l’amore più profondo della vita nella citt{ assediata, un’analisi più approfondita dei meccanismi attraverso i quali i media selezionano elementi “rappresentativi” e in generale il loro ruolo nel conflitto, un accento forte sulla vita culturale, una dimensione mitologica, grazie alla quale la storia ottiene un valore universale, infine, l’ipotesi secondo la quale a Sarajevo è stato ucciso un modello di vita.
Semplificando la trama del romanzo Mentre Alma dorme, si può dire che la narrazione segue il percorso del protagonista Richard Richter, un famoso scrittore austriaco in crisi esistenziale e creativa dal momento quando Sarajevo è per puro caso entrata nel suo campo visivo fino all’identificazione completa con il destino di questa citt{, la cui distruzione corrisponde alla sua distruzione personale. Inizialmente, leggendo le prime notizie giornalistiche sui conflitti in Bosnia, Sarajevo per Richter era solo una citt{ lontana dove uomini folli “sparano a certe belle donne” (Štiks 2008: 14), ma con la scoperta che suo padre non era un soldato tedesco come credeva, ma un ebreo comunista di Sarajevo, questa citt{ gli è diventata sempre più vicina. Nel romanzo sono presenti due narrazioni parallele – la prima riguarda la storia personale del protagonista, il quale cercando il padre, trova la sorella e l’amore della sua vita, mentre la seconda è dedicata alla citt{, alla sua distruzione materiale e alla sua vitalit{ metafisica e spirituale. Quest’ultima è rappresentata attraverso la resistenza e la resilienza dei suoi cittadini, i quali continuano la vita come se la guerra non ci fosse, ossia malgrado essa. “Sotto la sua [di Ivor] guida ho conosciuto luoghi in cui si svolgeva la vita sociale della citt{, addirittura sotto l’assedio. [...] facevano festini rallegrati dal benefico fumo della marijuana e dalle invitanti fragranze sprigionate dai colli delle donne di Sarajevo.”xcv – spiega Richard a proposito della citt{ scoperta grazie a Ivor, un giovane intellettuale e il suo interprete (Štiks 2008: 85).
209 A questo elenco si potrebbe aggiungere anche un raddoppiamento della prospettiva che riguarda gli eventi
importanti, ad esempio, nel racconto di Hemon, il giorno più felice nella vita di Aida è quello quando ha ricevuto il giubbotto antiproiettile, cioè il giorno ricordato dalla storia ufficiale come il giorno quando è stata bruciata la Vijećnica, mentre nel romanzo di Štiks il giorno della visita di François Mitterand a Sarajevo per il protagonista è significativo in quanto il giorno della prima dello spettacolo Homo Faber. Inoltre, anche nella concezione del tempo è presente una scissione al „tempo prima della guerra‟ e al „tempo della guerra‟: Aida descrive il giorno della ricezione della giubbotto come il giorno più felice di “questa vita”, mentre Alma non sente i rimorsi per aver tradito marito perché lui non appartiene al presente.
139 Uno dei grandi temi del romanzo Mentre Alma dorme è proprio quello della vita quotidiana nella citt{ assediata. La sua scoperta, anche qui, come in “A Coin”, è strettamente legata alla ricostruzione della citt{ privata di alcuni personaggi, in questo caso Ivor e Alma, o di Aida nel racconto di Hemon. Per poter accedere alla vita nascosta di questa “citt{ invisibile”, Richard deve abbandonare la posizione distaccata che gli ha permesso di entrare nella citt{ sotto l’assedio, cioè quella di un “reporter TV, [...] scrittore europeo che solidarizza con il cataclisma esploso nel bel mezzo del continente”xcvi (Štiks 2008: 49). La sua trasformazione, causata dagli eventi personali, lo rende partecipe, mentre il focus del suo interesse professionale si sposta dalle macerie e dai morti alla “ricerca di notizie provenienti dalla vita della citt{ che, in uno strano modo, pulsava sempre più energicamente a mano a mano che l’assedio stringeva.” (ibid.: 69). Come se rispondesse alla richiesta citata prima di Slavoj Žižek210 di cambiare l’inquadratura degli eventi rappresentati e trasmessi al pubblico internazionale, Richard Richter è d’accordo con Ivor che non dovessero “spedire soltanto immagini di sofferenza da Sarajevo, bensì esempi di persone che, a livello davvero alto, continuavano a svolgere i propri lavori del tempo di pace in una situazione catastrofica.”xcvii (ibid.: 86). In effetti, malgrado l’ambientazione nel contesto bellico, le figure più prominenti del romanzo di Štiks, sono quelle che, secondo Žižek, simboleggiano la tragedia di Sarajevo: una giovane donna la cui solitudine trovava consolazione nell’abbraccio dell’amante e che allo stesso tempo cercava di nascondere l’adulterio (Alma), e un vecchio uomo (Jakob Šnajder) il quale “non rinunciava alle proprie abitudini [...] andava a passeggiare, a trovare gli amici, a giocare a scacchi, a visitare il mercato”xcviii (ibid.: 173).
Silvija Jestrović analizzando diverse pratiche usate per salvaguardare l’essenza urbana dalla citt{, persino durante l’assedio caratterizzato dalla volont{ di cancellare proprio questa, sostiene che: “Performing the city in the besieged Sarajevo was a personal and political act of asserting continuity in the face of death and destruction” (2013: 2). Le modalit{ per eseguire questa ‘performance’ sono chiaramente multiple: partono dal presentarsi
210 Chiaramente è più che probabile che Štiks, data la distanza temporale dalla quale scrive e la sua formazione
nell‟ambito di filosofia, abbia preso in considerazione questa richiesta. Per il resto, lo scrittore ammette di esser stato consapevole della esistente produzione letteraria relativa all‟assedio di Sarajevo ed anche della discutibilità del suo diritto morale di scrivere di un‟esperienza che non è la sua personale.
140 all’intervista ‘vestiti di un abito ben stirato’ (Štiks 2008: 93), attraverso lo svolgimento quotidiano del proprio lavoro211, per trovare la massima espressione priprio in una forma rappresentativa, ovvero quella di uno spettacolo teatrale. Silvija Jestrović spiega che la citt{ continuava a esistere proprio attraverso le pratiche della resilienza dei cittadini:
Despite the destruction of Sarajevo’s landmark buildings and the impossible conditions of living under siege, the city continued to exist through performances of civil resilience. At times, the citizens virtually embodied destroyed cultural landmarks through concerts and performances on the ruins. (2013: 2).
In effetti, uno dei momenti cruciali per lo sviluppo della trama del romanzo, per il suo significato universale, ma anche per l’immagine della citt{ viva e vitale, nonostante la distruzione fisica, è lo spettacolo Homo faber, basato sull’omonimo romanzo dello scrittore svizzero Max Frisch212. Il filmato che documenta la preparazione di questo spettacolo, le interviste con gli attori, la sua prima, è il messaggio che Richard Richter e Ivor vogliono mandare al mondo – “un’espressione del massimo teatro europeo, [...] poiché noi, asseriva [il direttore del teatro] soltanto in quel modo possiamo combattere i barbari”xcix (ibid.: 95). Questo spettacolo è nello stesso tempo anche la massima espressione della lotta per la normalit{ della vita, una vita paragonabile alla vita in una qualunque capitale europea, impressione necessaria agli abitanti di Sarajevo per sentirsi cittadini:
Riprendevamo gli attori durante le prove, l’onnipresente regista, lo stabile del teatro e la solita routine del lavoro teatrale, scene che avrebbe potuto girare chiunque e in qualunque altro teatro, tranne che a Sarajevo avevamo a che fare con gente che, per essere sul posto di lavoro, doveva fare lunghi tratti a piedi, talvolta anche da quartieri distanti dal centro; giungervi a fatica, superando di corsa gli incroci sui quali incombevano i cecchini, con paura delle granate, il tutto soltanto per essere presenti alle prove o recitare gratuitamente, di solito davanti a una platea piena di spettatori che avevano affrontato gli stessi pericoli.c (ibid.: 93)213.
211 Secondo lo scrittore e il professore universitario Dţevad Karahasan il lavoro è il modo più efficiente per trovare il
rifugio dalla realtà incomprensibile e insopportabile. Perciò durante l‟assedio insegnava agli suoi studenti di drammaturgia: “Il vostro lavoro è l‟unica cosa che può liberarvi almeno un attimo dalla paura, aiutarvi a conservare la dignità umana, sensibilità e ragione.” (Karahasan 1995: 41-43).
212 In un‟intervista Igor Štiks conferma che questo spettacolo è veramente stato messo in scena a Sarajevo durante
l‟assedio (Pintarić 2006a).
213 Per il materiale documentario riguardante le rappresentazioni teatrali a Sarajevo durante l'assedio, vedere: Fama
Collection, Konceptualni indeks: Teatar.
141 Ciò nonostante, il protagonista è consapevole “che il fatto di rischiare la propria pelle soltanto per recitare Sartre a Sarajevo non fosse sufficiente per suscitare una reazione del pubblico europeo”ci (ibid.: 89).
Questa indifferenza del pubblico internazionale, ma anche delle istituzioni e degli stati europei nei confronti del destino di Sarajevo, introduce il secondo grande argomento del romanzo di Štiks – quello relativo al ruolo dei media internazionali nel conflitto, responsabili della creazione dell’immagine della citt{ durante l’assedio. La scelta di attribuire la voce narrativa a un giornalista non è sorprendente: come ha notato Thomas Keenan, sembra impossibile parlare di quello che è successo in Bosnia senza parlare dei media – gi{ durante gli anni novanta alcuni film registrati sia nella regione che all’estero hanno avuto un giornalista o un reporter nel ruolo del protagonista principale214.
Attraverso la descrizione della metamorfosi di Richard Richter spiegata prima, Štiks mette in evidenza i meccanismi che formano l’opinione pubblica occidentale, nonché il ‘voyeurismo da spettatore’ reso possibile dai media moderni, “where one peeks into the unfortunate lives of others from the comfort of one’s living room and where information becomes a substitute for compassion” (Jestrović 2013: 115). Il chiaro inquadramento mediatico dell’assedio di Sarajevo, descritto in maniera scientifica da Silvija Jestrović, nonché la cancellazione della tragicit{ degli eventi nel processo di trasformazione delle scene atroci delle morti di persone reali in notizie di 2-3 min e subito dopo vengono dimenticate, sono presenti anche nel racconto “A Coin” di Hemon215. Questo fenomeno, cioè una specie di ‘svuotamento’ delle immagini di atrocit{, morte e distruzione, le quali non provocano un’azione, secondo Jean Baudrillard si spiega attraverso il fatto che il pubblico ha perso la capacit{ di distinguere tra il simulacro e i fenomeni del mondo reali, che sarebbero dovuto essere rappresentati dallo stesso simulacro. Come chiariscono Stjepan Meštrović e Thomas Cushman nell’introduzione ai tre articoli di Baudrillard pubblicati nel libro This Time We Knew e da essi curato:
214 Keenan cita i seguenti esempi: Welcome to Sarajevo diretto da Michael Winterbotton nel 1997, Comanche Territory
diretto da Gerardo Herrero nel 1997, oppure Lepa sela, lepo gore (1996) di SrĊan Dragojević.
215 Come è già stato menzionato, di questi fenomeni Hemon scrive anche nelle altre opere (quasi tutte) perché anche per
lui le immagini trasmesse dai giornali e dalle TV internazionali rappresentano una fonte di informazioni sul conflitto all‟epoca (di narrazione) in corso.
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This [la perdita del collegamento tra il simulacro e oggetti rappreresentati] might explain some of the Western inaction in Bosnia: images of atrocities, death, and destruction do not seem real because they are simply placed in and among a wider universe of unreal images in which audiences exist. Lack of action proceeds, then, from the fact that the mediated images of the world are mere representations that lend an air of unreality to the things they represent. (Baudrillard 1996: 81).
Inoltre, Thomas Keenan nota che “[t]he discussion and sharing disappear in the putative instantaneity of the live transmission” (Keenan 2002: 109), il fatto che mette in questione gli assiomi dell’illuminismo secondo i quali la sfera pubblica rappresenta il sito dove si articolano il sapere e l’azione (ibid.: 112). Anche se tratta lo stesso argomento abbozzato nel racconto di Hemon216, Štiks, va oltre217 nell’analisi dell’inquadramento mediatico dell’assedio di Sarajevo, evidenziando la logica di profitto che stava dietro l’”interesse” mediatico per il conflitto nei Balcani, che “a causa delle vittime, del sangue e della sua complessit{, […] diventava sempre più interessante, non poteva essere lasciato scoperto”cii (Štiks 2008: 52). Mentre i cittadini di Sarajevo credevano che le loro testimonianze avessero la forza di provocare un intervento dall’esterno, come, peraltro, lo credeva inizialmente anche Aida nel racconto di Hemon, la realt{ è che “i giornalisti televisivi ritagliavano i loro contributi a misura delle proprie emittenti.”ciii (ibid.: 62):
Fummo accolti da un gruppetto di giornalisti del luogo i quali, come del resto anche il personale dell’albergo e molti altri che più tardi avremmo incontrato in quei primi giorni di guerra, desideravano testimoniare quello che stavano vivendo, forse sperando ingenuamente che la loro verit{ avrebbe raggiunto il mondo e fermato l’ingiustizia a loro imposta come un tragico destino. Sbagliato. Per la citt{ le troupe dei giornalisti facevano gi{ i loro pattugliamenti e tutto quello che i cittadini di Sarajevo potevano vedere era come quelle loro testimonianze sui canali televisivi mondiali si trasformassero in un pezzo del mosaico di una guerra che diveniva sempre di più ‘etnica’, addirittura ‘religiosa’, dunque ‘viscerale’ e, infine, ‘inestirpabile’; un conflitto in cui non bisognava immischiarsi, una catastrofe annunciata che si imponeva uscendo dalla storia della regione e dalle citazioni scelte all’uopo dai loro scrittori.civ (ibid.: 61).
Questa citazione è particolarmente importante per due ragioni: da un lato, il protagonista mette in evidenza la graduale etichettatura della guerra come “viscerale”, “inestirpabile”, cioè come qualcosa di innato nei popoli balcanici – la ragione usata dai poteri internazionali per giustificare la propria inazione – e dall’altro, sottolinea la fede
216 Qui mi riferisco soltanto al racconto “A Coin” di Hemon.
217 Non bisogna dimenticare che si tratta di due generi letterari con le loro intrinseche regole, per cui l'afferrnazione che
143 nell’immagine dei cittadini bosniaci, i quali aspettavano che tutti quei reportage e le loro testimonianze avrebbero innescato qualche azione concreta.
A proposito dell’etichettatura dei conflitti nei Balcani, il narratore è estremamente scettico nei confronti di tali spiegazioni, alcune delle quali si basano sulle malintenzionate interpretazioni delle citazioni appositamente selezionate, in questo caso, della Lettera del 1920 di Ivo Andrić, nella quale si parla dell’impossibilit{ della convivenza di varie culture in Bosnia e del reciproco odio (Badurina 2016: 74). Nozioni di questo genere erano radicate tra i giornalisti internazionali anche a causa della loro preparazione per la copertura della guerra nell’ex-Jugoslavia, che comprendeva in primo luogo testi di tipo giornalistico “scritti sotto il diktat degli avvenimenti e della richiesta mediatica”cv (Štiks 2008: 53), o persino fonti letterarie. Nel suo studio Inventing Ruritania Vesna Goldsworthy dimostra come i giornalisti anglofoni hanno ripreso il concetto dell’odio innato tra i popoli balcanici dagli scritti di Edith Durham, in primo luogo dall’opera The Burden of the Balkans del 1905 (Goldsvorti 2005: 206). Robert Kaplan, invece, testimonia, con disapprovazione, come il suo libro Balkan Ghosts, il quale mette l’accento sull’eterno odio218 e sull’intolleranza tra i popoli dell’ex-Jugoslavia, è stato usato da Bill Clinton, all’epoca presidente degli Stati Uniti, come giustificazione per l’inazione nel conflitto in Bosnia.
D’altro canto, la sensazione che le immagini trasmesse dalla televisione e nelle notizie possano avere l’influenza sull’intervento, è noto sotto il nome di “CNN effect” (Keenan 2002: 106). Nonostante le vicende della guerra in Bosnia fossero meticolosamente trasmesse dai media, come ha notato David Rieff, analitico americano – “No slaughter was more scrupulously and ably covered” (ibid.: 109) e la stessa guerra fosse rinominata “guerra postmoderna”, proprio per l’importanza delle immagini – è notevole il contrasto tra la sovraesposizione e l’indifferenza219. Quest’ultima nel racconto di Hemon è incarnata nel
218 Andrew Wachtel ragionevolmente nota: “Had this ancient hatreds really been as deep-seated and intractable as is
claimed, it is hard to imagine how Yugoslavia would ever have been costituted after World War I, let alone reconstituted after the bloodbath of World War II.” (Wachtel 1998: 15).
219 Secondo Dţevad Karahasan anche gli scrittori stessi sono responsabili per l‟indifferenza del mondo: “Questa è la
colpa di questa letteratura dell’art pour l’art, indirettamente responsabile di tutti gli orrori del mondo contemporaneo, e quindi anche degli orrori che accadono nel mio paese. La decisione di osservare tutto, letteralmente tutto, come un fenomeno estetico, con il che si evitano completamente le domande sul bene e sulla verità, è una decisione dell‟arte; partita dall‟arte, è diventata nel mondo contemporaneo non più una decisione ma una caratteristica del mondo stesso.
144 personaggio di Kevin, del quale Aida descrive l’inazione raccontando la scena in cui lui zoomma le braccia assenti di una donna ferita invece di aiutarla, mentre nel romanzo di Štiks il protagonista accusa tutti, e in primo luogo i “mercenari mediatici” (Štiks 2008: 74) di godere della disgrazia altrui, persino guadagnando da essa:
Mentre gli avvoltoi sono più numerosi, troppi tra i quali non vanno annoverati soltanto i giocatori mediatici di punta in campo, ma anche le loro redazioni, i canali televisivi, gli spettatori, i lettori e gli ascoltatori, le onde corte e lunghe, la TV satellitare, le semplificazioni giornalistiche ad altissima tiratura, oppure le illeggibili pubblicazioni accademiche, includendo anche i rivenditori di giornali sulle cui pagine veniva stilato il verbale quotidiano dello stato di morte, e tutti loro insieme ora volteggiavano sul cadavere, simili a quei terribili uccellacci dal collo nudo, girano in modo concentrico, tranquilli e senza alcun dubbio sul risultato.cvi (ibid.: 75).
Siccome l’indifferenza degli spettatori è molto più spesso rappresentata nelle opere di Hemon – il che si spiega attraverso le ragioni intrinseche alla composizione di ciascuna di esse, con il loro protagonista emigrato e in contatto costante con il “pubblico” internazionale – in questo luogo ci soffermeremo soprattutto sulle possibili ragioni per il non-intervento da parte delle istituzioni e poteri internazionali.
Nel romanzo sono soprattutto i personaggi di Alma e Simon, un misterioso vecchietto, coloro che interpretano il destino di Sarajevo. Caratteristico di entrambe le interpretazioni è il loro legarsi in maniera più o meno esplicita al concetto di destino e della sua inevitabilit{, tipico del mito220. È proprio grazie all’utilizzo delle figure archetipiche che Sarajevo, nel romanzo di Štiks, supera l’immagine internazionale di una citt{ passiva e sofferente alla periferia europea: la sua tragedia diventa una metafora per la tragedia dell’Europa, nella quale stanno scomparendo il cosmopolitismo e la convivenza tra culture diverse (Badurina 2016: 78). Alma, parlando del senso della messa in scena di Homo faber nella Sarajevo assediata, spiega la stretta interdipendenza tra il destino di Sarajevo e quello dell’Europa: “[…] l’homo faber europeo crea il proprio destino a Sarajevo, poiché quello che vede oggi non è altro che lo specchio nel quale si rivela il suo futuro.”cvii (Štiks 2008: 107). La sua intera argomentazione:
Quelli che guardano la violenza e i peggiori patimenti per provare qualcosa per un attimo, sono persone estetizzate dalla letteratura dell‟indifferenza contemporanea.” (Karahasan 1995: 90).
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Mi pare però che quest’Europa e quest’Occidente, in effetti, sostengano l’altra parte e non quella che i cittadini di Sarajevo credono debbano sostenere; che stiano dalla parte opposta a quella che oggi gli abitanti della citt{ stano difendendo, credendo in essa. Tutto quello che fanno gli occidentali, a prescindere dalla retorica, conferma che loro sono consci, semiconsci oppure del tutto inconsci di stare da parte di coloro che sognano Stati puri dal punto di vista etnico e religioso, pronti a mandare alla morte o in esilio milioni di persone pur di raggiungere quell’obiettivo. L’Europa odierna ha forse i suoi veri rappresentanti proprio nell’Armata di Karadžić e non in noi. Loro sono i messaggeri del futuro del continente, dell’etnicizzazione, dell’odio tra le religioni, delle divisioni, sono i sostenitori della purezza della razza e della minaccia verso quelli che sono ‘diversi’ per nazionalit{ e religione, loro sono i capostipiti della nuova xenofobia europea, sono i veri giocatori europei sul terreno balcanico, non noi.cviii (ibid.: 106).