CAPITOLO 2. EVOLUZIONE : EVOLUZIONE LEGISLATIVA DEL BILANCIO
2.3 CODICE CIVILE DEL 1942 PRIME DISPOSIZIONI LEGISLATIVE SUL
Con l‟emanazione del Codice civile del 1942103 vi fu il primo tentativo di colmare la
mancanza di direttive sulla redazione del bilancio, con regole che stabilivano norme giuridiche sia sul contenuto che sui criteri di valutazione delle voci di bilancio.
Questo codice pur essendo, sulle norme che riguardano il contenuto del “bilancio di esercizio”, meno sintetico e superficiale, non prescrive, comunque, l‟adozione di alcun particolare metodo contabile, né impone alcun specifico sistema di conti.
Manca una definizione precisa di “bilancio”, infatti in alcuni articoli il termine comprendeva sia lo stato patrimoniale, sia il conto economico; in altri veniva usato solo per indicare lo “stato patrimoniale”.104
Va tenuto presente, però, che questo codice se pur criticabile verso molti aspetti, fu un primo passo di notevole importanza ai fini del miglioramento dell‟informativa di bilancio; si tratta infatti di un intervento di rottura, anche se limitato al solo stato patrimoniale, con il passato in cui si era radicato un costume di riservatezza per quanto riguardava i risultati della gestione.
Inoltre, a differenza dei Codici civili degli altri stati europei, fu il primo che prese in considerazione non soltanto la normativa del diritto civile, ma inserì anche norme sul diritto commerciale.
Secondo la legislazione civilistica, i soggetti vincolati alla redazione del bilancio sono: gli imprenditori commerciali e tutte le società. Tuttavia, sia l‟imprenditore individuale, sia le società di persone, pur essendo obbligati alla redazione del bilancio, non lo sono in merito alla comunicazione verso l‟esterno del bilancio stesso.
103 Codice civile del 16 marzo 1942 - Approvazione del testo del codice civile - Pubblicato in Gazzetta
Ufficiale n. 79 del 4 aprile 1942.
104 “Il codice inoltre si riferisce al bilancio con una terminologia incerta e variabile in quanto, mentre in
alcuni articoli (es. 2321, 2432, 2433) tale termine è usato inequivocabilmente per indicare lo stato patrimoniale e il conto economico, in altri, l‟espressione “bilancio” è nettamente differenziata dal conto profitti e perdite, per cui, questi ultimi articoli (es. 2217,2423,2429/bis, 2425/bis) identificano il bilancio con la sola situazione patrimoniale” M.S. AVI, ll bilancio come strumento di informazione verso l‟esterno, 1990, pag. 28.
57 Il legislatore in questo caso pone maggiore attenzione alle norme imposte alle società per azioni.105 Infatti con l‟art. 2364 c.c. si desume l‟obbligo per le S.p.a., della
redazione annuale del bilancio, a seguito della chiusura dell‟esercizio.106
Con l‟art. 2424 c.c., vengono stabiliti i contenuti minimi e lo schema strutturale dello “Stato patrimoniale”, che deve essere a “sezioni divise e contrapposte”, dove vengono rappresentati in “dare” i valori delle attività, ed in “avere” i valori delle passività più i valori del patrimonio netto. In particolare si elencano due liste non vincolanti, una per l‟attivo e una per il passivo.107
Tale normativa lascia largo spazio agli amministratori, sia sul contenuto dello Stato patrimoniale sia sulla redazione del conto Profitti e Perdite, che non essendo regolamentato, viene redatto sempre di più in una forma estremamente sintetica, riducendo quindi le informazioni sulla formazione del risultato di esercizio.
Tutto questo ci fa notare come persiste l‟impostazione “patrimonialista”108 che
caratterizza già i codici precedenti, nonostante fossero già diffuse da molto tempo le teorie di Gino Zappa, che definiva come funzione principale del bilancio: la determinazione del reddito.
Con l‟art. 2423 c.c. si cerca di dare più completezza alla norma già contenuta nell‟art. 176 del Codice di Commercio che richiedeva al bilancio di dimostrare con “evidenza e verità gli utili realmente conseguiti e le perdite sofferte”.
105 Le norme riguardanti il contenuto e i criteri di valutazione da seguire, stabilite per le spa, devono
essere applicate anche da s.r.l., s.a.p.a., cooperative e mutue assicuratrici.
106 Art 2364 c.c.
107 “Lo schema di Stato patrimoniale, in particolare, presentava due liste,una per l‟attivo, l‟altra per il
passivo. Esse, però, non erano organizzate ne complete. L‟elencazione, inoltre, non era tassativa e quindi non corrispondeva al numero di poste da iscrivere. La miglior dottrina ritenne, quindi, che la norma non imponesse il rispetto dell‟ordine dell‟elenco derogabile tutte le volte in cui ve ne fosse uno alternativo e coerente con le finalità desumibili dal bilancio a tutto vantaggio della chiarezza.” G. MIGLIACCIO, Verso nuovi schemi di bilancio, Evoluzione e prospettive di forme e strutture del bilancio di esercizio, 2007, pag. 44.
108 “ La teoria patrimoniale, in sostanza riconducibile al Besta, tende a suddividere il patrimonio in
elementi positivi e negativi nonché nella “sostanza netta” che è costituita dagli elementi indiretti o derivati.” BESTA, La ragioneria, vol II, p. 326.
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Infatti si definisce, se pur in maniera approssimativa, lo scopo del bilancio : “ il bilancio deve indicare con chiarezza e precisione la situazione patrimoniale della società, gli utili conseguiti e le perdite sofferte”.109
Si noti come il legislatore pone l‟accento sulla rilevazione del contenuto dello Stato patrimoniale (logica patrimonialista) e non sulle variazioni del patrimonio stesso che vengono messe in evidenza dal conto “Profitti e perdite”.
Sempre con l‟art. 2423 c.c. si rendeva obbligatoria la stesura di una relazione da parte degli amministratori,110 come “nota esplicativa del bilancio”, ma non vennero
inseriti obblighi sui contenuti minimi che questa doveva avere, di conseguenza, come per il conto profitti e perdite, per anni vi fu la stesura di relazioni sommarie e poco precise, che davano ai fruitori del bilancio ben poche informazioni sull‟effettiva gestione della società.
Sempre per migliorare il principio di precisione e chiarezza, con „art. 2425 c.c. vennero stabiliti criteri di valutazione di singole voci di bilancio quali: immobilizzazioni, partecipazioni, magazzino, crediti e tutte le voci soggette ad una valutazione da parte dell‟amministratore.
Tali criteri, pur essendo generici e lasciando agli amministratori largo spazio decisionale, diedero delle linee guida ed imposero dei vincoli di stima.111
Per concludere, possiamo dire che tale normativa fece fare un balzo in avanti alla capacità informativa del bilancio e al concetto di “verità” a cui il bilancio deve attenersi.
Ma tuttavia, la mancanza di una regolamentazione precisa sul contenuto del conto profitti e perdite e sul contenuto della relazione degli amministratori portò, come abbiamo già detto alla diffusione di documenti di scarso valore informativo sull‟andamento economico della gestione aziendale, in quanto sempre di più si
109 Art. 2423 C.c. : “Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio con il conto profitti dei
profitti e delle perdite. Dal bilancio e dal conto dei profitti e delle perdite devono risultare con chiarezza e precisione la situazione patrimoniale della società e gli utili conseguibili o le perdite sofferte.”
110 Art. 2423 c.c. “Il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori
sull‟andamento della gestione sociale.”
111 Il codice civile del 1942 con le norme valutative si limita a stabilire delle soglie massime da non
superare, salvo ragioni speciali, in cui gli amministratori potevano derogare a tali norme (art. 2425 u.c.)
59 redigevano i “conti profitti e perdite” e le “relazioni” in maniera sintetica e poco approfondita.
Tale prassi trovava giustificazione e appoggio nella giurisprudenza, che non pretese precisione e analiticità nel conto profitti e perdite, che era predisposto a “risultati lordi”.112
La redazione di bilanci “ermetici” nell‟informazione, fu una prassi diffusa ed accettata dalla giurisprudenza, fino verso la fine degli anni 60; quando l‟incompletezza dei bilanci cominciò ad incorrere in alcune sentenze contrarie.
Fu infatti proprio in questo periodo che il bilancio cominciò ad assumere sempre più importanza come mezzo di comunicazione verso terzi.
Si continuò, comunque, nella redazione di bilanci sintetici, anche se oramai sia la dottrina che la giurisprudenza sentivano l‟esigenza di cambiamenti nella disciplina che regolamentava la redazione del conto profitti e perdite e la redazione della relazione annuale.
Proprio a riguardo della carenza normativa sulla redazione del conto profitti e perdite e della relazione annuale arrivarono i primi interventi legislativi a modifica delle attuali norme civilistiche, con la Legge 216/74.113
La Legge 216/74, cercò quindi di colmare le lacune lasciate dal legislatore con il codice civile del 1942, in materia di conto profitti e perdite con l‟art 2425 bis c.c. e riguardo la relazione annuale degli amministratori con l‟art. 2429 bis c.c..
L‟art. 2425 bis c.c. disciplina il contenuto del conto profitti e perdite che, come il contenuto dello stato patrimoniale regolato dall‟art. 2425 c.c., è da intendersi come uno schema di riferimento dal contenuto non rigido ma solamente orientativo.
Il conto profitti e perdite, come stabilito nell‟art. 2425 bis, si fonda su una struttura a “costi, ricavi e rimanenze”, con una struttura espositiva a “sezioni contrapposte”,
112 “Nel 1973 infatti, il tribunale di Milano giudicò corretto un conto economico composto solamente da
quattro voci attive e quattro voci passive” M.S. AVI, Il bilancio come strumento di informazione verso l‟esterno, 1990, pag. 41.
113 Legge n. 216 del 07/06/1974, conversione in legge del Decreto Legge n. 95 dell‟ 08/04/1974,
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dove in dare vengono iscritte le poste riguardanti i costi (perdite) ed in avere i ricavi (profitti).
Ed è proprio la struttura a “costi, ricavi e rimanenze” che ci mostra l‟innovazione di tale legge, che si basa a livello aziendalistico sulla concezione “reddituale”114 della
dottrina Zappiana, lasciando la concezione “patrimonialista” del Besta.
Per quanto riguarda le modifiche apportate dal decreto allo schema dello stato patrimoniale, possiamo notare che l‟intervento riguarda solo il contenuto e non la struttura.
In particolare l‟art. 10 della Legge 216, inserisce nell‟art. 2424 c.c., la posta “crediti verso società controllate e collegate”,115 tralasciando la specifica nella voce di
contropartita sui debiti, dove rimane la voce “debiti verso società collegate”.
Nell‟art. 2424 c.c. è stato introdotto un comma che porta migliorie all‟informativa di bilancio in merito alle partecipazioni di una certa rilevanza, infatti in allegato al bilancio devono essere elencate le partecipazioni in società controllate e collegate, indicando il valore nominale e il valore attribuito in bilancio. Inoltre, unitamente al bilancio si deve presentare copia dell‟ultimo bilancio delle società controllate, mentre per le società collegate bisogna allegare uno schema riassuntivo dei dati essenziali dell‟ultimo bilancio.
Da tutto questo possiamo notare come si sia cercato di avere attraverso il bilancio informazioni patrimoniali e reddituali, relative ai rapporti di gruppo, pur rimanendo ancora distanti da uno schema di “bilancio consolidato”.
Altra importante novità introdotta con il decreto 216/74 oltre alle disposizioni sul contenuto del bilancio è l‟istituzione della CONSOB (commissione nazionale per la società e la borsa), il cui scopo è finalizzato al controllo e alla vigilanza sia delle società per azioni quotate in borsa sia del mercato borsistico.
114 “La teoria del reddito privilegia una classificazione per natura nella quale sono distintamente
esposti valori di origine differente”; M. CONFALONIERI, Forme , strutture e schemi di bilancio,1992, pag.37.
61 Infatti scopo del legislatore fu quello di garantire una migliore informazione verso l‟esterno dando potere alla CONSOB di richiedere una documentazione supplementare oltre a quella già stabilita nel codice civile.
Fra i molteplici poteri della CONSOB il più importante è quello di poter impugnare le delibere delle assemblee delle società quotate in borsa e delle società di intermediazione finanziaria, qualora risultassero violate delle disposizioni legislative, a tutela degli interessi collettivi dei terzi.
Come abbiamo già detto, la giurisprudenza, fino agli anni „30, appoggiata dalla mancanza di una legislazione che regolava in maniera dettagliata la formazione del bilancio, riteneva inammissibile effettuare un controllo sull‟operato degli amministratori, e di conseguenza vi furono delibere di approvazione di bilanci, palesemente falsi.
Tutto questo fin verso gli anni ‟30, quando incominciò a svilupparsi l‟idea del bilancio come strumento informativo, e pertanto, l‟interesse degli amministratori e della maggioranza passò in secondo piano, per dare rilevanza alla tutela dei terzi e delle minoranze. Si cominciò così ad avere sentenze di nullità delle delibere di approvazione del bilancio, nel caso in cui questo fosse compilato in maniera fraudolenta.
Con la nuova disciplina legislativa, introdotta con il codice civile del 1942, vi fu un cambiamento nell‟ambito giurisprudenziale.
Fino agli anni ‟60, si potè rilevare una totale mancanza di rilevanza dei principi delle norme civilistiche, art. 2423 c.c. e ss, non ritenendole fondamentali per rilevare eventuali fatti di falsità dei bilanci; si fece riferimento al concetto di “verità” sulla base della norma penale contenuta nell‟art. 2621 c.c., in particolar modo riferito al problema delle riserve occulte,116 tralasciando il concetto di “chiarezza” e “precisione”
116 “ la giurisprudenza ignora il carattere imperativo delle norme contenute negli artt. 2423 c.c. 2425
c.c., conseguentemente discute del principio della veridicità del bilancio (con particolare riguardo al problema delle cosiddette riserve occulte) solo sulla base della norma penale contenuta nell‟art. 2621 c.c.; trascura del tutto il principio della “chiarezza” del bilancio.” E. BOCCHINI, Manuale di diritto della contabilità delle imprese, II ed. , 1995, pag. 132. “ in relazione all‟ipotesi di falsità in bilancio,[..] la suprema corte, dopo aver per qualche tempo negli anni ‟50 collegato la illiceità (della delibera di approvazione) del bilancio alla norma penale di cui all‟art. 2621, comma 1 num. 1 c.c., facendone scaturire la sanzione della nullità per contrarietà all‟ordine pubblico delle norme civili sulla verità dei bilanci[…]” E. BOCCHINI, Il bilancio delle imprese, 1979, pag. 65. In merito si vedano: Cass. 13/8/1951 num. 2513, in Foro It., 1952, 13;Cass. 15/6/1959, num.1825, in Giur. It, 1959, I, 1, 1047; Cass. 31/5/1966, num. 1450, in Giur. It. 1967, I, 1, 937;
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previste dall‟art. 2423 c.c., in quanto solo se nel bilancio fossero state contenute poste fittizie od omesse poste vere, o fosse stato provato che le valutazioni erano artefatte al fine di pregiudicare il socio in qualche suo diritto, il giudice considerava sindacabile l‟approvazione del bilancio.
Nacque così una correlazione fra normativa penale e l‟invalidità del bilancio, in quanto si individua la causa della invalidità della delibera di approvazione del bilancio solo nel reato materiale punito dall‟art. 2621, comma uno, n 1, c.c.117
Il problema fondamentale del rispetto del principio di verità era incentrato sulle “valutazioni” delle voci di bilancio, in quanto bisognava ricercare un confine tra sottovalutazioni illecite e valutazioni prudenziali lecite; tale confine fu individuato nel criterio della “ragionevolezza".118
La giurisprudenza, pur mantenendo il legame che si era creato tra falsità civile del bilancio e norma penale (art. 2621 c.c.), iniziò a prendere in considerazione l‟ipotesi di falso di bilancio anche per le sottovalutazioni “arbitrarie” cioè sotto il limite della “ragionevolezza”.119
117 Art. 2621 I c.c.: “[…] i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire
per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l'arresto fino a due anni.”
118 Criteri stabiliti dall‟art. 2425 c.c.
119 Trib. Novara, 25/01/1947, in Foro It., 1947, I, 501 : “[…] nella stessa sfera della discrezionalità di
valutazione, non possono essere compiuti eccessi, poiché nell‟eccesso è insito il concetto della coscienza di andare al di là dei criteri di prudenziale amministrazione e, insieme, il concetto della coscienza di un pericolo di danno o di frode in genere […]”; Cass. 29/03/1979 num. 1813, in De Jure : “I criteri di chiarezza e di precisione con cui deve essere redatto il bilancio delle società, e la conseguente analiticità dello stato patrimoniale e delle poste all'attivo e al passivo, hanno carattere strumentale e formale, e non escludono una discrezionalità di valutazione degli elementi attivi nell'ambito dei criteri legali dettati dalla legge per la formazione del bilancio stesso. Tuttavia il difetto di analiticità non può giungere ad escludere la stessa conoscibilità, confinando con la falsità contabile, nè la discrezionalità può identificarsi con l'arbitrio, ma trova il suo limite nella ragionevolezza, nel senso che l'attribuzione di valori irragionevoli, rilevando l'artificiosità dei conteggi, vizia di nullità il bilancio per illiceità dell'oggetto. Ne consegue che la mancata inclusione nel bilancio di esercizio di una società per azioni di una delle poste elencate nell'art. 2424 c.c. - qualora non sia suggerita da particolari esigenze del caso concreto, debitamente indicate e giustificate dagli amministratori e dal collegio sindacale nelle rispettive relazioni - può condurre, su impugnativa del socio, alla declaratoria di nullità della delibera assembleare di approvazione del bilancio, se tale omissione si traduca in un concreto pregiudizio per l'interesse generale alla veridicità del bilancio, con la conseguente illiceità dell'oggetto di quella delibera.” Cass. Sez. I, 05/11/1979 num. 5724, : “La fattispecie dell'omessa indicazione di una posta attiva nel bilancio di una società e quella della totale svalutazione di essa, nell'ipotesi, cioè, che venga regolarmente inclusa in bilancio è valutata "eguale a zero", non sempre e
63 Successivamente, verso la fine degli anni ‟60, il legame che si era venuto a creare tra invalidità di bilancio e normativa penale va via via recidendosi, la giurisprudenza iniziò ad abbandonare il richiamo alla norma penale contenuta nell‟art. 2621 c.c. per la valutazione delle irregolarità del bilancio.120
In questo periodo sia a livello dottrinale che giurisprudenziale, si sviluppa la necessità di valorizzare il diritto dei soci e dei terzi, ad avere una chiara informazione sia sul
necessariamente si identificano sotto l'aspetto delle immediate conseguenze giuridiche ad esse ricollegabili, in quanto, mentre all'omessa indicazione corrisponde sempre il difetto di precisione e chiarezza, la valutazione "eguale a zero" ben può rispondere ad una situazione di verità reale, e ciò, specialmente nel caso in cui la posta sia rappresentata dai marchi di fabbrica, i quali possono essere non più suscettibili di alcuna utilizzazione ovvero possono essere stati acquistati senza l'esborso di alcun prezzo. Pertanto, la svalutazione di una posta attiva può assurgere a motivo di falsità del bilancio solo se essa sia eccessiva o irragionevole, e non, quindi, nell'ipotesi in cui sia conseguenza di una situazione di fatto e di diritto risultante dallo stesso bilancio o desumibile dalla relazione degli amministratori o dalla pubblica discussione in assemblea, contabilmente considerata secondo il criterio della ragionevolezza.” Trib. Venezia, 31/05/1953, in Mon. Trib., 1954, pag.48; Cass. 31/05/1966.
120 La frattura tra la norma penale e l‟invalidità di bilancio è risultata chiara con la sentenza della Cass.
13/2/1969, num. 484, in Giur. It., 1971, I, 1, pag. 628 : “ è nullo il bilancio di società per azioni quando le risultanze di esso non riflettano la reale, effettiva situazione patrimoniale ed economica della società. […] L‟art. 2425, num1, c.c., secondo cui i beni immobili non possono essere iscritti in bilancio per un valore superiore al prezzo risultante dall‟atto di acquisto, va interpretato nel senso che “prezzo di costo” dev‟essere il prezzo effettivamente versato dalla società per l‟acquisto del bene e non il prezzo risultante dal rogito di acquisto, normalmente inferiore per motivi fiscali. […] L‟importanza di questa recentissima decisione […] si fonda sopra considerazioni generali che prescindono dal caso di specie: l‟obbligo di chiarezza e precisione nei bilanci, imposto dall‟art. 2423 c.c., saldandosi con la previsione della norma penale contenuta nell‟art. 2621, n.1, che colpisce gli amministratori i quali espongono in atti ufficiali fatti non rispondenti al vero, è chiaro indice – secondo il Supremo Collegio – dell‟esistenza di un interesse generale alla verità dei bilanci, interesse che trascende quello dei singoli soci e che direttamente si collega ad esigenze di tutela della pubblica fede. Già con la sentenza 31/05/1966, n. 1450 in Giur. It. 1967, I, 937 : […] in tema di falso in bilancio e di nullità della relativa deliberazione assembleare, la Cassazione aveva espresso un principio analogo, ma aveva lasciato campo ad una “erronea valutazione delle attività e delle passività sociali, dato che tali valutazioni importano, necessariamente, un apprezzamento discrezionale”, distinguendo tale valutazione, ancorché erronea, da quella “ che oltrepassi ogni limite di ragionevolezza” e s‟identifichi (allora) con l‟esposizione fraudolenta di fatti non veri. Il principio affermato dalla cassazione nella sentenza pubblicata sembra ancora più rigido perché porta evidentemente a concludere che la nullità del bilancio non dipende dallo stato soggettivo degli amministratori o dei soci; non può esservi un bilancio valido ma errato. Il bilancio o è vero o è falso, o è valido o è nullo; la discrezionalità nella valutazione dei cespiti non è diversa da quella comune e gli amministratori non posso adibire una prudenza maggiore di quella che è consueta in valutazioni di beni compiute al di fuori del campo societario. Questo principio che, se