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Segue: b) Norme di condotta e vincolo contrattuale intercorrente tra imprese affiliate e partners commerciali, impresa madre e destinatari passivi.

NATURA GIURIDICA ED EFFICACIA

5. Codici di condotta ed efficacia contrattuale.

5.2. Segue: b) Norme di condotta e vincolo contrattuale intercorrente tra imprese affiliate e partners commerciali, impresa madre e destinatari passivi.

Molto spesso, come si è visto, i codici di condotta non si limitano a dettare regole vincolanti nei confronti della stessa impresa che li adotta, ma richiedono anche l’osservanza dei medesimi comportamenti da parte delle imprese affiliate o controllate, delle imprese fornitrici e in generale dei partners commerciali. Normalmente i contratti stipulati dall’impresa con questi soggetti contengono apposite clausole che prevedono la risoluzione del rapporto contrattuale in ipotesi di inosservanza dei comportamenti richiesti, in applicazione dell’art. 1456 c.c. Laddove, invece, non sia presente una clausola risolutiva espressa, la medesima conseguenza può verificarsi ai sensi dell’art. 1353 c.c. sul contratto condizionale il quale non esclude che possa essere dedotto in condizione l’inadempimento di una delle parti, né richiede che la condizione medesima debba essere necessariamente espressa nel

393

SCOGNAMIGLIO R., Dei contratti in generale, in SCIALOJA A.,BRANCAG.(a

cura di),Commentario del codice civile, cit., 1970, 167.

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Come già detto al § 4 di questo capitolo, possiede i caratteri richiesti dall’art. 1174 c.c. e può essere considerato interesse meritevole di tutela quello di evitare un discredito commerciale o conseguire ritorni economici.

regolamento contrattuale, potendo ad essa risalirsi sulla base di una interpretazione presuntiva della volontà delle parti. 395

Laddove invece non sia neppure presente una clausola contrattuale esplicitamente vincolante l’impresa collegata all’osservanza delle norme di condotta, si può ritenere che esse entrino ugualmente a far parte del regolamento contrattuale ex art. 1340 c.c., secondo cui “le clausole d’uso s’intendono inserite nel contratto, se non risulta che non sono state volute dalle parti”. La norma in questione fa riferimento, non agli usi normativi 396 – che vincolano comunque le parti ma attraverso il richiamo legislativo, ai sensi dell’art. 8 disp. prel. c.c. – ma agli usi contrattuali o negoziali, 397 e cioè a quegli usi comunemente applicati in relazione a un certo tipo contrattuale, i quali obbligherebbero le parti anche se da esse ignorati. 398

Applicabile è altresì l’art. 1374 c.c., secondo cui “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”. In questo caso, le norme di condotta risulterebbero vincolanti attraverso un duplice canale: uno eventuale e di fonte legale (usi) e l’altro generale e di fonte contrattuale (equità). Quanto al primo, stando alla opinione della prevalente dottrina, 399 sembra che gli usi cui la norma si riferisce siano esclusivamente quelli normativi – ed è quindi

395

COSTANZA M., Della condizione del contratto, in SCIALOJA A.,BRANCAG.(a

cura di), Commentario del codice civile, cit., 1997; RESCIGNO P., Condizione (diritto

vigente), in Enc. dir., 1989, 762; ZACCARIA A., cit., in CIAN G., TRABUCCHI A. (a cura

di), Commentario breve al codice civile, cit., 1256. 396

Contra OPPO G., Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Il Mulino, Bologna, 1943, 98; SARACINI E., Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Giuffrè, Milano, 1971, 246.

397

BIANCA M., Diritto civile. Il contratto, cit., 337; in giurisprudenza v. per tutte le recente sentenza di Cass. 5 febbraio 2003, n. 1693, in Orient. giur. lav., 2003, I, 136.

398

Cass. 18 aprile 1994, n. 3651. 399

GENOVESE A., Usi negoziali e interpretativi, in Enc. giur. Treccani, 1999, 1876; CARRESI F., Il contratto, cit.

necessaria la ricorrenza dei peculiari requisiti che caratterizzano l’uso quale fonte del diritto ex art. 8 disp. prel. c.c. – di tal chè essi non obbligano attraverso il contratto, ma attraverso il richiamo legislativo. Quanto al secondo, le norme di condotta sarebbero riconducibili al concetto di equità – e vincolerebbero le parti dal punto di vista contrattuale – interpretato da autorevole dottrina quale sinonimo di “valori affermatisi nel mercato” e “pratiche di affari” che non siano ancora diventate consuetudini. 400 Ne deriva che, sempre in applicazione degli istituti di diritto civile, dall’inadempimento degli obblighi contrattuali può derivare l’esperibilità di un’azione diretta ad ottenere il risarcimento tanto del danno (all’immagine) emergente, quanto dell’eventuale lucro cessante.

Chiarito il fondamento contrattuale degli obblighi posti in capo all’impresa affiliata, vi è da chiedersi, infine, se l’inosservanza da parte di questa degli impegni assunti dalla impresa madre con il codice di condotta possa comportare, per quest’ultima, conseguenze particolari, o essa rimanga del tutto priva di effetti dal punto di vista contrattuale, limitandosi a produrli solo con riguardo ai rapporti per così dire interni tra impresa madre e impresa collegata.

Da questo punto di vista, in assenza di indicazioni dei codici di condotta, soccorrono ancora una volta gli istituti del nostro diritto civile e in particolare l’art. 1381 c.c. e l’art. 1228 c.c. (di quest’ultimo, pur riferito alle obbligazioni, si tratta in questa sede perché, nella particolare situazione che ci riguarda, l’obbligazione di comportamento nascente in capo alle società affiliate deriva da contratto e non dalla promessa unilaterale o dalla promessa al pubblico provenienti dall’impresa madre).

Ai sensi del primo, l’impresa che con l’adozione del codice abbia promesso non solo un proprio personale comportamento coerente con le regole ivi dettate, ma anche il comportamento conforme di soggetti terzi (nel nostro caso dell’impresa affiliata)

400

sarebbe tenuta a indennizzare l’altro contraente (inteso come destinatario passivo, secondo quanto già osservato al § 5.1) se questi non compiano il fatto promesso. 401

Ai sensi del secondo, l’impresa risponde in prima persona anche delle violazioni dolose o colpose poste in essere da terzi – in questo caso, dalle società ausiliarie – della cui opera si sia avvalso nell’adempimento della propria obbligazione.

In entrambi i casi, in questa sede, si intendono per “terzi”, ai sensi di entrambe le norme citate, i partners commerciali dell’impresa, nonché le società affiliate, controllate ecc.; tuttavia il medesimo discorso può essere riferito anche ai dipendenti, ai quali è però più precisamente applicabile l’art. 2049 c.c. (sul punto si veda il § 5.3.).

Vi è infine da chiedersi se al caso in esame possa essere applicata una fattispecie contrattuale tipica ai sensi del codice civile, capace di vincolare l’impresa affiliata non solo nei confronti dell’impresa madre ma anche con riguardo alla generalità dei destinatari passivi. In proposito sembrerebbe possibile utilizzare la fattispecie contrattuale di cui all’art. 1411 c.c., che prevede la validità del contratto a favore del terzo, in presenza di un interesse, anche solo morale, dello stipulante, purchè esso sia meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. 402

In tal caso il contratto concluso tra lo stipulante (impresa) e promittente (filiale) sarebbe vincolante anche nei confronti dei terzi, individuabili nei destinatari passivi (con ovvia esclusione dei soggetti promittenti, i quali, pur rivestendo un ruolo anche passivo, non possono in questo caso essere beneficiari del contratto in quanto parti del medesimo). L’applicazione di tale fattispecie tipica comporta a carico

401

CECCHINI A., La promessa del fatto del terzo, in Riv. dir. civ., 1999, I, 563 e 665 CHERUBINI M.C., La promessa del fatto del terzo, Giuffrè, Milano, 1992; ALCARO F.,

Promessa del fatto del terzo, in Enc. dir., 1998, 70 ss.

402

MAJELLO U., Contratto a favore del terzo, in Dig. disc. priv. sez. comm., Utet Torino, 1989, 235. La dottrina precisa che il giudizio di meritevolezza coincide con la non contrarietà del negozio alla legge all’ordine pubblico e al buon costume: COSTANZA M., Il

contratto atipico, Giuffrè, Milano, 1981; FERRI G.B., Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Giuffrè, Milano, 1966, 406 ss.; CLARIZIA R., cit.

dell’affiliata-promittente il sorgere di una obbligazione di comportamento tanto nei confronti dell’impresa – che potrà avvalersi, in caso di inadempimento, dell’azione tendente al risarcimento del proprio danno nonché dell’azione di risoluzione – tanto nei confronti dei terzi, legittimati a esercitare azione di risarcimento. 403

In questo caso, inoltre, sarebbe probabilmente possibile ovviare alla problematica inerente alla prestazione del consenso da parte degli stakeholders non attuali. Infatti, il contratto concluso tra promittente e stipulante è valido ed efficace per effetto della sola stipulazione; mentre la dichiarazione del terzo di volerne profittare segna solo il momento oltre il quale non è più possibile per lo stipulante revocare o modificare i contenuti del contratto medesimo ed essa non è peraltro, secondo l’orientamento prevalente, necessaria, potendo essere il terzo anche un soggetto non ancora giuridicamente esistente all’atto della stipulazione. 404

È possibile del resto, secondo un’interpretazione dottrinale, 405 che anche qualora il contratto non impegni esplicitamente il promittente a eseguire la prestazione in favore del terzo, venga a configurarsi, sempre ex art. 1411 c.c., un contratto con effetti protettivi a favore del terzo e cioè un contratto dal quale sia deducibile in via interpretativa l’attribuzione al terzo di un diritto alla esecuzione diligente della prestazione principale, di modo da evitare danni al terzo medesimo. In tal modo l’obbligazione del debitore a un comportamento diligente nell’esecuzione della prestazione principale, per regola generale assunta ex lege nei confronti della controparte contrattuale, verrebbe estesa al terzo cosicchè, ove tale obbligo venisse violato, il terzo potrebbe agire per il risarcimento quale creditore di detta pretesa secondaria.

403

BIANCA M., Diritto civile. Il contratto, cit., 539; SCOZZAFAVA O.T., Contratto a

favore di terzi, in Enc. Giur. Treccani, 1988.

404

Cass. 28 aprile 1989, n. 1993, in Not. giur. lav., 1989, 382. Contra Cass. 8 ottobre 1991, n. 10560, per cui esso deve essere determinato o determinabile, essendo necessaria la comunicazione al promittente e al terzo stesso, in ragione del suo potere di rifiuto.

405

5.3. Segue: c) Norme di condotta e vincolo contrattuale intercorrente tra