• Non ci sono risultati.

M. Classi e società

OLIVETTI PRAXIS

O. M. Classi e società

K u r t B. M a y e r, Classi e società, Collana « Problemi di sociologia », Armando Armando, Roma, 1966, pp. 142.

Questo saggio sulla stratificazione sociale pubblicato da K.B. Mayer nel 1958 e tradotto recentemente in italiano nella collezione « Problemi di sociologia » diretta da Franco Fer- rarotti, sebbene non recentissimo è molto importante, sia perché in bre­ ve spazio dà una visione vivace e accurata della stratificazione sociale americana, e anche perché questo lavoro è uno dei primi nella serie di studi che affrontarono l’argomen­ to delle classi sociali in America. Lo studio del Mayer presenta nei

primi tre capitoli di carattere gene­ rale una definizione e descrizione delle varie differenziazioni sociali che hanno luogo nelle società uma­ ne. La stratificazione è un partico­ lare tipo di differenziazione in quan­ to « indica 1’esistenza di un ordina­ mento gerarchico sistematico delle posizioni sociali ». L’A. distingue i diversi tipi di stratificazioni come si svilupparono in diverse culture ed epoche storiche, e descrive le caratte­ ristiche della casta, dello stato, della classe. Nella sua definizione le classi sociali si distinguono sulla base delle differenze di reddito e di beni mate­ riali, e non costituiscono un sistema chiuso nel senso che non comportano sanzioni legali o restrizioni al pas­ saggio da una classe all’altra: si conli- gurano quindi come aggregati di per­ sone che posseggono simili beni ma­ teriali e fonti di reddito. Ai suoi oc­ chi è essenziale distinguere le classi dai gruppi di prestigio, composti di individui che «si considerano eguali a causa della identità delle loro vedu­ te... e trattano c considerano come superiori o inferiori a loro quanti non appartengono alla loro cerchia ». Il rapporto fra classe e gruppo di prestigio dà luogo ad una complessità ulteriore nell’analisi delle strutture sociali, in quanto non necessaria­ mente classe e gruppo di prestigio coincidono: per comprendere i casi di divergenza l ’A. sottolinea l’impor­ tanza di considerare la mobilità so­ ciale, il fatto cioè che nella società moderna « gli individui hanno la possibilità di spostarsi verso l’alto o verso il basso delle gerarchie delle classi, dei gradi di prestigio e del po­

tere». Il terzo principio operante nella stratificazione è infatti ricono­ sciuto dall’A. come il possesso del potere definito come capacità di con­ trollare la condotta degli altri.

Dati in questi primi tre capitoli, che comprendono anche la storia del­ lo sviluppo delle stratificazioni so­ ciali dalle società antiche a quella contemporanea, le definizioni e le premesse necessarie al suo discorso, l’A. le applica al caso particolare della società americana moderna nei successivi cinque capitoli. Questa è la parte più affascinante dello studio del Mayer, in cui i vari aspetti della vita americana vengono discussi con vivacità e precisione di particolari.

Richiamando i fatti storici di una assenza di tradizioni feudali e di ari­ stocrazia ereditaria, e la formazione di una ideologia egualitaria, l’A. nota tuttavia che « se l’assenza di remini­ scenza del sistema degli ” stati ” con­ ferisce un carattere unico al sistema americano delle classi è d’altronde vero che la presenza in esso di ele­ menti razziali e castali è pressoché senza parallelo nell’esperienza dell’oc­ cidente moderno». Egli esamina le differenze di beni, reddito e lavoro e con l ’appoggio di statistiche e ri­ cerche particolari fa notare la conse­ guenza delle differenze di classe sulla durata della vita, sulla salute e sulle malattie mentali, nonché sulle possi­ bilità di ricevere una buona istru­ zione, e quindi di trovare un’occu­ pazione che permetta la mobilità verso l’alto. Finisce quindi con ra c­ certare la presenza di almeno tre classi, lavoratrice, media e superiore, nella società americana. Il capitolo

successivo esamina ancora una serie di dati rilevabili mediante ricerche o statistiche, che considerano valori e schemi di consumo, schemi fami­ liari e di comportamento sessuale, fenomeni associativi su basi razziali, etniche o religiose. Sono tutti fattori questi che contribuiscono a determi­ nano l’appartenenza a gruppi di pre­ stigio, sia aH’intemo delle stesse clas­ si sociali, sia a cavallo delle linee di demarcazione fra una classe e l’al­ tra. Il capitolo sesto è dedicato allo studio della struttura del potere, esa­ minata in funzione della partecipazio­ ne delle diverse classi al potere: l’A. si appoggia di nuovo a ricerche di campo (gli studi dei Lynd, di Floyd Hunter e di Hollingshead) su comu­ nità americane piuttosto piccole; la conclusione dell’A. è che «se lo studio dei rapporti di potere nelle tre suddet­ te comunità rivela un meccanismo ab­ bastanza solido di controlli civili e po­ litici esercitati non ufficialmente e dietro le quinte da piccole élites di individui di alta posizione economi­ ca, al livello nazionale il quadro si presenta molto più complesso e con­ fuso ». L’A. sembra considerare che sarebbe possibile discernere e deli­ neare chiaramente l’esistenza di una struttura nazionale del potere soltan­ to se questa fosse per così dire for­ malizzata; benché riconosca che al­ cuni aspetti di essa sono chiaramente visibili, egli nota la mancanza di « un comitato in continuo esercizio che misuri e formuli un’effettiva linea di condotta generale...»; solamente quan­ do sorga l’occasione, come ad es. di un progetto di legge incombente che minacci in qualche modo una parti­

colare industria, allora « ... la rete va­ ga ma realmente esistente di legami e rapporti entra in funzione ». Egli cita la legislazione del New Deal co­ me un esempio del fatto che in Ame­ rica « il potere economico e quello politico, anche se sono sempre in stretto rapporto, non si identificano ».

Il settimo capitolo è forse il più interessante di tutto il saggio, in quan­ to, a parte il suo valore descrittivo ed anche teoretico, per il lettore eu­ ropeo è il più indicativo per com­ prendere il modo particolare di avvi­ cinare i problemi di un certo tipo di sociologia americana. L’A. si pone il problema delle reazióni psicologiche delle persone di fronte al problema della stratificazione in classi; per lui questa domanda, posta in questi ter­ mini, è importante perché pone il problema della coscienza di classe in America. Egli spiega: « La coscienza e la lotta di classe non conseguono inevitabilmente o automaticamente alla esistenza della differenziazione tra le classi. La gente può condivide­ re degli attributi di classe che diffe­ riscono profondamente da quelli di altri individui senz avere un senso particolarmente acuto della frattu­ ra... Il pensiero e la condotta non sono determinati unicamente dalla posizione effettiva nell’ordinamento sociale ma dipendono anche in parte dal modo con cui la gente percepi­ sce e interpreta le proprie condizio­ ni sociali ». La sua conclusione è che « dobbiamo quindi esaminare em­ piricamente in che modo gli ameri­ cani valutino le differenze di classi esistenti ».

Questo esame empirico comincia col prendere in considerazione le dif­ ferenze negli atteggiamenti e compor­ tamento politico delle classi (rivelati attraverso sondaggi dell’opinione pub­ blica o ricerche ad hoc): il risultato sembra indicare 1’esistenza di atteg­ giamenti contraddittori fra persone di classi diverse, ma anche resisten­ za di notevoli sovrapposizioni che indicano una notevole diffusione della credenza tradizionale nell’eguaglianza delle opportunità. « Senza dubbio gli Americani sono al corrente dell’esi­ stenza di forti differenze nella distri­ buzione dei beni, del potere e del prestigio, e tendono a votare secondo i loro interessi oggettivi. Tuttavia essi manifestano allo stesso tempo una forte tendenza a vedere e interpre­ tare le differenze economiche ogget­ tive come differenze individuali e non di classe »; ne segue, quindi, che « la povertà viene definita soprattutto un fatto di responsabilità personale ». Il commento dell’A. è che « tali condi­ zioni non sono le più idonee allo svi­ luppo della solidarietà e della lealtà di classe ».

Proseguendo in questa linea di ra­ gionamento l’A. esamina altre inda­ gini volte a stabilire la percezione che le persone hanno della propria appar­ tenenza a una classe piuttosto che ad un’altra e riconosce che i dati por­ tano a concludere che gli Stati Uniti sono caratterizzati da un grado piut­ tosto basso di percezione dell’esisten­ za delle classi; e ritiene che la « po­ tente e benestante élite degli affari... è molto più vicina di ogni altro strato a formare una classe autocosciente e unita ». Date le sue premesse, l’A.

differenzia questa percezione della classe (che può esistere oggettiva­ mente senza essere necessariamente percepita) dalla percezione della cate­ goria di prestigio (che ssendo di na­ tura socio-psicologica dipende dal riconoscimento proprio e altrui per la propria stessa esistenza). L’A. tenta di dare una spiegazione di questo fatto, così differente nella situazione americana rispetto alla europea, cioè dell’assenza degna di nota di una co­ scienza di classe militante e organiz­ zata, ritenendolo uno dei più com­ plessi che l’analisi sociologica possa affrontare. I fattori che egli indica come principali a spiegare questo stato di cose sono: l’eredità storica degli Stati Uniti che ha sviluppato un egualitarismo forse « formale e superficiale ma che però nasconde effettivamente i sentimenti psicolo­ gici di distanza sociale »; l’elevato standard di vita e i modelli compe­ titivi di consumo che spostano le energie verso Taccrescimento del com­ fort anziché in direzioni rivoluzio­ narie; la produzione di massa dei beni di consumo che dà l’illusione di una eguaglianza; il sistema di se­ parazione su basi razziali, etniche e religiose che separano individui ap­ partenenti ad una stessa classe e sono una remora alla solidarietà di classe e, in ultimo ma più importante, la persistenza del « sogno americano », cioè della fede nella possibilità di ogni individuo di salire la scala so­ ciale purché sia abile, tenace e for­ tunato.

E’ per questa importanza psicolo­ gica della mobilità sociale che ad essa l’A. riserva il capitolo conclu­

sivo; in questo capitolo l’A. dà conto degli studi fatti pe~ misurare ogget­ tivamente la mobilità sociale. Questi studi sembrano effettivamente dimo­ strare che esiste una notevole mobi­ lità sociale verso l’alto, accanto ad una continuità considerevole delle posizioni sociali ed al loro carattere ereditario, in una coesistenza di fles­ sibilità e rigidità. L’A. attribuisce questo fenomeno a vari fattori: il progresso tecnico e lo sviluppo eco­ nomico che hanno accresciuto la mo­ bilità nel lavoro e allo stesso tempo creato nuove possibilità di accedere ad una classe media negli impieghi connessi con la distribuzione e tra­ sporto delle merci prodotte; la diffe­ renza nella natalità fra le varie classi che crea dei vuoti nelle classi supe­ riori e medie; gli effetti dell’immi­ grazione su larga scala per cui i la­ voratori locali vengono spinti di un gradino più in su ad ogni ondata di nuovi arrivati che occupano i gra­ dini più bassi. Egli considera quindi negli Stati Uniti l’esistenza di « due classi lavoratrici: una bianca, con possibilità abbastanza ampie di asce­ sa, ed una negro-portoricana-messi- cana che è socialmente isolata e for­ ma una specie di casta inferiore lavo­ ratrice che facilita l’ascesa sociale dei bianchi ». In conclusione l’A. ri­ tiene tuttavia che « il dinamismo e la fluidità caratteristiche del sistema delle classi in USA continuano con non diminuito vigore », purché tut­ tavia l’economia continui ad espan­ dersi e non vi siano periodi di pro­ tratta stagnazione o serio declino;

questa ipotesi sembra tuttavia assai poco probabile all’A., nell’anno 1958 in cui il saggio venne pubblicato.

Molte cose sono accadute nella sce­ na americana dal 1958 ad oggi, ed in particolare nel campo proprio di quell’ottavo sommerso della popola­ zione che ora comincia a prendere il suo posto nella scena politica ame­ ricana. Tuttavia quanto abbiamo det­ to dovrebbe essere sufficiente a dimo­ strare il grande interesse di questo saggio del Mayer; non solo perchè brillantemente e semplicemente scrit­ to tanto da essere di lettura assai piacevole, ma anche perché ci sem­ bra rappresentativo degli orientamenti tipici di una parte della sociologia americana.

Il desiderio di rimanere sempre in contatto con i dati di esperienza e di •ricerca oggettiva, la riluttanza a com­ piere quel salto ideologico che per­ metterebbe di formulare una elabo­ razione teorica del movimento stori­ co, l’identificazione della coscienza di classe con la consapevolezza co­ sciente di ciascun individuo, su un piano psicologico personale, della propria posizione sociale, e del risul­ tato delle proprie azioni, ci sembrano tutte caratteristiche di una sociologia che rifiuta come un pericolo e una tentazione l’ideologia, ancora sulla traccia delle posizioni di Weber, ben­ ché questo saggio possa essere consi­ derato come un tentativo di uscire da questa chiusura e allargare il di­ scorso sia pure entro certi limiti.

E.R.V.

G e o r g e s Co n d o mi n a s, « Classes so­ ciales et groupes tribaux au Sud Viêt-Nam », in Cahiers Internatio­ naux de Sociologie, vol. XL, gen­ naio-giugno 1966, pp. 161-170. I Cahiers Internationaux de So­ ciologie hanno già dedicato due nu­ meri (vol. 38, gennaio-giugno 1965, e vol. 39, luglio-dicembre 1965) allo studio delle classi sociali in vari paesi del mondo. Avendo già segnalato quei ■contributi — (Centro Sociale n. 65-66, 1965, pp. 155-57 - n. 67-68, 1966, pp. 131-35) — aggiungiamo una breve segnalazione dell’articolo sopra indicato.

Secondo l’A. il problema delle clas­ si sociali nel Viet-Nam si presenta in modo del tutto specifico. Difficile è, infatti, parlare di classi sociali in pae­ si dove l’industrializzazione, se c’è, è molto recente. Gli accordi di Gine­ vra, poi, nel Viet-Nam hanno deter­ minato una situazione particolare: al Nord si è sviluppata una intensa industrializzazione, ma accompagna­ ta da una rivoluzione dei rapporti so­ ciali; al Sud, invece, « la borghesia nascente, i cui interessi erano legati alla economia (se non alla politica) coloniale, ha ereditato le redini del

potere ».

Ma per comprendere l’assetto at­ tuale del Sud Viet-Nam è necessario vedere la situazione di quel paese pri­ ma degli accordi di Ginevra. Sotto il dominio cinese la struttura politica ed economica del Viet-Nam, consiste­ va nella vita autarchica di una con­ gerie infinita di piccoli villaggi do­ minati ognuno da un mandarino di iipo cinese. Evidentemente il fatto di

essere divisi in gruppi autarchici « ha impedito ai gruppi contadini di giun­ gere ad una presa di coscienza di classe indirizzata contro l’ammini- strazione dei mandarini ».

Una classe in formazione era inve­ ce quella di origine mandarinale: una aristocrazia che divenne un gruppo o una classe quando lo stato prese forma centralizzata, con a capo un imperatore. Questa classe aveva le sue fonti di reddito nelle imposte e negli uffici pubblici. Fatto notevole è che quelle imposte, a quel tempo, « rappresentavano di gran lunga la principale corrente di circolazione di beni », data l’assoluta mancanza di commercio interno ed esterno e la vita cittadina essendo limitata alle attività artigianali.

Ma l’avvento del colonialismo do­ veva porre in secondo piano quella aristocrazia: le sue funzioni veniva­ no limitate al ruolo esecutivo o, nei gradi più alti, specie l’imperatore, a quello rappresentativo. Al decadimen­ to di quella classe, conseguenza del colonialismo, si accompagna il sor­ gere di una nuova classe. Con i co­ loni viene introdotto il tipo di educa­ zione diffusa dagli europei e, di con­ seguenza, la nascita di una classe di intellettuali. Ma avviene che anche questa nuova classe, preparata intel­ lettualmente a certe aspettative, non può soddisfare queste stesse proprio a causa della situazione coloniale: i posti di maggior responsabilità sono riservati agli europei ed essa si vede quindi relegata ai posti subalterni. Questa classe dunque, frustrata e di­ sillusa, si presenterà — nota l’A. — come « un ottimo terreno per le idee

rivoluzionarie divenute accessibili grazie all’educazion ricevuta », dive­ nendo, in breve, il portavoce delle masse popolari nella lotta comune contro i coloni: « è dunque sotto la forma di presa di coscienza naziona­ le che si realizza la presa di coscienza di classe ».

Con i coloni giungono anche gran­ di investimenti finanziari; conseguen­ za di questo fatto sono una elevata circolazione monetaria, la creazione di poli industriali e, con la costruzio­ ne massiccia di strade e ferrovie, il richiamo di mano d’opera dalle re­ gioni più intensamente popolate e anche dalla Cina. Quest’ultimo fatto è molto importante: il gruppo cinese si sviluppa in una posizione del tut­ to particolare, diventa pian piano il ceto commerciante e, con ciò, un gruppo intermediario fra coloni e colonizzati.

Nella società cittadina, comunque, si va formando una classe borghese composta soprattutto di professioni­ sti, usciti dall’educazione dei coloni, a cui si aggiunge il ceto impiegatizio. Vi sono poi i padroni terrieri che, come i coloni, approfittano del la­ voro popolare. Al di sotto di tutti questi vi è, infine, la grande massa popolare, sfruttata, in modi diversi, da tutte le altre classi e categorie che man mano si sono andate diver­ sificando. Questa massa vive soprat­ tutto nelle campagne; perde, col pas­ sar degli anni, le proprie terre e pas­ sa al servizio di padroni. Ogni crisi agricola o, in genere, economica por­ ta con sè un’ondata di concentra­ zione latifondistica. Ne deriva, oltre a tutto, instabilità nella vita

agrico-la: urbanesimo, in un primo momen­ to, poi, date le impossibili condizio­ ni di vita (specie sanitaria) nei sob­ borghi cittadini, per chi non si è inserito, il ritorno alle campagne.

In molte zone comunque questo- movimento trova una utilizzazione periodica nei concentramenti di mano d’opera per la costruzione di ferro­ vie e strade. Un ceto prima compo­ sto di gruppi autonomi viventi nelle diverse zone del paese entra così in contatto, si riscontra uniforme nella comune condizione di sfruttamento: lo spostamento di queste forze di la­ voro costituisce, quindi, un importan­ te veicolo delle idee rivoluzionarie. Con la seconda guerra mondiale inizia, nel Viet-Nam, la guerra di li­ berazione. Questa porta alla forma­ zione di uno stato rivoluzionario a Nord del 17° parallelo, e, al Sud, di uno stato imperiale cui succede, ben presto, una parvenza di repub­ blica in realtà retta da un dittato­ re, Ngo Dinh Diém.

Sparita la potenza coloniale fran­ cese, « la ristrutturazione della so­ cietà coloniale, creata dalla occupa­ zione francese, s’è mantenuta e per­ sino rinforzata ». Pochi dei ceti su­ periori avevano partecipato alla ri­ voluzione: « la maggior parte, avendo compreso che i suoi privilegi sociali ed economici sarebbero stati messi in forse dalla rivoluzione, aveva pre­ ferito accettare il compromesso of­ ferto dalla potenza coloniale che le concedeva un’ombra di potere politi­ co » quel potere che « diventerà rea­ le alla fine di una guerra vinta dai rivoluzionari ». Sparito così lo scher­ mo della lotta nazionale,

ramo di classe, nella parte meridio­ nale del paese, si presenta in tutta la sua gravità. E, fatto che aggrava la situazione, il nuovo regime ditta­ toriale si regge, innanzi tutto, sulla polizia e sull’esercito.

In conseguenza di tutto ciò la bor­ ghesia si rafforza nei suoi privilegi; ma, anche, si chiude, protetta com’è dalle rivendicazioni delle classi in­ feriori.

Un altro elemento va poi tenuto presente: la differenza fra la popo­ lazione delle pianure e quella delle montagne. Questa è rimasta legata a culture di tipo arcaico, chiusa a ogni contatto; mentre nelle pianure sono passate civilizzazioni di tipo di­ verso, come quella cinese e indiana. Nelle montagne, considerate come regioni a parte anche dagli abitanti delle pianure, vivono gruppi che re­ golano la loro vita con leggi tribali e che sono divisi in piccoli villaggi

autonomi.

La clausura di questi piccoli grup­ pi è stata infranta dalla conquista coloniale: il villaggio non ha più vita autonoma, diviene elemento del­ lo stato, nello stato fa parte di un distretto e questo è inserito in una provincia. Ma la convivenza ammi­ nistrativa con popolazioni diverse de­ termina e sviluppa uno spirito di coe­ sione fra quei gruppi che, oltre a tut­ to, partecipano di una stéssa lingua. Essi si percepiscono, quindi, come un