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Le clausole di interest rate cap

1. Il rischio su tasso

1.3. Le clausole

1.3.3. Le clausole di interest rate cap

La medesima logica, ma in senso speculare a quello appena descritto, è alla base della convenzione di una “clausola cap” (46).

Essa ha, pertanto, l’effetto di imporre un tetto massimo alla variazione, in senso positivo, del parametro assunto come riferimento per l’indicizzazione del rapporto. La previsione stabilisce, di conseguenza, una percentuale al di sopra della quale, le oscillazioni della componente variabile del tasso, o della sua somma con lo spread, non influenzeranno la misura della prestazione dovuta dal prenditore di denaro.

Anche la clausola cap ha una struttura che può essere ricondotta a quella del contratto di interest rate cap. Come tale, è definito l’accordo con cui il beneficiario, a fronte della corresponsione di un premio, paga al venditore, a scadenze prestabilite, la differenza fra il tasso di interesse variabile del sottostante e quello fisso pattuito a titolo di opzione (lo strike price)(47). Analogamente a quanto sottolineato con riferimento al floor, la clausola cap produrrà i suoi effetti nella sola ipotesi di differenza positiva tra tasso variabile e strike price, impegnando il venditore dell’opzione a versare al beneficiario la differenza; ovvero e detto più semplicemente, consentendo all’acquirente dell’opzione di pagare esclusivamente lo strike

(46) Se sul floor già più ampia appare la letteratura in merito, le clausole cap, collar e corridor hanno suscitato

un minor interesse da parte della dottrina civilistica. Ciò si giustifica, in parte, per la minor diffusione di siffatti strumenti nella contrattualistica bancaria, in altra parte, per il minor grado di incidenza sulla posizione del prenditore di denaro, non ponendosi difatti un vero e proprio problema di tutela della parte debole. La loro disciplina, come chiarito meglio nel prosieguo, è difatti mutuata dalla letteratura finanziaria in materia di option sulla quale, si veda fin d’ora F.CAPUTO NASSETTI,Profili legali delle opzioni sul tasso di interesse: cap, floor, corridor, collar, PRA e opzioni su FRA, in Dir. del comm. int., 1993, pag. 873; D.PREITE, Recenti sviluppi in tema di

contratti differenziali semplici (in particolare caps, floor, swaps, index futures, in Dir. del comm. int., 1992, pag.

171; C.VECCHIO, Il contratto di interest rate cap, in Corr. Trib., 1991, n.36, pag. 2666; E.MORETTI -G.CUCINOTTA, Strumenti della nuova finanza, Domestic interest rate swap, warrant, cap, floor, collar, Commercial Paper, opzioni, prestiti convertibili, cit.

(47) Nella definizione fornita dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, il cap è indicato come “a contract

whereby a seller agrees to pay the purchaser, in return for a one-off premium, the difference between current interest rates and an agreed (strike) rate, times the notional principal, should interest rates rise above the agreed rate”

32 price convenuto nell’opzione, quando il tasso variabile sia superiore a quest’ultimo(48). Qualora, invece, il parametro di riferimento si attesti al di sotto della soglia dello strike price, il venditore continuerà a corrispondere il solo tasso variabile sul sottostante.

La funzione procede in direzione inversa a quella del floor, andando a proteggere il beneficiario del cap contro rialzi improvvisi del tasso di interesse, perché i due flussi generati dai contratti (l’uno per quello di finanziamento, l’altro per l’opzione) si “compensano” fra loro, andando a produrre l’effetto di calmierare il saggio di interessi che il debitore sarà tenuto a corrispondere. Dove la convenzione di un floor interveniva, difatti, nel garantire una remuneratività minima dell’investimento di una parte, all’opposto, la convenzione di un cap consente, a chi si indebiti a tasso variabile, di soddisfare la sua esigenza di programmare il suo impegno finanziario, ponendo un limite all’esborso massimo che dovrà sopportare su quella posizione. In altre parole, se la convenzione del floor nasce con la funzione di favorire la redditività dell’investimento della banca, la clausola cap protegge il soggetto indebitato dall’esposizione al rischio di non sostenibilità del finanziamento sul medio/lungo periodo.

La prassi della contrattualistica bancaria ha mostrato di far ricorso a due possibili manifestazione della suddetta clausola, attraverso altrettante tecniche di redazione. In una prima forma, la previsione di una soglia alla variazione del tasso di interesse si lega al tema della sopravvenuta usurarietà del tasso, e può essere ravvisata in quelle pattuizioni che stabiliscono, ad esempio, che “la misura di tali interessi non potrà mai essere superiore al limite fissato ai sensi dell’art. 2 comma quattro, della legge 7 marzo 1996 n. 108, dovendosi intendere, in caso di teorico superamento di detto limite, che la misura sia pari al limite medesimo”, denominate nella prassi “clausole di salvaguardia”(49). La clausola, a ben vedere, si limita però

(48) Riprendiamo l’esempio fatto in precedenza e applichiamolo al contesto dell’interest rate cap. Si ipotizzi

sempre che un’impresa abbia convenuto con una banca la stipula di un finanziamento per 1 milione a 10 anni, a tasso variabile Euribor 6 mesi, pari, al momento della stipula, al 4%. Temendo rialzi del parametro nel periodo di esecuzione del rapporto, l’impresa conclude con la banca un ulteriore contratto di interest rate cap, 7% contro Euribor 6 mesi, sul nozionale sottostante di 1 milione. Attraverso questo ulteriore accordo, l’impresa si assicura che la banca ove l’Euribor superi la suddetta soglia di strike price (7%), corrisponda comunque ad essa la differenza fra il tasso variabile per quel semestre e la soglia fissa convenuta. Ponendo quindi che l’Euribor raggiunga il 10%, l’impresa riceverà dalla banca una somma che si ottiene moltiplicando il nozionale di un milione per il 3% (differenza tasso variabile-tasso fisso), e per 180 giorni (assumendo sei mesi come periodo di riferimento), dividendo poi il risultato per il numero di giorni dell’anno.

(49) Alla clausola di salvaguardia gli intermediari hanno cominciato a far ricorso per contrastare gli effetti di

un possibile superamento del tasso soglia usurario nel corso del rapporto, che dà luogo, secondo alcuni indirizzi emersi in dottrina e in parte della giurisprudenza, al fenomeno definito “usura sopravvenuta”. Discutibile pare,

33 ad integrare il regolamento contrattuale con un vincolo di matrice legale alla libera determinazione delle parti circa gli interessi convenzionali nei rapporti di finanziamento ed assolve, di conseguenza, ad una funzione del tutto diversa dal limite imposto attraverso la convenzione di un cap. Pare, dunque, potersi escludere questa prima configurazione della clausola dall’ambito in esame, per diversità di struttura e funzione.

Nella forma che le è invece propria, la clausola cap viene pattuita nella determinazione del meccanismo di calcolo del tasso di interesse, attraverso l’uso di espressioni quali “… il tasso di interesse non potrà comunque superare l’X%”, ovvero “…la somma tra Euribor e spread non potrà mai essere maggiore dell’X%”.

La prassi manifesta, tuttavia, un minor ricorso a questa tipologia di clausola in mancanza di una corrispondente previsione di un floor a favore della controparte: la convenzione di un cap “isolato” viene spesso osteggiata da parte della clientela stessa, poiché a fronte del vantaggio garantito dalla clausola in termini di protezione, la banca conviene solitamente uno spread più alto sul variabile, dal quale consegue un costo del finanziamento, in media, più elevato. La clausola ha difatti l’effetto di trasferire, in capo all’intermediario, il rischio di una salita del tasso di interesse di mercato, del quale egli non può di conseguenza profittare, ove sia convenuto un tetto massimo all’interesse pretensibile.