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Il codice di condotta come fonte tipica del diritto.

NATURA GIURIDICA ED EFFICACIA

2. Il codice di condotta come fonte tipica del diritto.

Se si pensa alla motivazione per il quale il codice di condotta è normalmente elaborato o adottato da un’impresa e ai suoi contenuti di specificazione virtuosa del

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Così DAVIDSONP.A., Legal Enforcement of Corporate Social Responsibility within

the EU, in Columbia Journal of European Law, 2002, 542.

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Cosi anche FERRARESI M., Responsabilità sociale delle imprese: il ruolo del diritto

dettato normativo, è plausibile sostenere che la regola privata possa, nel lungo periodo, trasformarsi in un uso normativo e divenire quindi giuridicamente vincolante. Infatti, presumibilmente, l’impresa che adotta un codice di condotta o vi aderisce tenderà a dare esecuzione alle sue norme, a meno che non voglia veder vanificato quello stesso risultato che si proponeva di raggiungere assumendo una tale iniziativa. La trasformazione della regola in uso è inoltre plausibile se si considera che il codice, come si è già osservato, tende a specificare il contenuto della legge e oltrepassarne il dettato; cosicchè, con il decorso del tempo, non è da escludere che venga a crearsi una sovrapposizione tale tra la norma di legge e quella privata che quanto previsto dall’una o dall’altra fonte non sia più immediatamente distinguibile.

Se trascorso un lasso di tempo significativo tali condizioni dovessero verificarsi, saremmo in presenza di un vero e proprio uso normativo, fonte tipica del diritto caratterizzata, come noto, dalla ripetizione costante di un determinato comportamento nel tempo causata dalla convinzione di osservare, in tal modo, una norma giuridica.

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In tal caso, precisamente, trattandosi di codici assunti e applicati da imprese multinazionali, si sarebbe in presenza di usi internazionali, e dunque di rango costituzionale in virtù dell’art. 10 Cost., vincolanti tanto l’impresa adottante nei confronti degli stakeholders attivi e passivi, tanto gli stakeholders attivi nei confronti dell’impresa e dei destinatari passivi. 346

345

Sugli usi normativi si veda PIZZORUSSO A., Delle fonti del diritto, in SCIALOJA A., BRANCA G. (a cura di), Commentario del codice civile, Zanichelli, Bologna-Roma, 1959, 363; CRISAFULLI V., Lezioni di diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1993, I, 151; ZAGREBELSKY G., Il sistema delle fonti, Utet, Torino, 1985, 279; MODUGNO F., Fonti

del diritto, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1989, 10.

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Anche i soggetti privati possono infatti contribuire alla formazione di usi

internazionali: GULOTTAC., Le relazioni industriali nelle imprese multinazionali, Giuffrè,

Milano, 2002, 296 ss.; BLENGINO C., I programmi di social labelling ed il commercio

internazionale: implicazioni giuridiche, in Il diritto dell’economia, 2001, 1, 425-426. In

Qualora ricorrano tali presupposti, almeno con riferimento ai codici esterni, redatti come si è detto da autorevoli organizzazioni internazionali – ma senza escludere, per il futuro, neppure i codici interni, laddove, nel corso del tempo, le regole private dovessero in qualche misura uniformarsi e essere accorpate per iscritto da organi competenti – i documenti descritti potrebbero essere equiparati alle raccolte ufficiali di cui all’art. 9 disp. prel. c.c., per cui, per scalfirne la presunzione di esistenza, occorrerebbe la rigorosa dimostrazione di una prova contraria. 347

L’efficacia giuridica dei codici di condotta, interpretati alla stregua di usi normativi, è stata peraltro confermata, in alcune occasioni, a livello internazionale. Esemplare è, in proposito il lodo arbitrale sul caso Hilmarton, con il quale un’impresa, coinvolta in pratiche corruttive peculiari e non sanzionabili secondo il diritto statuale comune (algerino, in applicazione della Convenzione di Roma del 1980), venne condannata per la violazione del buon costume e delle norme consuetudinarie internazionali, le cui regole erano enunciate nello stesso codice di condotta da questa adottato. In tal modo, l’arbitro investito della questione ha considerato il codice di condotta alla stregua di una enunciazione scritta di usi normativi con forza cogente, espressione immediata e diretta di regole oggettive operanti a livello internazionale ed espresse dal gruppo socioeconomico di riferimento. 348

Tale efficacia sarebbe invece esclusa nella ipotesi di norme dettate da codici di condotta assunti esclusivamente a livello “domestico”, ostando in tal caso il dato letterale dell’art. 8 comma 1 disp. prel. c.c., secondo il quale “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto da essi richiamati”.

A., Costituzione e adattamento interno all’ordinamento internazionale, Giuffrè, Milano, 1961; PIZZORUSSO A., cit.

347

PIZZORUSSO A., cit. 348

L’esempio è tratto da MARRELLA F., La repressione della corruzione: i codici etici

e l’arbitrato internazionale, Relazione tenuta in occasione del convegno di Jesi, 12-13 aprile,

2002. Si v. anche GIARDINA A., Norme imperative ed arbitrato internazionale, in Riv. arb., 1992, 784 e Armonia interna e disarmonia internazionale delle decisioni, ivi, 796.

I codici di condotta, infatti, laddove non si limitino a una mera riproduzione del dettato normativo – la cui violazione è evidentemente sanzionabile attraverso la normale applicazione delle regole di diritto – trattano generalmente materie già disciplinate dalla legge, sia pure in relazione ad aspetti ulteriori da essa non direttamente regolati. È questa, tuttavia, una ipotesi di scuola, considerato che non constano codici di condotta assunti da imprese operanti a livello esclusivamente locale e che tutti i codici normalmente riproducono in maniera quasi standardizzata i principi e i valori già affermatisi a livello internazionale – efficaci, come si è detto ai sensi dell’art. 10 Cost. – di tal che sarebbe alquanto singolare un codice che se ne discostasse.

Diverse considerazioni valgono con riferimento allo stakeholder-prestatore di lavoro subordinato. Il problema non si pone, beninteso, in relazione agli usi internazionali – che costituiscono, come si è detto, fonti del diritto direttamente e generalmente applicabili per via dell’art. 10 Cost. e per i quali si ripropongono evidentemente le stesse considerazioni effettuate supra – ma con riguardo agli usi locali non riproduttivi di quelli internazionali. Al riguardo occorre operare, rispetto alla regola generale codificata all’art. 8 delle preleggi, una distinzione ai sensi dell’art. 2078 c.c.: se si tratta di materie non disciplinate dal legislatore, l’uso normativo costituisce una fonte sussidiaria del diritto anche in materia di rapporti di lavoro; 349 se si tratta di materie, viceversa, già disciplinate dalla legge, esso prevale, ancorchè non richiamato, qualora sia più favorevole al lavoratore. 350 Se si accoglie tale lettura – per il vero non univoca 351 – ne deriva che, nell’ambito del diritto del lavoro, le norme contenute nei codici di condotta, che come si è detto tendono a oltrepassare il dettato legislativo in senso migliorativo, prevarrebbero addirittura sulle norme di legge. 349 Cass. 8 agosto 1979, n. 4616. 350 Cass. 8 gennaio 1983, n. 136. 351

Per l’interpretazione che attribuisce all’uso aziendale rilevanza negoziale e non normativa, si rinvia al § 5.3., trattandosi di argomentazioni che esulano dalla tematica delle fonti del diritto.