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LE PRIME SOLUZIONI ALLE INTERFERENZE TRIBUTARIE: L‟APPENDICE

CAPITOLO 3: OSTACOLI VERSO UNA “PERFETTA” CAPACITA’

3.3 LE PRIME SOLUZIONI ALLE INTERFERENZE TRIBUTARIE: L‟APPENDICE

DELL’ART. 2426 C.C.

Il problema delle interferenze fiscali nel bilancio di esercizio fu rilevato già a livello Europeo, con l‟emanazione della IV direttiva CEE del 25 luglio 1978 (78/660) e VII direttiva CEE del 13 giugno 1983 (83/349) esse richiedevano, che i bilanci rispettassero i principi di chiarezza, correttezza e verità, mettendo in evidenza l‟inquinamento che derivava dalle rettifiche fiscali.210

La IV direttiva, fu recepita in Italia, con il Decreto Legislativo 9 aprile 1991 n. 127, che proprio in riferimento alle interferenze fiscali, dovette tener presente l‟art. 75 del TUIR del 1986, che imponeva l‟obbligo di imputare tutti i costi al Conto Economico, per poter effettuare le deduzioni previste per la determinazione del reddito imponibile.211

Il legislatore, per attenuare le ingerenze fiscali nel bilancio, diede la possibilità di intervenire, solo per ragioni fiscali, sulle rettifiche di valori, sugli accantonamenti e sugli ammortamenti, creando un‟apposita area all‟interno del Conto Economico separata dalle altre voci, in modo da evidenziare tutti gli elementi inquinanti delle norme fiscali presenti nel bilancio di esercizio.212

210 “la dottrina economica e giuridica si è lungamente confrontata sulle possibili modalità per superare

le interferenze fiscali; da questo dibattito sono emerse negli anni due posizioni contrapposte, la prima prevede una completa separazione tra bilancio civilistico e bilancio fiscale[…] la seconda accetta, invece, una coabitazione nello stesso documento di valutazioni civilistiche e fiscali, purché le seconde non vengano confuse con le altre stime di ordine civilistico. Quest‟ultima soluzione è quella accolta, di fatto, dal legislatore civilistico in sede di recepimento della IV Direttiva CEE[…]. La IV Direttiva aveva solo previsto agli art. 35, 39 e 43, che si dovesse fornire in allegato la motivazione e la quantificazione di rettifiche di origine fiscale; quindi, non aveva dato molto spazio al problema dell‟interferenza fiscale nel bilancio d‟esercizio. il nostro legislatore delegato ritenne, invece, di operare in modo tale che si potesse creare una sorta di appendice fiscale, nella quale isolare le rettifiche e gli accantonamenti operati ai soli fini fiscali” M.T. BIANCHI, Fisco e bilancio di esercizio nella nota integrativa una possibile soluzione alle interferenze tributarie in Il fisco 32/2002, pag. 11981.

211 “l‟art. 75 quarto comma-le novità sostanziose, ma forse meno di quanto può apparire, si trovano nel

quarto comma, corrispondente al terzo comma dell‟art. 74, che la norma più importante e più controversa dopo una conferma del principio che i costi e gli oneri (anzi, con formula più comprensiva, le spese e gli altri componenti negativi) non sono ammessi in deduzione se non risultano imputati al conto dei profitti e delle perdite, ovviamente relativo all‟esercizio di competenza, si aggiunge che “sono tuttavia deducibili quelli che pur non essendo imputabili al conto dei profitti e delle perdite sono deducibili per disposizione di legge” C. BAFILE, Reddito di impresa e bilancio nel nuovo TU delle imposte sui redditi, in Rassegna Tributaria, 1997, pag. 374.

212 “la normativa italiana è andata oltre rispetto a quanto previsto dalla IV direttiva (artt. 35 e 39), che

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Questo, fu un discreto compromesso, in quanto, permetteva alle imprese di usufruire delle agevolazioni fiscali, per poter diminuire il reddito imponibile, ma non risolse il problema inerente alla capacità informativa del bilancio e, non risolse nemmeno il problema della dipendenza del bilancio tributario, rispetto al bilancio civilistico, che in quel periodo la dottrina richiedeva da più parti.

Come già detto, il legislatore creò un‟apposita area fiscale all‟interno del Conto Economico, dove fece confluire le rettifiche di valore, gli accantonamenti e gli ammortamenti previsti dalla normativa tributaria, denominata “appendice fiscale”. L‟ “appendice fiscale”, all‟interno del Conto Economico, fu inserita tra la voce n. 23, (reddito d‟esercizio) e la voce n. 26 (Utile/perdita d‟esercizio). Infatti, era composta dalla voce n. 24 e n. 25; nella prima si inscrivevano i valori relativi alle rettifiche di valore che venivano effettuati in attuazione di norme tributarie, nella seconda, i valori relativi agli accantonamenti operati.

Le rettifiche, che potevano essere riportate nell‟appendice fiscale, erano quelle che creavano un reddito imponibile inferiore all‟utile che derivava dal bilancio di esercizio, come ammortamenti anticipati e svalutazioni, che venivano utilizzati solo al fine di usufruire di maggiori sgravi fiscali.

Gli accantonamenti, inseriti nell‟area fiscale, erano fatti con lo scopo di sottrarre alcuni componenti di reddito, dalla base imponibile, come ad esempio voci positive straordinarie, vedi le sopravvenienze attive che al momento non erano soggette a nessuna regolamentazione a livello civilistico.

Tali scelte fiscali, dovevano essere riportate in Nota Integrativa, più precisamente nella voce n. 14, veniva descritto in maniera analitica la formazione dei valori inseriti nelle voci n.24 e n. 25 del Conto Economico, indicando le motivazioni per cui gli amministratori avevano operato tali scelte.

nella nota integrativa; come indicato nella relazione ministeriale, con la separata classificazione nelle linee n.24 e n. 25 del conto economico delle poste di natura fiscale il legislatore ha mirato ad ottenere una maggiore chiarezza ed efficacia informativa del conto economico” E. COLUCCI, F. RICCOMAGNO, il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato dopo l‟attuazione delle direttive comunitarie, 1992, pag. 71.

141 In base a tali norme, il bilancio civilistico accoglieva voci di carattere fiscale, in modo che il contribuente potesse detrarre, dal proprio reddito imponibile, i costi che transitavano in bilancio, rispettando le regole fiscali della corretta imputazione. Con l‟introduzione dell‟ “area fiscale”, tutte le voci di natura tributaria furono facilmente individuabili, infatti, secondo quanto stabilito dal legislatore, venivano mantenute divise, per evitare che tutti i dati di natura civilistica, ed economica non fossero inquinati elementi di natura differente.

Possiamo notare come nella voce n. 23 del Conto Economico venisse espresso il risultato economico della gestione aziendale, ricavato seguendo le norme civilistiche e i principi contabili, mettendo quindi in evidenza la reale situazione economica dell‟azienda in un determinato periodo (fine esercizio). Mentre nella voce n. 26 si ritrovava l‟ “utile o perdita d‟esercizio” che derivava dalla somma algebrica del valore del reddito che si otteneva dalla gestione (voce n. 23) e dal valore che derivava dalle variazioni esposte nelle voci n. 24 e 25 di chiara natura fiscale.

Quindi, dopo la riforma, nel Conto Economico potevamo trovare la cosiddetta “area fiscale” in cui venivano raggruppate le voci di derivazione esclusivamente fiscale, limitando così, l‟inquinamento di altre parti del bilancio. Ciò, tuttavia creava una certa difficoltà nell‟evidenziare, visto la contemporaneità dei due risultati economici ( voce n. 23 e n. 26), quale fosse l‟effettivo valore da prendere in considerazione, per avere una chiara e veritiera situazione economico patrimoniale dell‟azienda.

Alcuni esponenti della dottrina fecero notare come l‟introduzione della cosiddetta “appendice fiscale”, anziché contrastare l‟inquinamento fiscale, per assurdo la incentivasse, in quanto dava la possibilità di inserire all‟interno del Conto Economico poste di natura non civilistica, consentendo interferenze di natura tributaria all‟interno del bilancio.

A livello pratico si erano diffuse particolari interpretazioni, che nel tempo, avevano portato ad una interpretazione sbagliata del rapporto tra il bilancio di esercizio e il reddito imponibile, che portò all‟aumentare delle problematiche che contribuirono all‟abrogazione dell‟appendice fiscale.

Una prima distorsione riguardava l‟iscrizione nello Stato Patrimoniale, delle poste inserite nelle voci n. 24 e n 25 del Conto Economico, che potevano essere rilevate

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secondo diverse modalità, in quanto, ritenute tutte ammissibili dato che la normativa civilistica non le regolamentava.213

Questo, fece si, che non si determinasse un metodo univoco di contabilizzazione, rendendo l‟analisi dello Stato Patrimoniale, in merito alle suddette voci, complesso e, avendo come unico mezzo esplicativo il documento della Nota Integrativa, che sovente era di difficile comprensione e insufficiente nelle informazioni.

Il secondo problema riguardava il contenuto delle voci n. 24 e n. 25 del Conto Economico, che si prestavano a innumerevoli interpretazioni, in quanto non vi era uniformità sulle componenti di reddito da includere.

Esisteva, infatti, una interpretazione estensiva, che permetteva l‟utilizzo dell‟appendice fiscale per quei componenti che, determinati secondo le regole del codice civile, fossero risultati inferiori al limite previsto dalle regole tributarie, sempre che nello stesso tempo fosse messa in evidenza la quota civilistica fino al raggiungimento del limite fiscale.

In questo caso, si autorizzava l‟utilizzo dell‟appendice fiscale anche alle norme “strutturali”, dando la possibilità al contribuente di includere in Conto Economico, e perciò sottrarre, i componenti negativi nella misura massima ammessa dal TUIR, anche se, non ammessi in maniera totale dalle regole civilistiche.

Mentre l‟interpretazione restrittiva permetteva l‟iscrizione in appendice fiscale solo per i componenti di reddito, derivanti esclusivamente da norme fiscali di tipo sovvenzionale, come, ad esempio, gli ammortamenti anticipati.

Il D. Lgs. 127/1991 permetteva l‟effettuarsi di operazioni contabili senza alcun significato economico, finalizzate però alla sola deducibilità fiscale. Non avendo nel suo complesso legislativo, sia esso civile che fiscale, norme che le regolamentassero, al contrario del principio della previa imputazione del Conto Economico che ne favoriva l‟utilizzo.

213 “[…] l‟applicazione delle voci 24 e 25 del conto economico novato dal D. Lgs. 9 Aprile 1991, n. 127, fu

resa difficile soprattutto da motivi di ordine tecnico, che ponevano, spesso, il redattore del bilancio di fronte alla necessità di adottare procedure contabili concettualmente in accettabili. Infatti per le voci 24 e 25 non era stata prevista alcuna contropartita contabile, per tanto, l‟unica soluzione trovata fu quella di inserirle nel patrimonio netto delle riserve . il risultato di detta soluzione fu, ovviamente, quello di incrementare il patrimonio netto per effetto di una disposizione fiscale[…] M.T. BIANCHI, Fisco e bilancio d‟esercizio. nella nota integrativa una possibile soluzione alle interferenze tributarie, in Il Fisco 32/2002, pag. 11981.

143 Con il passaggio dal TUIR del 1986 alla legge 127/1991 si era assistito ad un cambiamento delle impostazioni del legislatore, che passò, da un impostazione prettamente a “binario unico” ad un sistema più simile al “doppio binario”, dando un carattere autonomo alle regole fiscali per la determinazione del reddito imponibile. La presenza dell‟ “appendice fiscale” risultò criticata da più parti, in quanto creava, un conflitto con il principio cardine della IV direttiva, che richiedeva l‟esposizione di un quadro fedele nella redazione del bilancio e, prevedeva soltanto rettifiche di valore o accantonamenti, dovuti per scelte economiche e non fiscali.

Il legislatore italiano, con l‟art. 2-bis del D.L. 29 giugno 1994, convertito in legge 503/1994, decise di ovviare a questo problema ed allinearsi alla IV Direttiva, abolendo l‟ “appendice fiscale” con la cancellazione delle voci n. 23 e n. 24, modificando l‟art. 2426 c.c., che unitamente ai principi contabili, regolava i criteri di valutazione del bilancio e, modificando il contenuto della Nota Integrativa alla voce n. 14 art. 2427 c.c..

L‟art. 2426 c.c. venne integrato con un secondo comma che permetteva di “… effettuare rettifiche di valore ed accantonamenti esclusivamente in applicazione di norme tributarie”.214 Infatti, con tale articolo si eliminava l‟ “obbligo” e si introduceva

la “facoltà” di inserire le voci di rettifiche e accantonamenti esclusivamente fiscali. Questo, consentiva al contribuente di scegliere se riportare nel bilancio d‟esercizio le voci di rilevanza esclusivamente tributaria. Se così fosse stato, il contribuente non era più obbligato ad esporre i valori con le modalità precedenti, potendo prediligere il rispetto dei principi di chiarezza, verità e correttezza.

L‟art. 2427 c.c., che regolava i contenuti della Nota Integrativa, alla voce n. 14, fu modificato, prevedendo che si indicassero i “… motivi delle rettifiche di valore e accantonamenti eseguiti esclusivamente in applicazione di norme tributarie ed i relativi importi, appositamente evidenziati rispetto all‟ammontare complessivo delle rettifiche e degli accantonamenti risultanti dalle apposite voci del Conto Economico”. Le incertezze che si erano venute a creare, tra il reddito imponibile e il reddito di esercizio, con le suddette modifiche non vennero risolte, ma, le voci che prima

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venivano raggruppate nella cosiddetta “area fiscale” del conto economico, venivano ora riportate in Nota integrativa.

Il legislatore non riuscì a risolvere il problema delle interferenze fiscali, in quanto, lasciò ancora la possibilità, di iscrivere all‟interno del bilancio civilistico, valori che non avevano natura economica, ma servivano solo a ridurre il reddito imponibile. Tutto questo risultò ancora in contrasto con le Direttive Europee che richiedevano al bilancio una maggiore funzione informativa e rappresentativa della situazione economica e patrimoniale dell‟impresa, per tutti i fruitori del bilancio, sia interni che esterni.215

Pertanto, gli amministratori, all‟interno dei loro bilanci, potevano effettuare delle valutazioni di natura esclusivamente fiscale, che non avevano nessuna valenza economica; questo poteva essere fatto perché molto spesso, per gli amministratori, era facile aggirare la voce n. 14 della Nota Integrativa, affermando, che codeste valutazioni, esprimevano, al loro interno, un contenuto economico,oltre che di origine fiscale.

Le imprese che vennero maggiormente danneggiate da queste regole furono soprattutto le imprese di grandi dimensioni , che erano inserite all‟interno dei mercati internazionali. In particolar modo venivano danneggiate nel momento in cui dovevano raffrontarsi con gli investitori istituzionali, in quanto, presentavano dei bilanci di esercizio e conseguentemente dei risultati economici, decisamente inferiori rispetto all‟effettiva capacità dell‟impresa di creare valore e quindi di dare una rappresentazione chiara, veritiera e corretta della situazione economica e patrimoniale.216

215 “[…] non può essere sottaciuto il fatto che il regime dell‟art. 2426 c.c. pone la nostra legislazione

interna in un rapporto di coordinamento non facile con la legislazione Cee e, in particolare, con i principi della IV Direttiva. La deroga, infatti, che questi principi consentono al bilancio per motivi fiscali è limitata solo alle rettifiche di valore (artt. 35 e 39 della direttiva). L‟art. 2426 c.c. sembrerebbe estendere, invece, il suo ambito applicativo, secondo l‟opinione prevalente, anche agli accantonamenti in senso tecnico che risultino misurati forfettariamente dalla disciplina fiscale[…]”F. GALLO, Brevi note sulla necessità di eliminare le interferenze della normativa fiscale nella redazione del bilancio d‟esercizio, in Rivista di Diritto Tributario, num. 1/2000, pag. 6.

216 “ […] sotto altro profilo che le imprese sono state indotte, per avvalersi delle anzidette opportunità

fiscali, ad esporre contabilmente un utile inferiore a quello reale, con pregiudizio spesso della loro immagine : non sempre sono risultate sufficienti a fornire ai terzi una chiara lettura del bilancio le spiegazioni contenute a tal fine nella nota integrativa. Ne va sottaciuto che la esposizione di un utile inferiore a quello reale ha nuociuto alle imprese anche ai fini fiscali : si pensi, sotto questo profilo alla DIT il cui meccanismo agevolativo si basa proprio sull‟accertamento e l‟accantonamento in bilancio

145 Con la legge 503/1994 vi fu il passaggio da un relazione tra il reddito d‟esercizio e reddito imponibile, che in precedenza si basava su una dipendenza limitata del reddito imponibile rispetto al reddito d‟esercizio, ad una relazione, detta anche di “dipendenza rovesciata” in quanto, non era più il reddito imponibile ad essere influenzato dal reddito di esercizio, ma il contrario.

La dottrina, evidenziava, come nonostante la soppressione dell‟appendice fiscale e l‟introduzione del secondo comma all‟art. 2426 del c.c., continuasse ad essere legittimato l‟inquinamento fiscale del bilancio. La nuova normativa considerava come risultato di esercizio un unico valore, che però non era rappresentativo della situazione economica dell‟azienda e non era civilisticamente corretto, in quanto veniva calcolato inserendo anche poste di natura esclusivamente fiscale.217

Si evidenziava, perciò, come la legislazione italiana desse atto ad una contraddizione, in quanto da una parte fissava come principi generali del bilancio la verità, la chiarezza e la correttezza, dall‟altra, autorizzava l‟inserimento in bilancio, di valori in contrasto con tali principi, con la semplice introduzione di dati esplicativi in Nota Integrativa.

dell‟utile d‟esercizio.” F. GALLO, Brevi note sulla necessità di eliminare le interferenze della normativa fiscale nella redazione del bilancio d‟esercizio, in Rivista di Diritto Tributario, num. 1/2000, pag. 7.

217 “A distanza di qualche anno dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. num. 127/1991 appare fin

troppo evidente che i criteri di formazione del bilancio d‟esercizio richiedono un robusto intervento innovativo. Il problema è sempre lo stesso: rendere le risultanze contabili, in generale più facilmente compilabili da parte dell‟estensore e più facilmente leggibili da parte dell‟utente del bilancio. E, al tempo stesso, garantire che le indicazioni che ne derivano siano quanto più possibili aderenti alla realtà delle cose[…]” T. DI TANNO, Brevi note a favore dell “doppio binario” nella determinazione del reddito d‟impresa, in Rivista del Diritto Tributario, num. 1/2000, pag. 407.

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3.4 LE NOVITA’ DELLA RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO E LA