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industrialmente progredite

d i P e t e r T o w n s e n d

Concetti e misura della povertà

Vi sono due modi di avvicinarsi allo studio della povertà. Il primo è basato sul concetto della «sussistenza», o «assoluto». In base ad esso, vengono definiti un certo numero di bisogni umani fondamentali, specialmente nel campo della alimentazione, che variano con il sesso, l’età, il clima e il tipo di lavoro (pesante o leggero) ma che per altri riguardi non variano molto di società in società. Cibo, tipo di abitazione, vestiario e mezzi di riscalda­ mento necessari a soddisfare questi bisogni in una data società si possono definire in termini delle quantità di prodotti e di beni disponibili. Questi, a loro volta, possono essere tradotti in costo in denaro. I poveri sono allora coloro che hanno un reddito al disotto di questo mimmo.

Questo modo di definire la povertà risulta incoraggiante per chi vive nei moderni paesi industriali, per quattro ragioni. Prima di tutto, la P o r z i o n e della popolazione che vive in stato di povertà, secondo questa defin zl° risulta piccola. In genere i salari nei paesi industriali raggiungono un livello tale da mantenere l’efficienza fisica. In secondo luogo, questa proporzione risulta assai inferiore a quella dei paesi cosiddetti iri via di sviluppo: u n a

semplice occhiata alla tabella 1, che ci dà lo stato di nutrizione d, diverse T a b e lla 1. A lc u n i in d i c i e c o n o m i c i e s o c i a l i d i p a e s i r a g g r u p p a t i p e i

Paesi secondo il reddito nazionale pro capite, in dollari

Vita media Mortalità

probabile infantile

alla nascita per 1000

Numero di abi­ tanti per medico r e d d i t o n a z io n a le Consumo di calorie pro capite Percentuale di farinacei sul consu­ mo totale di calorie

1.000 ed oltre (es. Australia,

Svezia, Stati Uniti) 71 575-1.000 (Belgio, Francia,

URRS, Gran Bretagna) 68 350-575 (Austria, Germania

Orient., Polonia, Argentina) 65 200-350 (Grecia, Spagna, Mes­

sico, Giappone) 57

100-200 (Portogallo, Brasile,

Perù, Ghana) 50

meno di 100 (Bolivia, Congo,

India, Pakistan) 42

Estratto dal R a p p o r to s u lla s itu a z io n e s o c ia le

25 885 3.153 45 42 944 2.944 53 57 1.724 2.920 60 97 3.132 2.510 74 131 5.185 2.240 70 180 13.450 2.070 77

m o n d ia le. Nazioni Unite, New York, 1961.

popolazioni, mostra chiaramente l’enorme stato di privilegio delle nazioni ricche.1 In terzo luogo, e come conseguenza, la proporzione delle persone in stato di povertà si trova a diminuire col passare del tempo. Poiché il reddito reale tende a crescere nei paesi industriali, la proporzione della popolazione « rimasta indietro » tende a diminuire gradualmente. E finalmente, le direttive di politica sociale che tendono a combattere la povertà sono altamente selettive e con finalità di miglioramento, anziché universali e con fine di « ricostruzione ». Se la politica assistenziale può essere concentrata sulle necessità di quelle piccole zone della popolazione in stato di bisogno, non è necessario porsi il problema di trasformazioni strutturali.

Nella sua essenza questo è ancora il modo di considerare il problema che Viene adottato, malgrado varie modifiche, negli Stati Uniti e in Europa, e anche da vari enti delle Nazioni Unite. In questa sede descriverò brevemente quelle che a me sembrano le manchevolezze di questa concezione; e cercherò di indicare quella alternativa che a mio parere è necessario considerare se si vuole meglio comprendere la situazione in maniera scientifica e se si vuole avere una base per una politica sociale più efficiente. In Gran Bretagna si stanno compiendo notevoli sforzi per elaborare un nuovo modo di vedere il problema: questo necessariamente implica una revisione dei nostri concetti e dei metodi di misura operativi per ciò che riguarda la stratificazione sociale e le classi.2 Nel 1963 il Joseph Rowntree Memorial Trust concesse un generoso finanziamento all’Università dell’Essex e alla London School of Economics per intraprendere uno studio della povertà su scala nazionale. Nella prima fase abbiamo esaminato i dati statistici governativi= e completato una serie di studi- pilota 4 Cercherò ora di presentare alcuni degli aspetti generali di questo lavoro. I l conoetto tradizionale: la sussistenza

Il tentativo di calcolare e di applicare uno standard di sussistenza risale in realtà a Seebohm Rowntree e alla sua indagine sociologica ed economica sulla città di York del 1899, benché Sir Frederick Eden e Charles Booth lo avessero preceduto in un tentativo di rilevazione sistematica dei poveri.5 Rowntree stimò il costo di acquisto dei « generi di necessità » che secondo i suoi calcoli abbisognavano a diversi tipi di famiglie per mantenersi in efficienza fisica. Questi consistevano in cibo, vestiario, affitto, combustibile per riscaldamento e una quota piuttosto piccola per acquisti di vario genere per la casa. Il costo del cibo era di gran lunga superiore al costo di tutte le altre voci sommate insieme. Rowntree, quindi, contò le famiglie il cui reddito totale era insufficiente all’acquisto di questi generi di necessità. Questo sistema fu usato in larga misura da Rowntree e da altri in indagini successive, sia in Gran Bretagna che in altri paesi.6

M odifiche al concetto tradizionale

Fin dall’inizio il cibo, o l’elemento « nutrizione » fu considerato il più « scien­ tifico » nello stabilire lo standard di povertà. Questo modo di affrontare il problema era naturalmente passibile di modifiche. Si poteva, ad esempio, calcolare il costo di una dieta minima di sussistenza e considerare che la cifra risultante costituisce una percentuale del reddito totale necessario a soddisfare tutti i bisogni, equivalente al costo del cibo in proporzione alle spese totali medie della famiglia. O ancor meglio, sarebbe possibile trovare empiricamente quali sono i livelli di reddito totale in diversi tipi di famiglie raggiunti 1

quali la famiglia riesce in effetti a raggiungere uno standard di nutrizione minimo adeguato. Questi livelli si possono allora considerare come approssi­ mazioni della « linea di povertà ».7

Il primo sistema ha trovato autorevoli sostenitori negli Stati Uniti. Indagini sulla povertà svolte a cura della Amministrazione federale per la Sicurezza sociale si servono di un sistema di misurazione basato sul costo di uno schema economico di alimentazione.« Il Consiglio nazionale delle ricerche negli Stati Uniti ha tracciato il profilo dei requisiti di nutrizione per diversi tipi di famiglie. Il Ministero dell’Agricoltura ha tradotto questi requisiti in tipi e quantità di cibi che costano determinate somme di denaro, noti sotto il nome di «schema economico di alimentazione». Questo schema avrebbe dovuto essere usato solo temporaneamente e in periodo di crisi, quando le risorse familiari erano basse.9 In altri termini, si presume che il costo dello schema costituisca rispetto al reddito minimo totale necessario la stessa per­ centuale che la spesa per il cibo costituisce rispetto al bilancio casalingo americano medio.

Esperti delle Nazioni Unite hanno anche elaborato costi di sussistenza per vari paesi a reddito basso, benché in pratica si sia scarsamente tentato di procedere a rilievi su campioni rappresentativi della popolazione, in gran parte perché, a quanto sembra, i costi calcolati tendevano a risultare circa il doppio dei salari medi.19 In paesi come la Bolivia, il Cile, l’Equador, l’Iran e la Libia la massa della popolazione era povera in questo senso.

Misurazioni di livelli di sussistenza, con o senza modifiche, danno per risultato quote minori della popolazione povera, mano a mano che la misura­ zione viene eseguita in date successive. Benché Rowntree avesse m od dicalo in senso più liberale i suoi standards di sussistenza sia nel 1936 che nel 1950, un numero progressivamente minore di individui poveri fu trovato nella 1 “ “ “ di York negli anni 1899, 1936 e 1950, rispettivamente il 28%, 18% e 2 /o

In maniera simile, negli Stati Uniti, l’Amministrazione della Sicurezza sociale ha trovato di recente un’incoraggiante diminuzione della povertà dal 22 A a

18% nel periodo di cinque anni, usando sempre lo stesso standard di sussi­ stenza. Nelle parole della Relazione economica del presidente degli Stati ni i

per l'anno 1965, « cinque anni di prosperità e di continua espansione economica hanno dato un contributo significativo alla riduzione del numero di persone che vivono in povertà. Fra il 1959 e il 1964 il numero di persone definite povere è sceso da 38,9 milioni a 34,1 milioni »,12

Ci sono almeno tre diverse fonti di errore in queste misure, anche se modifi­ cate. Anzitutto, la valutazione dei bisogni « di nutrizione » non ha carattere più « scientifico » delle valutazioni di bisogni sociali o psicologici, ed è fonda­ mentalmente inseparabile da esse. Un esame accurato della letteratura dimostra che la base scientifica delle asserzioni concernenti i bisogni di nutrizione è veramente molto debole, e che il metodo su cui si basa il raggruppamento per classi inevitabilmente viene ad includere medie calcolate grossolanamente.13 In secondo luogo, bisogni sociali e psicologici sono altrettanto « fondamentali » quanto bisogni fisici e di nutrizione. E in terzo luogo, in società che divengono più complesse e più prospere si generano nuovi bisogni, particolarmente bisogni che si possono classificare come psicologici e sociali. I vecchi standards di povertà dovrebbero quindi essere riveduti in corrispondenza.’'4

Concetti simili si possono applicare al problema di elaborare sistemi soddi­ sfacenti di sicurezza sociale. I princìpi per cui lo stato non ha altro dovere verso il cittadino se non quello di garantire un minimo livello di sussistenza anziché un’eguaglianza di reddito o di guadagno, e per cui le prestazioni debbano essere aumentate in corrispondenza ad un aumento dei prezzi e non in relazione ad un aumento nei redditi, corrispondono al modo di affrontare la povertà basato sul livello di sussistenza. Fondamentalmente, questi princìpi esprimono una filosofia sociale « separatista » che storicamente trova le sue radici nei princìpi delle condizioni di assistibilità della Poor Law inglese.

Povertà relativa

L’alternativa di metodo che vogliamo proporre è quella di stabilire obiettiva­ mente quanti individui e famiglie hanno risorse notevolmente inferiori alle risorse a disposizione della media dei membri della società — sia questa società una comunità locale, o una società nazionale o intemazionale. Questo significa il poter mostrare quali sono le « risorse » di cui i poveri mancano o di cui dispongono in misura insufficiente. E significa anche decidere cosa sia da intendere per « notevolmente inferiori ». I concetti sociologici di « gruppo di riferimento » e di « esperienze riferite » sono evidentemente essenziali a questa analisi. Vi è tutta una serie di problemi da mettere in discussione.

Anzitutto, le risorse. Preferiamo questo termine al termine reddito, perché in tutte le società esistono persone con piccolo reddito costante, ma risorse d’altro genere in misura significativa (fra queste va incluso il patrimonio) e viceversa. Per le società industriali Richard Titmuss ed altri hanno dimostrato quanto siano importanti nella società moderna gli « emolumenti addizionali in

natura » e la possibilità di risparmiare e distribuire il denaro nel t e m p o . L a proprietà di un patrimonio può avere una influenza decisiva sulla possibilità di mantenere un certo tenore di vita — anche a basso livello di reddito. Questo tipo di proprietà è assai diffuso negli Stati Uniti. Uno dei beni più importanti è la casa e le relative suppellettili, e molti altri tipi di risorse. La distribuzione differenziale di servizi « gratuiti » nei campi della salute, educazione ed assi­ stenza fra le popolazioni industriali è di importanza troppo grande per potere essere trascurata. Il reddito in natura, specialmente fra i poveri, ha la sua importanza. Inoltre se vogliamo considerare la casa, i beni materiali e le risorse « d’ambiente » in generale, dobbiamo allora prendere in considerazione anche le condizioni di lavoro. Le condizioni e relazioni sociali che accompa­ gnano certi settori occupazionali, debbono essere valutate, ivi inclusi anche i provvedimenti dell’industria che garantiscono stabilità di lavoro, promozione e pensionamento. Ritengo che sia possibile sviluppare definizioni operative di tutte queste risorse. Almeno in linea di principio si possono allora distribuire popolazioni in corrispondenza alla loro disponibilità di tali risorse.11' Essenzial­ mente questo modo di vedere le cose è una nuova formulazione del concetto di classe come posizione economica nella società. Ma esso implica anche stabilire la misura in cui esiste « concordanza di rango » fra le diverse dimen­ sioni, o risorse, in base alle quali la popolazione viene stratificata.

In secondo' luogo, i mezzi per esprimere la disponibilità delle risorse. Ammet­ tiamo per il momento l’ipotesi che sia possibile dare una definizione ragione­ volmente obiettiva delle risorse. Il problema che segue immediatamente e quello di come esprimere i dati risultanti dall’applicazione delle definizioni. Oggetti­ vamente è possibile rivelare i bisogni o la povertà di un individuo con i paragonare la sua condizione e le sue risorse con la condizione e risorse di altri individui nella stessa società che siano, ad esempio, dello stesso sesso ed età, o di una diversa generazione, e con le condizioni e risorse in suo possesso in un’epoca precedente. Logicamente la « società », in questa formu­ lazione, può indicare un gruppo familiare coabitante, una famiglia, una comu­ nità, una nazione o la società mondiale. Logicamente anche, « l’individuo » può essere una unità sociale — un gruppo familiare coabitante o una famiglia, un?, comunità o una nazione. Possiamo quindi cominciare a costruire il nostro /nodello per un’analisi comparativa sistematica.

In terzo luogo, c’è il problema di come definire « notevolmente inferiori » le risorse sotto la media. Quale livello di risorse si può giustificatamente definire come povertà in contesti socio-economici diversi? Oggettivamente dovrebbe essere possibile trovare a quale punto di una serie discendente di risorse o di redditi avvengono fenomeni che si scostano significativamente dalla norma so­ ciale. Per esempio, la proporzione del bilancio familiare dedicata al cibo è stata trovata costante, in molti paesi industriali, nelle classi a reddito medio. Ma questa proporzione aumenta bruscamente sotto un certo livello di reddito.

Il punto in cui questa proporzione cambia si potrebbe considerare il punto al disotto del quale le persone si trovano in stato di povertà. In materia simile, può darsi che future ricerche stabiliscono l’esistenza di altre brusche variazioni in altre categorie di consumo o in altri tipi di comportamento: numero dei pasti cucinati, frequenza scolastica, « auto-privazioni » (come andare al lavoro a piedi, saltare pasti, non usufruire di vacanze, ecc.).

Un altro modo possibile di affrontare il problema è quello di paragonare le risorse reali con ciò che convenzionalmente (e individualmente) viene consi­ derato « necessario ». Alcuni standards convenzionali, come ad esempio tabelle delle prestazioni di assistenza pubblica, sono stati istituzionalizzati. Le risorse individuali e familiari si possono esprimere in rapporto a queste, e si può allora mettere in luce quante persone vivono ad un livello inferiore, o appena supe­ riore.18 Altri standards si possono dedurre rilevando l’opinione pubblica su ciò che costituisce privazione per sé o per gli altri. Espressioni individuali o col­ lettive di opinione si possono ottenere mediante interviste.

Soggettivamente l’individuo può esprimere i bisogni che sente in relazione agli altri che lo circondano, e agli standards del gruppo al quale aspira. In una società prospera un maggior numero di individui si sentirà relativamente in stato di privazione, perché le loro aspirazioni sono più elevate. Col progre­ dire dell’industrializzazione un maggior numero di persone diventa cosciente dei diritti e benefici economici che vengono loro negati malgrado l’aumento del loro potere d’acquisto. E’ quindi importante avere una certa « misura » delle concezioni sociali, convenzionali o individuali di bisogno.19 Tuttavia, analiti­ camente esse debbono essere mantenute distinte.

Vorrei ora dare qualche esempio pratico che serva a caratterizzare questo modo di vedere le cose.

Fra le misure operazionali più importanti ci sono le seguenti:

1) Risorse individuali e familiari espresse come percentuale delle risorse medie individuali o familiari (per es. guadagno industriale medio, distribuzione pro capite del reddito nazio­ nale lordo, reddito disponibile pro capite, anni di scolarità, metri cubi di spazio nella casa pro capite, numero medio dei diversi tipi di beni appartenenti al gruppo familiare). 2) Risorse individuali e familiari espresse come percentuale delle

risorse già disponibili in qualche periodo precedente nella vita dell’individuo o del gruppo familiare (particolarmente utile quando si tratti di illustrare le situazioni di gruppi del tipo pensionati, malati o disoccupati).

3) Risorse individuali e familiari espresse come percentuale delle risorse minime convenzionalmente considerate « necessarie » (per es. tabelle dell’assistenza pubblica).

4) Risorse individuali e familiari espresse come percentuale delle risorse che l’individuo stesso ritiene sarebbero adeguate a lui.

Vogliamo ora considerare un certo numero di diverse unità sociali. Anzitutto gli individui all’interno del gruppo familiare.

In genere si considera che i membri di uno stesso gruppo tamiliare condi­ vidano tutti lo stesso tenore di vita. Questa ipotesi è probabilmente inevita­ bile in un gran numero di ricerche, ma non si può accettarla senza critiche. La situazione di lavoro del capofamiglia può essere relativamente migliore o peggiore di quella della massaia. I figli si possono trovare in condizioni di dieta relativamente migliori o peggiori dei loro genitori. Ad esempio, 1 bambini piccoli delle comunità indie del Guatemala ricevono una dieta relativamente povera. « La quantità di cibo data ai bambini piccoli durante lo svezzamento e immediatamente dopo è in proporzione minore di ciò che essi dovrebbero avere se il totale del cibo consumato da tutta la famiglia fosse diviso a seconda dei bisogni di nutrizione dei suoi diversi membri».20 11 diagramma che segue illustra la differenza nell’adeguatezza del consumo dietetico fra questi bambini e le famiglie considerate come un tutto.