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Le clausole di gestione del rischio come problema di struttura e funzione

1. Rischio e alea Una correlazione sistematica

1.2. Le clausole di gestione del rischio come problema di struttura e funzione

Nell’ambito dei patti in esame, quella tra alea e rischio finanziario rappresenta una correlazione che si misura, in tutta evidenza, nella funzione “tipica” di siffatte clausole, ovverosia quella di gestione e neutralizzazione del rischio(30). Questo primo passaggio risulta fondamentale per i risvolti in chiave di individuazione della disciplina e del controllo esercitabile sulle convenzioni in esame.

Le convenzioni di gestione del rischio finanziario, secondo un linguaggio più familiare al civilista, possono ricondursi alla categoria delle tecniche negoziali di riparto del rischio contrattuale(31). L’ordinamento riconosce all’iniziativa economica individuale un certo margine di discrezionalità nella distribuzione delle potenziali ricadute negative dell’operazione conclusa. A ben vedere, questa manifestazione di autonomia dei contraenti rispetto al rischio avviene già al momento della scelta del tipo negoziale, che costituisce un primo indice della volontà di sottostare ad una disciplina fissata ex lege, rispetto ad un modello contrattuale tipico; ed anzi, è proprio siffatta qualificazione a costituire il criterio più attendibile per stabilire a quale regime di distribuzione del rischio le parti abbiano inteso aderire(32). Il regime normativo offerto dal ricorso ad un0 specifico tipo negoziale può tuttavia

(29) A.GAMBINO,Eccessiva onerosità della prestazione e superamento dell’alea normale del contratto, cit., pag.

435.

(30) In questo senso, G.CAPALDO,Contratto aleatorio e alea, cit., pag. 185 ss.

(31) Di esse dà espressamente conto, A.GIAMPIERI,voce «Rischio contrattuale», cit., pag. 21, rifacendosi alla

classificazione di G.ALPA,voce «Rischio contrattuale», cit., pag. 1146 ss.

(32) Sull’importanza della qualificazione del tipo come criterio di riparto si veda M.BESSONE,Adempimento e

rischio contrattuale, cit., pag. 350, il quale riconosce che “al fine di individuare un criterio di ripartizione dei rischi e dei danni conseguenti alle circostanze che sia davvero coerente all’economia dell’affare, la qualificazione del contratto è davvero indispensabile”. La dottrina tedesca ha posto al centro del dibattito sulla distribuzione del

142 non essere sufficiente a regolare tutti i potenziali profili di rischio cui le parti possano venir esposte, ovvero può presentare una regolazione cui i contraenti, in quanto portatori di specifiche esigenze, intendano derogare, proponendo un diverso schema di riparto.

Il tema delle convenzioni negoziali di gestione del rischio si pone, dunque, non solo in presenza di un accordo atipico, ma altresì in ipotesi di negozi tipici cui vengano apposte patti atipici, che deviino dall’assetto di ripartizione del rischio che altrimenti caratterizzerebbe quella fattispecie negoziale(33). In entrambi i casi, l’autonomia privata non rappresenta comunque il criterio ultimo per la determinazione della distribuzione del rischio nel contratto. Da un lato, l’accordo delle parti può non coprire ogni circostanza suscettibile di influenzare la corrispondenza di valore fra le prestazioni in corso di esecuzione, in luogo della molteplicità di variabili che possono interessare la buona riuscita di un affare; allo scopo sovvengono, principalmente, le regole sull’interpretazione del contratto, sulla ricostruzione della volontà dei contraenti, e quelle sull’integrazione suppletiva del regolamento. Dall’altro, anche rispetto alle circostanze coperte da una distribuzione convenzionale, l’autonomia non può comunque esplicarsi in modo incondizionato, ma trova, nelle regole dell’ordinamento, dei precisi vincoli, tanto sul piano della disciplina che in ordine al riconoscimento di rimedi; per dirla come un grande autore del passato “nel porre il precetto, le parti dell’un canto

rischio il rilievo assunto dai gesetzlichen Schuldvertragstypen. È nota, in particolare, la posizione di W.FLUME,

Das Rechtsgeschäft, in Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, Berlin-Heidelberg, New York, 1965, vol. II, pag.

507, il quale parla della scelta del tipo negoziale come criterio per l’individuazione del soggetto che debba assumere il “Risiko der Wirklichkeit” (rischio della realtà). L’autore passa in rassegna alle principali tipologie di contratto nominato per ricostruire il criterio della distribuzione del rischio, attraverso la cd. dottrina del fondamento negoziale (die Lehre von der Geschäftsgrundlage). Ad esempio, nel contratto di vendita (Kaufvertrag), il rischio della realtà che deve essere ripartito è quello relativo alle condizioni normali o convenute, alle quali il venditore deve consegnare la cosa al compratore (Der Kaufvertrag […] ist auf die

Wirklichkeit so bezogen, daß der Verkäufer dem Käufer die Kaufsache in der normalen oder vereinbarten Beschaffenheit zu liefern hat).

(33) Il richiamo va nuovamente all’impostazione seguita dalla dottrina tedesca, che individua il punto con

precisione. Si riconosce difatti al giudice il compito di valutare che il contratto non contenga determinate clausole che introducano un regime di distribuzione del rischio diverso da quello che caratterizza il tipo contrattuale (“Ebenso ist in jedem Falle zu prüfen, ob sich nicht aus zusätzlichen Vertragsklauseln zu einem

bestimmten Vertragstypus eine andere Risikoverteilung ergibt, als sie für den Vertragstypus an sich anerkannt ist”).

Vi sono inoltre, tipi contrattuali che non prevedono specifiche norme che regolino la distribuzione del rischio, e le regole di parte generale non sia in grado di valorizzare efficacemente le specificità di quel determinato tipo. In questo caso, l’intervento giudiziale costituisce un meccanismo di tutela ed integrazione dell’autonomia privata, senza sovrapporsi tuttavia ad essa (“Der Richter hat also ein Norm zu finden, welche auf den Vertragstypus

ausgerichtet ist, und diese Norm muß sich in das Ganze der Rechtsordnung einfügen”). V., W. FLUME, Das

143 esercitano poteri, dall’altro incontrano limiti negativi e oneri positivi che concernono l’idoneità dei mezzi messi in opera e importano il rischio della inefficacia”(34). Specie in ambito dei contratti predisposti e dei negozi destinatari di massicci interventi di regolazione – come quelli analizzati all’interno del primo capitolo – ancor più sensibile diviene dunque il problema di individuare una disciplina ed i limiti sulla distribuzione convenzionale dei rischi nel contratto.

1.2.1. La collocazione dell’alea e del rischio nel contratto. Spunti problematici Ebbene, in quest’ottica, sarà cura di dimostrare come il rischio finanziario sia suscettibile di incidere tanto sul contenuto, quanto sulla funzione del contratto e come, da tali basi, occorra muovere per definire la disciplina ed i limiti alla gestione del rischio. Ciò spiega perché, ai fini della presente indagine, la teoria dell’alea, nell’accezione di finanziarietà di cui discorrevamo in precedenza, rappresenti un passaggio fondamentale nella costruzione delle categorie.

Il punto è già noto, da tempo, in dottrina.

Vi è difatti chi ha parlato dell’alea come “un problema interessante che può incidere sia sulla causa che sul tipo è quello dell’alea”(35), chi del rischio come “oggetto del contratto aleatorio”(36) e chi considera, invece, l’alea come “un particolare criterio di misura della prestazione”(37). Né, d’altra parte, la giurisprudenza sembra fornire ulteriori chiarimenti sul punto quando, nel sottoporre al vaglio un contratto di rendita vitalizia, statuisce che il negozio si caratterizza per “situazione di incertezza economica in quanto il vantaggio e la correlativa perdita economica rimangono collegati all’imprevedibile durata di sopravvivenza del beneficiario della rendita […] A tal proposito si è anche chiarito che l’alea così intesa viene ad incidere sulla stessa causa del negozio e sul suo oggetto, assumendo il valore di un elemento essenziale”(38).

Alla luce di quanto ricostruito, la dimensione del rischio pare potersi inquadrare – e pare difatti essere stata tradizionalmente inquadrata - sotto due possibili punti di osservazione. Da

(34) E.BETTI,Teoria generale del negozio giuridico, Napoli 1994 (ristampa), pag. 160.

(35) G.B.FERRI,Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968, pag. 358, nota 27.

(36) A.BOSELLI,Le obbligazioni fondamentali nel contratto aleatorio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1949, pag. 596

ss.

(37) T.ASCARELLI,Aleatorietà e contratti di borsa, cit., pag. 441.

144 un lato, essa può rilevare quale contenuto della prestazione delle parti, il cui oggetto dell’accordo deve sottostare ai requisiti di possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità (art. 1346 c.c.). Dall’altro, essa può assumere rilievo nella prospettiva della causa del negozio, della funzione concretamente perseguita dal regolamento atipico convenuto (art 1322 e art. 1343 c.c.).

1.2.2. (segue) Due casi di studio

Il tema si ripropone con assoluta centralità nel contesto delle clausole di gestione del rischio. Due recentissime pronunce della corte di legittimità aiutano a comprendere il punto. In una prima decisione(39), la Corte affronta il problema della validità e della qualificazione(40) di un contratto di leasing immobiliare il quale prevedeva, per la determinazione del canone, due clausole di indicizzazione: la prima al LIBOR3M al franco svizzero, la seconda al tasso di cambio Euro-CHF(41). Le parti danno inoltre esplicitamente atto della natura aleatoria delle clausole, poiché il rapporto di cambio tra la moneta europea e quella elvetica costituisce un elemento di incertezza dal quale dipende il guadagno dell’una e dell’altra parte. Ebbene, la Corte, confermando la pronuncia del collegio d’appello con la quale veniva riconosciuta la nullità delle clausole di indicizzazione, inquadra le suddette convenzioni come clausole di determinazione dell’oggetto per relationem, sottoposto ai requisiti di determinatezza e determinabilità ex art. 1346 c.c. La circostanza per cui non sia possibile identificare un criterio unitario per il calcolo del tasso di interesse e, anzi, l’utilizzo dell’uno o dell’altro conduca a risultati sensibilmente differenti, è indice dunque dell’indeterminatezza dell’oggetto del contratto e della conseguente nullità del patto.

Diversamente ha invece operato la Corte in presenza di una clausola di gestione del rischio finanziario inclusa in contratto di assicurazione indicizzato(42). Il negozio sottoposto al

(39) Cass., Sez. III, 25 giugno 2019, n. 16907.

(40) In particolare, le doglianze sollevate attenevano i) alla qualificazione delle suddette clausole come

strumenti finanziari derivati, poiché il rilievo che il rischio di cambio assumeva nell’operazione incideva sulla causa in concreto del negozio; ii) alla indeterminatezza e indeterminabilità del contenuto del contratto, con riferimento al tasso di interesse del rapporto.

(41) Per l’analisi tecnica di entrambe queste modalità di indicizzazione alla valuta straniera, si veda, Cap. I §

2.3.2.

(42) Cass., Sez. III, 5 marzo 2019, n. 6319, in Giur. it., 2019, con nota di S.LANDINI,Sulla validità/invalidità delle

polizze linked, pag. 1024 ss. In particolare, il contratto prevedeva che l’assicurato versasse un premio unico che

145 giudizio della Cassazione consisteva in un’assicurazione sulla vita unit linked, con prestazioni collegate al valore di quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio(43). In particolare, la questione verteva sulla legittimità della clausola con la quale veniva garantito comunque il rimborso di una certa quota del capitale investito, indipendentemente dalla performance delle quote del fondo (clausola unit linked partial guaranteed). In questo contesto viene in evidenza come il ragionamento della Corte si sposti dal piano del contenuto a quello della funzione del negozio, poiché siffatte clausole – o meglio – la distribuzione del rischio ad esse sottese – investono direttamente la determinazione dello scopo pratico realizzato dal contratto. Al di là del nomen iuris attribuitogli dalle parti(44), il giudice dovrà infatti valutare come le clausole identifichino la distribuzione del rischio nel contratto al fine di qualificare lo stesso come negozio di investimento ovvero di assicurazione, e – anche in presenza di contratti a causa mista, con prevalenza della componente finanziaria – verificare la compatibilità di ciascuna delle componenti del contratto alla disciplina normativa all’uopo dettata.

Causa e contenuto costituiscono, in conclusione, due prospettive centrali da cui osservare il fenomeno del rischio finanziario e da cui occorre prendere spunto nel costruire una disciplina dei patti di gestione. Come avremo tuttavia modo di approfondire nel prosieguo, questi due aspetti non sembrano imporre necessariamente una rigida alternativa fra loro(45), e ciò si spiega alla luce di due diversi fattori. In primo luogo, la diffusione di patti che attribuiscono rilievo al rischio finanziario “ex se” ed individuano per esso regole apposite,

momento del riscatto della polizza. In caso di decesso, l’assicurato aveva difatti titolo a ricevere il controvalore derivante dalla liquidazione delle quote, maggiorato di un capitale aggiuntivo calcolato attraverso applicazione di una percentuale sul controvalore delle quote. Tuttavia, in esito al crack “Maddoff”, la perdita di valore delle operazioni finanziarie coinvolte nello scandalo aveva comportato il sostanziale azzeramento del valore delle quote del fondo di investimento cui siffatti prodotti erano collegati, con conseguente perdita del capitale iniziale investito a premio.

(43) Per analisi di questa tipologia negoziale nonché delle clausole unit linked garantite, si veda, Cap. I, §§ 3.3.2.

ss.

(44) V., Cap II, § 3.3.

(45) Già in passato si sottolineava che, nella prospettiva funzionale, causa e oggetto finiscono per “sovrapporsi

in un groviglio concettuale, da cui risulta difficile districarsi”, G.B.FERRI,Il negozio giuridico tra libertà e norma,

Rimini 1987, pag. 110. Sul punto anche, di recente, C.ANGELICI,Alla ricerca del «derivato», cit., pag.193, secondo

cui “non vi è dubbio del resto che i temi della causa e dell’oggetto sono inevitabilmente destinati a interferire l’uno

con l’altro: se non altro in quanto, se la prima individua un giudizio sull’operazione contrattuale, è il secondo che, in quanto essenziale per definire l’assetto di interessi che si vuole fissare con il contratto […] può spesso porsi in primo piano come uno dei dati che in tale giudizio debbono essere considerati e ne forniscono il materiale”.

146 rendono molto più sottile il confine tra l’oggetto dello scambio e la funzione perseguita dal negozio, tendendo a sovrapporre questi due elementi in alcune fattispecie più significative(46). In secondo luogo, il moto di rinnovamento seguito dagli ordinamenti europei mostra una linea di tendenza volta all’abbandono di una rigida distinzione fra i suddetti elementi, che trova la conferma più evidente nell’abbandono, in esito alla recente riforma del diritto delle obbligazioni in Francia, della nozione di causa(47).

1.3. Dalla teoria dell’alea al ruolo del rischio nel contratto: la prospettiva di disciplina