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Le strutture americane

In america il tentativo di risolvere il problema della frammentarietà fu con­ dotto in due maniere distinte. Dal punto di vista della « offerta » ci si preoc­ cupò di stabilire una collaborazione volontaria fra gli « offerenti ». Il sistema della case conjerence (discussione di gruppo fra operatori diretti per concer­ tare un’azione comune in relazione ai bisogni totali di un singolo caso) può servire a illustrare il processo che cerca di risolvere discontinuità e conflitto tra piani d’azione in quanto si verifichino in un caso singolo. I comitati vo­ lontari per l’assistenza tentarono anche di produrre linee direttive coerenti, rappresentanti degli enti fornitori di servizi si incontrarono per cercar di ri­ solvere problemi interessanti la comunità anziché il singolo, mediante deci­ sioni prese in comune e studi fatti insieme. Si partiva dall ipotesi che le linee direttive dei singoli enti sarebbero venute a cambiare una volta che questi rap­ presentanti si fossero resi conto della natura del problema tramite un pro­ cesso di studio e discussione. Qualche volta questi incontri a scopi auto-edu­ cativi presero la forma di comitati di coordinamento in relazione a progetti formulati in comune. I cambiamenti avrebbero dovuto verificarsi mediante l’addestramento di dirigenti in grado di elevarsi al di sopra degli interessi par­ ziali degli enti che rappresentavano, e spassionatamente farsi promotori di tra­ sformazioni che dessero una maggiore coerenza all’aggrovigliata situazione dei servizi sociali con i loro settori acquisiti e i loro privilegi.

I comitati per l’assistenza si preoccupavono anche della domanda, come si vede dai vari servizi di informazione e smistamento da essi istituiti. Qualche volta questi servizi erano a disposizione solo di gruppi speciali. Ad esempio gli assistenti sociali di patronato (benefits counselors) presso il Sindacato dei minatori davano consigli agli iscritti sull’uso dei servizi sociali. Alcune personalità politiche avevano dipendenti il cui lavoro era quello di servire da «lubrificanti» della macchina assistenziale, non solo per gli individui già impegnati sul piano politico, ma anche con la speranza di promuovere nuovi rapporti di significato politico con la comunità in generale. Questo tipo di aiuti tende a far sentire le persone in debito verso l’organizzazione politica e quindi a promuoverne la fedeltà politica. I Comitati per l’assistenza hanno funzionato essenzialmente pubblicando una guida dei principali servizi sociali nella comunità e segnalando all’ente «appropriato» individui che si presen­ tavano per ottenere consigli. Il funzionamento di questi servizi si basava sul principio che si potesse ottenere un coordinamento tramite l’educazione degli utenti. L’utente del servizio riceveva le informazioni necessarie ai suoi bisogni (bisogno di raggi X per accertare la tbc, o di un esame medico o di un collo­ quio di orientamento professionale o di casework) e relative ai servizi che esi­ stevano per sopperire a questi suoi bisogni. Si presupponeva implicitamente che una miglior conoscenza dei servizi avrebbe condotto ad usarne di più. In occasioni speciali l’informatore, oltre all’educare l’utente, gli facilitava anche

il servizio — telefonando per esempio all’ente prima dell’arrivo del « cliente » in modo che questi ottenesse di esser ricevuto meglio. Si sperava che questa maggior comunicazione avrebbe avuto il risultato di facilitare il coordina­ mento dei servizi e di estenderne l’uso. L’idea che potessero esistere interessi contrastanti, o precostituiti era considerata estranea ad una corretta prassi professionale, e non veniva neppure considerata come utilizzabile nel senso di formare una classificazione di enti in vista di una segnalazione appropriata.

Per quanto è possibile dedurre dalle informazioni piuttosto disparate che abbiamo a disposizione, sembra che questi procedimenti abbiano avuto come effetto uno scarso aumento dell’afflusso di clienti e della resa di servizi. Quan­ do si pone l’accento sull’importanza di indirizzare i clienti correttamente at­ traverso il sistema, naturalmente si dà importanza al tempo stesso al lavoro dia­ gnostico. Uno studio recente compiuto a New York rivela che nel 1962 il 66% dei servizi di igiene mentale volontari fornivano soltanto valutazioni diagno­ stiche e psicologiche. Dei 5.851 bambini che avevano contatto con consultori psichiatrici solamente il 14% riceveva un servizio che i clienti stessi definivano come « trattamento ».2 La chiarificazione del problema diventa cioè sostitu­ zione del servizio vero e proprio.

Ma questo articolo non si vuole occupare tanto di valutare l’efficacia di questi sistemi tradizionali di dépistage, coordinamento e smistamento, quanto di esaminare i presupposti impliciti che formano la base della loro prassi.

Nei decenni scorsi il sistema dei comitati di assistenza era quello che domi­ nava il pensiero della maggior parte dei metodi di coordinamento e smista­ mento. Vogliamo ora mettere in luce i contrasti fra le ipotesi del metodo tra­ dizionale con quelle dei nuovi Programmi di azione comunitaria (in effetti su un piano di azione pratica le cose possono essere ancora diverse). Emer­ gono allora sei dicotomie. Queste possono forse drammatizzare un po’ troppo le differenze, ed esagerare verbalmente quel che spesso è una differenza di intensità anziché di qualità. Tuttavia anche una differenza nel porre l’accento su diversi fattori è importante.

Prima di tutto, tradizionalmente, nella maggior parte dei casi si partiva dalla ipotesi che le risorse fossero costanti: il problema era qundi come distribuire risorse fisse o in diminuzione, dando per scontato che queste risorse fossero scarse. I Programmi di azione comunitaria si basano su di una disponibilità di nuove fonti di risorse potenzialmente anche vaste. Essi possono servire come un nuovo meccanismo per ridistribuire redditi e servizi. I nuovi im­ pegni del Governo Federale di distribuire fondi alle comunità locali in settori di intervento, quali sussidi per le abitazioni, per l’istruzione (un tempo consi­ derata quasi esclusa da aiuti federali a causa del problema stato-chiesa), pro­ grammi contro la povertà, programmi di qualificazione e riqualificazione e così via, hanno modificato notevolmente le precedenti direttive, che compor­ tavano continue pressioni per ottenere il necessario.

Nel sistema tradizionale ci si preoccupava assai di possibili duplicazioni e sovrapposizioni. Spreco, inefficienza o competizione fra servizi erano tutti con­ siderati in genere come un male, che contribuiva all’aumento dei problemi so­ ciali e che rendeva arduo l’uso razionale dei servizi disponibili. La soluzione era da ricercarsi in un miglior coordinamento e una maggiore efficienza. Si cercava di avere una centralizzazione dei servizi e un sistema di calcolo dei costi; il modello derivato dalla applicazione di tecniche amministrative del mondo degli affari era evidente. Mentre anche i CAP danno importanza all’ef­ ficienza, in contrasto il loro maggiore centro di interesse è piuttosto 1 efficacia. Quel che oggi ci preoccupa è il calcolo dei risultati, non solo dei costi. Il pro­ blema è di sapere se questi programmi raggiungono lo scopo che si erano posto: questi bambini imparano a leggere? questi ragazzi trovano lavoro? In altre parole, al giorno d’oggi, il modo di affrontare i problemi sia in parole che in fatti è cambiato: la qualità dei servizi e l’importanza pratica dei servizi ri­ spetto ai bisogni del cliente sono i temi centrali delle politiche sociali.

Con il sistema tradizionale si era abbandonato o messo da parte l’impegno primario ad una selettività (cioè a provvedere i servizi anzitutto al settore della popolazione con reddito basso), in favore invece all’estensione dei servizi a tutta la comunità. Gli enti a carattere comunitario che erano affiliati alle strutture tradizionali di coordinamento, come i settlements o gli enti di servi­ zio sociale familiare, definivano le loro funzioni come dirette a tutta la co­ munità e non soltanto alle persone in stato di povertà. Data la scarsità di fondi, il pagamento di un compenso per servizi resi diventava desiderabile, e la prassi professionale tendeva a non occuparsi di clienti considerati come probabili « rischi di insuccesso ». Ambedue queste tendenze contribuirono al­ lo sganciamento degli enti volontari dai poveri. Il punto di vista dei CAP è che la distribuzione dei servizi ai poveri è il compito più importante. Mentre viene accettato che anche altri gruppi possano ricevere dei servizi, i CAP sono impegnati a revocare la « legge di ferro » dell’assistenza (« le persone in maggior stato di bisogno sono quelle che non ricevono i servizi qualitati­ vamente migliori »).3 Il principio di selettività ha ora sostituito quello prece­ dente sull’universalità dei servizi per tutta la comunità.

Nel sistema tradizionale ci si dedicava alle « cause meritevoli » la di­ stribuzione di beneficenza — anziché affrontare « problemi » che potessero dar luogo a conflitti o sulle finalità (ad es. integrazione fra le classi) o sui mezzi (ad esempio limitazione delle nascite).1 I professionisti cercavano di proteg­ gere il prestigio e la reputazione del proprio ente evitando controversie e con­ flitti. In contrasto, i CAP si preoccupano anzitutto di proteggere l’utente e sono più disposti (almeno per il momento) a rischiare controversie.

Il sistema tradizionale aveva una gamma limitata di interventi. Istruzione e qualificazione non venivano considerate funzioni proprie dei servizi sociali. La giustificazione intellettuale di questa posizione si può trovare in Wilensky

e Lebaux con la loro importante distinzione fra ciò che è istituzionale e ciò che è « residuale », che lasciava l’istruzione al di fuori del campo dei servizi sociali, in quanto era istituzionalizzata.5 Inoltre la pianificazione concerneva particolarmente gli enti volontari, benché spesso fossero formulate molte auto­ critiche sull’insuccesso della cooperazione e integrazione con gli enti pubblici, che dopo tutto controllano la maggior parte delle spese nel campo dei servizi sociali. Il nuovo modo di affrontare la situazione, invece, si basa sulla teoria del ciclo della povertà, ed è impegnato ad una vasta gamma di interventi, specialmente in quei settori che rappresentano possibilità di trasformazione, cioè istruzione e lavoro, entrambi quasi completamente ignorati dalle strut­ ture di pianificazione tradizionali, che si occupavano principalmente di tem­ po libero, salute e assistenza.

La legittimità del modo di pianificazione tradizionale era basata sulla fun­ zione delle élites sociali ed economiche. Si supponeva che esse fossero capaci di agire « nel migliore interesse » di tutta la comunità. Secondo questa tradi­ zione del noblesse oblige, le élites erano tenute ad affrontare i problemi della comunità, ed avevano in questo senso speciale competenza. Le loro posizioni di vantaggio garantivano un interesse non soggettivo al bene di tutta la co­ munità. L’ortodossia accettata era quella che ipotizzava l’armonia degli inte­ ressi nel seno della comunità anziché l’esistenza di conflitti e di interessi pre­ costituiti. In contrasto, il nuovo sistema deriva la sua legittimità dall’azione politica governativa, ed è più responsabile direttamente verso l’utente, gli elettori e l’opinione pubblica di quel che non lo fossero le élites. I gruppi di interesse compaiono nel vocabolario della politica. Il processo politico ac­ cetta il conflitto come naturale e riconosce i diritti dei poveri mano a mano che la loro forza aumenta. I CAP rappresentano una nuova coalizione — che anche in situazione ideale non è mai perfetta — fra governo e democra­ zia dal basso. Questa tendenza è stata rafforzata dalla condizione posta per ricevere fondi federali, che con insistenza richiede « che i poveri siano im­ pegnati nel programma nella massima misura possibile ». (Questa pianifica­ zione pubblica rappresenta ora una minaccia per gli enti privati di piani­ ficazione, così come negli anni trenta la responsabilità assunta dal governo nel distribuire aiuti materiali chiamava in causa la funzione degli enti di ser­ vizio sociale familiare e li sospingeva in nuove direzioni).

Sia il sistema tradizionale che quello nuovo hanno tuttavia in comune un dilemma, che di per sè pone dei limiti al tipo di intervento che si propongono. Ambedue i sistemi vogliono portare al massimo la coerenza e la razionalità senza però diminuire l’autonomia degli enti di servizio sociale. Ambedue non vogliono sminuire l’autorità delle istituzioni della comunità già esistenti ride­ finendone le funzioni o assumendosi direttamente i loro compiti. La pianifica­ zione sociale contemporanea in America non è disposta a intervenire in una sorta di lotta libera di una democrazia decentralizzata. Stranamente, quindi,

il settore dell’assistenza sociale è diventato l’ultima fortezza del laissez-faire e della libera iniziativa. La pianificazione sociale non è in grado di riconci­ liare quella politica di dirigismo che pure invoca, e al tempo stesso conservare fiducia nella vitalità di una società individualistica, non diretta, orientata dalla richiesta di mercato.

Questa limitazione filosofica, auto-imposta, alla pianificazione, conduce ad un tipo particolare di pianificazione sociale a livello locale, che è volta a creare il ” cemento ” che leghi distributori ed utenti.* Ciò che ha conquistato l’interesse dei pianificatori è la coerenza e razionalità del sistema della do­ manda e dell’offerta. Il problema operativo della pianificazione sociale diventa quindi il dilemma di ricevere, smistare, indirizzare e coordinare la domanda degli utenti in un sistema di offerta di servizi frammentario ed incoerente.

I CAP hanno introdotto alcune importanti innovazioni che derivano dalle ipotesi ricordate sopra, con questa forma di pianificazione da parte di una «terza forza». Prima di esaminare queste ipotesi, che d’altronde sono restate in larga misura implicite, volgiamoci alle esperienze europee.

L e esperienze europee

Il sistema inglese. — I Citizens’ Advice Bureaus (uffici di consulenza per i cittadini) furono stabiliti in Inghilterra durante la seconda guerra mondiale, come risposta « alle difficoltà e perplessità di coloro che avevano subito bombardamenti, che avevano bisogno di aiuto, ma non sapevano quali aiuti ci fossero nè dove rivolgersi per averli »7. Nel periodo post-bellico Lord Be­ veridge considerò questi uffici come mezzi di ricevere non solo consigli, ma anche protezione. Egli propose che uno dei loro scopi dovesse essere « aiutai e il cittadino a proteggersi dalle autorità pubbliche, quando queste per errore o stupidità agivano in modo sbagliato ».8 Oggi, ogni ufficio è autonomo, ben­ ché accreditato dalla sede nazionale. Nel 70% degli uffici il personale non e pagato, il bilancio è alimentato sia da contributi volontari che da sussidi pub­ blici, ed è gestito indipendentemente. Esistono oltre quattrocento uffici che ogni anno ricevono richieste di informazioni che superano il milione e un quarto. Più della metà di queste richieste concernono problemi familiari e riguardanti l’abitazione.

Gli uffici non hanno tentato di servire come mezzo di protezione per x cit­ tadini contro la discrezionalità della burocrazia, come si potrebbe dedurre dal­ le parole di Beveridge, ma come parte di una organizzazione nazionale si trovano nella situazione di poter fare molto di più che non semplicemente dar consigli ad individui: possono tentare di promuovere e modificare la legisla­ zione in favore dei cittadini. Le richieste di informazioni che essi ricevono sono in certa misura uno specchio di ciò che è 1 esperienza del pubblico a contatto con la burocrazia dei servizi. Inoltre, questo sistema inglese di avere

una organizzazione nazionale che presta servizi tramite uffici locali è una maniera di sviluppare un corpo comune di esperienze. Un ente nazionale o regionale può disseminare informazioni, addestrare personale e quindi raffor­ zare la qualità del servizio.

Alcuni teorici hanno sostenuto che i caseworkers nelle comunità americane potrebbero avere funzioni simili, consigliando i loro clienti sulle risorse della comunità e trasmettendo ai comitati per l’assistenza quei problemi speciali che richiedono riforme. L’argomentazione è ammissibile, anzi convincente; solo che in pratica le cose non funzionano così: l’idea di proteggere l’utente con­ tro una burocrazia ostile o indifferente è completamente estranea agli enti tradizionali, che definiscono gli utenti come clienti, e che per definizione considerano i professionisti come persone che agiscono nel migliore interesse dei loro olienti.

L ’Ombudsman ebbe origine in Svezia nel 1809; nel 1919 la costituzione finlandese stabilì una funzione simile. Negli ultimi dieci anni questa figura è stata adottata in Danimarca, Norvegia e Nuova Zelanda. In Inghilterra si sta seriamente considerando l’idea di istituirla, e il deputato democratico per il Wisconsin Henry Reuss ha proposto una modificazione di questo sistema da applicare negli Stati Uniti.0

L ’Ombudsman riceve reclami da cittadini che ritengono di non aver otte­ nuto un giusto trattamento da funzionari governativi. E’ nominato dal Par­ lamento per un periodo di tempo stabilito, e fa parte dell’« amministrazione » nel senso che ha accesso a documenti riservati. Benché sia in suo potere iniziare procedimenti giudiziari contro funzionari pubblici, solo raramente giunge a queste estreme misure. Più comunemente, notifica all’amministra­ zione in questione le sue critiche, e occasionalmente rende noto il suo parere attraverso la stampa. E’ abbastanza naturale che le sue raccomandazioni ven­ gono accettate, e ne segua un azione pratica. L’Ombudsman in genere si oc­ cupa di quelle situazioni in cui la burocrazia commette eccessi di autorità o non segue le procedure accettate; in altri termini, si occupa di abusi ammini­ strativi. Le sue responsabilità si estendono a tutti gli enti dipendenti dal gover­ no centrale; solo qualche volta esamina reclami contro le autorità locali. Non è neppure necessario che riceva un vero e proprio reclamo, in quanto egli può condurre una investigazione di propria iniziativa.

Nei paesi scandinavi YOmbudsman aveva ricevuto circa 1200 reclami nel corso del 1964. I più comuni sono contro istituzioni con poteri coercitivi; poli­ zia, prigioni, ospedali psichiatrici e tribunali (si confronti questo con l’attività dei Citizens’ Advice Bureaus che segnalano i loro casi principalmente ad isti­ tuzioni fomenti servizi). Circa i due terzi dei reclami vengono archiviati, in quanto non vi sono sufficienti ragioni per proseguire l’investigazione. Solo nel 10% dei casi è accaduto che YOmbudsman abbia ufficialmente criticato il governo.10

Gli interventi, quindi, da parte di una terza forza nell’esperienza europea sembra che avvengano principalmente nei campi dell’educazione dei cittadini e degli abusi di autorità. Non costituiscono di per sè un meccanismo per pro­ teggere gli interessi dell’utente. Il cittadino, in linea di massima, non è definito come un gruppo di interesse che ha bisogno di protezione contro eventuali abusi della discrezionalità amministrativa. Tuttavia questi interventi differi­ scono dai sistemi americani di segnalazione e informazione in quanto si occu­ pano in misura piuttosto larga del modus operandi delle istituzioni e delle modifiche da apportarvi. Differiscono anche nella definizione da essi data di co­ loro che se ne servono: i Citizens’ Advice Bureaus, come i servizi tradizionali americani, si occupano dei non-informati; YOmbudstnan dei malcontenti e il Programma di azione comunitaria degli « alienati ».

Ma quel che accomuna tutti questi programmi è il problema sempre aperto della società burocratica: come rendere la burocrazia sensibile al cittadino utente, proteggendone i diritti mentre serve ai suoi bisogni.

Alla strategia dei CAP locali, nel loro tentativo di avvicinare l’utente « alie­ nato » e i suoi bisogni alla burocrazia del servizio sociale, dedichiamo le pa­ gine che seguono.

I Programmi di azione comunitaria

1 Programmi di azione comunitaria si occupano simultaneamente di aumentare la domanda di servizi fra i poveri e di sviluppare e modificare gli scopi, le risorse e le tecniche degli enti. Ciò che distingue i CAP dai sistemi americani tradizionali e da quelli europei, è l’impegno che si sono assunti di rispondere alle necessità sia della domanda che dell’offerta nell’equazione di mercato, e in questo modo aiutare a ridurre la frammentarietà, accrescere la coerenza del sistema assistenziale e facilitare una distribuzione più umana e più giusta delle risorse.

Accrescere e organizzare la richiesta. — I Programmi di azione comunita­ ria accrescono la richiesta degli utenti con l’uso di una quantità di tecniche, vecchie e nuove. Un maggior numero di persone viene attirato nel sistema dei servizi, si creano nuovi gruppi di clienti, mentre i vecchi clienti richiedono ulteriori servizi ai quali hanno diritto, e diventano più efficienti nell’ottenere ciò di cui hanno bisogno.

Anzitutto, mediante la decentralizzazione delle strutture dei Neighborhood Service Centers (centri di servizio di vicinato), di facile accesso e iden­ tificazione, è possibile estendere di molto il contatto con le comunità a basso reddito. Tutti i CAP locali cercano di affrontare due aspetti negativi, ma molto diversi, della burocrazia. Da un lato essi provvedono una forma di decentra­ lizzazione mediante facile accesso nel vicinato. Questa decentralizzazione ha come scopo il miglioramento della partecipazione di vicinato e quindi della