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1.4 La ritraduzione tra teoria e pratica

1.4.2 Letteratura per l’infanzia, classici e ritraduzione

Nei venticinque anni trascorsi dalla pubblicazione, nel 1990, del numero monografico “Retraduire” della rivista francese Palimpsestes – volume in cui veniva avanzata la retranslation hypothesis di Bensimon e Berman –, l’interesse accademico nei confronti della ritraduzione è cresciuto29. Come nota Florence Cabaret (2014) nella sua introduzione al volume dedicato alla ritraduzione nella letteratura per l’infanzia La retraduction en littérature de jeunesse / Retranslating Children’s Literature, “retranslation […] has gained academic prominence over the past fifteen years as it is perceived as magnifying linguistic and ideological issues which acquire greater visibility thanks to the test of contrastiveness” (12). Parallelamente, anche la traduzione della letteratura per l’infanzia ha acquisito una sempre maggiore legittimazione come ambito di ricerca accademica. L’incontro di queste due prospettive si rivela quindi

29 Per una bibliografia critica di riferimento si veda ad esempio il volume Autour de la retraduction. Perspectives littéraires européennes (2011) a cura di Enrico Monti e Peter Schnyder.

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potenzialmente molto proficuo nell’analisi della traduzione letteraria per l’infanzia, poiché “the metalinguistic dimension of the retranslation process casts relevant light on what is at work when one (re)translates a text for children” (Cabaret 2014: 12). La prospettiva diacronica che si può adottare nello studio della ritraduzione permette cioè di ampliare la consapevolezza della peculiarità della ricezione dei testi tradotti da parte dei lettori e delle lettrici più giovani (Cabaret 2014: 12).

La ritraduzione è dunque un’operazione complessa che va oltre il semplice “aggiornamento” linguistico del testo per avvicinarlo ai gusti, alle aspettative e alle competenze linguistiche di chi legge, e ingloba al suo interno una serie di motivazioni ideologiche, culturali, storiche ma anche commerciali: “in the long history of the retranslation of texts for children, the impetus for new versions may be educational, literary, commercial, or a combination of the three”, nota Gillian Lathey (2010: 161). Anche la ritraduzione porta dunque inscritti i segni indelebili della doppia appartenenza al sistema didattico-pedagogico e a quello letterario propria di tutta la letteratura per l’infanzia.

Nella traduzione dei classici per ragazzi/e, e nella traduzione della letteratura per l’infanzia più in generale, la presenza di un (potenziale) dual addressee, un doppio destinatario, rappresenta uno dei motivi che può spingere alla ritraduzione. La conseguenza più evidente del doppio pubblico di destinazione di questi testi è infatti una moltiplicazione e una differenziazione delle edizioni in base al destinatario (adulto, bambino, entrambi), versioni in cui gli scopi e le strategie traduttive adottate cambiano in funzione del pubblico a cui ci si rivolge30. La “non santità” (cfr. O’Sullivan 2006) dei classici per l’infanzia sembra autorizzare una maggiore libertà di manipolazione del testo in traduzione, quando si rivolge solo a un pubblico di giovani lettrici e lettori. Il testo viene allora modificato, adattato, riscritto, ridotto e persino censurato per essere adeguato alle competenze del pubblico più giovane e per rispondere alle norme di accettabilità delle traduzioni imposte dalla cultura ricevente (cfr. O’Sullivan 2006; Venturi 2011). Le stesse categorie di “destinatario bambino” e “destinatario adulto”, del resto, non sono entità monolitiche ma presentano al loro interno una certa eterogeneità, a partire dalle diverse fasce d’età in cui si stratifica il pubblico più giovane o ai diversi interessi di ciascuno. Le

30 Analisi comparative di (ri)traduzioni dei classici per l’infanzia che prendono in considerazione il “dual

addressee” si trovano ad esempio in O’Sullivan (2006; 2005; 2001; 1993), Lathey (2010), Venturi (2011) e Pederzoli (2011b). Quest’ultimo prende in considerazione, in particolare, la funzione del paratesto nella traduzione dei classici per l’infanzia analizzando le versioni italiane de La guerra dei bottoni di Louis Pergaud.

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motivazioni per la lettura del classico si scompongono così in una pluralità di finalità che influenzano a loro volta l’accettabilità delle strategie traduttive e la conseguente ricezione del testo:

The retranslation of children’s texts after the passage of many decades involves a reconsideration of the implied reader. When a children’s classic becomes a text for scholarly study, its historicity is likely to be preserved for an academic audience. On the other hand, a very different process of domestication of historical detail and linguistic modernisation transforms an antiquated translation into a child-friendly edition for contemporary young readers. (Lathey 2010: 162)

Un esempio che illustra efficacemente questa duplicità di destinazione e le conseguenze sull’opera tradotta, è rappresentato dalla traduzione inglese delle Avventure di Pinocchio realizzata da Ann Lawson Lucas e pubblicata nella collana “Oxford World Classics”, versione che viene riportata a titolo esemplificativo in vari studi che si focalizzano in particolare sul rapporto tra traduzione della letteratura per l’infanzia e destinatario (ad esempio Lathey 2010; O’Sullivan 2006; 2005; Paruolo 2014). La traduzione, preceduta da un’ampia introduzione della traduttrice e annotata, intende rivolgersi a un pubblico di bambini/e e di specialisti al tempo stesso. Questa particolare doppia destinazione produce delle scelte traduttive che sono state messe in discussione proprio per la loro capacità di rivolgersi ai due destinatari, il bambino e l’adulto, contemporaneamente. L’ambiguità delle scelte produce delle vere e proprie anomalie che derivano dalla tensione tra un “dual adult audience (scholar and general adult reader) and the very ‘childness’ of the text” (Lathey 2010: 172). Lo scollamento tra le intenzioni della traduttrice e la realizzazione testuale porta Lathey (2010) ad affermare la necessità, per chi traduce, di scegliere chiaramente tra un pubblico accademico o di bambini/e, poiché è impossibile che una traduzione possa essere adatta per entrambi (172).

Secondo Lathey (2010), la ritraduzione della letteratura per l’infanzia, tuttavia, non può essere ridotta solo a motivazioni e interessi commerciali da parte degli editori. Analizzando in termini di destinatario adulto-bambino le versioni delle fiabe dei fratelli Grimm a opera di Wanda Gág – versioni chiaramente e volutamente rivolte a bambini e bambine –, alcune versioni inglesi delle fiabe di Andersen pubblicate nel corso del Novecento e le due traduzioni inglesi di Pinocchio più recenti – quella già citata di Ann Lawson Lucas (1996) e quella di Emma Rose (2003) – Lathey osserva infatti che nell’operazione entrano in gioco anche altri interessi, inclusi quelli personali del traduttore o della traduttrice. La ritraduzione di questi testi comporta, nei casi in cui nasce

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dai ricordi di infanzia di chi traduce e dalla volontà di rendere il testo leggibile e accessibile a bambini e bambine, un ritorno, spesso nostalgico, dell’adulto all’infanzia:

Revisiting childhood reading in order to write or translate for the child is one aspect of an essential relationship between our child and adult selves […] T[he] reworking in the form of a retranslation of a childhood favourite may indeed involve the need to re-address childhood sensations and responses. Those translators who adopt the stance of the academic or who translate a text not encountered in childhood do not necessarily enter such a territory, but here, too, the childness of the text itself may determine translation strategies. (Lathey 2010: 174)

La ritraduzione dei classici della letteratura per l’infanzia offre quindi la possibilità di uno studio diacronico della pratica traduttiva, non solo in relazione al potenziale doppio destinatario di questi testi, ma anche nella più ampia prospettiva di individuare le norme linguistiche e traduttive prevalenti in determinati periodi, in alcuni paesi. È questa la prospettiva in cui si inserisce ad esempio lo studio di Miryam Du-Nour (1995) “Retranslation of Children’s Books as Evidence of Changes of Norms” in cui l’analisi e il confronto di traduzioni e ritraduzioni (o revisioni) di alcuni testi per l’infanzia in ebraico, pubblicati in un arco di settanta anni, vengono utilizzati per individuare le norme linguistiche e traduttive prevalenti in periodi diversi e determinare come queste norme siano cambiate alla luce della mutata situazione storica, culturale e linguistica. Du- Nour osserva come nel tempo le motivazioni alla base della traduzione dei testi per l’infanzia si siano progressivamente spostate da un piano puramente ideologico a un approccio più commerciale e come, parallelamente, anche le norme linguistiche siano cambiate. Il ricorso a una lingua letteraria, classica, quasi biblica, e a uno stile elevato, che innalza la letterarietà del testo (cfr. Venturi 2011), impregna le prime traduzioni. Le scelte linguistiche compiute rispondevano infatti alle finalità didattico-pedagogiche di cui veniva investita la traduzione, che doveva arricchire il linguaggio dei bambini e “teach good language and good style” (Du-Nour 1995: 335). Nelle versioni più recenti, invece, l’innalzamento stilistico si riduce e all’interno dei testi tradotti trova spazio anche la lingua parlata. Sul piano delle norme culturali, sebbene con notevole ritardo rispetto ad altri settori della produzione letteraria, a partire dagli anni Ottanta, anche nella letteratura per l’infanzia all’adattamento culturale e alla manipolazione delle opere si sono sostituiti “fullness and adequacy” (Du-Nour 1995: 338). Al termine della sua analisi Du-Nour (1995) osserva che

the requirements of translational adequacy as well as considerations of readability to the young reader have been gaining in importance […] As a result, the gap between translation for children and translation for adults has been narrowing considerably, and it is no longer as

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certain as it used to be that in the Hebrew polysystem, the former is still more conservative than the latter. (342)

La ritraduzione rivela e amplifica quindi non solo la storicità del processo traduttivo e delle diverse norme che lo regolano – norme che mutano al cambiare della cultura ricevente e delle circostanze storiche e politiche al suo interno –, ma svela anche come la nostra immagine dell’infanzia si sia trasformata nel tempo. Secondo Florence Cabaret (2014: 17), infatti, la tensione tra passato e presente si rivela cruciale quando il destinatario della ritraduzione è il giovane lettore o lettrice. L’immagine dell’infanzia, rappresentazione mentale e idealizzata prodotta dagli adulti, si manifesta così nel processo traduttivo, intrecciando il ricordo nostalgico dell’adulto per l’infanzia, le rappresentazioni dei bambini/e per i quali si traduce, i mutevoli modelli linguistici che la società propone al giovane lettore-trice e i valori sociali e morali da trasmettere a un destinatario che si presume malleabile (Cabaret 2014: 17).

Se la traduzione è stata fondamentale nella storia del libro e della letteratura per l’infanzia, fornendo opere e modelli per costruire un repertorio, la ritraduzione, come specifica pratica traduttiva, ha trasformato questo repertorio in un vero e proprio patrimonio, canonizzando alcuni libri divenuti classici per l’infanzia. Di traduzione in (ri)traduzione, infatti, il successo e la popolarità di un’opera in seno alla cultura ricevente si auto-alimentano, generando nuove ritraduzioni (Douglas 2014: 320).

Douglas (2014) evidenzia come tra (ri)traduzione e letteratura per l’infanzia esista un legame “storico”, derivante dall’evoluzione stessa della produzione destinata a giovani lettrici e lettori. Un legame rafforzato da “une conjoncture qui leur est favorable au tournant du XXIe siècle – l’explosion de la pratique de la retraduction et l’avènement de phénomènes éditoriaux sans précédent en littérature de jeunesse” (317). Secondo la studiosa, è quindi possibile stabilire un parallelo tra la prima grande fase di traduzioni (e talvolta ritraduzioni) registrata a partire dalla fine del Settecento e il movimento ritraduttivo del ventunesimo secolo, in cui si è perfezionata quella spinta alla ritraduzione iniziata negli anni Novanta del Novecento. Mentre la prima fase, attraverso gli scambi all’interno della produzione europea, ha rappresentato un momento costitutivo per la comparsa e lo sviluppo di un patrimonio letterario comune, l’attuale fase di ritraduzione è caratterizzata invece da un’attività eccezionale nel settore della produzione per l’infanzia e l’adolescenza, che corrisponde a una sua legittimazione e a un nuovo riconoscimento da un punto di vista economico o letterario (Douglas 2014: 317-318). La ritraduzione, pur restando centrale nella storia del libro per l’infanzia, ha cambiato quindi

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la propria funzione. Se la serie traduzione-adattamento-ritraduzione iniziale era orientata a fornire opere e modelli letterari al fine di costruire un patrimonio, un repertorio, l’intensificazione del ricorso alla ritraduzione che si registra attualmente risponde alla legittimazione crescente di una letteratura caratterizzata dalla canonizzazione di determinati testi divenuti classici e dalla massificazione di una parte della sua produzione. L’accresciuta considerazione sociale di cui gode la letteratura per l’infanzia ha modificato l’approccio alla traduzione di questa produzione, conferendole un’aura di serietà e rispettabilità, che giustifica così anche la ritraduzione dei testi (Douglas 2014: 318).

La storia delle ritraduzioni di un testo è anche la storia della sua ricezione. Oggi, la trasmissione interculturale e transnazionale delle opere si articola e si ramifica tuttavia in una pluralità di forme: traduzioni, ritraduzioni, riscritture, adattamenti, trasposizioni segnano il passaggio dei classici da una lingua all’altra, da una cultura all’altra, producendo una contaminazione delle letture e delle interpretazioni. In questo quadro variegato e multiforme, la traduzione e la ritraduzione diventano una delle modalità che permettono al classico di trascendere i confini geografici e storici dell’opera e di sopravvivere nel tempo.