• Non ci sono risultati.

1.1 What’s in a name? Classico e canone

1.1.2 Classici e canoni

Strettamente connesso al concetto di “classico” è quello di “canone”, con cui si intende generalmente sia un insieme di opere – e dunque una lista di classici – ritenute fondamentali e alle quali una certa tradizione ha conferito un indiscusso ed elevato valore letterario, sia un insieme di norme. Tanto nella parola “classico” quanto nel termine “canone” si intrecciano quindi l’idea di una tradizione e un patrimonio letterari selettivi, di autorevolezza e di permanenza nel tempo. Il termine canone si arricchisce poi di un’aura di sacralità, derivata dalla sua origine religiosa: “l’origine sacra del canone permea […] anche la sua accezione letteraria: la sacralità propria della Scrittura si riflette su quei testi che possiedono qualità di eccellenza largamente attestate, e la letteratura si fa scrittura secolare” (Venturi 2011: 36).

33

Adottando una prospettiva sociale e concentrandosi sulle dinamiche che regolano la produzione culturale, Rakefet Sela-Sheffy (2002) evidenzia come le opere canonizzate siano contraddistinte essenzialmente dalla permanenza nel tempo:

we cannot ignore the fact that there is always a more solid body of artifacts and patterns of action which enjoy larger consensus across society, and which persist for longer periods, even in cases where specific contemporary ideologies tend to reject them. Regardless of the specific historical conditions of its canonization, this canonized repertoire is [...] widely

shared, accumulative, and durable. (Sela-Sheffy 2002: 145, corsivo originale)

Confutando l’opinione diffusa secondo cui il canone sarebbe in continua evoluzione e verrebbe costantemente ridefinito per poter riflettere la gerarchia sociale, Sela-Sheffy individua un repertorio condiviso e durevole che supera le mode e i gusti del momento e sopravvive all’eterna lotta per il potere e la visibilità tra le varie sottoculture (Sela-Sheffy 2002: 144-145). Questo repertorio, i cui tratti principali sono la longevità e la persistenza, è il risultato di un processo di accumulo sul lungo periodo attraverso cui le società creano una serie di “unshakably sanctioned cultural reservoirs […], which reservoirs we call canons” (Sela-Sheffy 2002: 145). L’opera canonizzata mantiene quindi la sua funzione di riferimento all’interno del sistema culturale che la riconosce come tale, indipendentemente dalle circostanze storiche contingenti e da specifiche dinamiche culturali e ideologiche (Sela-Sheffy 2002: 145). Il suo status è assicurato e la formazione del canone si configura come un processo a lungo termine e duraturo che si accompagna ai mutamenti nei gusti, nelle mode e nelle tendenze dominanti sul breve periodo.

Evidenziando come i processi culturali dipendano non solo da cambiamenti e rivoluzioni, ma anche da processi di “accumulation, standardization and institutionalization” (Sela-Sheffy 2002: 146), Sela-Sheffy sottolinea la sospensione del classico dal mercato culturale: lo status elevato conferito dalla marca di canonicità ne inaridisce il potere generativo e lo sottrae al consumo e all’uso comune (Sela-Sheffy 2002: 147). Protetta dal prestigio e dalla longevità che il canone, come fonte di autorità collettiva, è in grado di assicurare, l’opera canonizzata viene “oggettificata” e “santificata”, sacralizzata (Sela-Sheffy 2002: 146-149).

L’opera canonizzata assume quindi uno status particolare: “oggettificata” e sacralizzata, quindi divenuta inviolabile, è esclusa dalla circolazione e dal consumo culturali correnti. Il testo elevato allo status di classico si colloca in una dimensione separata in cui funge da modello, un modello che per Sela-Sheffy (2002) si configura più come parametro di riferimento che come reale modello generativo. Il canone quindi non costituisce solo un patrimonio e una tradizione letteraria – i serbatoi di cui parla Sela-

34

Sheffy (2002) –, ma anche una norma, modello estetico e letterario, metro di giudizio ed esempio da imitare, spesso sospeso in una inviolabilità sacra che lo rende inattingibile.

Il canone in quanto tradizione letteraria si definisce inoltre non solo per la sua capacità selettiva ma anche, e soprattutto, per la sua funzione di mettere in rapporto le opere tra loro, di posizionare un testo rispetto all’altro: la sua funzione è esclusiva piuttosto che inclusiva (cfr. Lundin 2004: xvii). La dimensione politica e ideologica del canone diventa così evidente e, come nota Paruolo,

la difficoltà di definire con precisione il canone è anche una prova del fatto che la questione (decisamente complessa) non è esclusivamente letteraria, sebbene le opere letterarie siano il suo oggetto dichiarato. Alla costruzione del canone concorre una molteplicità di fattori che letterari non sono: i media, la critica, i lettori e, più in generale, la storia, le istituzioni, la politica. (2014: 71)

Il processo di valutazione e valorizzazione, che la selezione dei classici e la costruzione del canone implicano, dipende infatti dalle scelte operate da diverse istituzioni, a partire dalla scuola e dal mondo accademico, che legittimano lo status delle opere attraverso l’insegnamento scolastico e universitario, passando per la critica letteraria e l’editoria (Viala 1992), fino a considerare gli altri media che si sono appropriati dei classici in tempi più recenti (cinema, televisione, ecc.). I classici sono quindi il prodotto di scelte precise, il frutto di “toute une série de manipulations qui ‘font’ les classiques, un processus de classicisation” (Viala 1992: 9, corsivo originale). Un processo, quello della “costruzione” del classico, in cui è fondamentale considerare “qui et quoi a été élevé au rang de modèles, et quand et comment et par qui; on a alors quelque chance d’en trouver les ‘pourquoi’” (Viala 1992: 8). Il canone si rivela così “an ideological construct in its curriculum, its field of power, its choice to represent or not certain groups, certain ideas, which in a democratic society need the definition of print and the expression of story, poetry, art” (Lundin 2004: xvi).

Definire il canone come costruzione ideologica, frutto di scelte che trascendono la sfera puramente culturale e artistico-letteraria per investire anche la dimensione politica, significa riconoscere innanzitutto una storicità delle scelte (cfr. Viala 1992: 14), sottraendole a quella dimensione universale e atemporale che ha rafforzato l’aura di sacralità del canone. Relativizzare e storicizzare i concetti di canone e classico presuppone quindi un riconoscimento della loro parzialità e la necessità di ripensare il canone, aprendolo a una pluralità di nuove prospettive. Significa, cioè, affermare “la volontà di decostruirlo, revisionandolo (in senso interculturale/transculturale, postcoloniale, di genere), estendendolo a tutta una serie di autori che ne erano stati esclusi

35

per pregiudizi razziali o sessisti” (Paruolo 2014: 72). Una revisione e un’apertura in chiave di genere del canone portano ad esempio a interrogarsi, inevitabilmente, sul posto che hanno occupato e occupano le donne nella presunta universalità maschile della letteratura4. Facendo specifico riferimento alla letteratura italiana e alla situazione delle scrittrici e degli scrittori rispetto al canone, Alberica Bazzoni (2016a; 2016b; 2017) ha cercato di rispondere a questo interrogativo. La studiosa ha così tracciato una mappa della presenza storica delle donne, delineando il faticoso percorso che ha portato le autrici ad affermarsi in Italia e riflettendo sulle implicazioni teoriche della loro marginalità (Bazzoni 2016a). Bazzoni si è poi dedicata a verificare quale sia l’effettiva presenza di scrittrici e scrittori nel canone letterario, considerando gli strumenti attraverso i quali le istituzioni che fungono da istanze legittimatrici (la scuola, l’università, la critica letteraria, ecc.) ratificano la canonizzazione di opere e autori-trici. L’indagine ha quindi riguardato innanzitutto la “presenza – o, per meglio dire, [l]’esclusione – delle scrittrici nei manuali, nei corsi universitari e nelle storie letterarie italiane, sedi principali della formazione del canone” (Bazzoni 2016b: online). Infine, l’attenzione si è spostata dal piano quantitativo a quello qualitativo e la studiosa ha riflettuto sulla rappresentazione degli scrittori e delle scrittrici nel sistema letterario italiano, e in particolare “sulla retorica che attraversa la rappresentazione di scrittori e scrittrici nel nostro panorama letterario, dall’editoria alla didattica alle riviste, e che in larga parte va nella direzione della conservazione di un primato maschile” (Bazzoni 2017: online). Da questo punto di vista, secondo Bazzoni, “il meccanismo retorico principale è quello dell’universalità del maschile, contrapposto alla parzialità femminile” (Bazzoni 2017: online). A differenza del maschile, il femminile riguarderebbe solo le donne, con una serie di conseguenze a livello retorico, critico ed editoriale, come l’enfasi su determinati temi e il carattere di eccezionalità attribuito al talento femminile:

Quando il talento di una scrittrice riesce a imporsi oltre a tutte le barriere e le resistenze, come è stato per Deledda, Morante, Ortese e Rosselli, e come forse sta avvenendo oggi con Sapienza e Ferrante, la retorica che accompagna il loro successo è quella della luminosa eccezione, dell’unicità inclassificabile. Il carattere di “eccezionalità” permette di riassorbire il talento femminile senza sostanzialmente intaccare la norma della dominanza maschile, confinando infine il lavoro delle scrittrici alla marginalità. (Bazzoni 2017: online)

Una visione relativistica e pluralistica dei canoni e dei classici, quanto mai necessaria, si manifesta allora innanzitutto in un cambiamento linguistico: al monolitico

4 Al rapporto tra canone e genere è stata dedicata ad esempio la conferenza “Women and the Canon” tenutasi

36

termine singolare “canone”, espressione della cultura dominante, maschilista e eurocentrica, si contrappone e sostituisce l’uso del plurale. Un plurale che sottolinea come sia più corretto parlare di “canoni” letterari di fronte all’esistenza di tutta una serie di tradizioni consolidate, anche al di fuori del mondo occidentale ed europeo (cfr. Lianeri e Zajko 2008: 7). Il ricorso al plurale è tuttavia più appropriato soprattutto perché

values […] are contingent and certainly not fixed. No list or award or selection or library collection or scholarship can change that shifting sense of truth. Classics are indeed political. The dynamic of a shared culture through literature is the Victorian idyll we wish to recover, and how to do that involves power relations and identity politics. (Lundin 2004: xvi)

Sela-Sheffy (2002), nel già citato studio sulla formazione del canone, sottolinea la necessità di ripensare i termini del dibattito, auspicando un ampliamento della discussione sul ruolo del canone nel regolare la produzione e il consumo culturali contemporanei, al fine di inglobare una prospettiva di ricerca realmente storica (e non semplicemente critica) sulla formazione del canone. Secondo Sela-Sheffy, infatti, i termini in cui la nozione di canone viene problematizzata nel mondo anglosassone, imperniandosi “around the question of cultural values and who is authorized to determine them” (2002: 142), impediscono al dibattito accademico di raggiungere gli obiettivi che si prefigge (aprire e ampliare la discussione sulla cultura e democratizzarne il contenuto concentrandosi su ciò che è marginalizzato o svantaggiato) e di superare i limiti di quella stessa concezione, elitaria, limitante e normativa, di cultura “alta” che vorrebbe mettere in discussione (Sela-Sheffy 2002: 142)5.

Pur non negando il ruolo e la portata della componente ideologica nell’organizzazione della vita sociale e nel mantenimento delle gerarchie culturali, Sela- Sheffy propone di riconsiderare non solo il ruolo del canone da una prospettiva realmente storica, ma di riconoscere anche il suo reale impatto nella produzione culturale contemporanea. Il canone funge da deposito culturale, si mantiene nel tempo ed è in grado

5 In merito alla prospettiva che prevale nel dibattito sul canone in ambito anglosassone e alla “revisione”

dei valori culturali che si prefigge al fine di valorizzare chi da quel canone è stato escluso o marginalizzato, Sela-Sheffy (2002) scrive: “as much as it [this perspective] may be useful for cultural struggles, as a research program it seems to suffer from being both normative and circular. Time and again we end up pointing at the bad guys, who are always those in power who control the canon. And the solution is given in advance, and it is incredibly simplistic: resisting the canon is good. Yet there is a catch here. Since a reverse terror balance has been established in this debate, according to which the monopoly on truth is in the hands of those who present themselves as the delegates of the deprived, powerlessness is now power. Eventually, such a moralistic ideological discourse helps to sustain our political attitudes, yet it sets out to tell us no more than we actually want to hear. […] this discourse evokes an alternative content of the canon, but accepts the elitist ground rules of ‘valuable cultural goods deserving to be cherished’ which underlies conservative cultural criticism” (142-143, corsivo originale).

37

di legittimare anche i nuovi prodotti culturali (Sela-Sheffy 2002: 144-149). Ne consegue che “viewing the canon either as a sensor of ongoing cultural battles and changing norms of correctness, or as an imposed set of rules controlling cultural production, would both be insufficient” (Sela-Sheffy 2002: 150). Secondo la studiosa, gli approcci prevalenti nel dibattito tendono a rappresentare le dinamiche culturali come un campo di battaglia tra due forze opposte – l’oppressore e l’oppresso – e attribuiscono a ciascun polo la responsabilità della perpetuazione del canone (corrispondente all’ingiustizia sociale) o del suo rifiuto (corrispondente a giustificate rivoluzioni progressiste). Contrariamente a quanto postulato da questi approcci, afferma Sela-Sheffy, il canone, in quanto deposito culturale consolidato, riesce a fornire un senso di continuità e consenso generale, anche nelle situazioni di conflitto, e funge pertanto da meccanismo stabilizzante in grado di assorbire gli urti di cambiamenti troppo repentini (2002: 150). Infine, proprio in quanto patrimonio stabile, consolidato e persino “sacralizzato”, il canone influisce a sua volta sui processi di canonizzazione, sulle modalità e sui meccanismi di creazione di nuovi canoni (Sela-Sheffy 2002: 152-156). I repertori e i depositi canonici fungono cioè da termine di paragone a cui allinearsi o da cui allontanarsi, configurando quindi qualsiasi cambiamento, aggiornamento e rivoluzione che si producono in termini di ortodossia o eresia rispetto al canone (Sela-Sheffy 2002: 156). Sela-Sheffy esorta pertanto a esaminare con attenzione i riferimenti al passato, dal momento che questi non equivalgono automaticamente a una forma di conservatorismo e di perpetuazione del canone, dei suoi valori e delle sue gerarchie. Talvolta, il riferimento al passato può essere una modalità per preconfigurare un nuovo canone e mettere in discussione in profondità l’equilibrio raggiunto in un determinato spazio socio-culturale (Sela-Sheffy 2002: 156-157).

La prospettiva adottata da Sela-Sheffy (2002) è sicuramente interessante e porta alla luce alcuni dei meccanismi che operano nella produzione e nel consumo culturali e che talvolta rimangono nascosti in altri approcci. È tuttavia innegabile che nelle scelte operate nella selezione del canone, così come nella volontà di allontanarsi da quel repertorio e da quel modello, sia insita una componente ideologica. Tale riconoscimento del canone come frutto di precise scelte politiche (cfr. Lundin 2004: 142) non deve portare necessariamente a una demonizzazione del canone e da questo punto di vista l’approccio di Sela-Sheffy aiuta a comprendere più in profondità la complessità delle operazioni e delle dinamiche culturali.

Una maggiore consapevolezza della portata ideologica delle nozioni di canone e classico, nonché dei meccanismi che regolano i sistemi culturali, si rende sempre più

38

indispensabile per affrontare le sfide poste dallo scenario contemporaneo. Di fronte alla globalizzazione e all’avvento di nuove letterature e culture estranee al canone occidentale, diventa fondamentale non solo superare il modello eurocentrico, ma anche ripensare i concetti di classico e canone. Come sottolinea Pontiggia (2006), il confronto con altre tradizioni etniche, anche radicalmente estranee alla nostra, diventerà inevitabilmente sempre più frequente con il passare del tempo (25). Auspicando una rilettura della tradizione eurocentrica occidentale e una visione sempre più caleidoscopica, aperta e problematica (Pontiggia 2006: 25-26), lo scrittore esorta a

raccogliere una sfida fatta non di eliminazione, ma di integrazione. Questo comporterà collocare i classici su uno sfondo più ampio, in cui siano idealmente presenti le altre tradizioni. Non è detto che questa ottica non si accompagni a un arricchimento della visione, a un ampliamento del paesaggio, a una dilatazione degli spazi. E che non ne venga vivificata e rinnovata la stessa prospettiva “interna” di una tradizione. (Pontiggia 2006: 36)

In particolare, davanti alla visibilità reclamata dalle opere di culture e letterature non europee e occidentali, occorre riconoscere l’esistenza di una pluralità di lingue e di culture che hanno contribuito a costruire e plasmare l’Europa (Ceserani 2003) e le possibilità offerte da “una formazione culturale basata sulla molteplicità e i conflitti fra le tradizioni piuttosto che sulla forza egemone di un’unica tradizione” (Ceserani 2003: 105). Secondo Remo Ceserani, del resto, è lo stesso grande corpus della letteratura greca e latina, accanto a quello biblico e a quello arabo, a offrire una ricchezza inesauribile di posizioni diverse e conflittuali (2003: 106). Il riconoscimento della parzialità del modello culturale eurocentrico e dell’incapacità di una tradizione culturale europea monolitica di farsi completamente carico dei mutamenti storici e culturali porta a chiedersi quale possa essere il ruolo della letteratura per l’infanzia all’interno di una visione pluralista e relativista della tradizione. In questa nuova configurazione, che dovrebbe implicare un superamento della valorizzazione gerarchica tradizionalmente iscritta nei concetti di classico e canone, la letteratura per l’infanzia potrebbe reclamare una nuova posizione, non più marginale. Non da ultimo resta da interrogarsi su quale possa essere allora il posto dei cosiddetti “classici per l’infanzia”, categoria complessa ed elusiva, non solo all’interno della produzione destinata a giovani lettori e lettrici, ma anche del più ampio e rinnovato panorama letterario e culturale.