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1.2 Classici e canoni per l’infanzia

1.2.1 Il classico per l’infanzia

Quando si cerca di definire cosa sia un classico della letteratura per l’infanzia ci si scontra con l’assenza di una definizione unanime e internazionalmente condivisa e riconosciuta6. Una circostanza legata, secondo O’Sullivan (2005), alle modalità stesse di fruizione e ricezione di tali testi nell’ambito della letteratura per l’infanzia, poiché alle selezioni prodotte dal giudizio estetico e letterario della critica e della ricerca accademica si affianca un corpus di classici “popolari” effettivamente letti e tramandati nel tempo da una generazione all’altra:

There is no single generally valid definition of children’s literary classics. This is because of the different contexts found in children’s literature: on the one hand, we have the concept of the classic in children’s literature research, on the other we have a body of allegedly

6 Paruolo (2014: 73-74; 2011: 13) nota come l’interesse accademico nei confronti del classico per l’infanzia

vari da paese a paese. Se il mondo anglosassone (e nordamericano in particolare) ha avvertito il bisogno di procedere alla definizione di un canone della letteratura per l’infanzia, gli accademici francesi sembrano poco interessati all’idea. Una posizione che Paruolo giustifica sulla base della loro scarsa propensione “a tracciare delle marcate linee divisorie tra letteratura per l’infanzia e letteratura per adulti” (Paruolo 2014: 74). In Germania, gli studi comparati sulla letteratura per l’infanzia sono diventati una disciplina indipendente che vede tra i suoi principali centri di interesse anche quello di un canone dei testi classici. Sebbene un canone della letteratura per l’infanzia tedesca sia lungi dall’essere stabilito, studiose quali Emer O’Sullivan e Bettina Kümmerling-Meibauer hanno fornito importanti contributi al dibattito sulla costruzione del canone. Per quanto concerne infine la realtà italiana, Paruolo sottolinea come gli accademici del nostro paese stiano costruendo un proprio canone selezionando gli autori e le autrici contemporanee più significative e consacrando loro biografie.

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international classic children’s books, of “popular” classics, present in actual fact (on the market and in public awareness), which have been handed down over a long period. (O’Sullivan 2005: 133)

A “complicare” ulteriormente il quadro contribuisce poi la nozione stessa di infanzia, che rende ancora più problematica la definizione. Come nota Peter Hunt (2011), “childhood changes rapidly, and so a book that children thought was good a hundred years ago (or that was thought to be good for children) may have no meaning at all for children today” (45). Alla variabilità e alla storicità dei giudizi estetici e letterari sulle opere, si aggiunge quindi anche la relatività della nozione di infanzia, la cui immagine e la cui costruzione variano attraverso il tempo, i luoghi e le culture7. Nella definizione del “classico per l’infanzia” si intrecciano quindi le esigenze della ricerca accademica, gli interessi – anche economici – del mondo editoriale, le finalità pedagogiche di cui l’adulto- mediatore investe la lettura del classico, nonché la definizione di “infanzia”. Gli ostacoli derivano inoltre dalla difficoltà di individuare i criteri sulla base dei quali operare la classificazione, alla ricerca di un equilibrio tra successo commerciale e valutazioni di ordine estetico e letterario (cfr. O’Sullivan 2005: 132-133).

Partendo quindi dalla consapevolezza di questa mancanza di unanimità – sulla definizione, sui criteri, sulle caratteristiche e le qualità del classico e sulle liste stesse di classici –, è pertanto evidente come i criteri di selezione che si decide di adottare quando ci si appresta ad analizzare i classici giochino un ruolo fondamentale. Sottolineando la parzialità e la relatività di qualsiasi prospettiva adottata a riguardo, Peter Hunt nota ancora come alcune questioni si delineino come prominenti nel processo di selezione implicito in qualsiasi discorso sul classico, e sul classico per l’infanzia in particolare:

If it is adults who confer the status of “classic” on a book, does this mean that a “children’s classic” has nothing to do with real children today? And what do we mean by good? Is “goodness” or “high quality” something you can find in the text and point at? The obvious answer to that is, no: ideas about what is good depend on who is reading, when and why – although it is instructive to find out what certain people at certain times thought was “good”. Then what do we mean by significant? Significant for whom? And who says what is significant? And the answer to that, of course, is adults. (Hunt 2011: 45, corsivo originale)

Le parole di Hunt mettono quindi in luce i nodi cruciali della definizione e selezione del classico. Da una parte la “dipendenza” dal giudizio dell’adulto, anche in veste di mediatore, dall’altra i termini stessi del giudizio e quindi la validità (e l’autorevolezza) della valutazione. In quest’ultimo caso entrano infatti in gioco la

7 Per una ricognizione sul concetto di infanzia, sulla sua evoluzione storica e culturale e sul suo rapporto

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componente personale e soggettiva (chi legge), ma anche quella temporale e culturale (quando si legge), nonché le circostanze contingenti della lettura (perché si legge).

Se identificare un classico è quindi sempre una questione di definizioni e di criteri di selezione più o meno problematici (Müller 2011: 67), la consapevolezza delle peculiarità di questo processo di selezione e le asimmetrie che lo contraddistinguono aiutano certamente a focalizzare l’importanza e la rilevanza dei criteri proposti. I principali tentativi di fornire una definizione di classico e dei criteri di selezione si ritrovano nelle monografie di Emer O’Sullivan (2000) e Bettina Kümmerling-Meibauer (2003), che presentano due approcci diversi: mentre la prospettiva di O’Sullivan è più orientata alla ricezione dei testi, Kümmerling-Meibauer privilegia criteri di innovazione e qualità estetica8. Secondo Müller (2011: 67-69), nella definizione e identificazione dei classici si riscontrano tre direzioni principali. L’approccio ideologico collega lo status di classico per l’infanzia di un testo alla sua supposta capacità di esprimere uno “universal, essential character of ‘the child’” (Müller 2011: 68), in cui la presunta “universalità” del bambino e di conseguenza del testo deriva dall’idea romantica dell’infanzia come espressione di uno stato originale e incorrotto dell’umanità. Negli approcci orientati alla ricezione del testo, come quello di Emer O’Sullivan, non solo lo status di classico si precisa in termini di “produttività”, ma viene preso in considerazione anche il legame tra lo status di classico e i fenomeni di mercato. In questa prospettiva, sono classici quei testi che sono diventati patrimonio collettivo e condiviso di una cultura (un’idea che richiama i depositi culturali di cui parla Sela-Sheffy (2002)), in grado di durare nel tempo e di generare una pluralità di adattamenti in diversi media e quindi di avere un impatto considerevole non solo sui futuri lettori e lettrici, ma anche sugli sviluppi culturali successivi. Il terzo approccio, infine, può essere riassunto dalla posizione di Bettina Kümmerling-Meibauer, secondo la quale una prospettiva orientata alla ricezione ignora il valore estetico dei libri per l’infanzia. Nella sua definizione di classico e canonicità, la studiosa cerca pertanto di integrare la componente estetica e quella letteraria. Combinando criteri di innovazione e qualità estetica, definisce i classici come i prototipi di alcuni generi letterari, testi che hanno ispirato e influenzato in modo tangibile la

8 Per limiti legati alla mancata conoscenza della lingua tedesca, non è stato possibile leggere le due

monografie in questione che rappresentano alcuni dei contributi più significativi al dibattito sui classici e il canone per l’infanzia. Mentre per il volume di O’Sullivan Kinderliterarische Komparatistik è disponibile una versione inglese basata sul testo in lingua tedesca pubblicato nel 2000 e tradotto da Anthea Bell (O’Sullivan 2005), per quanto riguarda la teorizzazione proposta da Kümmerling-Meibauer si farà riferimento a quanto riportato da Müller (2011) nel suo contributo sui classici tedeschi.

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produzione di altri testi, fornendo un modello in termini di genere, tematiche o stile. Müller (2011) riassume così i criteri individuati da Kümmerling-Meibauer: “innovation, representative character, aesthetic quality, simplicity without being trivial, the representation of the experiential world of children, fantasy, polyvalence and cross- writing” (68-69).

Molti dei tratti definitori del classico proposti da O’Sullivan si ritrovano nella riflessione, cronologicamente antecedente, di Victor Watson (1991) “What Makes a Children’s Classic?”, in cui l’autore cerca di definire il classico facendo riferimento a una serie di criteri “esterni” al testo e dipendenti dalla sua ricezione. Anche in questo caso, il classico viene identificato in base alla sua permanenza nel tempo e alla sua capacità di mantenersi “contemporaneo”, di diventare patrimonio condiviso, anche attraverso adattamenti e riscritture, e di essere quindi significativo, importante, riconosciuto all’interno di una cultura. “A children’s classic”, scrive Watson, “is a book whose popularity has survived the age in which it was written. And […] [it] is constantly re- made and improvised upon so that its qualities and its appeal are transformed and revealed to new generations of readers” (1991: online). Questa capacità di fruizione del classico da parte di generazioni successive è legata anche alle diverse forme in cui può essere adattato e che gli consentono di dialogare con gli altri media, poiché “a characteristic of the classic children’s story is its capacity to offer from within itself new meanings and fresh emphases while retaining its original integrity” (Watson 1991: online). Se dal piano personale, individuale, ci si sposta poi a livello collettivo, di comunità culturale, il patrimonio letterario è costituito da quei testi imprescindibili che “we keep re-making […] and reading […] afresh” (Watson 1991: online). Il classico quindi non è importante solo per i singoli lettori-trici, ma è un’opera che è significativa e rilevante per un’intera comunità: “the classics are part of our national vocabulary – metaphors, perhaps – reverberating the wider cultural language which we all share” (Watson 1991: online).

Gli approcci orientati alla ricezione del testo, come quello di O’Sullivan (2005; 2000) e, ancora prima, di Watson (1991), hanno il pregio di fornire una prospettiva più ampia, che trascende tanto le necessità della ricerca accademica e dello studio universitario quanto le finalità pedagogiche che guidano le scelte delle istituzioni scolastiche e delle biblioteche, e prende in considerazione anche i testi effettivamente presenti sul mercato editoriale (O’Sullivan 2005: 132). In questa prospettiva ampliata, il classico per l’infanzia non rappresenta semplicemente un’opera letteraria, ma costituisce un prodotto culturale, che spesso oltrepassa la dimensione prettamente letteraria in cui ha

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avuto origine e viene adattato in altre forme e attraverso altri media, fino ai casi estremi di commercializzazione “sfrenata” dei prodotti ridotti a beni di consumo (cfr. O’Sullivan 2005: 145-151). L’attenzione così riservata alla popolarità e al successo, anche commerciale, di un’opera e alle sue capacità “ri-creative”, attraverso adattamenti e riscritture, permette di considerare la permanenza nel tempo da una prospettiva più ampia. La capacità di un testo di sopravvivere al passare del tempo dipende infatti non solo, o non esclusivamente, dalle qualità intrinseche dell’opera, ma anche dalla sua circolazione culturale, dal modo in cui l’opera viene trasmessa, fruita e recepita nel tempo, ma anche in luoghi e culture diversi da quelli di origine:

the thriving appropriation of children’s tales and novels by the film industry clearly contributes to the deployment of the source text onto other media, which usually prompts a new form of curiosity for the original story and consolidates its canonicity thanks to new visual adaptations and textual retranslations. (Cabaret 2014: 18)

In questo modo vengono prese in considerazione anche le implicazioni del mercato editoriale non solo nella definizione del classico, ma anche nella sua permanenza nel tempo. Quest’ultima infatti è legata inevitabilmente alla questione della popolarità e del successo di vendite, immediato ma anche sul lungo periodo. Popolarità e successo di massa sembrano, del resto, collocarsi agli antipodi della definizione di classico, se si considera che l’opera canonizzata si distingue, tradizionalmente, per la sua separatezza, la sua eccellenza e una supposta “superiorità” estetica e artistica, caratteristiche negate alle forme letterarie popolari. Come nota Sandra Beckett (2011a), “too much popularity, especially among child readers, was often seen as a sign of literary inferiority and sometimes led to relegation to the children’s library” (33). Da una parte la definizione del classico si è storicamente accompagnata a una svalutazione del successo commerciale e popolare dei testi, dall’altra, sottolinea la studiosa, nel mercato editoriale attuale caratterizzato da “blockbusters and ever-changing best-selling lists” (Beckett 2011a: 33), il termine bestseller sembra essere l’esatto contrario del “timeless classic”. È tuttavia innegabile, continua Beckett, che “the majority of classics are or were bestsellers, at least by the standards of their day” (2011a: 33). La permanenza del classico dipende, inevitabilmente, anche da questi fattori di popolarità e dalla ri-pubblicazione dei testi. Il ruolo esercitato dalle case editrici non può e non deve quindi essere ignorato o sottovalutato:

The function of publishing firms as agencies of selection or at least of transmission, keeping the group of classic children’s books on the market, should not be underestimated. Classics

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are a safe bet for publishers: they sell well, copyright has usually run out so that no royalties are payable and, as they have no immediate topical relevance, their shelf-life is not limited. (O’Sullivan 2005: 133)

Considerazioni simili si ritrovano nelle parole di Peter Hunt, che sottolinea come

publishers – and perhaps especially publishers of children’s books – produce series of “classics” for two reasons. The first is that the books sell because the word “classic” sounds respectable – regardless of whether the books have any value; the second is because the books are out of copyright, and therefore cheap to produce. (2011: 46)

Una conferma della rilevanza delle case editrici arriva dalla presenza di collane dedicate ai classici nei cataloghi di moltissimi editori. Alcune sono destinate a un pubblico adulto, altre a giovani lettori e lettrici e altre ancora a un doppio pubblico, e sono quindi collane volutamente crossover. Un esempio di collana di classici per ragazzi fruita anche da adulti è rappresentato dai famosi “Delfini”, collana pubblicata da Fabbri Editore a partire dal 1994 e recentemente riproposta in una nuova veste da BUR (Rizzoli). La collana, diretta da Antonio Faeti – padre fondatore della letteratura per l’infanzia come disciplina accademica in Italia –, è stata pensata per un pubblico di lettori e lettrici a partire dai 10-12 anni, ma incontra anche un pubblico “misto” di adulti (insegnanti, genitori, bibliotecari, ecc.).

Un’ulteriore testimonianza della rilevanza editoriale del classico, da un punto di vista più cinico, è legata al ritorno al classico che si è registrato negli ultimi anni e che si è accompagnato spesso alla pubblicazione di nuove traduzioni e a vere e proprie operazioni commerciali e di marketing mirate. In un momento di crisi editoriale, le caratteristiche del classico, derivanti in parte dalla sua permanenza temporale, sono una risorsa per le case editrici, poiché permettono di ridurre rischi e investimenti e ottimizzare i guadagni. Da una parte infatti si tratta di testi spesso liberi dal diritto d’autore, e quindi economici da produrre, dall’altra possono contare su una legittimazione, quando non su una vera e propria canonizzazione, di lunga data, che assicura buone vendite. I classici per l’infanzia, in particolare, compaiono spesso nelle letture consigliate da insegnanti e bibliotecari, talvolta fanno parte delle letture scolastiche obbligatorie, altre ancora sono state letture d’infanzia amate per i genitori, che al momento dell’acquisto si fanno guidare dal “ricordo” o più semplicemente dalla presenza della dicitura “classico” sulla copertina (cfr. Hunt 2011: 46). Nel panorama editoriale attuale, in cui l’editoria per ragazzi è sempre più soggetta alle logiche di mercato e sottoposta alle pressioni dell’industria culturale, i classici rappresentano inoltre dei punti di riferimento, delle costanti, sottratti all’iperproduzione e al consumo bulimico di libri; i classici, grazie alla loro capacità di

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affrontare temi universali sono in grado di essere ancora contemporanei e di parlare alle nuove generazioni (Grilli 2012).

Un altro aspetto da non sottovalutare in questa predisposizione alla commercializzazione del classico è il fatto che molto spesso bambini e bambine entrano in contatto con i classici e i loro protagonisti ancor prima di entrare in libreria o di sfogliare il libro, e questo grazie agli adattamenti a cui il classico viene sottoposto:

For those whom I call “the children of the videosphere”, books are often channeled through to them via website films, television or videogames, and “old classics” are merely known through their adaptation, such as Hector Malot’s Sans Famille (1878; Nobody’s Boy) – known through the 1946 Italian movie Senza famiglia, and adapted in 51 episodes in Le naki

Ko, a Japanese 1977-78 television series. (Perrot 2011: 57)

Nelle parole di Jean Perrot si trova quindi un’eco di quanto afferma sempre O’Sullivan (2005):

Children’s acquaintance with classic figures who originally appeared in books is today based more often on their appearance in the media (films, CDs, cassettes, etc.), as toys, domestic accoutrements or advertising items, with commercial as well as technological changes affecting the ways in which children engage with them. (133)

Queste modalità di circolazione del classico, dei suoi personaggi e dei suoi derivati, hanno delle conseguenze significative sulle modalità di trasmissione e ricezione dei testi, in particolare possono influire sulla traduzione e sulle strategie adottate nel passaggio da una lingua all’altra e da una cultura all’altra (cfr. O’Sullivan 2005: 138-149; O’Sullivan 2006).

Per O’Sullivan (2005), il discorso critico accademico non può prescindere dal considerare quell’insieme di classici popolari effettivamente presenti sul mercato, né può ignorare come questo corpus si sia costituito. In caso contrario, infatti, nessuna teoria e nessun discorso critico sono in grado di spiegare come e perché opere provenienti da epoche e culture diverse siano state selezionate e valutate positivamente, né di giustificare la loro popolarità duratura. La studiosa colloca così la definizione del classico per l’infanzia in una dimensione a sé stante, separata e distinta dal classico per adulti e dalle sue caratteristiche, e sostiene la necessità di utilizzare parametri e criteri diversi, poiché quelli generalmente adottati nel discorso sul classico potrebbero rivelarsi insufficienti o inadeguati. Sottolineando come “of the traditional trio of criteria accepted by critics as defining classics in adult literature – quality, evaluation and reception – the last is most frequently emphasized in children’s literature (O’Sullivan 2005: 134), O’Sullivan rifiuta la possibilità di utilizzare il carattere esemplare e normativo come tratto definitorio del

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classico per l’infanzia e mette in luce i limiti del ricorso a criteri di qualità estetica e innovazione nella definizione del classico per l’infanzia. Tali criteri trascurano infatti gli aspetti legati alla ricezione dei testi. Così, ad esempio, la presenza di opere di dubbio valore letterario nelle liste di classici dimostra l’impossibilità di stabilire una corrispondenza diretta tra classico ed eccellenza letteraria. Analogamente, non meno controverso è il tentativo di definire il classico in termini di innovazione: una storia della letteratura per l’infanzia riposa su criteri diversi da quelli utilizzati quando si considera la sua ricezione. Ne consegue che non tutti i testi che hanno fatto la storia della letteratura per l’infanzia e l’hanno segnata sono classici, così come spesso i testi considerati innovativi da una prospettiva storica, che ne valuta la qualità estetica, non sono in grado di avere un grande impatto, fattore quest’ultimo cruciale per i classici realmente presenti sul mercato (O’Sullivan 2005: 135-136). Quando il discorso sul classico per l’infanzia si focalizza sul versante delle qualità più propriamente estetiche e letterarie, l’accento viene infatti posto spesso sulla capacità di questi testi di generare un discorso critico (Nodelman 1985b) e sul loro potenziale di innovazione letteraria (cfr. Shavit 1986).

Adottando una prospettiva diversa e spostandosi sul piano del contenuto, per alcuni una caratteristica fondamentale per un classico è la capacità di trattare argomenti universali, di rappresentare valori archetipici, di raccontare l’essenza della natura umana (cfr. Müller 2011: 68). Capacità questa che rende il classico in grado di parlare nel tempo alle diverse generazioni (Soriano 1973; Grilli 2012), giustificando così il suo successo prolungato e la sua sopravvivenza nel tempo. Sebbene tale approccio sia minoritario all’interno del dibattito sul classico per l’infanzia, meriterebbe forse di essere preso maggiormente in considerazione, poiché talvolta le tematiche trattate, configurandosi come “universali” e riallacciandosi a una produzione precedente già ratificata dal successo di pubblico e di critica, possono fungere da istanza legittimatrice dei testi (cfr. Ciocia 2011; Sela-Sheffy 2002).

Quando si parla di classico per l’infanzia si tende quindi a sottolineare maggiormente o la popolarità, più legata al giovane lettore-trice e alle sue preferenze, o la qualità letteraria del testo, più incentrata sul punto di vista dell’adulto. Dalle diverse