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1.3 La traduzione dei classici per l’infanzia

1.3.1 Traduzione e classici internazionali

Quando O’Sullivan definisce i classici per l’infanzia come “books that have been commercially successful over several generations in several countries” (2006: 147), non solo rifiuta una definizione basata sul valore letterario, ma afferma anche il ruolo fondamentale della diffusione e circolazione internazionale per il raggiungimento dello status stesso di classico.

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I classici (internazionali) costituiscono il “meglio” della letteratura per l’infanzia, sono costantemente ripubblicati in edizioni, collane, formati diversi, e sebbene il loro status non sia permanente ma dipenda dai mutamenti nel gusto e nei criteri di valutazione, tanto che nessuna lista di classici sarà mai uguale a un’altra, alcuni titoli sono imprescindibili (O’Sullivan 2006: 147). O’Sullivan divide inoltre questo “motley lot” (2006: 147), questo gruppo eterogeneo di classici internazionali per l’infanzia, in tre categorie, in base alla loro origine: storie provenienti dal folklore e dalla tradizione orale (fiabe, leggende, miti e saghe); adattamenti per bambini di testi originariamente scritti per adulti; opere scritte intenzionalmente per il pubblico più giovane, forma predominante a partire dalla metà dell’Ottocento (O’Sullivan 2006: 147; 2005: 132).

Nonostante l’importanza riconosciuta alla dimensione internazionale dei classici, nonché alla centralità della traduzione come primo passo per uscire dal proprio paese di origine e iniziare un percorso di riconoscimento e consacrazione internazionale, O’Sullivan (2006) mette in discussione la reale portata di questa internazionalità dei classici, delle loro storie e personaggi (cfr. O’Sullivan 2005: 138-151), suggerendo di ripensare i termini in cui viene concepita.

Riconoscendo la centralità della traduzione – e quindi la rilevanza dei meccanismi che regolano la produzione e circolazione di un testo e il suo passaggio da una cultura all’altra – O’Sullivan rifiuta infatti l’internazionalismo utopico, monoligue e monoculturale, di Paul Hazard, il suo “ideal of a world literature for children, promoting the free exchange of the best from all countries into all countries, with the aim, above and beyond that of aesthetic enrichment, of what would be described today as international tolerance” (O’Sullivan 2005: 73). L’ideale astratto di Hazard di una letteratura mondiale dell’infanzia ignora infatti le reali condizioni in cui avviene la comunicazione interculturale. Negli scambi internazionali vi è uno squilibrio tra paesi e la partecipazione di alcune aree del mondo è minoritaria: la direzione in cui vengono attraversate le frontiere dipende non solo dal prestigio internazionale di cui godono una lingua e una cultura, ma anche da fattori politici ed economici, e i paesi si dividono, di fatto, in importatori ed esportatori. Non di rado, inoltre, i classici internazionali “serve as an instrument of cultural hegemonism” (O’Sullivan 2004: 21). L’internazionalismo della letteratura per l’infanzia si dimostra in realtà una prerogativa occidentale, europea e nordamericana (cfr. O’Sullivan 2004). Questo monopolio culturale si traduce anche sul mercato: la letteratura per l’infanzia pubblicata, distribuita e letta “internazionalmente” è occidentale. Anche all’interno del mondo occidentale si registrano, del resto, squilibri

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importanti e la diffusione della traduzione, momento primario e cruciale dello scambio interculturale, varia da un paese all’altro, testimoniando ad esempio una chiusura del mondo di lingua inglese a questa pratica (O’Sullivan 2005: 65-73).

Uno dei limiti, in termini di rappresentatività, della lista di classici raccolti in Touchstones, è infatti, come già sottolineato, la mancanza di una dimensione internazionale e un marcato ripiegamento sulla realtà anglosassone. Come riconosce anche Nodelman nell’introduzione, individuando in questo uno dei difetti della selezione operata, i testi sono prevalentemente “American or British” (Nodelman 1985b: 8). In effetti, tra i ventotto titoli presenti nel primo volume dedicato al romanzo compaiono solo due opere tradotte: Heidi e Pinocchio (cfr. Beckett 2011a: 36). Tale circostanza porta a chiedersi se sia davvero possibile costruire un canone della letteratura per l’infanzia realmente internazionale, dato che alcuni testi sono considerati classici solo in un certo paese o in una determinata lingua (Beckett 2011a: 37), e soprattutto dato che la possibilità di compilare una lista internazionale dipende dalla disponibilità di traduzioni. Inoltre, la traduzione di un testo considerato un classico nel suo paese di origine non è sufficiente affinché venga recepito e considerato come tale anche nella cultura di arrivo (cfr. O’Sullivan 2006; 2005). La traduzione costituisce tuttavia un requisito indispensabile per la selezione e formazione di un canone internazionale. Il ridotto volume di traduzioni in lingua inglese rispetto ad altri paesi spiega così perché una lista di classici stilata in un paese anglofono abbia una portata internazionale minore rispetto ad altri paesi.

A quasi vent’anni di distanza dalla pubblicazione dei volumi curati da Perry Nodelman (1985a; 1987; 1989), la situazione non sembrava essere cambiata di molto, tanto che Sandra Beckett e Maria Nikolajeva si sono scontrate con le stesse difficoltà nel loro progetto di colmare i vuoti lasciati dai volumi precedenti e creare una raccolta di saggi che, adottando una prospettiva globale, prendesse in considerazione i capolavori della letteratura per l’infanzia provenienti da tutto il mondo e costituisse pertanto una sorta di “International Touchstones” (Beckett 2006: v-vi). Di fronte alla mancanza di traduzioni in lingua inglese per libri provenienti da varie parti del mondo e considerati essenziali per produrre una raccolta realmente rappresentativa a livello internazionale, il volume Beyond Babar: The European Tradition in Children’s Literature (2006) ha dovuto così ripiegare su una dimensione esclusivamente europea, come si evince chiaramente dal sottotitolo. Come nota Sandra Beckett nell’introduzione al volume,

the majority of the small proportion of International children’s books translated into English in North America are from the Western tradition. Children’s literature from the so-called

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developing countries hardly ever reaches American readers. Paradoxically, globalization is only making the problem more acute. Regretfully, one is forced to conclude […] that a “genuinely International literature” for children is not available […], at least not in English- speaking countries. (2006: vi)

La traduzione gioca quindi un ruolo fondamentale e la scarsa propensione dell’editoria anglofona a ricorrervi produce un quadro sconfortante per la circolazione internazionale dei testi, con uno squilibrio a favore del mercato in lingua inglese. Mentre molte opere che sono considerate classici, o più semplicemente sono dei bestseller, nel loro paese di origine – e spesso anche in altri paesi – non raggiungono mai il mercato inglese o americano, i principali autori-trici che scrivono in lingua inglese tendono a essere tradotti rapidamente nella maggior parte delle lingue europee. Di conseguenza, spesso anche le opere di autori-trici di primo piano e consacrati dai premi letterari rimangono sconosciuti nei paesi di lingua inglese. Anche quando il testo viene tradotto la ricezione non è sempre semplice o immediata. Così, in alcuni casi la traduzione può rivelarsi inadeguata o di scarsa qualità, in altri può invece finire fuori commercio o non avere successo, indipendentemente dall’ottima qualità (cfr. Beckett 2006: vi-vii).

Secondo O’Sullivan, “assuming that children’s literature as a whole and particularly its classics are truly international” è alquanto problematico, dal momento che “genuine cultural transfer or exchange is often equated or confused with an international book market” (2005: 73). Interrogandosi sulla dimensione internazionale della letteratura per l’infanzia, la studiosa sottolinea, inoltre, come “children’s literature – predominantly in English – has become an International commodity in an increasingly global market, and among the most fruitful branches of this commodity are its classics” (O’Sullivan 2004: 21).

La traduzione, o meglio la trasmissione dei classici per l’infanzia avviene infatti secondo modalità peculiari e distinte rispetto a quella dei classici della Grande Letteratura mondiale, in cui il testo, sacralizzato e inviolabile, mantiene la sua identità autoriale e testuale. La stessa logica non si applica al classico per l’infanzia, che richiede forme di trasmissione diverse dovute alla necessità di rendere testi temporalmente distanti accessibili a un lettore-trice giovane che, a differenza dell’adulto, non è in grado di effettuarne una lettura storica, che tenga conto dell’evoluzione della ricezione del testo e delle diverse letture che lo hanno accompagnato nel tempo (O’Sullivan 2005: 145). La trasmissione avviene allora anche attraverso riscritture e adattamenti, sia testuali sia multimediali, in cui il testo viene modificato e trasformato finché non è ritenuto “adatto”. Le motivazioni che rendono una storia un classico e che sono state elaborate sulla base

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del testo di partenza non si applicano a queste trasposizioni; analogamente, questi parametri non sono validi per versioni contemporanee in un’altra lingua e/o cultura ricevente e certamente non lo saranno in futuro (cfr. O’Sullivan 2006: 158-160; 2005: 138, 145). Le manipolazioni nell’opera tradotta, le riscritture e gli adattamenti portano infatti spesso a estrapolare personaggi – ma anche situazioni ricorrenti e prototipiche – per farne delle figure classiche facilmente adattabili e reinterpretabili in nuovi contesti, testuali e mediatici, una sorta di patrimonio comune. O’Sullivan (2006: 159-162) propone allora di considerare i meccanismi che operano nella trasmissione dei classici per l’infanzia a livello internazionale e che permettono a modalità diverse – e talvolta antitetiche – di convivere all’interno di questo processo. Le varie traduzioni/adattamenti si collocano infatti lungo un continuum i cui poli estremi sono la “‘literary’ translation”, la traduzione attenta all’inviolabilità del testo di partenza, da una parte, e il “written folklore”22, dall’altra. La prima costituisce una modalità di trasmissione “ideale”, più vicina alla pratica traduttiva del classico per adulti, e cerca di riprodurre accuratamente il testo di partenza, preservando la complessità narrativa, estetica e linguistica dell’opera. La seconda modalità invece trascura, fino a ignorarla completamente, la “letteralità” del testo e autorizza modifiche e manipolazioni per adattarlo al momento storico e al destinatario. Personaggi, trame e situazioni vengono estratti dalle opere e integrati in altri prodotti dell’industria editoriale e multimediale (libri, prodotti audiovisivi, video giochi, ecc.). Quel che resta al temine di questo processo di “astrazione” sono figure, immagini che hanno perso la loro identità culturale originaria per essere riempite, di volta in volta, con delle altre, nuove identità che riflettono la tradizione letteraria a cui appartengono e le norme culturali, ideologiche e pedagogiche a cui si conformano. Secondo O’Sullivan, queste figure possono essere considerate internazionali perché non sono fisse: alle

22 O’Sullivan mutua l’espressione dalla riflessione di Alieda Assmann, che individua cinque aree di

differenza tra il “written folklore” e la letteratura: “the first of the five areas is openness of the work: whereas ‘literature’ is defined as being composed, complete, finished, written folklore has the character of a compilation, a collection of materials. […] The second characteristic is the variant status of the text: what applied to the openness of the compilation on the level of the whole work, applies also to the text itself, to the words, sentences, paragraphs, etc. […] The third area […] is the question of author and authority. Whereas in the ‘literature’ mode, the author, and only he or she is the originator of the text, the folklore and written folklore modes display an obliteration of the author: what is transmitted is general property, merely given different form in a new version or a compilation. […] The fourth point is that, whereas the continued existence of a literary text is linked with its being conserved as a unique work, that of written folklore is guaranteed by a series of versions which replace one another. The final characteristic is that of the use of the texts. Whereas one of the main features of ‘literature’ is its autonomous status, its lack of practical function in life, folklore is to be found bang in the middle of it. The texts have a use, often a didactic or a social one in initiation, instruction, illustration of skills, knowledge, rituals relevant for everyday life, in other words, they are orientated towards the needs of their readers – also in terms of entertainment” (O’Sullivan 2006: 160).

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caratteristiche “essenziali” che le contraddistinguono e che si mantengono nelle varie trasformazioni si aggiungono ogni volta i tratti propri della nuova cultura ricevente (O’Sullivan 2006: 162; cfr. O’Sullivan 2005: 145-147).

Le modalità peculiari di trasmissione di questi classici internazionali, che esulano dalla traduzione in senso stretto e assumono la forma di riscritture, versioni abbreviate, adattamenti, anche in altri media, spiegano così perché spesso la loro ricezione fuori dai confini del proprio paese di origine sia diversa e perché alcuni testi siano considerati classici solo in patria – circostanza su cui influiscono indubbiamente anche le diverse norme che operano nel sistema letterario della cultura di arrivo, il diverso contesto storico, culturale, politico e sociale, i cambiamenti nella pratica traduttiva, nonché le diverse istituzioni che agiscono sul processo di valutazione, validazione e canonizzazione di un testo. Come mostra l’esperienza critica e accademica di Beyond Babar, tuttavia, la traduzione resta, come scrive Gillian Lathey, “the first excursion of the future classic beyond its culture of origin”, proprio come, continua la studiosa, “retranslation becomes central to its reinvention for each successive generation” (2010: 128).

In questa panoramica sulla traduzione del classico per l’infanzia e le sue implicazioni, molti degli studi considerati hanno adottato una prospettiva diacronica e comparativa, analizzando più versioni dello stesso classico in epoche storiche diverse e in lingue diverse, e mettendo così in luce una caratteristica che contraddistingue la traduzione dei classici: la ritraduzione. A differenza della narrativa contemporanea, la ripubblicazione del classico non passa solo attraverso la semplice riedizione dell’opera, ma prende spesso la forma di una ritraduzione o, per usare l’espressione preferita dal mercato editoriale, di una “nuova traduzione”. La permanenza nel tempo del classico, tratto prominente e imprescindibile, si manifesta anche nella pluralità di traduzioni che lo accompagnano e che testimoniano la sua capacità di “regenerate, mutate, and survive” (Lianeri e Zajko 2008: 21), di aprirsi a una pluralità di interpretazioni, letture, usi, generazione dopo generazione. La ritraduzione apre la strada alla possibilità di uno studio diacronico delle traduzioni dei classici, anche dell’infanzia, aiutando ad acquisire una nuova consapevolezza dei testi stessi e del processo traduttivo.