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1.2 Classici e canoni per l’infanzia

1.2.2 Letteratura per l’infanzia e canone

Se l’idea dell’esistenza di classici per l’infanzia sembra diffusa e pressoché indiscussa, tanto che alcuni testi sono stati tradizionalmente riconosciuti come tali, diverso è il caso del canone della letteratura per l’infanzia. Come evidenziato in precedenza, sebbene il canone sia investito di una forte componente ideologica e politica, la sua formazione è il prodotto dell’attività selettiva di una serie di istituzioni che si fanno carico di individuare e legittimare quelle opere ritenute esemplari e riconosciute come di altissima qualità – e che pertanto devono essere tramandate, plasmando l’idea di letteratura in un determinato periodo storico. Se si considera che la scuola e l’università, a causa del bisogno di fornire modelli e valori esemplari, hanno rappresentato e continuano a rappresentare le principali istanze legittimatrici (cfr. Viala 1992; O’Sullivan 2005: 131), si capisce perché, storicamente, un canone della letteratura per l’infanzia non sia esistito. La posizione marginale della letteratura per l’infanzia, la sua presunta “inferiorità” rispetto alla letteratura alta, l’hanno esclusa dal discorso critico e accademico: “as it [children’s

9 http://www.liberweb.it/CMpro-v-p-337.html.

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literature] was not regarded as part of great literature, it was not taught as an academic subject and received hardly any attention in universities” (O’Sullivan 2005: 131). I libri per l’infanzia che fanno parte del canone “adulto” sono, del resto, molto pochi e tra queste eccezioni si possono annoverare Alice nel paese delle meraviglie e Pinocchio (Paruolo 2014: 73). A partire dagli anni Ottanta del Novecento, proprio quando la nozione di canone veniva fortemente problematizzata e contestata, alcuni studiosi americani hanno avvertito la necessità di creare un canone della letteratura per l’infanzia. Da una parte questo bisogno rispondeva alle esigenze dell’insegnamento universitario e alla necessità di ricostruire (e scrivere) una storia della letteratura per l’infanzia (O’Sullivan 2005: 131), dall’altra la creazione del canone doveva fornire un riconoscimento e una “rispettabilità” accademici alla disciplina (Nodelman 1985b). Paruolo (2014) sottolinea la necessità di interrogarsi sulle motivazioni che hanno portato al tentativo “di imporre nella letteratura per l’infanzia quelle stesse norme prescrittive rimesse in discussione nella letteratura adulta” (74), e l’importanza di capirne le implicazioni. L’operazione compiuta da questi studiosi rischia altrimenti di “apparire come un gesto che relega tutto ciò che ha a che fare con tale letteratura a uno stadio già superato nella letteratura per adulti” (Paruolo 2014: 74). In realtà, prosegue la studiosa,

se si è sentito il bisogno di stilare liste canoniche per l’infanzia non è stato solo per offrire una guida ai lettori. L’esigenza è nata anche perché si è pensato che in questo modo si sarebbe potuto dare ai testi per l’infanzia un posto più importante all’interno delle istituzioni e della cultura, e si sarebbe potuto aprire un dibattito sull’argomento. (Paruolo 2014: 74).

Inquadrata in questo contesto, l’operazione non rischia più di apparire anacronistica, ma affonda le sue radici in un bisogno di legittimazione e riconoscimento da parte di una produzione considerata la “Cenerentola” della letteratura. Secondo Lundin (2004: xvii), il fatto che la letteratura per l’infanzia non sia stata coinvolta nelle “tempeste” che hanno scosso il canone occidentale testimonia l’isolamento di tale produzione e sancisce la sua estraneità al canone occidentale dominante. Cercare una forma di riconoscimento creando un canone e una tradizione in grado di sviluppare un discorso critico che possa inserirsi nel più ampio dibattito letterario significa quindi affermare la propria esistenza. L’assenza dal canone esclude infatti le opere da una porzione rilevante della circolazione culturale, nello specifico quella accademica e critica, condannandole di fatto a essere dimenticate, o relegandole a forme di trasmissione minori. Sebbene alcuni nodi problematici legati alle motivazioni e alle modalità di costruzione di questo canone per l’infanzia permangano, analizzata da questa prospettiva, l’operazione

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appare non dissimile dai tentativi compiuti da altre produzioni letterarie tradizionalmente escluse dal canone di ottenere un riconoscimento letterario e uno spazio critico11.

Nella formazione di un canone della letteratura per l’infanzia si ritrovano, naturalmente, molte delle problematiche che hanno accompagnato la messa in discussione del canone per adulti: la sua natura selettiva ed elitaria; la presunta “universalità” della sua validità, coerenza e rappresentatività; la rigidità e la prescrittività che lo caratterizzano; la sua etnocentricità. Tutti questi aspetti fanno emergere la già ricordata dimensione ideologica e politica di cui è investita la costruzione del canone e ne fanno un luogo in cui si manifestano i rapporti di potere. Nel caso della letteratura per l’infanzia, queste caratteristiche vengono amplificate dalla natura stessa dell’oggetto sottoposto a canonizzazione. Tale operazione viene realizzata da istituzioni, quali il sistema bibliotecario, il mondo accademico, il sistema scolastico, ecc. (cfr. Lundin 2004) che rappresentano il giudizio (morale) e il gusto (estetico) dell’adulto-mediatore piuttosto che le scelte di giovani lettori e lettrici, ricalcando l’asimmetria adulto-bambino che caratterizza la letteratura per l’infanzia. La selezione dei libri per l’infanzia degni di essere letti da bambine e bambini e di essere tramandati alle generazioni future – in sostanza i classici – è avvenuta di fatto applicando parametri “adulti” (Lundin 2004: xvi, 19-55). La selezione “prescrittiva” che ha accompagnato la formazione del canone è quindi basata, secondo Lundin (2004), su un “‘adultist’ standard”, secondo il quale “children’s books, as part of the body of literature, must be evaluated in a similar manner and must be appreciated by adults as well as children” (23). Non solo: questi stessi adulti coinvolti nel processo di “istituzionalizzazione” e ratificazione del testo devono anche tener conto di una serie di criteri, in cui fattori di natura più propriamente estetica e letteraria si affiancano, ancora una volta, a valutazioni di natura pedagogica. Ne consegue che a seconda della preminenza accordata da ogni attore a una tendenza o all’altra si farà ricorso a criteri di selezione diversi, che danno risalto ad alcune caratteristiche piuttosto che ad altre, guidando di fatto le scelte operate e la concettualizzazione proposta. O’Sullivan (2005: 132) nota ad esempio come gli interessi e le esigenze nella formazione di un canone per scopi di critica letteraria siano completamente diversi da quelli che possono guidare la compilazione di liste canoniche per la scuola: mentre la critica letteraria è

11 Si pensi, ad esempio, al ruolo svolto dal recupero di una tradizione letteraria femminile nell’ambito della

critica femminista (cfr. Baccolini 2005), in cui la necessità di (ri)costruire una genealogia letteraria trae origine dalla celebre affermazione di Virginia Wolf, secondo la quale “we think back through our mothers if we are women” (Woolf 1935: 114).

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interessata a questioni inerenti la storia della letteratura per l’infanzia e dell’infanzia stessa, la scuola deve prendere in considerazione gli interessi degli studenti e delle studentesse e i vincoli dei programmi scolastici, per cui un suo canone deve essere basato su norme e valori pedagogici e deve tener conto della facilità di ricezione. A tale proposito, Paruolo sottolinea che

[r]imane […] ancora da interrogarsi sui motivi che possono influire sulla formazione e sullo sviluppo di un canone. Fino ad ora, gli studiosi si sono basati per lo più su criteri di carattere estetico o derivanti dai diversi concetti d’infanzia trascurando altri aspetti quali l’impatto esercitato sui testi dalle istituzioni (biblioteche, musei, scuole, premi), la preferenza per certi generi letterari piuttosto che per altri, l’esistenza di diversi concetti di canone (canone occidentale, europeo, globale, multiculturale, postcoloniale), la percezione del canone come fenomeno transnazionale, e così via. (2014: 74)

In Constructing the Canon of Children’s Literature. Beyond Library Walls and Ivory Towers, interrogandosi sui meccanismi di formazione del canone della letteratura per l’infanzia da una posizione critica nei confronti del canone, Anne Lundin (2004) individua tre categorie di “meaning-makers” nei libri per l’infanzia: i bibliotecari, gli accademici, i lettori. Mentre le prime rappresentano istituzioni tradizionalmente investite di autorità culturale e sono pertanto soggetti attivi nel processo di selezione del canone, il ruolo degli ultimi viene spesso tralasciato nei discorsi sulla canonizzazione dei testi. La scelta di includere il lettore nella riflessione sul canone traduce la volontà di trovare delle alternative alla tradizione selettiva dominate, di generare una pluralità di canoni e di prendere in considerazione anche la ricezione dei testi (Lundin 2004: 111). Se il lettore- trice non riceve passivamente i testi, ma contribuisce attivamente alla costruzione del significato in una visione della lettura come processo dinamico, allora le modalità in cui un testo viene recepito e utilizzato dal lettore-trice sono in grado di esercitare un controllo e un’influenza maggiori di qualsiasi lettura imposta da un’autorità culturale e pertanto calata dall’alto:

Reader response criticism calls into question the idea of the canon as an elite cultural club, to which readers belong as they differentially evaluate certain works as classics. Despite the supposed objectivity of the canon, the ways in which readers attribute value and meaning to a text are shaped by the social, cultural, and political background they bring to their reading. Rather than an absolute standard of literary value, there are multiple centers of value from which to assess a text. A reader judges quality not through a pure analysis of immutable text but through cultural tools, which continuously evolve and differ according to gender, class, race, ethnicity, geography, and time. (Lundin 2004: 111)

Non a caso, considerando la dimensione sociale e personale della lettura in una prospettiva di critica e superamento del canone, Lundin fa propria la nozione di “para- canon” proposta da Catharine Stimpson (1990). Il concetto di “paracanone” rivendica,

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nella valutazione di un testo, la sua capacità di suscitare l’affetto e il piacere del lettore- trice, a prescindere dalle valutazioni di carattere estetico:

A paracanonical work may or may not have “literary value,” however critics define that term. Its worth exists in its capacity to inspire love. The paracanon asks that we systematically expand our theoretical investigations of “the good” to include “the lovable.” (Stimpson 1990: 958)

L’inclusività del paracanone deriva dal non essere basato su giudizi di valore sul testo in sé – “No matter how difficult or accessible, how ‘high’ or ‘low,’ any text is eligible for inclusion in a paracanon if it is beloved” scrive Stimpson (1990: 958) –, ma sulla sua capacità di entrare in un rapporto affettivo, sentimentale con il lettore e la lettrice. Sebbene paracanonico non sia sinonimo di popolare, affinché un testo possa entrare nel paracanone, è necessario, tuttavia, che sia amato e apprezzato da un certo numero di lettori e lettrici, poiché “popularity is one sign that love is more than a singular obsession” (Stimpson 1990: 959). La relazione stabilita tra testo e lettore-trice non si limita dunque alla sola sfera personale e alla dimensione privata della lettura, ma impegna chi legge nella costruzione di una propria soggettività all’interno di una comunità di lettori e lettrici, chiamando in gioco le forze sociali e culturali coinvolte nel processo. Il testo e la comunità di lettori-trici sono legati in un rapporto biunivoco: i lettori e le lettrici permettono al testo di sopravvivere nel tempo e il testo, a sua volta, sostiene e rinsalda la comunità. In questo modo, il paracanone mostra come “the strong feelings that some cultural works provoke are the result of an interplay among individual preferences, larger forces that assign membership cards in social groups to individuals, and sign systems that give these assignments meaning” (Stimpson 1990: 959).

La lettura affettiva del testo proposta da Stimpson permette inoltre di superare la contrapposizione tra lettura di piacere e di intrattenimento e lettura “alta”, impegnativa, che conferisce valore e merito anche a ciò che si sta leggendo, tra “a book that gives pleasure and a book that has merit, between a ‘good read’ and a ‘good book’” (Stimpson 1990: 961). La distinzione tra valore e accessibilità culturale ha anche imposto un’oggettività del discorso critico che secondo Stimpson ricalca la dicotomia ideologica e sociale tra “a formal, rational, public domain (yes, masculine) and an informal, emotional, private domain (yes, feminine)” (1990: 962) e si riflette nel divario tra cultura alta e bassa. Stimpson reclama allora la necessità di reinserire la dimensione personale e autobiografica e la componente emozionale all’interno dell’attività critica.

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Nella sua prospettiva inclusiva, il paracanone permette infine di superare la dicotomia “canonico” vs “non canonico”, che riproduce e rafforza un’altra opposizione binaria, quella tra gruppi sociali inclusi ed esclusi. L’esclusione dal canone comporta infatti una mancanza di potere e prestigio sociali. Il paracanone, operando a margine del canone e non mirando né a essere annesso a una tradizione egemonica, né a crearne una alternativa, ingloba canonico e non canonico. Al suo interno questi due poli convivono proprio come, sostiene Stimpson, una “‘women’s tradition,’ […] in English, includes both a George Eliot and the silly female novelists she despised” (Stimpson 1990: 965).

I vantaggi di una posizione simile e le implicazioni nel dibattito sulla canonizzazione della letteratura per l’infanzia sono evidenti. Selezionando i propri testi in base alla capacità di stabilire un rapporto affettivo con il lettore-trice, il paracanone non è interessato al riconoscimento da parte di istituzioni culturali e gruppi sociali, una caratteristica che nell’ambito della produzione per l’infanzia permette di superare il dibattito sul valore estetico e letterario delle opere. Prediligendo la ricezione dei testi, il paracanone si costruisce su presupposti e criteri diversi, che privilegiano il piacere della lettura, e si pone pertanto come alternativo, e non sostitutivo, al canone o ai canoni già presenti nella società.

Ma in cosa consiste la “selective tradition”, la tradizione selettiva promossa e tramandata da istituzioni culturali autorevoli, quali biblioteche e università, di cui parla Lundin e che è la chiara espressione di un gusto e di un discorso critico elitario e canonico? Facendo specifico riferimento alla realtà americana, nel suo studio Lundin (2004) ricostruisce il percorso storico della canonizzazione dei libri per l’infanzia. L’operazione è stata realizzata essenzialmente attraverso la compilazione di liste di classici ispirate da criteri selettivi, il cui mantra era quello di fornire il libro giusto, al momento giusto e al lettore giusto. Il processo di selezione dei testi e compilazione di liste contraddistingue in particolare l’attività di legittimazione culturale svolta dalle biblioteche e interessa gli ultimi decenni dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Centrale in questa attività è, secondo Lundin (2004: 30), “the right to prescribe for readers via the selection process based on a discerning knowledge of the enduring from the ephemeral, the valuable from the worthless, the good from the bad”. La missione, morale e sociale, delle biblioteche è quindi quella di fornire letture di qualità, dove per “qualità” si intendono sia un elevato valore letterario sia una certa capacità pedagogica ed educativa:

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good books from good authors bring good ends; bad books from bad authors bring bad ends. The right book for the right reader was a mantra, which was open to interpretation as to which came first. The standard for judging children’s literature would be the same as judging adult literature: literary quality. Implicit is the cultural imperative to make the selections necessary to further the public good and to build a collection which would serve as a blueprint for self- improvement. (Lundin 2004: 32-33)

La posizione adottata da Lundin permette così di prendere in considerazione il contributo delle biblioteche nel processo di canonizzazione dei classici per l’infanzia e di valutarne la portata e l’impatto, due aspetti spesso tralasciati e sottovalutati nello studio della letteratura per l’infanzia. “What a library collects”, afferma Lundin (2004), “is a microcosm of valued and validated literature” (30, corsivo mio). La studiosa prosegue sottolineando l’importanza del ruolo svolto da queste istituzioni:

As an agency of cultural formation and social order, a library’s principal functions are to select, save, and share its collections. What a library is depends on what a library does: its cultural work in the world, its jurisdiction in organizing knowledge, in circulating materials, in securing information and literature for its community.

Despite their perceived passivity, librarians can be defined as canon makers who produce social hierarchy in a systematic act of tradition bearing (also known as collection development). As civic space, the library in its action is inherently political: Who does what with finite resources? Who is represented in collections? Who is served? These questions are highly charged when the matter is selecting what is included or excluded and even more potent when the issue concerns children. That librarians can construct standards to evaluate literature – and make choices in a commodity culture – is based on their ideology of reading that conflates professional ethics, moral idealism, and market influence. (Lundin 2004: 30, corsivo originale)

A essere davvero interessante nella prospettiva adottata da Lundin, che non manca di sottolineare il legame tra biblioteche e mondo editoriale, nonché lo stretto rapporto che lega il processo di selezione delle biblioteche ai premi letterari (cfr. Lundin 2004: 22-29; 37-52), è la luce che lo studio getta sul rapporto tra genere e letteratura per l’infanzia, e più precisamente tra le donne e l’attività di selezione operata dalle biblioteche come spazio istituzionale. Il riconoscimento del ruolo delle biblioteche nella storia e nell’evoluzione della letteratura per l’infanzia è quindi anche il riconoscimento del ruolo e della storia delle donne, di quelle “matriarchs” (Lundin 2004: xvii) della professione, la cui importanza viene spesso sottovalutata. Alla base di questa centralità delle donne risiede una motivazione storica: l’origine della biblioteconomia per l’infanzia, che si colloca tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, è coincisa con un momento di cambiamento della posizione sociale delle donne e di una contemporanea nuova attenzione alle condizioni dei bambini, soprattutto nelle aree urbane. In questo contesto, la supposta predisposizione naturale delle donne alle attività di cura ed educazione di bambine e bambini ha garantito loro una certa autonomia nello svolgimento della

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professione di bibliotecarie e ha permesso loro di sviluppare una propria filosofia sul servizio da offrire e di promuovere e accrescere l’importanza delle biblioteche (Lundin 2004: 20). Così,

[w]omen’s perceived affinity for children permitted the profession to grow when women were granted little mobility in the job world. Women were entrusted with educating children and caring for the poor, more and more of whom flocked to public libraries for literacy, social programs, and access to books. (Lundin 2004: 20)

Sfruttando il presunto talento naturale, riconosciuto loro dalla società, nel distinguere le “buone” letture per l’infanzia dalle “cattive” e l’autonomia che ne derivava, “powerful library women were instrumental in constructing the service paradigm for children’s work, which centered on selection as prescription: choosing books to change lives” (Lundin 2004: 22, corsivo originale). La storia della canonizzazione dei classici per l’infanzia è stata quindi, in origine e per lungo tempo, una storia al femminile.

Al di là delle interessanti implicazioni di genere messe in luce dal suo studio, Lundin sottolinea come per molto tempo le biblioteche siano state le “guardiane” della qualità della letteratura per l’infanzia, selezionando e tramandando una tradizione basata sull’eccellenza, dunque sui classici. Il progressivo isolamento di una letteratura per l’infanzia così concepita rispetto alla produzione contemporanea, unito all’incapacità di bibliotecarie e bibliotecari di far fronte alle nuove esigenze prodotte dalle trasformazioni culturali degli anni Sessanta del Novecento, hanno fatto sì che questa istituzione perdesse progressivamente la propria autorità e venisse sostituita dal mondo accademico come centro di validazione culturale (Lundin 2004: 54-55).

Nel momento in cui avviene questo passaggio, nel panorama accademico americano, si afferma la necessità di promuovere la letteratura per l’infanzia come letteratura, di fornirle un apparato critico e teorico unitario, comune e condiviso, di costruire una tradizione (Lundin 2004: 64). Negli anni Settanta la letteratura per l’infanzia avverte cioè il bisogno di trovare una legittimazione istituzionale come disciplina, e la cerca proprio in quegli strumenti che venivano profondamente messi in discussione negli altri ambiti della critica letteraria: il classico e il canone (cfr. Paruolo 2014: 74). Questo percorso culmina con l’istituzione, nel 1980, del “Canon Committee” da parte della Children’s Literature Association (ChLA), il cui compito era quello di creare un canone della letteratura per l’infanzia.

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La lista di sessantatré titoli selezionati dal comitato ha dato poi origine a un’opera in tre volumi, Touchstones12, che raccoglie altrettanti saggi critici, in cui ciascun testo selezionato viene presentato e in cui si cerca di fornire “a clearer, deeper sense of the best